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Davide van de Sfroos: Akuaduulza

GLI EXTRA DELLE CCG / AWS EXTRAS / LES EXTRAS DES CCG
Lingua: Italiano (Lombardo )


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(Davide Van De Sfroos)


[2005]
Testo e musica di Davide Bernasconi
Dall'album Akuaduulza

akd

Tra pochi giorni, esattamente sabato 9 settembre 2006, lascerò la Svizzera dove ho vissuto per alcuni anni. E’ in Svizzera, anzi dalla Svizzera, che questo sito si è definitivamente formato, strutturato e sviluppato; e continuerà in parte a farlo, visto che in Svizzera rimane il nostro webmaster, Lorenzo Masetti. Riccardo Venturi, invece, si sciroppa il diciannovesimo trasloco della sua vita e se ne torna, stavolta, a Firenze. Almeno fino alla prossima volta in cui ripartirà per chissà dove, ovviamente festeggiando in debito modo il traguardo dei venti traslochi a giro per il mondo.

La Svizzera è uno strano paese. Così vicino all’Italia e all’Europa, e così lontano al tempo stesso. Tutti ci sono stati. Tanti ci sono andati a lavorare, non sempre trattati bene. Altrettanti vi si sono rifugiati scappando dagli orrori del nostro tempo. Altri vi hanno portato i loro soldi, puliti o sporchi che fossero. Un paese strano e sconosciuto, forse agli svizzeri stessi. Il paese neutrale. Il paese che non fa guerre. Il paese dove meno al mondo avrei pensato di andare a vivere; e ci sono andato per amore. Senza pensarci un attimo. Per amore, ma con in mano un libro di storia della Svizzera. Non vado mai in un paese senza studiarne la storia.

La zuppa di Kappel.
La zuppa di Kappel.
Così, tanto che ci siamo, vorrei raccontare un piccolo episodio della storia svizzera. Siamo nel 1529. In Svizzera è penetrata la Riforma luterana, e sono iniziate le lotte intestine, le guerre di religione che perdureranno tra i vari cantoni sino addirittura alla metà del XIX secolo. Confederati riformati e cattolici si affrontano sul campo, e si preparano a darsi battaglia nella località di Kappel, nel canton Glarona. I due eserciti sono già schierati, quando da Glarona arriva l’usciere e landamano, Hans Aebli, di corsa, trafelato. Ha aderito alla Riforma, ma sta tentando di tenere fuori il suo piccolo cantone dalle guerre che già stanno infiammando altrove. Si mette in mezzo alle due schiere, tiene un discorso e convince i contendenti a rinunciare a massacrarsi tra fratelli. Sul campo di battaglia, invece della mischia, si accende un fuoco; e sopra vi è sistemato un enorme paiolo pieno di zuppa al formaggio. Tutti si mettono a mangiarla, assieme: protestanti, cattolici, comandanti, soldati semplici. Da allora quella zuppa si chiama “Zuppa di Kappel”. Invece di farsi la guerra, si mangiarono una zuppa.

Il lago dei Quattro Cantoni.
Il lago dei Quattro Cantoni.
Poi ve ne vorrei raccontare un altro, sempre piccolo piccolo. Siamo, stavolta, nel 1625. Gli abitanti di Wyl, paesino sul Lago dei Quattro Cantoni (sfido chiunque a pronunciarne correttamente il nome tedesco: Vierwaldstättersee), sono esasperati coi lucernesi per certe questioni di tasse e gabelle. E cosa fanno? Si fanno un cantone per conto loro. Dichiarano l’indipendenza da Lucerna e mettono su in dieci minuti un cantoncino tutto bello organizzato, di due chilometri quadrati. Da Lucerna, saputa la notizia, viene organizzata una potente armata per domare i ribelli: due barche a remi stipate di soldati disarmati. Arrivano a Wyl e riconquistano il cantoncino a manate e cazzotti; poi i Lucernesi aboliscono le tasse e le gabelle, la rivolta si placa e tutti si mettono a tavola.

