Riccardo Venturi: Per Gian Piero Testa / Για τον Τζαν Πιέρο Τέστα
GLI EXTRA DELLE CCG / AWS EXTRAS / LES EXTRAS DES CCGLangue: italien
Firenze, 10 frimaio 223.
Quando scompare una persona che mi è cara, e per mille motivi, non mi riesce mai scrivere “a caldo”. Probabilmente, la prima reazione che ho è quella del silenzio. Nel caso di Gian Piero Testa, purtroppo, ho avuto poi in sorte di sapere già prima che cosa si stava preparando, e direttamente dalla sua voce; eravamo soliti farci telefonate interminabili, raccontandoci di tutto e “cospirando” per mettere sul sito questo o quell'album, questa o quella canzone. Nel contempo, ci raccontavamo la nostra vita, quella passata e quella quotidiana. Mi accadeva, con Gian Piero, praticamente la stessa cosa che ebbi a vivere con un altro mio amico carissimo, anche lui scomparso all'improvviso; la raccontai, anni fa, parlando di Traiettorie dei gatti. I gatti, non so come, ci sono sempre. Nelle persone cui più ho voluto bene, i gatti ci sono sempre entrati. Non dev'essere un caso.
Non era solamente un'amicizia, seppur segnata dalla distanza geografica e iniziata tardi, a un'età, per tutti e due, in cui non è né semplice e né comune iniziarne di nuove. Era una profondissima, capillare comunanza di interessi e di passioni, che andava al di là dei chilometri e della differenza di età (Gian Piero aveva vent'anni più di me). Erano gli stessi libri, gli stessi autori, la stessa musica, le stesse parole. Era la stessa lingua, il greco, che lui maneggiava come un madrelingua ed in cui era capace di scrivere componimenti poetici perfetti. Era la stessa casa piena di libri. Erano i gatti ed erano non so quante altre cose; era la disponibilità a darci sempre un reciproco aiuto, che si trattasse di una traduzione o di una confidenza, di un dato verbo o di una parola di conforto. Ed erano quei rari incontri, a partire dal primo avvenuto oltre quattro anni fa a Milano, iniziato davanti al Duomo e finito in una trattoria pergolata vicino a Porta Ticinese, tra una specie di rappresentante della vecchia “mala” milanese con cui avevamo fatto estemporanea amicizia e Gian Piero che si divertiva sconcertato a vedere la quantità di roba che stavo mangiando. Partirono quattro bottiglie di vino rosso in due; ché, come si suol dire, la morte ci ha a trovare vivi.
La Grecia. Io non so se, e non pretendo che, si possa capire bene ciò che sto per dire. La Grecia, ad esempio, ha una lingua la cui storia millenaria si può tranquillamente leggere come un romanzo, e dei più avvincenti; lo potrebbe fare senza problemi anche chi non ne conoscesse neppure una parola. La Grecia è quel paese dove, probabilmente, siamo nati tutti quanti; a volte può succedere però di addentrarsi un po' nella sua Parola, nel suo Λόγος; e, allora, se ne rimane segnati per sempre. Quando si incontrano due persone che, pur nelle tante, inevitabili e necessarie differenze di vita e di esperienze, ne vien fuori esattamente quel che sto cercando di raccontare. E non importa come avvenga la conoscenza, se su una spiaggia o sulle pagine di un sito di canzoni, se tra le rovine di Micene o parlando di una canzone su Nikiforos Mandilaràs, quando Gian Piero intervenne per la prima a volta qua dentro (il 4 gennaio 2009) per correggere un clamoroso abbaglio che avevamo (avevo) preso.
Da tutto questo, si capirà che sono del tutto incapace di parlare di una persona che è scomparsa da poco come se lo sia veramente, e come se lo possa mai essere. Mi riesce difficile anche usare i tempi al passato, e dire, ad esempio, “avevamo”. Proseguirò allora al presente, e dirò che abbiamo, io e Gian Piero, un'altra cosa in comune: quella di non avere mai delegato la nostra vita ad entità “soprannaturali” e a favolette “monoteistiche” mediorientali. Ci abbiamo casomai, una sentita dimestichezza con quegli dèi e con quei miti classici cui anche il più incallito dei comunisti greci, come può essere stato uno Yannis Ritsos, è ricorso per parlare di un durissimo e desolato presente. Seferis si chiedeva, in una sua famosa poesia, se fosse possibile, per un greco, “morire normalmente”; potrei rispondere, e nel modo più semplice possibile, che la morte accade e deve accadere ogni giorno, come parte assolutamente naturale della vita e del suo ciclo. Senza ricorrere a consolazioni fabbricate a base di castelli perfetti che, però, poggiano sul nulla. Accettando come una meraviglia ciò che abbiamo vissuto e che continuiamo a vivere. Vivendo per la conoscenza, ma non quella arida e vuota; bensì quella profonda e compenetrata ad ogni atto della nostra vita, che va di pari passo con l'amore. Così facendo, si riesce ad avere una ricchezza che nessun “economista” potrà mai quantificare.
