In scena nella ricorrenza del 28 giugno di cent'anni fa, quando a Sarajevo furono uccisi Francesco Ferdinando, erede al trono d'Austria e Ungheria, e sua moglie Sofia, attentato che di lì a poco avrebbe scatenato la Prima guerra mondiale.
Nel giorno dell'anniversario, sabato 28 giugno, ha preso il via «Sentiero di pace», un evento radiofonico che grazie alla collaborazione tra il Trentino, la Rai e l'Ebu (European Broadcasting Union) diffonde in tutta Europa riflessioni e approfondimenti sulla guerra mondiale 1914-1918. Al teatro Sociale di Trento è andata in scena anche una composizione inedita commissionata appositamente al maestro Nicola Piovani: Sarajevo».
L'attentato di Sarajevo in una illustrazione di Achille Beltrame per la Domenica del Corriere
Sabato è stato dunque il linguaggio universale della musica a farsi tramite di emozioni, riflessioni, spunti ma anche occasione di dialogo sul conflitto. A rendere possibile tutto questo l' Orchestra nazionale sinfonica della Rai che con diretta radiofonica su Radio3 Rai e televisiva su Rai5, si è esibita in un programma unico al Teatro Sociale di Trento sotto la direzione di Gaetano D'Espinosa e con la presenza del baritono Dietrich Henschel .
Le musiche proposte vanno da Gustav Mahler a Maurice Ravel e Franz Schubert fino appunto a «Sarajevo». Un'opera , quella creata da uno dei più apprezzati compositori italiani che fin dagli anni Settanta ha iniziato a lavorare con numerosi registi italiani per produrre musiche per film, frutto di una lunga meditazione, come ci racconta Piovani stesso.
Maestro Piovani, cosa ha ispirato la sua «Sarajevo» che Trento ascolterà per la prima volta il 28 giugno 2014?
«Sulle prime, la commissione di un'opera sinfonica dedicata alle celebrazioni per la cosiddetta Grande guerra mi ha lasciato perplesso. Sono intimamente pacifista e faccio fatica a pensarmi come celebratore di una guerra. Poi ho letto molto riguardo all'attentato di Sarajevo, dal quale sarebbe nato il primo massacro mondiale, e mi sono reso conto che è stato compiuto da una banda di ragazzi men che ventenni: Gavrilo Princip aveva 19 anni. Erano giovani idealisti, che partivano armati di poche pistole, qualche bomba e pillole di cianuro: il cianuro per togliersi la vita prima di cadere in mano alla polizia. Dei kamikaze, diremmo oggi. Probabilmente erano anche manipolati dai servizi segreti, come spesso succede ai gruppi rivoluzionari. Con le facce da ragazzini che immagino, andavano a difendere la libertà, senza sapere che stavano per accendere una miccia planetaria».
Che partitura ne è nata allora nella sua dimensione sonora? Come la descriverebbe?
«Un breve preludio sinfonico, che reca il sottotitolo "preludio a una carneficina", diviso in due parti: la prima parte la tensione, la suspence , il batticuore per l'imminente gesto cruento. La seconda parte, è un semplice, breve canto funebre, intonato da due trombe poste ai due lati dell'orchestra, che si rimbalzano un "silenzio" per rendere onore a diciotto milioni di morti, inutili vittime di una scelleratezza epocale».
Nel finale si sentono tre voci di caduti che invocano la parola «pax»: un auspicio o un'utopia visto l'animo umano e la barbarie che segna anche questo inizio di terzo millennio?
«Un piccolo coro di voci registrate che bisbigliano per tre volte la parola Pax. Un'utopia? Non lo so, con questa storia dell'utopia spesso archiviamo temi fondamentali e auspicabili. Io so che noi, oggi viviamo dentro utopie del passato, utopie realizzate, grazie all'eroismo di tanti utopisti che hanno dato la vita perché queste utopie diventassero la nostra realtà quotidiana: lo so, molta strada bisogna percorrere ancora sul campo dei diritti umani, ma molta è stata percorsa. Basti pensare alle legislazioni del secolo scorso, ai diritti delle minoranze, ai diritti delle donne, ai diritti civili. La pace è un'utopia che, in parte, si potrà realizzare: a dispetto dei cinici, degli scettici, di quelli che dicono che il mondo non cambia mai. Il mondo è cambiato, cambia, e cambierà. Lo credo e lo spero veramente, per i miei figli e nipoti».
Un conflitto che ha portato a milioni di morti, a indicibili sofferenze senza evitare poi la Seconda guerra mondiale: lei pensa che si siano imparate certe lezioni?
