Maddalena sequestrata
nei cantieri sopramonte
Maddalena di Chiomonte
Maddalena ti han rinchiusa
Deportata a Fenestrelle
ed io sotto la finestra
con la banda e con l'orchestra
contro un suono di trivelle.
Che di amarti ci si accusa
nostra madre e nostra sposa
quei vigliacchi dei signori
Maddalena di Valsusa
"Hanno preso i nostri cuori"
messi a nudo e perquisiti
che ci frugano le tasche
mentre intanto ci han traditi
Mentre sulle nostre spese
hanno preso decisioni
tu fai i conti a fine mese
loro multano i milioni
Come chiedono le cosche
un riscatto sopramonte
per la bella di Chiomonte
Maddalena Valsusina...
Non ti lascio mia bambina
Maddalena in mano ai tristi
siam venuti noi buffoni
siamo tutti quanti artisti
Siam venuti con i canti
come pietre nelle mani
siam venuti noi briganti
son tornati i partigiani.
Senti un po' che bella gente
che cantava le canzoni
Maddalena resistente
"pei fascisti e pei cialtroni"
Il futuro dei ribelli
era scritto su quel foglio
dentro i libri di Revelli
nelle armi di Fenoglio
Son spuntate di recente
da quel vecchio nascondiglio
Maddalena resistente
le ha trovate ora tuo figlio.
nei cantieri sopramonte
Maddalena di Chiomonte
Maddalena ti han rinchiusa
Deportata a Fenestrelle
ed io sotto la finestra
con la banda e con l'orchestra
contro un suono di trivelle.
Che di amarti ci si accusa
nostra madre e nostra sposa
quei vigliacchi dei signori
Maddalena di Valsusa
"Hanno preso i nostri cuori"
messi a nudo e perquisiti
che ci frugano le tasche
mentre intanto ci han traditi
Mentre sulle nostre spese
hanno preso decisioni
tu fai i conti a fine mese
loro multano i milioni
Come chiedono le cosche
un riscatto sopramonte
per la bella di Chiomonte
Maddalena Valsusina...
Non ti lascio mia bambina
Maddalena in mano ai tristi
siam venuti noi buffoni
siamo tutti quanti artisti
Siam venuti con i canti
come pietre nelle mani
siam venuti noi briganti
son tornati i partigiani.
Senti un po' che bella gente
che cantava le canzoni
Maddalena resistente
"pei fascisti e pei cialtroni"
Il futuro dei ribelli
era scritto su quel foglio
dentro i libri di Revelli
nelle armi di Fenoglio
Son spuntate di recente
da quel vecchio nascondiglio
Maddalena resistente
le ha trovate ora tuo figlio.
envoyé par Riccardo Venturi e Adriana - 23/7/2014 - 19:24
IN VIAGGIO CON STELLINA
di Riccardo Venturi
di Riccardo Venturi
Qualche tempo fa, in luoghi lontani e vicinissimi al tempo stesso, sono stato un po' in viaggio con Stellina.
Stellina la si vede nella foto; è una cagnetta che definire simpatica sarebbe troppo poco. Più che altro, è una cagnetta che, per certi impervi sentieri, va da sola. Ha, per modo di dire, una "padrona" (*); volendo, ha pure tutta la bardatura necessaria per l'attacco del guinzaglio; solo che la sua "padrona", per tutto dire, il guinzaglio non lo ama affatto. Specialmente quando la lascia libera su quei sentieri di cui parlavo prima; su quei sentieri, dopo un po', ci sono ben altri guinzagli, riservati stavolta a tutta una popolazione.
E così Stellina si scatena; con le sue zampette e vedendo il mondo da un'angolazione, presumo, parecchio differente dalla nostra, percorre i sentieri con sicurezza ma seguendo traiettorie sorprendenti e viaggiando tranquilla sui cigli di certi dirupi e di òrridi raggelanti; almeno per il sottoscritto, che soffre notoriamente di vertigini e che aveva intrapreso quel viaggio, una domenica, non del tutto certo di farcela ad arrivare alla meta.
