Μίκης Θεοδωράκης
ΑΡΚΑΔΙΑ ΙX
Ἡ μητέρα τοῦ ἐξόριστου
Ἡ μητέρα τοῦ ἐξόριστου
Στίχοι Κώστα Ι. Καλαντζή - Zάτουνα 1969
Κι' ἄν σοὔκλείσαν τίς πόρτες οἱ βαρβάροι
καί σοὔβάλαν στεφάνι ἀγκαθωτό
τό ἴδιο βόλι, γιέ μου, θά τούς πάρει
ἀπ' ἄγνωστο θεό θἄναι σταλτό.
Σ' ἐφτουνηεδῶ τή μαύρη πολιτεία
δέ θέλω, γιέ μου, θάνατο νά βρεῖς
τήν ἔρμη πιά μέ δέρνει ἀπελπισία,
νά σωριαστῶ βαρειά μεσοστρατίς.
Μή μοῦ χαρίσης, γιέ μου, τέτοια θλίψι,
μή θές τά μάτια μου νά μείνουν ἀνοιχτά.
Σαν ὁ στερνός μου γιός κι αὐτός μοῦ λείψει ἔτσι
ἀμήτρητους αἰῶνες θἄναι πιά.
Πιό μαύρη κι άπ' τή νύχτα θέ νά γίνω,
θά παραδέρνω φάντασμα σωστό,
ἀκούω τώρ' ἀπ' ἔξω κάποιο θρῆνο
τοῦ σκύλου σου πολύ σπαραχτικό.
Θά παραδέρνω καί θά μέ ρωτᾶνε
βουνά, λαγκάδια, κάμποι, ρεματιές
στό διάβα μου οἱ πηγές θά σταματᾶνε,
στά στήθεια μου θά καῖνε οἱ φωτιές.
Θά με ρωτᾶν τ' ἀστέρια, το φεγγάρι,
ο ἥλιος, δέ θἄχω νοῦ ν' ἀποκριθῶ.
Ἀλλοιά! Κοντά θά τἄχεις ὅλα πάρει,
δέ θἄβρει τό κορμί μου ἀναπαμό.
Πῆρα τό γράμμα σου τό πικραμένο,
πόσο ἦταν μαῦρα τά μαντάτα,
ἔλα, βλαστάρι μου, σέ περιμένω.
Ἔλα, θ' ἀνοίξω δόλια τά φτερά μου,
θά σέ τυλίξω στοργικά μέσα σ' αύτά,
θά νοιώσει γλύκα ἀπέραντ' ἡ καρδιά μου,
σάν ἔχει ἐσένα, γιόκα μου, κοντά.
Πολλές φορές τόν τάϊσα τό χάρο,
τοὔκανα γεύματα βαρειά χορταστικά.
Στα γηρατειά περμένω γιά νά πάρω
κάτι ἀπό σένα, ὦ Θέ μου, φτάνει πιά.
Ὡς ἀποπειραθείς διά τῶν ἐνεργειῶν ἐν γένει
ἐπαφῶν καί ἐκδηλώσεών του νά προκαλέσει διατάραξιν τῆς ἀσφαλείας καί τῆς ἡσυχίας τῆς χώρας,
ἔτι δέ νά διαγείρη καί ἔτερα ἄτομα εἰς πράξεις ἀντιτιθεμένας εἰς τούς Νόμους τοῦ Κράτους,
ΑΠΟΦΑΣΙΖΟΜΕΝ ΚΑΙ ΔΙΑΤΑΣΣΟΜΕΝ
τήν παράτασιν τῆς ἐκτοπίσεώς του ἐπί ἕν ἔτος εἰσέτι εἰς τόν αὐτόν τόπον
κρινομένου ὡς ἐπικινδύνου.
Contributed by Riccardo Venturi - Ελληνικό Τμήμα των ΑΠΤ - 2014/11/17 - 20:36
LA PARTITURA MANOSCRITTA ORIGINALE TRASCRITTA INTEGRALMENTE
Zatouna, 7 agosto 1969
Zatouna, 7 agosto 1969
Riccardo Venturi - 2014/11/17 - 20:54
Language: Italian
La traduzione italiana di Nicola Crocetti.