«Le lezioni si imparano: quello che è difficile imparare è la logica di certi meccanismi che procedono con automatismi storici, di cui, chi li scatena, non ha precisa conoscenza e volontà di scatenarli. Guardi i giovanotti di Sarajevo».
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Nel giorno dell'anniversario, sabato 28 giugno, ha preso il via «Sentiero di pace», un evento radiofonico che grazie alla collaborazione tra il Trentino, la Rai e l'Ebu (European Broadcasting Union) diffonde in tutta Europa riflessioni e approfondimenti sulla guerra mondiale 1914-1918. Al teatro Sociale di Trento è andata in scena anche una composizione inedita commissionata appositamente al maestro Nicola Piovani: Sarajevo».
Sabato è stato dunque il linguaggio universale della musica a farsi tramite di emozioni, riflessioni, spunti ma anche occasione di dialogo sul conflitto. A rendere possibile tutto questo l' Orchestra nazionale sinfonica della Rai che con diretta radiofonica su Radio3 Rai e televisiva su Rai5, si è esibita in un programma unico al Teatro Sociale di Trento sotto la direzione di Gaetano D'Espinosa e con la presenza del baritono Dietrich Henschel .
Le musiche proposte vanno da Gustav Mahler a Maurice Ravel e Franz Schubert fino appunto a «Sarajevo». Un'opera , quella creata da uno dei più apprezzati compositori italiani che fin dagli anni Settanta ha iniziato a lavorare con numerosi registi italiani per produrre musiche per film, frutto di una lunga meditazione, come ci racconta Piovani stesso.
Maestro Piovani, cosa ha ispirato la sua «Sarajevo» che Trento ascolterà per la prima volta il 28 giugno 2014?
«Sulle prime, la commissione di un'opera sinfonica dedicata alle celebrazioni per la cosiddetta Grande guerra mi ha lasciato perplesso. Sono intimamente pacifista e faccio fatica a pensarmi come celebratore di una guerra. Poi ho letto molto riguardo all'attentato di Sarajevo, dal quale sarebbe nato il primo massacro mondiale, e mi sono reso conto che è stato compiuto da una banda di ragazzi men che ventenni: Gavrilo Princip aveva 19 anni. Erano giovani idealisti, che partivano armati di poche pistole, qualche bomba e pillole di cianuro: il cianuro per togliersi la vita prima di cadere in mano alla polizia. Dei kamikaze, diremmo oggi. Probabilmente erano anche manipolati dai servizi segreti, come spesso succede ai gruppi rivoluzionari. Con le facce da ragazzini che immagino, andavano a difendere la libertà, senza sapere che stavano per accendere una miccia planetaria».
Che partitura ne è nata allora nella sua dimensione sonora? Come la descriverebbe?
«Un breve preludio sinfonico, che reca il sottotitolo "preludio a una carneficina", diviso in due parti: la prima parte la tensione, la suspence , il batticuore per l'imminente gesto cruento. La seconda parte, è un semplice, breve canto funebre, intonato da due trombe poste ai due lati dell'orchestra, che si rimbalzano un "silenzio" per rendere onore a diciotto milioni di morti, inutili vittime di una scelleratezza epocale».
Nel finale si sentono tre voci di caduti che invocano la parola «pax»: un auspicio o un'utopia visto l'animo umano e la barbarie che segna anche questo inizio di terzo millennio?
«Un piccolo coro di voci registrate che bisbigliano per tre volte la parola Pax. Un'utopia? Non lo so, con questa storia dell'utopia spesso archiviamo temi fondamentali e auspicabili. Io so che noi, oggi viviamo dentro utopie del passato, utopie realizzate, grazie all'eroismo di tanti utopisti che hanno dato la vita perché queste utopie diventassero la nostra realtà quotidiana: lo so, molta strada bisogna percorrere ancora sul campo dei diritti umani, ma molta è stata percorsa. Basti pensare alle legislazioni del secolo scorso, ai diritti delle minoranze, ai diritti delle donne, ai diritti civili. La pace è un'utopia che, in parte, si potrà realizzare: a dispetto dei cinici, degli scettici, di quelli che dicono che il mondo non cambia mai. Il mondo è cambiato, cambia, e cambierà. Lo credo e lo spero veramente, per i miei figli e nipoti».
Un conflitto che ha portato a milioni di morti, a indicibili sofferenze senza evitare poi la Seconda guerra mondiale: lei pensa che si siano imparate certe lezioni?
«Le lezioni si imparano: quello che è difficile imparare è la logica di certi meccanismi che procedono con automatismi storici, di cui, chi li scatena, non ha precisa conoscenza e volontà di scatenarli. Guardi i giovanotti di Sarajevo».
da L'Adige.it