Un viaggio incominciato nel posto che si vede qua sotto:
Chi lo conosce, bene o male che sia, si lascerà forse sfuggire un "toh!", o roba del genere. Però, magari, qualcuno non lo conosce; e allora, senza lasciarmi tentare dal dèmone del preambolo, dirò subito che si tratta del presidio NO TAV di Venaus. (**)
Si capirà quindi facilmente che la cagnetta Stellina, assieme alla sua "padrona" e agli altri umani che viaggiavano con me, percorrevano quei sentieri -con zaini e vettovaglie- muniti di una certa idea in testa. Sono gli stessi sentieri di libere repubbliche, di battaglie vinte e perse ma sempre ad armi impari, di scontri in mezzo a foreste che, nella loro millenaria vita, tutto avrebbero immaginato fuorché di vedersi ricoprire di resti di CS; sentieri che, ad un certo punto, si interrompono perché si interrompe la continuità territoriale. Ma questo lo si vedrà meglio dopo.
Il tempo, in montagna, cambia alla svelta. Il giorno prima faceva un caldo boia; il giorno dopo, cioè el domingo de mañana quando ci siamo messi in marcia, piovigginava e faceva freddo. E non c'è assolutamente da stupirsi, quando si alzano appena gli occhi e si vedono scenari del genere:
Nel frattempo Stellina, come se altro nella sua canina vita non avesse fatto che scodinzolare per quei posti, adempiva alla sua funzione di guida, che meglio si direbbe di genius loci. Mi ero messo dietro a lei, con una specie di ingenua voglia di "tirare la fila"; un classico de' classici, si potrebbe dire, per uno che non è troppo abituato alle camminate di montagna, e che vuol far vedere quant'è bravo e resistente a chi, invece, c'è abituato da sempre. Fatto sta che, dopo un po', avevo letteralmente la lingua avvolticciolata al collo, mentre la Stellina mi irrideva zampettando su certi cigli di burroni che avrebbero fatto venire le vertigini pure a Reinhold Meßner (si noti la "ß").
Cammina che ti cammina, all'improvviso ci compare, longinquo, alla vista un bel paesello; e la Stellina si mette festosa a abbajare, forse per averci -chissà- qualche amico o parente a quattro zampe. Informandomi, da buon forestiero, dai miei compagni di camminata, vengo a sapere che si tratta di tal Chiomonte (***), e mi risona in testa come qualcosa di vagamente familiare. All'improvviso, la lampadina: ma sì! Eccomi dunque di fronte al paese e al territorio comunale più militarizzato del mondo, praticamente due armigeri ogni abitante e delle truppe più specializzate e disparate, ivi compresi i reduci dalle missioni di pace in Afghanistan e i famosi cacciatori di Calabria (magari in Calabria, in questo preciso momento, avranno inviato i Pescatori del Piemonte; vaglielo a spiegare, a loro, della filiera corta e dei chilometri zero...). Mi rendo all'improvviso conto, recuperando persino un po' di fiato, che quella passeggiata in compagnia della Stellina e degli altri compagni e compagne non volge precisamente al bello, mentre il tempo, così come s'era rabbujato e rinfreddito all'improvviso, altrettanto di repente torna bello e anche vagamente caldo. Mi spiegano che ci stiamo inoltrando verso il Confine Invalicabile, là dove il Bel Paese dove 'l Sì risona termina per decreto ed inizia il Regno di Cantièria. (****); regno il cui territorio può essere abbracciato con la vista, in tutta la sua amenità, soltanto alla curva successiva del sentiero.
Su detto sentiero iniziano per altro a comparire bizzarre barriere, che preannunciano il Confine; e, sulle barriere, scritte che si fanno decisamente minacciose ed assai esplicite. La Stellina si fa un'altra piccola abbaiata, assai allegra quasi a volere far notare a tutti che -a suo insindacabile & canino parere, il mondo rimane tutt'uno anche e soprattutto le buffe frontiere escogitate dagli umani.