Vi chiederete a questo punto: ma cosa c’entra tutto questo con “Akuaduulza”? Beh, la Svizzera è un paese di montagne. Di altipiani. Ma anche di laghi. Ce ne sono tanti. Ne abbiamo visto uno or ora, uno strano lago morenico dalla forma fantasmagorica, ameboide, indefinibile. Una specie di marinaio come me può accettare bene la montagna, come più che degno contraltare del mare; meno il lago. Il lago è un universo che gli è sconosciuto. Una pozzanghera d’acqua dolce per la quale nutre al massimo qualche parola benevolmente ironica. Con la salsedine nelle narici, pensa: “Il lago non odora di niente. Non puzza di niente.” Quanto si sbaglia. Eccome se odora, un lago; e ogni lago ha il suo. E quella pozzanghera d’acqua dolce sa essere mare. Sa essere, soprattutto, un mondo infinito. Lo dico alla persona che amo, che in riva a un lago (di Lugano) è nata; e anche a una delle colonne delle CCG, Adriana, che in riva a un lago mezzo svizzero e mezzo italiano (il Maggiore) pure è nata e tuttora abita. Dolce o salata, mare o laghi, le CCG sono un sito d'acqua.

Il lago di Morat, o Murtensee.
Il lago di Morat, o Murtensee.
Un piccolo grande mondo infinito. Me ne sono accorto non molto tempo fa, su un lago neppure grande. A pochi chilometri da Friburgo. Si chiama lago di Morat, o Murtensee. Avevo già navigato su un lago, ad esempio sul Trasimeno, in Umbria. Ma mi è capitato di provare, sul lago di Morat, al salpar da riva su un battello della Navigazione Mercantile svizzera per fare un giro di un’ora che tocca tutte le località costiere, una sensazione distintiva: quella di staccarsi da terra. Finora era stata riservata soltanto al mare. Annusavo l’odore del lago. Può darsi che non mi sarà mai consueto. Può darsi che non lo riconoscerò mai come mio. Ma, sicuramente, nel resto della mia vita, quando mi troverò davanti a un lago, avrò una sensazione molto diversa da quella che avevo prima.

E così, come dedica alla Svizzera, alle sue zuppe di Kappel, ai suoi minicantoni, alla sua storia bizzarra e semisconosciuta, e anche alla sua gente e soprattutto ai suoi “grains de folie” di cui vado sempre alla ricerca per consuetudine e per natura, ho voluto dedicare come omaggio di commiato una canzone che parla di un lago. Non è un lago svizzero, anche se vi è molto vicino. L’ha scritta un “laghee” di cui tutto si può dire fuorché non faccia musica con il cuore. Poi si può amarlo, detestarlo, può restare indifferente, quello che si vuole. Io stesso amo soltanto qualche canzone, del Bernasconi Davide alias Davide Van de Sfroos; a volte provo il desiderio di andare a sentirlo suonare, e dieci minuti dopo piuttosto andrei a un concerto di Orietta Berti. Però ripenso al “Genesio”, a “Polenta e galina frègia”, e magari a quest’Akuaduulza. Sarà la canzone del lago, questa, per me. E’ con questa canzone che saluto laghi e monti, e torno al mio mare, a quella pozzanghera un po’ più cresciuta e un po’ più salata.
Akuaduulza akuaduulza ma de un duulz che nissoen el voe beev
Acqua stràca e acqua sgunfia sciùscia i remuj e i gaamb di fiulìtt…
Lavandèra in soe la riva cul tò ass per pugià giò i genoecc
El savòn e la camìsa, sfrèga i pàgn e’l riflèss di muntàgn
E quest’unda vagabunda l’è una lèngua che bagna i paròll,
lèngua che rànza e lèngua redùnda, prema l’è timida e poe sbròfa tucc…

