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21 settembre 1864

Beppe Novajra
Lingua: Italiano


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[2014]
Parole e musica di Beppe Novajra di Poirino, Torino, chansonnier in lingua piemontese e italiana.



L’unica canzone che mi sia riuscito di trovare (e da me trascritta all’ascolto) su quella che viene spesso definita come la “prima strage di Stato”, erroneamente visto che soldati e carabinieri dell’ “Unitalia” - come la chiama qui Beppe Novajra, in assonanza a “mitraglia” - si erano già resi protagonisti di molti altri feroci eccidi nel sud Italia, come quelli di Montefalcione, di Ruvo del Monte, di Auletta e di Pontelandolfo e Casalduni.

Nel 1864, a tre anni dalla proclamazione dell’Unità, era cosa nota che la capitale del Regno non avrebbe potuto rimanere ancora a lungo quassù a Torino. Non sto qui ad approfondire - anche perchè non ne so abbastanza - come mai si decise per Firenze e non per Roma (c’entravano il Papa e gli accordi con la Francia di Napoleone III), ma il modo in cui la decisione venne presa, segretamente, prematuramente, senza informare la popolazione (e nemmeno il re, si dice, ma non ci credo) e dando adito ad ogni sorta di critiche, prima fra tutte quella di aver ceduto alle pressioni dei francesi, non fecero altro che accendere gli animi. Contribuirono anche molto le tattiche propagandistiche dei due opposti schieramenti, quello della vecchia guardia sabauda (di molto indebolita dopo la scomparsa del Cavour) e quello delle nuove leve della destra storica rapprentato da personaggi come il bolognese Marco Minghetti, primo ministro, il fiorentino Ubaldino Peruzzi de' Medici, ministro degli interni e l’abruzzese Silvio Spaventa, il suo braccio destro, un vero esperto di sicurezza e repressione.



Infatti, chi aveva molto da perdere dal trasferimento erano soprattutto gli imprenditori, i borghesi facoltosi e i nobili che da sempre pascevano intorno alla corte sabauda e che con l’ “Unitalia” pensavano di ingrassare ancor di più. Sicchè gli uni cominciarono a sobillare le masse prospettando la perdita di prestigio e di affari che Torino avrebbe subìto; gli altri infiltrarono provocatori nelle manifestazioni - tecnica di base della controinsurrezione, sempre efficace - per dimostrare che i piemontesi erano degli zotici e dei violenti, indegni della capitale del Regno, e per giustificare la militarizzazione della città.

La gente, presa al solito per il culo dai ricchi e dai potenti sempre intenti nei loro giochi politici, si ritrovò tra due fuochi, e non solo metaforicamente.



Il 21 settembre 1864 i manifestanti pro Torino capitale si ritrovarono in piazza Castello. la protesta era animata ma pacifica. Alle 19.30 i soldati ebbero l’ordine di disperdere la folla, baionette innestate. Quando un corteo proveniente da via Roma tentò di affluire nella piazza, gli allievi carabinieri aprirono il fuoco sulla folla uccidendo all’istante 16 persone e ferendone a decine.



Il giorno dopo una folla attonita e inferocita, incredula di fronte a tutti quei morti e ai falsi resoconti de La Stampa che addossavano tutta la responsabilità dell’accaduto sui manifestanti, si radunò in piazza San Carlo per protestare. I militari, in numero ancora maggiore - impreparati, mal comandati e col grilletto facile, allenato in anni di repressione violenta nel Meridione - erano disposti tutt’intorno e, alla minima provocazione, senza alcun preavviso, spararono di nuovo: le scariche fulminarono 23 persone sul posto (compresi un paio di soldati colpiti dal “fuoco amico”), altre 15 morirono in seguito, più di 100 i feriti... 52 morti ammazzati, e non per il pane o per la libertà... per la Capitale e, in definitiva, per “il” Capitale...