Dalle scritte si evince che i rapporti tra la Repubblica Italiana e il Regno di Cantièria non debbono essere propriamente amichevoli; si parla addirittura di truppe d'occupazione, segno palese -tra le altre cose- che poche ma addestrate truppe d'un minuscolo reame bastano per mettere in iscacco l'intera Italia. Poi, però, la cosa si complica; innanzitutto mi dicono che tale Regno è sorto da un giorno all'altro non per desiderio d'indipendenza o per rivendicazioni sociali e culturali, bensì, pensate un po', per costruire un lunghissimo tunnel e per farci passare un treno super-superveloce atto a collegare la città di Torino e quella di Lione risparmiando sì ben un quarto d'ora di tempo rispetto a quello già esistente (e già superveloce), ma finendo di devastare la già ampiamente devastata Valle, radendo al suolo paesi interi, seccando le sorgenti e -soprattutto- facendo fare fior di soldoni a imprese, cooperative, consorzij, muratori & cementisti ravennati, senatori col cappellino da pescatore, procuratori della repubblica che mandano in buje galere chiunque si opponga e giornalisti apostoli della libertà di stampa. Poi mi dicono anche, con mia somma esterrefazïone, che le truppe del Regno di Cantièria sono in realtà truppe altamente addestrate dello Stato Italiano; al che ne deduco di esser di fronte al caso, più unico che raro, di uno Stato che occupa militarmente il suo stesso territorio per crearvi un'Entità non più soggetta alle sue leggi e ai suoi ordinamenti. E la Stellina, noncurante di tutto ciò, va avanti. Ma sarà ora di mostrarvelo, codesto Regno di Cantièria, in tutta la sua meravigliosa bellezza:
Mi chiedo, naturalmente, se pubblicare queste immagini del Regno di Cantièria non possa procurarmi qualche guajo giudiziario che s'andrebbe ad aggiungere -peraltro- a quelli che già ho; ma, in fin dei conti, poiché si tratta di uno Stato Estero riconosciuto pienamente dalla Repubblyca Italiana che lo sostiene e lo protegge da se stessa, non vedo come possa essere diverso dal pubblicare immagini, che so io, della Francia, del Qatar o di ogni altra nazione del mondo. Che, comunque, si tratti di un Territorio svincolato dallo Stato Italiano, lo si vede dalle sue frontiere:
Ci sarebbe, qui, da fare un piccolo excursus. Riguardante, ad esempio, tutti gli anèliti di libertà che scossero anche questo Paese quando, vi ricorderete sicuramente, cadde il muro di Berlino; masse festanti, abbattimenti, Trabant, il mondo libero e quant'altro. Sicuramente, Berlino è una metropoli che nulla ha a che vedere con questa Valle dimenticata da Dio e da' Santi; ma, per un momento, mi son figurato uno che, con una Trabant o a piedi, intendesse valicare questo qua, di muro. Altro che Volkspolizei. Mi spiegano che, poco più in là, c'è un ponticello su un ameno ruscelletto chiamato torrente Clarea; sarebbe questo.
Ebbene, lo vedete; qui non c'è bisogno di fare difficili ipotesi etimologiche quali sto tentando nelle Note. Clarea è, chiaramente, derivato da Clarèiga o Claràiga, "acqua chiara", e l'acqua è effettivamente chiarissima, verrebbe voglia di berne senza tener conto delle sostanze, non del tutto chiare, che vi sono disciolte da quando esiste il Regno di Cantièria, e che -mi dicon sempre- vi hanno provocato diffuse morìe di pesci. In compenso vi sguazzano liberi e allegri, così come si evince dalla loro quantità sparsa anche sul terreno, colonie di cartucce di lagrimògeni al CS sparati a altezza uomo, a altezza donna, a altezza bambino, a altezza cane, a altezza tutto. Pure il torrente sembra diventato un lagrimògeno, mentre la compagnia mi racconta di un certo tre di luglio di alcuni anni fa, quando il Regno di Cantièria s'impadronì manu militari della Valletta che ora forma il suo blindatissimo terrythorio. Due de' compagni si fermano al ponticello e si mettono a sedere, in quanto colpiti da pesantissimi provvedimenti giudiziari ed essendosi peraltro fatti diversi mesi di galera, esperienza che (umanamente) ambirebbero a non ripetere o quanto meno a rimandare; gli altri danno bizzarre istruzioni concernenti il passaggio del ponticello, che è zona rossa e non può essere calpestato mentre si potrebbe passare sui suoi parapetti e al suo esterno, ancora territorio italiano.
