Language   

War Orphans

Ornette Coleman
Language: Instrumental


Ornette Coleman

List of versions



(1967)
Suonata da Coleman con Charlie Haden (non so se sia stata inserita in un LP) e poi incisa da Charlie Haden con la Liberation Music Orchestra nello storico album di debutto del 1969

Liberation Music Orchestra
Perry Robinson — clarinet
Gato Barbieri — tenor saxophone, clarinet
Dewey Redman — alto saxophone, tenor saxophone
Don Cherry — cornet, flute, Indian wood & bamboo flutes
Michael Mantler — trumpet
Roswell Rudd — trombone
Bob Northern — French horn, hand wood blocks, crow call, bells, military whistle
Howard Johnson — tuba
Sam Brown — guitar, Tanganyikan guitar, thumb piano
Carla Bley — piano, tambourine
Charlie Haden — bass
Paul Motian — drums, percussion


Charlie-Haden &  Ornette-Coleman
Charlie-Haden & Ornette-Coleman


On Ornette Coleman's "War Orphans" from the Liberation Music Orchestra's debut recording, Haden and pianist/arranger/co-conductor Carla Bley engage in an extended conversation with delicate, guarded grace. The remaining players creep in as the tune concludes, providing an eerie culmination in which a social and political message has been delivered without a word uttered.

*

Nel pezzo di Ornette Coleman "War Orphans" dall'album di debutto della Liberation Music Orchestra, Haden e la pianista/arrangiatrice/co-direttrice Carla Bley si impegnano in una lunga conversazione a due, con una grazia delicata e sommessa. Gli altri musicisti si insinuano sul finale, in una conclusione misteriosa il cui messaggio sociale e politico è esplicito, senza che sia stata proferita una sola parola.

jazz.com


Inseriamo questo pezzo nel giorno della scomparsa del grande Ornette Coleman, a 85 anni. Il suo amico e collaboratore di una vita, Charlie Haden, ci ha lasciato l'anno scorso.
(strum)

Contributed by CCG Staff - 2015/6/11 - 23:25


No, la canzone non è mai stata incisa dal suo autore in alcun disco, era un inedito, poi nel maggio 74, Paul Motian nel suo secondo LP per la ECM ne ha incisa una nuova versione (sempre con Haden in formazione)(nel medesimo disco è presente pure un'altra appassionata proposta di Song For Chè).
E' quasi impossibile pensare al mondo della musica senza più Ornette Coleman. Ho sempre avuto somma ammirazione per questo musicista che ha spaccato la critica in due già dal suo apparire sulla scena del bebop sul finire degli anni 50: al Five Spot Club di New York quando iniziava a suonare lui la maggior parte se ne andavano, altri però lo considerarono profetico...una sera lo aggredirono, gli ruppero il sassofono di plastica bianca e gli spaccarono i denti...(tra l'altro ricordo che nel 2006 anche qui in Italia, all'aeroporto della Malpensa di Milano, qualcuno pensò bene di rubargli il suo contralto Selmer che era stato realizzato appositamente dalla casa produttrice parigina).
"Il sassofono lo conosco molto bene, devo invece progredire fino a quando non sarò capace di suonare soltanto musica" diceva e in fondo non è molto diverso da quando, poco più che bambino, avendo fra le mani il suo primo sassofono comperato con i soldi guadagnati lustrando scarpe era convinto che la musica fosse solo suono e non immaginava che bisognasse studiare per imparare e seguire delle regole. E'davvero meraviglioso come questa sorta di "spontaneità" emerga ovunque dalle sue composizioni: c'è una ghost track alla fine del disco Scar di Joe Henry nel 2001, dove le note dolenti, metropolitane e notturne del suo sassofono solitario volteggiano maliconicamente aggrappate al buio, alla pioggia e al vuoto della città...

Flavio Poltronieri - 2015/7/20 - 19:08




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