Akuaduulza akuaduulza troppa vòlta per fàss carezzà
Acqua ciàra o spurcelènta, tropa vègia per tràss foe i mudaand,
suta el ventru de ogni barca e sura la cràpa de ogni sàss
sura el rusàri de ogni memoria…ma sura de te resterà nissoen pàss..
gnanca el suu che te frusta la schèna o la loena che pucia giò i pee,
gnanca la spada de ogni tempesta riussirànn a lassàtt un disègn…

Akuaduulza akuaduulza acqua che scàpa e che poe turna indree
Acqua vedru e acqua perla prunta per tucc ma che spècia nissoen
Gh’èmm una fàcia de tartaruuga e gh’èmm una fàcia de pèss in carpiòn
Gh’èmm una fàcia che paar roba tua e urmai te vedum senza vardàtt
Quajvoen l’è scapaa da la spuzza dell’alga e poe l’è turnaa per lavàss i soe màn
Quajvoen l’ha spudaa in soe la tua unda e poe le turnaa cun ‘na lacrima in pioe

Akuaduulza akuaduulza quanta acqua impienìss questi oecc
Acqua negra e senza culpa, acqua santa senza resònn
E passa un batèll e passa un invernu e passa una guèra e passen i pèss
Passa el veent che te ròba el mantèll e passa la nèbia che sàra soe i stèll
Pescaduu che te làsset la spunda ne la brèva che càgna i vestii
Rèma i pee soe sta foeja che dùnda cun la canzòn che te voett mai finì……

inviata da Riccardo Venturi - 5/9/2006 - 01:32




Lingua: Italiano

La traduzione italiana:

Il lago di Lugano e, sullo sfondo, quello di Muzzano.
Il lago di Lugano e, sullo sfondo, quello di Muzzano.
ACQUA DOLCE

Acqua dolce, acqua dolce ma di un dolce che nessuno vuol bere
acqua stanca e acqua gonfia succhia i remi e le gambe dei bambini
lavandaia sulla riva col tuo asse per appoggiare le ginocchia
il sapone e la camicia, sfrega i panni e il riflesso delle montagne
e quest'onda vagabonda è una lingua che bagna le parole
lingua che taglia e lingua rotonda prima è timida e poi spruzza tutti

Acqua dolce, acqua dolce troppo alta per farsi accarezzare
acqua chiara o sporca, troppo vecchia per levarsi le mutande
sotto la pancia di ogni barca e sopra le testa di ogni sasso
sopra il rosario di ogni memoria ma su di te non resterà neanche un passo
nemmeno il sole che ti frusta la schiena o la luna che si bagna i piedi
neppure la spada di ogni tempesta riusciranno a lasciarti un disegno

Acqua dolce, acqua dolce acqua che scappa e poi torna indietro
acqua vetro e acqua perla pronta per tutti ma che non aspetta nessuno
abbiamo una faccia da tartaruga e abbiamo una faccia da pesce in carpione
abbiamo una faccia che sembra roba tua e ormai ti vediamo senza guardarti
qualcuno è scappato dalla puzza dell'alga e poi è tornato per lavarsi le mani
qualcuno ha sputato sulla tua onda e poi è tornato con una lacrima in più

Acqua dolce, acqua dolce quanta acqua riempie questi occhi
acqua nera e senza colpa, acqua santa senza ragione
e passa un battello e passa un inverno e passa una guerra e passano i pesci
passa il vento che ti ruba il mantello e passa la nebbia che chiude le stelle
pescatore che lasci la sponda nella breva che morde i vestiti
rema in piedi su questa foglia che dondola con la canzone che non vuoi mai finire....

ngg

inviata da Riccardo Venturi - 5/9/2006 - 02:07




Lingua: Francese

Version française – EAU DOUCE – Marco Valdo M.I. – 2013
d'après la version italienne d'une chanson en « laghee » (Lombard)
Akuaduulza – Davide van de Sfroos – 2005
Texte et musique de Davide Bernasconi, alias Davide van de Sfroos.