La Stellina, chiaramente, se ne frega e parte in tromba; le truppe del Regno di Cantièria ci hanno già individuati e stanno arrivando di gran carriera. E qui si presenta un lieve problema per il sottoscritto, dato che, a quel punto, è necessario buttarsi nella fitta foresta, cosa che gli altri fanno agilmente. Io, ohimè, agile non sono; oltracciò, mi ricordo che circa tre anni fa ho avuto pure un infarto del miocardio (se lo avevi avuto tu, caro lettore, era del tuocardio) e che, pur stando attualmente bene, non ci posso scherzare troppo. Ma la potenza degli armigeri che si avvicinano mi fa riguardagnare all'improvviso i vent'anni lontani; in breve, mi butto anch'io nel bosco sia pure con gesti parecchio diversi da quelli di Yuri Chechi. E vado su che sembro unto. Volete risentirvi giòvini? Vi consiglio, almeno una volta ogni tanto, di farvi inseguire da una bella insalata di Polizia®, Carabinieri® eccetera. E' un trattamento che fa myracoli.
La Stellina, però, se ne sbatte altamente le canine ovaje; e mentre due restano a sedere in territorio italiano e gli altri scappano per la foresta al di là del Clarea, se ne resta sul ponticello mentre arrivano gli armigeri capitanati, si pensi, da una dönna. Raggiunta la cagnolina, questi qua si mettono pure a accarezzarla e a farle le coccoline, mentre lei scondinzola e fa loro le feste senza capire, la pìccola, che in quel momento ha funzione di ostaggio. Qui ho l'obbligo di dire che, per un po', cessano le fotografie; di altre foto si parlerà tra poco. Vista la Stellina in mano alle truppe, riscendiamo tutti pronti al peggio.
Ripresa la Stellina, veniamo infatti tutti quanti identificati sotto tiro da dei colossi in divisa, che provvedono -appunto- a fotografare i nostri dhokumenti mentre uno dei due che era rimasto seduto sul ponticello sul Fiume de' Guay consegna loro, con gesto di sfida, la carta d'identità della Libera Repubblica della Maddalena avendo con que' tizi e quella tizia un sympathicissimo contenzïoso; alla fine, ebbene sì, gliela fotografano pure. Segno inequivocabile che, anteriormente al Regno di Cantièria, quella valletta doveva esser già stata indipendente, ma sotto tutt'altre circostanze. Vi doveva essere anche un'abitazione, o rifugio, o chissà cosa come si evince da alcune indicazioni sul sentiero:
Orbene, debbo dire che, almeno per questa volta, ce la siamo cavata con abbastanza poco. Un'identificazione e un battibecco, non senza che la comandanta del drappello (addirittura una Colonnella, come ha tenüto a specificare) sia stata prima apostrofata di serva assieme a tutti i suoi commilitini & commilitoni (e se dar di pecorella a un loro collega può far beccare quattro mesi di carcere, ci aspettiamo, prima o poi, quantomeno due anni di remo sulle medicee navi). E sapete che cosa ha ribattuto costèi? Una cosa originalissima: che prende 1200 euro al mese. Pure sottopagata, la poverina; si vorrà pur concederle qualche affettuosa carezza alla Stellina, identificata e fotografata pure lei.
Sapete che il sottoscritto è capace di parlare e intendere parecchie lingue; all'occorrenza pure quella dei cani, anche se la parlo in modo alquanto sgrammaticato. Mentre salivamo su per il bosco per constatare che la famosa baita, la baita Clarea, era stata inglobata (abusivamente) nel Regno di Cantièria, a mo' di simbolo dell'occupazione, e che, nella sua rigida bellezza di pietra, osservava lo scempio che si svolgeva davanti a lei, spiegavo in qualche modo alla Stellina di non lasciarsi mai abbindolare; e che le stesse persone che la carezzavano mentre lei faceva le feste non avrebbero esitato un istante, se fossimo andati solo un po' più avanti, a sparare addosso a tutti noi e pure a lei -chiaramente per 1200 euro al mese. Ma la Stellina lo sapeva benissimo, da brava e intelligente cagnetta; mi ha persino confidato un segreto, vale a dire che, mentre la carezzavano, aveva depositato a uno di quei tizi una bella cacata sulle scarpe. Al che s'è meritata, poco dopo, qualche bocconcino buono di tutto il bendiddìo che c'eravamo portati dietro.
Com'era bella quella foresta, anche se me ne sono rimasto disteso sull'erba a cantare canzoni parecchio antiche mentre gli altri andavano su per sentieri troppo impervi per uno come me; già avevo fatto abbastanza. Poi s'è fatta ora di tornare indietro, e di lasciarci alle spalle sia le bellezze votate a morte, sia la morte votata a soldi. Ci sorrideva, e non so interpretare bene la cosa, un sole tornato caldo, da tardissima primavera; e la Stellina, mia e nostra compagna di viaggio, lei, sì, lo capiva. Alla perfezione. Ci parlava. Ci stava dentro.