La traduzione di Nicola Crocetti proviene dal Diario del carcere di Mikis Theodorakis, ed. italiana: Editori Riuniti, Roma, 1972, pp. 266-267. È chiaramente una versione con intenti d'arte e ritmica, con parziale tenuta delle rime; sicuramente un ottima riscrittura da parte di un traduttore e letterato di indiscusso talento. Si tratta, però, di una versione in diversi punti parecchio libera, oppure ricavata piuttosto dall'originale di Kala(n)tzis che dalla versione musicata e un po' rimaneggiata da Theodorakis; un'opzione, questa, di cui tenere conto, e avvalorata anche dal fatto che non v'è traccia della "notifica finale" aggiunta dal musicista riguardo al prolungamento della sua deportazione a Zatouna. [RV]
La traduzione di Nicola Crocetti proviene dal Diario del carcere di Mikis Theodorakis, ed. italiana: Editori Riuniti, Roma, 1972, pp. 266-267. È chiaramente una versione con intenti d'arte e ritmica, con parziale tenuta delle rime; sicuramente un ottima riscrittura da parte di un traduttore e letterato di indiscusso talento. Si tratta, però, di una versione in diversi punti parecchio libera, oppure ricavata piuttosto dall'originale di Kala(n)tzis che dalla versione musicata e un po' rimaneggiata da Theodorakis; un'opzione, questa, di cui tenere conto, e avvalorata anche dal fatto che non v'è traccia della "notifica finale" aggiunta dal musicista riguardo al prolungamento della sua deportazione a Zatouna. [RV]
Mikis Theodorakis
ΑΡCADIA ΙX
La madre del deportato
La madre del deportato
(Poesia di Kostas Kalazis) - Zatouna 1969
Se anche ti han chiuso i barbari le porte
e ti hanno cinto il capo con le spine
li attende, figlio mio, la stessa sorte
per mano di un dio vendicatore.
In questa città torbida ed oscura
non voglio, figlio, che tu vada a morte;
sono rimasta sola ed ho paura
e in mezzo a questa strada morirò.
Non darmi, figlio mio, questa penitenza
obbligando i miei occhi a stare aperti,
sei l'ultimo mio figlio e la tua assenza
per secoli infiniti graverà.
Diventerò più querula del vento
e simile a uno spettro andrò vagando;
giunge da fuori fino a me il lamento
del cane che ti piange disperato.
Andrò vagando e m'interrogheranno
montagne, valli, piane ed i torrenti,
al mio passar le fonti seccheranno
e il fuoco nel mio petto avvamperà.
Chiederanno di te le stelle e il sole
la luna chiederà del mio bel figlio
ma la mia bocca non avrà parole
né il corpo la sua pace troverà.
In questa nera mia disperazione
ho avuto la tua lettera sí amara,
come suona straziante la tua voce
ritorna, figlio, aspetto solo te.
Torna da me, io spiegherò le ali
per stringerti al mio cuor teneramente
e la gioia infinita, senza eguali
d'averti accanto ancora proverò.
Quante volte ho nutrito la mia morte
l'ho nutrita di me fino a saziarla
ora basta, mio Dio, con questa sorte
ch'io riveda mio figlio e poi verrò.
Contributed by Riccardo Venturi - Ελληνικό Τμἠμα των ΑΠΤ - 2014/11/18 - 00:44
Language: Italian
Traduzione (letterale) italiana di Riccardo Venturi
18 novembre 2014.
18 novembre 2014.
La presente traduzione "di servizio" si attiene scrupolosamente alla lezione del testo musicato da Theodorakis (con l'ordine delle strofe da lui deciso) e contiene anche la "notifica finale" -cui non fu dato corso, dato che due mesi dopo il musicista fu trasferito in regime penitenziario nel campo di Oropòs.
LA MADRE DEL DEPORTATO
E anche se i barbari ti han chiuso le porte
e t'hanno messo una corona di spine
lo stesso proiettile, figlio mio, li coglierà
lanciato da un dio sconosciuto.
In questa città nera
non voglio, figlio mio, che trovi morte
solitaria, mi rode la disperazione
di essere ammassata morta in mezzo alla strada.
Non mi dare, figlio mio, un tale dolore,
non voler che i miei occhi restino aperti.
Se anche il mio figlio amato mi abbandonerà,
sarà così per secoli infiniti.
Più scura della notte diverrò,
mi trascinerò proprio come un fantasma,
sento adesso da fuori come un lamento
del tuo cane che piange disperato.
Io mi trascinerò e mi faran domande
montagne, vallate, campi e corsi d'acqua,
al mio passaggio le fonti seccheranno,
nel mio petto arderanno i fuochi.
Mi faran domande le stelle, la luna
e il sole, ma non posso rispondere.
Sventura! Tutto questo ti toccherà ben presto,
il mio corpo non troverà mai riposo.
Ho ricevuto la tua lettera amara,
quanto erano brutte le notizie;
vieni, virgulto mio, io ti aspetto.
Vieni e spiegherò vaste le mie ali,
e ti ci avvolgerò amorevolmente,
il mio cuore sentirà una dolcezza infinita
quando ti avrà vicino, figliolo mio.
Tante volte ho nutrito la morte,
le ho preparato cibi ricchi e sazianti.