«Gli allievi carabinieri erano alla Questura. Truppe di linea stanziavano d'ambo i lati sotto i portici di Piazza S. Carlo. Verso le nove entrano nella piazza a migliaia i dimostranti. Alcuni, cioè i provocatori, tirano contro gli allievi carabinieri sassate e due colpi d'arma da fuoco. Gli allievi carabinieri escono dalla Questura e si dispongono sulla piazza facendo fuoco senza intimazione, tenendovisi autorizzati dai colpi avuti. Sopra una folla compatta ogni colpo fa una vittima, ma l'orrore si accresce per un caso inaspettato. Mentre le palle tirate più in basso colpiscono cittadini, altre o più alte o passando nei vani vanno a ferire di qua e di là i soldati che, credendosi aggrediti anch'essi, per un terribile equivoco prendono l'armi e sparano alla loro volta sopra la moltitudine presa da tre parti. Ma essendo essi schierati a fronte si feriscono anche tra loro! L'atroce spettacolo che allora presenta piazza S. Carlo si può meglio immaginare che descrivere. La folla inerme fugge ma 27 cadaveri (oltre a quelli dei soldati) lasciano lunga e sanguinosa traccia. La piazza ha l'aspetto di un macello di carne umana. I cadaveri dopo essere stati lasciati qua e là alcun tempo, vengono ammucchiati contro il monumento, parte altrove. Lo stesso dei feriti. Alcuni devono aspettare i soccorsi per impossibilità di muoversi. Altri si trascinano carponi e si ricoverano dopo mille stenti in qualche vicina farmacia»
(Gazzetta del Popolo, 23 settembre1864)


Le inchieste non poterono negare ciò che era davvero successo e la cui enormità era sotto gli occhi di tutti... Eppure quando la discussione approdò in Parlamento i deputati decisero, in nome della concordia nazionale e per l’urgenza di legiferare su cose più importanti, di non discuterne più. Seguirono a ruota la magistratura ordinaria e quella militare: nessun colpevole, nessuna condanna.

Non è successo nulla, circolare!



Solo nel 1999 è stata apposta in piazza San Carlo una lapide commemorativa...
Solo quest’anno, a 150 anni da quella strage orrenda ed inutile e gratuita, sembra che qui a Torino l’episodio sia ritornato a far parte della memoria comune dei piemontesi...
’64, 21 settembre
conta i morti
1864, il giorno dopo
conta altri morti.

E la mitraglia dell’ “Unitalia”
carabinieri, non piemontesi
buca la carne della maraja
che si accalca vedendo lesi
gli interessi e resi vani
i sacrifici per gli italiani
dai sotterfugi di un Minghetti
che dà l’annunzio a cose fatte.

Si paga pegno a Napoleone
che non voleva aver vicino
ai suoi confini il fiero leone
anzi, il toro d’la bela Torino.

E il Minghetti, ch’è bolognese
tradisce il re e le giuste attese
che sia Roma se liberata
la capitale... gaute la nata!

Ed ecco che dall’oggi al domani
si trasferisce la capitale
[Parla Minghetti] “Sia a Firenze, via lontano
se non vi piace faccio del male!”
con la mitraglia dell’ “Unitalia”
carabinieri, non piemontesi
Via la maraja! Via la marmaglia!
Viva Firenze! Via i fessi!

inviata da Bernart Bartleby - 24/9/2014 - 20:52


Si decise per Firenze e non per Roma semplicemente perché Roma era ancora in mano al papa, fino alla breccia di Porta Pia (20 settembre 1870). Comunque anche per Firenze il trasferimento della capitale fu una bella sciagura visto che in quell'occasione decisero (secondo il progetto che va sotto il pomposo nome di Risanamento) di abbattere buona parte delle antiche mura per fare spazio ai viali di circonvallazione (o non potevan farli due metri più in là??) e di abbattere il Mercato Vecchio ed il ghetto ebraico per costruire quell'obbrobrio di Piazza della Repubblica (e ci hanno pure scritto "l'antico centro della città da secolare squallore a vita nuova restituito"...)

Lorenzo - 24/9/2014 - 21:47


Hai ragione Lorenzo, non ci avevo riflettuto abbastanza... E pensare che ho pure un antenato bersagliere che a Porta Pia c'era!
Grazie
Saluti

B.B. - 24/9/2014 - 21:56


Per approfondire: Torino 1864: la strage impunita

E ora passo a cercare se esista una canzone su di un'altra strage impunita avvenuta a Torino, quella del dicembre 1922: 11 morti per mano dei fascisti guidati dal romano Piero Brandimarte (che poi è morto nel suo letto nel 1971, proprio qui a Torino, e al funerale gli resero pure gli onori militari!)

Bernart Bartleby - 24/9/2014 - 22:06




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