NOTE.
(*) In tutto questo (non breve) post ho evitato accuratamente di fare nomi, a parte quello della cagnetta Stellina e il mio. In luoghi e situazioni dove si mettono in galera per "terrorismo" dei cristiani per aver messo fuori uso un compressore, meglio usare elementare prudenza.
(**) Secondo approfonditi studi etimologici, il nome "Venaus" è uno dei tanti che, nella zona delle Alpi occidentali, riflette il nome dei Vennavii, più noti come Veneni, popoli stanziatisi in epoca preromana nelle valli di Stura e di Susa. Si tratta, quindi, di un toponimo la cui origine si perde veramente nella notte dei tempi.
(***) In occitano Cháumount, in piemontese Cimon. Per l'origine del nome esistono due ipotesi: o dal latino Caput Mons ("in cima al monte" o qualcosa del genere), o sempre dal latino Calcis Mons ("monte di calce", per via di certe cave di calce che si trovavano nel territorio).
(****) Sull'origine di tale nome pure esistono diverse ipotesi. Alcuni preclari studiosi lo fanno derivare dall'occitano Chantiàire, poetico nome per "Aria che canta", mentre altri pensano piuttosto al latino volgare Cantager "campo laterale". Del tutto da scartare, naturalmente, le ipotesi che lo vorrebbero derivato da "cantiere".
Nicoletta ci scrive dal carcere
Sto bene, sono contenta della scelta che ho fatto perché è il risultato di una causa giusta e bella, la lotta NoTav che è anche la lotta per un modello di società diverso e nasce dalla consapevolezza che quello presente non è l’unico dei mondi possibili.
Sento la solidarietà collettiva e provo di persona cosa sia una famiglia di lotta. L’appoggio e l’affetto che mi avete dimostrato quando sono stata arrestata, e le manifestazioni la cui eco mi è arrivata da lontano, confermano che la scelta è giusta e che potrò portarla fino in fondo con gioia.
Parlo di voi alle altre detenute e ripeto che la solidarietà data a me è per tutte le donne e gli uomini che queste mura insensate rinchiudono.
In questo stesso carcere ci sono anche altri cari compagni, Giorgio, Mattia e Luca che sento più che mai vicini ed abbraccio.
Un abbraccio ed un bacio a tutte e tutti voi.
Siamo dalla parte giusta.
Avanti NoTav!
NoTav.info
Sento la solidarietà collettiva e provo di persona cosa sia una famiglia di lotta. L’appoggio e l’affetto che mi avete dimostrato quando sono stata arrestata, e le manifestazioni la cui eco mi è arrivata da lontano, confermano che la scelta è giusta e che potrò portarla fino in fondo con gioia.
Parlo di voi alle altre detenute e ripeto che la solidarietà data a me è per tutte le donne e gli uomini che queste mura insensate rinchiudono.
In questo stesso carcere ci sono anche altri cari compagni, Giorgio, Mattia e Luca che sento più che mai vicini ed abbraccio.
Un abbraccio ed un bacio a tutte e tutti voi.
Siamo dalla parte giusta.
Avanti NoTav!
NoTav.info
Da Nicoletta sulla situazione in carcere in questi giorni
Care Compagne e Compagni,
sta per iniziare un’ordinaria settimana di coronavirus. Per chi è in carcere sono giorni più pesanti che mai. Cresce l’impressione di sentirsi in trappola, costretti ad aspettare immobili un male che, da un momento all’altro, ci può saltare addosso.
La tempesta di comunicati sul virus ci cala in testa dall’alto, dalle TV accese in tutte le celle. Le statistiche dei contagiati, dei morti, la corsa affannosa per tappare i buchi di una sanità pubblica da decenni volutamente falcidiata fanno da controcanto al tamburo del cuore che tra queste sbarre batte il ritmo dell’ineluttabile.