Gian Piero Testa aveva, anzi ha, questa ricchezza. In dosi massicce. E' intervenuta, pochi giorni fa, quella parte della vita che va sotto il nome di “morte”, θάνατος; ma, come diceva Violeta Parra, La muerte no acaba nada. E lo diceva in una delle sue canzoni più terribilmente antireligiose, Ayúdame Valentina. Quando lo diciamo noialtri “non credenti”, che la morte non conclude niente, significa che ci rifiutiamo di riscaldarci al focolino di paradisi, vite eterne e “immortalità” basate sul niente dell'irrazionale; non abbiamo quella cultura che, in definitiva, è sempre di morte. Abbiamo invece quella della vita, dell'unica e irripetibile vita che, ad un certo punto, ha l'accidente di interrompersi come è nella natura delle cose. Ma prosegue, e prosegue nell'aldiquà, su questa maledetta e bellissima Terra, in questo terrificante e meraviglioso mondo, nel ricordo e nelle parole, in ciò che si è fatto e che si continuerà a fare. Ed è tutto questo che è stato e continua ad essere Gian Piero Testa. E' tutto questo che siamo stati, e continueremo ad essere tutti noi.
Sapevo, come ho già detto, già da alcuni giorni che Gian Piero stava per morire. Credo che qualcuno avrà notato che, negli ultimi tempi, sul sito avevo ricominciato a tradurre dal greco; ad esempio, le “Arcadie” mancanti di Theodorakis e quella bellissima poesia di Michalis Katsarós, “Resistete”, cantata da Christos Thivaios. Avevo telefonato a Gian Piero proprio per dirgli delle “Arcadie”, quando mi ha detto che cosa stava per accadere. Mi è caduta come una tegola in testa. Volevo andare a trovarlo per un'ultima volta; non ho fatto in tempo. La mia reazione è stata come raccogliere il suo testimone, sperando naturalmente che, prima o poi, qualche altro grecista della sua levatura compaia da queste parti (ma sarà alquanto difficile). Se negli ultimi suoi giorni avrà avuto due minuti per andare a vedere tutto questo, sono certo che lo avrà capito; che era per lui quello che stavo facendo, e che al posto di geremiadi da prefiche preferivo onorarlo così. E lo ripeto: onorarlo. Ma non si trattava di un'onoranza funebre, si trattava di un'onoranza di vita. Di una di quelle sette vite che i nostri gatti esercitano autenticamente, dato che un gatto e un Gian Piero Testa non si lasciano mai scordare.
E ce le faremo ancora, le nostre interminabili telefonate. Ci chiederemo ancora questa o quella parola, questa o quella tournure migliore, ci daremo ancora i nostri consigli e, all'improvviso, ci racconteremo ancora dei nostri fatti, di Bonassola e dell'Isola d'Elba, del Babis, di tutto quanto; si tratta solo di un trasferimento in quel vastissimo Nulla dove non ci toccano né l'Adesso e né il Qui. Anche se l'ha detto non un greco, ma Goethe, potrà andare bene. Ciao Gian Piero, e ora ricomincio a tradurre roba. Te la mando, stanne certo, affinché tu gli dia un'occhiata; mi raccomando, come sempre: nessuna pietà se prendo un abbaglio o scrivo una castroneria. A fra qualche tempo. Aἴλουρος μέλαινα ἐκ παμπαλαίων χρόνων, μέλαν φῶς ἐξ ὀνειράτων ἤνεγκον.