Dans quelques jours, exactement le samedi 9 septembre 2006, je quitterai la Suisse où j'ai vécu pendant quelques années. C'est en Suisse, de Suisse, que ce site s'est définitivement formé, structuré et développé ; et il continuera en partie à le faire, vu qu'en Suisse reste notre webmaster, Lorenzo Masetti. Riccardo Venturi, par contre, s'offre le dix-neuvième déménagement de sa vie et s'en retourne, cette fois, à Florence. Au moins jusqu'à la prochaine fois où il repartira qui sait où, évidemment fêtant de bonne façon le total de ses vingt déménagements de par le monde.

La Suisse est un étrange pays. Si près de l'Italie et de l'Europe, et si loin en même temps. Tous y ont été. Beaucoup y sont allés pour travailler, pas toujours bien traités. D'autres s'y sont réfugiés en fuyant des horreurs de chez nous. D'autres y ont porté leur argent, propre ou sale. Un pays étrange et méconnu, peut-être aux Suisses eux-mêmes. Le pays neutre. Le pays qui ne fait pas la guerre. Le pays où j'aurais pensé le moins du monde à aller vivre ; et j'y suis allé par amour. Sans y réfléchir un instant. Par amour, mais avec en main, un livre d'histoire de la Suisse. Je ne vais jamais dans un pays sans en étudier l'histoire.

Aussi tant que nous y sommes, je voudrais raconter un petit épisode de l'histoire suisse. Nous sommes en 1529. En Suisse, la Réforme luthérienne est arrivée, et ont commencé les luttes intestines, les guerres de religion qui persisteront entre les divers cantons jusqu'à la moitié du XIXième siècle. Confédérés réformés et catholiques s'affrontent sur le terrain, et se préparent livrer bataille dans la localité de Kappel, dans le canton de Glaris. Les deux armées sont déjà rangées, lorsque de Glaris arrive l'huissier et landaman, Hans Aebli, courant, haletant. Il a adhéré à la Réforme, mais il tente tenir son petit canton hors des guerres qui flambent ailleurs. Il se met au milieu des deux rangs, tient un discours et convainc les antagonistes de renoncer à se massacrer entre frères. Sur le champ de bataille, au lieu de la mêlée, on allume un feu ; et on y place un énorme chaudron plein de soupe au fromage. Tous se mettent à la manger, ensemble : protestants, catholiques, commandants, simples soldats. Depuis lors on appelle cette soupe : « Soupe de Kappel ». Au lieu de se faire de la guerre, on mange une soupe.

Ensuite, je voudrais vous en raconter une autre histoire, toujours sans façon. Nous sommes, cette fois, en 1625. Les habitants de Wyl, village sur le Lac des Quatre Cantons (je défie n'importe qui d'en prononcer correctement le nom allemand : Vierwaldstättersee), sont en dispute avec les Lucernois pour des questions de taxes et de gabelles. Et que font-ils ? Ils créent un canton pour eux seuls. Ils déclarent l'indépendance vis-à-vis de Lucerne et mettent sur pied en dix minutes un mignon petit canton tout organisé, de deux kilomètres carrés. De Lucerne, à la nouvelle, est envoyée une puissante armée pour dompter les rebelles : deux canots à rames remplis de soldats désarmés. Ils arrivent à Wyl et reconquièrent le petit canton manu militari ; ensuite les Lucernois abolissent les taxes et les gabelles, la révolte se calme et tous se mettent table.