Qui dentro non c’è prevenzione reale. Anzi, le cosidette “misure preventive” non hanno avuto altro risultato che peggiorare disagio ed isolamento. Niente colloqui con i parenti; niente pacchi, nè portati nè spediti; sospese tutte le attività scolastiche e culturali; nessuna possibile attività di supplenza via internet, dal momento che in carcere non c’è accesso a strumenti informatici. Anche le cose più semplici come lavare gli indumenti personali qui dentro diventano un’impresa: da settimane la lavatrice a gettoni non è utilizzabile; l’unica alternativa è farsi il bucato nella doccia comune, dove gli scarichi funzionano male e si è costretti a lavorare con i piedi immersi nell’acqua.
Se qualcosa è cambiato, lo è in peggio, come il rincaro dei prezzi dei generi di prima necessità, acquistabili soltanto allo spaccio interno.
E veniamo alle presunte “misure igieniche” per prevenire il virus: per noi si limitano ad un bicchierino di sapone liquido ed una mezza bottiglietta di disinfettante per ogni cella (ci sono vietati i disinfettanti quali candeggina, alcool, ammoniaca). Quanto alle cosiddette mascherine, sono obbligatorie per gli avvocati, ma ne sono totalmente sprovvisti gli agenti (che pure vanno e vengono dall’esterno). Insomma… “io speriamo che me la cavo…”.
Il dato più incontrovertibile e preoccupante è il sovraffollamento del carcere con la presenza di bambini, detenuti anziani e malati cronici: come nel resto del Paese anche alle Vallette si vive in una specie di polveriera, che deflagherarà al primo colpito dal morbo.
La speranza di tutti è un qualche provvedimento che permetta la scarcerazione.
Giorni fa è comparso nelle sezioni un avviso in merito, parallelamente alla distribuzione di una “brochure informativa su misure alternative alla detenzione”, in realtà vecchia già di un anno. Il comunicato precisa che “si è costituita una commissione” per vagliare le domande alle misure alternative (ma le condizioni sono quelle già in vigore…). L’unica cosa chiara del comunicato è che al momento sono sospesi per i detenuti tutti i permessi di uscita dal carcere…del resto il Ministro di “ingiustizia” l’ha dichiarato: niente svuotacarceri, indulti, amnistie; tranquilli “uomini d’ordine”.
Inomma, l’ordinario rigore non muta, anzi peggiora in un clima di preoccupante irrazionalità: ci sentiamo più che mai espropriati di noi stessi ed in balia di chi “ci controlla”.
Mentre scrivo mi arriva il rumore dell’ennesima battitura alle inferriate….tra poco saranno alla mia cella…
Poche sere fa qui tirava un’aria particolarmente di minaccia: aumento della vigilanza in sezione; ronde potenziate ai camminamenti sulle mura; autoblindo nei cortili; il ronzio dell’elicottero sopra il carcere. Tutta questa militarizzazione per “fronteggiare” un preannunciato (e non avvenuto) “saluto dei parenti e solidali”.
Mentre scrivo, mi giungono dalla TV immagini dalle città nell’epidemia: strade deserte, ma un tripudio di balconi con famiglie affacciate, canti e inni che si inseguono da casa a casa…sventolio di drappi e di bandiere. Su tutte il tricolore, lo stesso che un paracadutista dell’esercito fa sventolare, mentre plana verso terra appeso al suo paracadute.
Anche qui in carcere, ieri, una detenuta proponeva un’applauso collettivo al mondo fuori, in nome della “patria che resiste”. Ma la sua proposta non ha avuto successo. Quell’inno e quella bandiera non li sentiamo nostri: la fratellanza è una cosa seria, che non si confà all’indifferenza che dall’esterno sentiamo per il nostro destino di “figli di un dio minore”.
Quanto al tricolore, è lo stesso che, insiema al vessillo UE, staziona all’ingresso del carcere e che viene esibito ogni giorno sulle divise dei nostri carcerieri. Non ci appartiene.
Nicoletta.
16 Marzo 2020
NoTav.info
Care Compagne e Compagni,
sta per iniziare un’ordinaria settimana di coronavirus. Per chi è in carcere sono giorni più pesanti che mai. Cresce l’impressione di sentirsi in trappola, costretti ad aspettare immobili un male che, da un momento all’altro, ci può saltare addosso.
La tempesta di comunicati sul virus ci cala in testa dall’alto, dalle TV accese in tutte le celle. Le statistiche dei contagiati, dei morti, la corsa affannosa per tappare i buchi di una sanità pubblica da decenni volutamente falcidiata fanno da controcanto al tamburo del cuore che tra queste sbarre batte il ritmo dell’ineluttabile.