Rimango qui da vecchia per prendere
qualcosa di te, mio Dio, e poi basta.
Come stabilito dalle Autorità in materia
di contatti e dichiarazioni passibili di causare disturbo alla sicurezza ed alla tranquillità della Nazione,
nonché di suscitare l'animo di altri individui ad azioni contrarie alle Leggi dello Stato,
STABILIAMO E ORDINIAMO
il prolungamento del Suo confino per la durata di anni uno in questo luogo
ritenuto scevro da pericoli.
E anche se i barbari ti han chiuso le porte
e t'hanno messo una corona di spine
lo stesso proiettile, figlio mio, li coglierà
lanciato da un dio sconosciuto.
In questa città nera
non voglio, figlio mio, che trovi morte
solitaria, mi rode la disperazione
di essere ammassata morta in mezzo alla strada.
Non mi dare, figlio mio, un tale dolore,
non voler che i miei occhi restino aperti.
Se anche il mio figlio amato mi abbandonerà,
sarà così per secoli infiniti.
Più scura della notte diverrò,
mi trascinerò proprio come un fantasma,
sento adesso da fuori come un lamento
del tuo cane che piange disperato.
Io mi trascinerò e mi faran domande
montagne, vallate, campi e corsi d'acqua,
al mio passaggio le fonti seccheranno,
nel mio petto arderanno i fuochi.
Mi faran domande le stelle, la luna
e il sole, ma non posso rispondere.
Sventura! Tutto questo ti toccherà ben presto,
il mio corpo non troverà mai riposo.
Ho ricevuto la tua lettera amara,
quanto erano brutte le notizie;
vieni, virgulto mio, io ti aspetto.
Vieni e spiegherò vaste le mie ali,
e ti ci avvolgerò amorevolmente,
il mio cuore sentirà una dolcezza infinita
quando ti avrà vicino, figliolo mio.
Tante volte ho nutrito la morte,
le ho preparato cibi ricchi e sazianti.
Rimango qui da vecchia per prendere
qualcosa di te, mio Dio, e poi basta.
Come stabilito dalle Autorità in materia
di contatti e dichiarazioni passibili di causare disturbo alla sicurezza ed alla tranquillità della Nazione,
nonché di suscitare l'animo di altri individui ad azioni contrarie alle Leggi dello Stato,
STABILIAMO E ORDINIAMO
il prolungamento del Suo confino per la durata di anni uno in questo luogo
ritenuto scevro da pericoli.
A youtube clip with the song, sung by Mikis (and a MIDI version by Stathis Gotsis):
Takis Papaleonardos - 2018/2/20 - 14:36
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Arkadía IX [dekáti] [I mitéra tou exóristou]
Στίχοι: Κώστας Ι. Καλα(ν)τζής
Μουσική: Μίκης Θεοδωράκης
Πρώτη εκτέλεση: Μαρία Φαραντούρη (Μόνο “Είχα τρεις ζωές”)
Aνέκδοτo.
Testo di Kostas I. Kala(n)tzis
Musica di Mikis Theodorakis
Inedito.
Mikis Theodorakis confinato a Zatouna. Documento originale.
La nona “Arcadia” di Mikis Theodorakis risale al 7 agosto 1969 e precede quindi di poco la partenza della famiglia di Theodorakis (21 settembre) e il suo invio da Zatouna al campo di Oropòs, in ottobre. A quanto risulta, consta di una sola composizione: questa “Madre del deportato”, che tra tutte le “Arcadie” è probabilmente il testo più segreto e introvabile. Si tratta in origine di una poesia di un autore di cui è stato difficile reperire anche il nome esatto: nello spartito originale della composizione musicale è riportato infatti come “Kostas Kalantzis” (Κώστας Καλαντζής), mentre altre fonti lo riportano come “Kalatzis” (Καλατζής). Si tratta in realtà di un poeta abbastanza noto, con all'attivo diverse raccolte pubblicate; secondo quanto raccontato da Theodorakis (Nel Diario del carcere, alle pagine 265-266 dell'edizione italiana del 1972), fu Kostas Kala(n)tzis stesso, a suo rischio e pericolo, che gli inviò due di queste raccolte contenente, tra le altre, questa poesia; nella traduzione italiana, il poeta è indicato come “Kalazis” e questo ha rappresentato un'ulteriore difficoltà:
”Mi recapitano una raccomandata. E' piena di timbri. Ha fatto il tragitto Zatuna-Dimitsana-Tripolis-Prefettura, poi il tragitto inverso, Tripolis-Dimitsana-Zatuna. E' una lettera piena di precauzioni, di attenzioni, di circospezione. Dentro ci sono due raccolte di poesie. Firma, Kostas Kalazis. Vengo convocato alla gendarmeria. Mi comunicano una notificazione ufficiale: la mia residenza forzata a Zatuna viene prolungata di un anno. Con umorismo più che con rabbia aggiungerò le frasi reboanti di quella notifica alla fine della mia nuova composizione.”