Non era solamente un'amicizia, seppur segnata dalla distanza geografica e iniziata tardi, a un'età, per tutti e due, in cui non è né semplice e né comune iniziarne di nuove. Era una profondissima, capillare comunanza di interessi e di passioni, che andava al di là dei chilometri e della differenza di età (Gian Piero aveva vent'anni più di me). Erano gli stessi libri, gli stessi autori, la stessa musica, le stesse parole. Era la stessa lingua, il greco, che lui maneggiava come un madrelingua ed in cui era capace di scrivere componimenti poetici perfetti. Era la stessa casa piena di libri. Erano i gatti ed erano non so quante altre cose; era la disponibilità a darci sempre un reciproco aiuto, che si trattasse di una traduzione o di una confidenza, di un dato verbo o di una parola di conforto. Ed erano quei rari incontri, a partire dal primo avvenuto oltre quattro anni fa a Milano, iniziato davanti al Duomo e finito in una trattoria pergolata vicino a Porta Ticinese, tra una specie di rappresentante della vecchia “mala” milanese con cui avevamo fatto estemporanea amicizia e Gian Piero che si divertiva sconcertato a vedere la quantità di roba che stavo mangiando. Partirono quattro bottiglie di vino rosso in due; ché, come si suol dire, la morte ci ha a trovare vivi.
La Grecia. Io non so se, e non pretendo che, si possa capire bene ciò che sto per dire. La Grecia, ad esempio, ha una lingua la cui storia millenaria si può tranquillamente leggere come un romanzo, e dei più avvincenti; lo potrebbe fare senza problemi anche chi non ne conoscesse neppure una parola. La Grecia è quel paese dove, probabilmente, siamo nati tutti quanti; a volte può succedere però di addentrarsi un po' nella sua Parola, nel suo Λόγος; e, allora, se ne rimane segnati per sempre. Quando si incontrano due persone che, pur nelle tante, inevitabili e necessarie differenze di vita e di esperienze, ne vien fuori esattamente quel che sto cercando di raccontare. E non importa come avvenga la conoscenza, se su una spiaggia o sulle pagine di un sito di canzoni, se tra le rovine di Micene o parlando di una canzone su Nikiforos Mandilaràs, quando Gian Piero intervenne per la prima a volta qua dentro (il 4 gennaio 2009) per correggere un clamoroso abbaglio che avevamo (avevo) preso.
Da tutto questo, si capirà che sono del tutto incapace di parlare di una persona che è scomparsa da poco come se lo sia veramente, e come se lo possa mai essere. Mi riesce difficile anche usare i tempi al passato, e dire, ad esempio, “avevamo”. Proseguirò allora al presente, e dirò che abbiamo, io e Gian Piero, un'altra cosa in comune: quella di non avere mai delegato la nostra vita ad entità “soprannaturali” e a favolette “monoteistiche” mediorientali. Ci abbiamo casomai, una sentita dimestichezza con quegli dèi e con quei miti classici cui anche il più incallito dei comunisti greci, come può essere stato uno Yannis Ritsos, è ricorso per parlare di un durissimo e desolato presente. Seferis si chiedeva, in una sua famosa poesia, se fosse possibile, per un greco, “morire normalmente”; potrei rispondere, e nel modo più semplice possibile, che la morte accade e deve accadere ogni giorno, come parte assolutamente naturale della vita e del suo ciclo. Senza ricorrere a consolazioni fabbricate a base di castelli perfetti che, però, poggiano sul nulla. Accettando come una meraviglia ciò che abbiamo vissuto e che continuiamo a vivere. Vivendo per la conoscenza, ma non quella arida e vuota; bensì quella profonda e compenetrata ad ogni atto della nostra vita, che va di pari passo con l'amore. Così facendo, si riesce ad avere una ricchezza che nessun “economista” potrà mai quantificare.
Gian Piero Testa aveva, anzi ha, questa ricchezza. In dosi massicce. E' intervenuta, pochi giorni fa, quella parte della vita che va sotto il nome di “morte”, θάνατος; ma, come diceva Violeta Parra, La muerte no acaba nada. E lo diceva in una delle sue canzoni più terribilmente antireligiose, Ayúdame Valentina. Quando lo diciamo noialtri “non credenti”, che la morte non conclude niente, significa che ci rifiutiamo di riscaldarci al focolino di paradisi, vite eterne e “immortalità” basate sul niente dell'irrazionale; non abbiamo quella cultura che, in definitiva, è sempre di morte. Abbiamo invece quella della vita, dell'unica e irripetibile vita che, ad un certo punto, ha l'accidente di interrompersi come è nella natura delle cose. Ma prosegue, e prosegue nell'aldiquà, su questa maledetta e bellissima Terra, in questo terrificante e meraviglioso mondo, nel ricordo e nelle parole, in ciò che si è fatto e che si continuerà a fare. Ed è tutto questo che è stato e continua ad essere Gian Piero Testa. E' tutto questo che siamo stati, e continueremo ad essere tutti noi.