Qui dentro non c’è prevenzione reale. Anzi, le cosidette “misure preventive” non hanno avuto altro risultato che peggiorare disagio ed isolamento. Niente colloqui con i parenti; niente pacchi, nè portati nè spediti; sospese tutte le attività scolastiche e culturali; nessuna possibile attività di supplenza via internet, dal momento che in carcere non c’è accesso a strumenti informatici. Anche le cose più semplici come lavare gli indumenti personali qui dentro diventano un’impresa: da settimane la lavatrice a gettoni non è utilizzabile; l’unica alternativa è farsi il bucato nella doccia comune, dove gli scarichi funzionano male e si è costretti a lavorare con i piedi immersi nell’acqua.
Se qualcosa è cambiato, lo è in peggio, come il rincaro dei prezzi dei generi di prima necessità, acquistabili soltanto allo spaccio interno.
E veniamo alle presunte “misure igieniche” per prevenire il virus: per noi si limitano ad un bicchierino di sapone liquido ed una mezza bottiglietta di disinfettante per ogni cella (ci sono vietati i disinfettanti quali candeggina, alcool, ammoniaca). Quanto alle cosiddette mascherine, sono obbligatorie per gli avvocati, ma ne sono totalmente sprovvisti gli agenti (che pure vanno e vengono dall’esterno). Insomma… “io speriamo che me la cavo…”.
Il dato più incontrovertibile e preoccupante è il sovraffollamento del carcere con la presenza di bambini, detenuti anziani e malati cronici: come nel resto del Paese anche alle Vallette si vive in una specie di polveriera, che deflagherarà al primo colpito dal morbo.
La speranza di tutti è un qualche provvedimento che permetta la scarcerazione.
Giorni fa è comparso nelle sezioni un avviso in merito, parallelamente alla distribuzione di una “brochure informativa su misure alternative alla detenzione”, in realtà vecchia già di un anno. Il comunicato precisa che “si è costituita una commissione” per vagliare le domande alle misure alternative (ma le condizioni sono quelle già in vigore…). L’unica cosa chiara del comunicato è che al momento sono sospesi per i detenuti tutti i permessi di uscita dal carcere…del resto il Ministro di “ingiustizia” l’ha dichiarato: niente svuotacarceri, indulti, amnistie; tranquilli “uomini d’ordine”.
Inomma, l’ordinario rigore non muta, anzi peggiora in un clima di preoccupante irrazionalità: ci sentiamo più che mai espropriati di noi stessi ed in balia di chi “ci controlla”.
Mentre scrivo mi arriva il rumore dell’ennesima battitura alle inferriate….tra poco saranno alla mia cella…
Poche sere fa qui tirava un’aria particolarmente di minaccia: aumento della vigilanza in sezione; ronde potenziate ai camminamenti sulle mura; autoblindo nei cortili; il ronzio dell’elicottero sopra il carcere. Tutta questa militarizzazione per “fronteggiare” un preannunciato (e non avvenuto) “saluto dei parenti e solidali”.
Mentre scrivo, mi giungono dalla TV immagini dalle città nell’epidemia: strade deserte, ma un tripudio di balconi con famiglie affacciate, canti e inni che si inseguono da casa a casa…sventolio di drappi e di bandiere. Su tutte il tricolore, lo stesso che un paracadutista dell’esercito fa sventolare, mentre plana verso terra appeso al suo paracadute.
Anche qui in carcere, ieri, una detenuta proponeva un’applauso collettivo al mondo fuori, in nome della “patria che resiste”. Ma la sua proposta non ha avuto successo. Quell’inno e quella bandiera non li sentiamo nostri: la fratellanza è una cosa seria, che non si confà all’indifferenza che dall’esterno sentiamo per il nostro destino di “figli di un dio minore”.
Quanto al tricolore, è lo stesso che, insiema al vessillo UE, staziona all’ingresso del carcere e che viene esibito ogni giorno sulle divise dei nostri carcerieri. Non ci appartiene.
Nicoletta.
16 Marzo 2020
NoTav.info
adriana - 18/3/2020 - 19:20
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Testo e musica di Alessio Lega
Lyrics and music by Alessio Lega
Paroles et musique d'Alessio Lega
Testo ripreso da Il deposito