Fin qui la storia musicale della “Madre del deportato”. Nel Diario del carcere è riportata la traduzione italiana di Nicola Crocetti (in questo caso talmente libera da giustificare una ulteriore traduzione letterale), senonché, al momento di provare a cercare in rete il testo originale greco, la luce si è spenta. Pochissimi documenti, e soltanto le parole iniziali della poesia, Κι αν σου κλείσαν τις πόρτες. Null'altro. A parte, su questa pagina della Grande Biblioteca Musicale Greca “Lilian Voudouri”, una cosa fondamentale e sicuramente emozionante: il manoscritto musicale originale di Mikis Theodorakis, quello con le “frasi reboanti di quella notifica” alla fine (qui riprodotto integralmente). Non essendo stato possibile reperire altrimenti il testo della poesia, mi sono quindi deciso a trascriverne il testo dallo spartito manoscritto, direttamente dalla grafia di Theodorakis. Compito tutt'altro che facile, specie dove il testo scorre sulla rigatura del pentagramma. Feci quod potui; ad ogni modo, si tratta sicuramente della prima volta che, in Rete, questa canzone di Theodorakis viene presentata estesamente e letteralmente tolta dall'oblio. Pur essendo stata depositata regolarmente presso una casa editrice musicale (la Éditions Monde Musique), non è mai stata incisa, neppure dallo stesso Theodorakis.
La “notifica alla fine”, che può far parte della partitura, è stata pure trascritta. E', naturalmente, redatta nella pomposa katharevousa dell'epoca, l' “ufficialese” basato sul greco classico che nessuno si sognava di parlare (neppure Papadopoulos, seppure vi tenesse sovente i suoi discorsi alla Nazione) ma che tutti erano tenuti a imparare. In una nota in calce al manoscritto, Theodorakis avverte comunque che la sua esecuzione è facoltativa e che sarebbe meglio che, nel caso, fosse recitata da un uomo. Nella nota, Theodorakis, oltre a fornire l'indirizzo di Kostas Kala(n)tzis (Evrou 13, Chalandri), si scusa con lui per aver invertito l'ordine di due strofe e per il cambio del titolo, dato che voleva fare “un regalo a sua madre”. Con il suo consueto sarcasmo, Theodorakis avverte anche che i diritti d'autore per la “notifica finale” appartengono ai ministri Kyriakopoulos e Tzerelekos, e che essi possono fare tutti i passi necessari per ottenerli.
Il testo è stato trascritto così com'è; desiderando comunque costruire una pagina filologicamente esatta, è stata riprodotta esattamente l'ortografia del manoscritto. Si tratta anch'essa di un'ortografia “d'epoca”, sia pure per il greco popolare, che non si usa più da decenni; con ancora i due spiriti, dolce e aspro, piena di “crasi” ma basata sul sistema intermedio detto “ditonico” (con due soli accenti, l'acuto e il circonflesso, al posto del classico “tritonico” -acuto, grave e circonflesso).
Pur rispettando ovviamente le decisioni di Theodorakis, sarebbe stato un peccato non cercare di fare qualcosa per restituire pienamente alla luce questa canzone / poesia, mettendola a disposizione in Rete in maniera fruibile: la Madre del deportato è assolutamente splendida. Mi rifiutavo di lasciare nel dimenticatoio e in qualche archivio un' Arcadia di Theodorakis, perdipiù di questa fattura e composta in uno dei momenti più drammatici e tristi della sua esistenza, confinato e prigioniero sotto la dittatura dei Colonnelli.
L'autore del testo, Kostas Kala(n)tzis, era nato negli Stati Uniti, a Warren nell'Ohio, da un padre emigrato nativo dell'isola di Samo e che lavorava come operaio metalmeccanico nell'acciaieria Trombol Steel. Sua madre era invece un'attrice nel teatro della famiglia di Alexandros Parisis. Kostas Kala(n)tzis non rimase a lungo negli USA; non gli riusciva proprio adattarsi all'American dream e presto scappò in Grecia. Studiò prima alla scuola pubblica di Karlovasi, poi al liceo “Pitagora” e infine si iscrisse alla facoltà di medicina dell'Università Pubblica Ateniese “Kapodistrias”. Divenuto medico, lavorò in un ospedale ateniese coltivando però la letteratura e la poesia già dagli anni '50. Scrisse saggi, racconti, resoconti di viaggio e cronache giornalistiche, collaborando con la rivista Typos. E' morto il 30 dicembre 2013. [RV]