Sapevo, come ho già detto, già da alcuni giorni che Gian Piero stava per morire. Credo che qualcuno avrà notato che, negli ultimi tempi, sul sito avevo ricominciato a tradurre dal greco; ad esempio, le “Arcadie” mancanti di Theodorakis e quella bellissima poesia di Michalis Katsarós, “Resistete”, cantata da Christos Thivaios. Avevo telefonato a Gian Piero proprio per dirgli delle “Arcadie”, quando mi ha detto che cosa stava per accadere. Mi è caduta come una tegola in testa. Volevo andare a trovarlo per un'ultima volta; non ho fatto in tempo. La mia reazione è stata come raccogliere il suo testimone, sperando naturalmente che, prima o poi, qualche altro grecista della sua levatura compaia da queste parti (ma sarà alquanto difficile). Se negli ultimi suoi giorni avrà avuto due minuti per andare a vedere tutto questo, sono certo che lo avrà capito; che era per lui quello che stavo facendo, e che al posto di geremiadi da prefiche preferivo onorarlo così. E lo ripeto: onorarlo. Ma non si trattava di un'onoranza funebre, si trattava di un'onoranza di vita. Di una di quelle sette vite che i nostri gatti esercitano autenticamente, dato che un gatto e un Gian Piero Testa non si lasciano mai scordare.
E ce le faremo ancora, le nostre interminabili telefonate. Ci chiederemo ancora questa o quella parola, questa o quella tournure migliore, ci daremo ancora i nostri consigli e, all'improvviso, ci racconteremo ancora dei nostri fatti, di Bonassola e dell'Isola d'Elba, del Babis, di tutto quanto; si tratta solo di un trasferimento in quel vastissimo Nulla dove non ci toccano né l'Adesso e né il Qui. Anche se l'ha detto non un greco, ma Goethe, potrà andare bene. Ciao Gian Piero, e ora ricomincio a tradurre roba. Te la mando, stanne certo, affinché tu gli dia un'occhiata; mi raccomando, come sempre: nessuna pietà se prendo un abbaglio o scrivo una castroneria. A fra qualche tempo. Aἴλουρος μέλαινα ἐκ παμπαλαίων χρόνων, μέλαν φῶς ἐξ ὀνειράτων ἤνεγκον.
Riccardo,sono l'amico di Piero Claudio Poncia,quello che ha portato Piero ai concerti di Theodorakis e che gli chiedeva le traduzioni dei testi. Mi farebbe piacere scambiare qualche parola con te nel ricordo del comune amico.
I miei n. [....]
un saluto
Claudio
I miei n. [....]
un saluto
Claudio
Claudio Poncia - 5/12/2014 - 00:18
Ci puoi giurare Claudio e ti chiamerò prestissimo. NB Nel riportare il tuo commento ho segnato i numeri che mi hai indicato ma li ho ovviamente rimossi dalla pubblicazione. A presto, Claudio.
Riccardo Venturi - Ελληνικó Τμἠμα των ΑΠΤ "Gian Piero Testa" - 5/12/2014 - 04:29
Mi chiamo Thanassis Papathanassiou e vi scrivo da Trieste. Sono arrivato a Trieste il lontano 1984 per studiare all'Università come tanti altri giovani greci. Col passare del tempo mi sono trovato bene, ho amato Trieste e così decisi di rimanerci. Ovviamente la passione per quello che è rimasto indietro è rimasta sempre accesa e mi ha portato a condurre per diversi anni una trasmissione alla radio riguardo la cultura ellenica, principalmente quella musicale, e la vita dei greci Triestini alla città che per diversi secoli li ha ospitati (i primi greci a Trieste arrivano verso la metà del 18imo secolo). Attualmente la trasmissione (Via della Grecia n.104,5) va in onda ogni Domenica dalle 14 alle 15:30 dalle frequenze di radio Fragola (www.radiofragola.com).
Ho fatto questa introduzione per spiegare il "legame" che si è creato tra me e Gian Piero Testa. Il problema che da sempre mi tormentava era in che modo sarei riuscito a trasmettere oltre il contesto storico, anche e soprattutto il sentimento che la musica crea.. La difficoltà linguistica era uno degli ostacoli.. far sentire una canzone vale a dire soprattutto farla capire.. di solito amiamo quello che abbiamo capito, quello che abbiamo scoperto e conquistato, che è diventato, in un modo o nell'altro, nostro.. Ecco quindi che nelle continue ricerche mi appariva sempre lo stesso nome: Gian Piero Testa e la sorpresa aumentava quando oltre alle traduzioni leggevo anche i suoi commenti.. impressionante, non erano i commenti di uno che ti guarda dall'altra parte della riva.. lui stava lì, vicino a me..
All'inizio pensavo che fosse un illuminato e bravo traduttore che aveva trasformato la sua vocazione in passione.. Leggendo però i testi che accompagnavano le canzoni mi sono reso conto che era molto di più.. era una persona che riusciva a rompere i codici linguistici ed arrivava fino ai messaggi crittografati delle parole e dei sentimenti che esse facevano nascere.. Conoscere una lingua non vuol dire necessariamente anche capirla..
Avevo sempre in mente di organizzare con l'aiuto della Comunità Greca a Trieste una serata dedicata a lui. La mia curiosità, di conoscere questa persona cresceva sempre di più, ogni volta che "ci incontravamo" per le esigenze di qualche spiegazione su una musica facevo sempre lo steso pensiero, conoscerlo e farlo conoscere a tutti quelli che sono coinvolti con la cultura ellenica. Lui, ogni volta mi offriva generosamente qualcosa che io non potevo raggiungere, il punto di vista "italiano" da un "greco". Io purtroppo sono e sarò per sempre intrappolato nella gabbia sentimentale che ti creano le esperienze giovanili, le emozioni e le passioni del passato.. Lui essendo libero da questi vincoli e contemporaneamente un "greco" mi dava sempre quello che chiedevo...
Purtroppo, come succede spesso, il tempo mi ha ingannato, ho pensato che siamo eterni ed ho sottovalutato il presente.. mi dispiace non ce l'ho fatta...
Vi ho scritto questa mail per raccontarvi questa mia amarezza e per chiedervi gentilmente una mail della sua famiglia per mandare le mie condoglianze ad una persona che non conoscevo personalmente ma che faceva parte della mia quotidianità e soprattutto su argomenti che penso tutti e due amavamo ugualmente.
Ho fatto questa introduzione per spiegare il "legame" che si è creato tra me e Gian Piero Testa. Il problema che da sempre mi tormentava era in che modo sarei riuscito a trasmettere oltre il contesto storico, anche e soprattutto il sentimento che la musica crea.. La difficoltà linguistica era uno degli ostacoli.. far sentire una canzone vale a dire soprattutto farla capire.. di solito amiamo quello che abbiamo capito, quello che abbiamo scoperto e conquistato, che è diventato, in un modo o nell'altro, nostro.. Ecco quindi che nelle continue ricerche mi appariva sempre lo stesso nome: Gian Piero Testa e la sorpresa aumentava quando oltre alle traduzioni leggevo anche i suoi commenti.. impressionante, non erano i commenti di uno che ti guarda dall'altra parte della riva.. lui stava lì, vicino a me..
All'inizio pensavo che fosse un illuminato e bravo traduttore che aveva trasformato la sua vocazione in passione.. Leggendo però i testi che accompagnavano le canzoni mi sono reso conto che era molto di più.. era una persona che riusciva a rompere i codici linguistici ed arrivava fino ai messaggi crittografati delle parole e dei sentimenti che esse facevano nascere.. Conoscere una lingua non vuol dire necessariamente anche capirla..
Avevo sempre in mente di organizzare con l'aiuto della Comunità Greca a Trieste una serata dedicata a lui. La mia curiosità, di conoscere questa persona cresceva sempre di più, ogni volta che "ci incontravamo" per le esigenze di qualche spiegazione su una musica facevo sempre lo steso pensiero, conoscerlo e farlo conoscere a tutti quelli che sono coinvolti con la cultura ellenica. Lui, ogni volta mi offriva generosamente qualcosa che io non potevo raggiungere, il punto di vista "italiano" da un "greco". Io purtroppo sono e sarò per sempre intrappolato nella gabbia sentimentale che ti creano le esperienze giovanili, le emozioni e le passioni del passato.. Lui essendo libero da questi vincoli e contemporaneamente un "greco" mi dava sempre quello che chiedevo...
Purtroppo, come succede spesso, il tempo mi ha ingannato, ho pensato che siamo eterni ed ho sottovalutato il presente.. mi dispiace non ce l'ho fatta...
Vi ho scritto questa mail per raccontarvi questa mia amarezza e per chiedervi gentilmente una mail della sua famiglia per mandare le mie condoglianze ad una persona che non conoscevo personalmente ma che faceva parte della mia quotidianità e soprattutto su argomenti che penso tutti e due amavamo ugualmente.
Thanassis Papathanassiou - 7/5/2017 - 00:16
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