Vous vous demandez arrivés à ce point : mais qu'est-ce que tout ceci a à voir avec « Akuaduulza » (EAU DOUCE) ? Eh bien, la Suisse est un pays de montagnes. De hauts plateaux. Et aussi de lacs. Il y en a beaucoup. Nous en avons vu une fois, un étrange lac morainique d'une forme fantasmagorique, amiboïde, indéfinissable. Une espèce de matelot comme moi peut aimer la montagne, comme plus que digne de se comparer à de la mer ; sauf le lac. Le lac est un univers qui lui est inconnu. Une flaque d'eau douce pour lequel il nourrit au maximum quelques mots de bienveillance ironique. Avec le sel dans les narines, il pense : « Le lac ne sent rien. Il ne pue pas. » Comme il se trompe. Et combien il flaire un lac ; et chaque lac a son parfum. Et cette flaque d'eau douce sait être une mer. Elle sait être, surtout, un monde infini. Je le dis à la personne que j'aime, qui est née sur le rivage d'un lac (de Lugano); et même à une des piles des CCG, Adriana, qui est née elle aussi sur la rive d'un lac à moitié suisse, à demi italien (le Majeur) et y habite toujours. Douce ou salé, mer ou lac, les CCG sont un site d'eau.

Un petit grand monde infini. Je m'en suis aperçu pas très il y a longtemps, sur un lac même pas grand. À quelques kilomètres de Fribourg. On appelle lac de Morat, ou de Murtensee. J'avais déjà navigué sur un lac, par exemple sur le lac de Trasimène, en Ombrie. Mais il m'est arrivé, sur le lac de Morat, d'appareiller du rivage sur un bateau de la Navigation Marchande suisse pour faire un tour d'une heure qui touche toutes les localités côtières, et d'éprouver une sensation spécifique : me détacher de la terre. Jusqu'à présent, elle avait été réservée seulement à la mer. Je flairais l'odeur du lac. Il peut se faire qu'il ne me soit jamais habituel. Il peut se faire que je ne le reconnaisse jamais comme mien. Mais, sûrement, dans le reste de ma vie, lorsque je me trouverai devant un lac, j'aurai une sensation fort différente de celle que j'avais au début.

Et ainsi, comme dédicace à la Suisse, à ses soupes de Kappel, à ses minicantoni, à son histoire bizarre et à son histoire méconnue, et même à ses gens et surtout leurs« grains de folie », desquels je vais toujours à la recherche par habitude et par nature, j'ai voulu dédier comme hommage d'adieu une chanson qui parle d'un lac. Ce n'est pas un lac suisse, même s'il en est très voisin. Écrit par quelqu'un des « laghee » dont on peut tout dire sauf qu'il ne fait pas la musique avec le son coeur. Ensuite, on peut l'aimer, le détester, on peut y être indifférent, comme on veut. Moi-même, j'aime seulement certaines chansons, de Bernasconi David, alias Davide Van de Sfroos ; parfois, j'éprouve le désir d'aller l’entendre, jouer, et dix minutes après j'irais plutôt à un concert d'Orietta Berti (une chanteuse italienne à succès ; quelque part entre Mireille Matthieu, Carla Bruni et Chantal Goya ou entre Line Renaud et Dalida. [Orietta Berti). Cependant, je repense au « Genesio », à « Polenta e galina frègia”», et à cette « Akuaduulza » (EAU DOUCE). Ce sera , pour moi, la chanson du lac. C'est avec cette chanson que je salue lacs et montagnes, et je retourne à ma mer, à cette flaque un peu plus grande et un peu plus salée.
Riccardo Venturi – 2006

Histoire suisse pour histoire suisse, dit Lucien l'âne, en voici une pour compléter celles de notre ami Ventu et confirmer sa définition de la Suisse comme « petit grand monde infini ». Les Suisses disent que la Suisse est le plus grand pays du monde quand on la déplie...
Eau douce, eau douce mais d'une douceur que personne ne veut boire
Eau fatiguée, eau bouffie, elle aspire les jambes des enfants et les rames
Lavandière sur le rivage avec ta planche pour appuyer les genoux
Le savon et la chemise, frotte les tissus et le reflet des montagnes
Cette vague vagabonde est une langue qui baigne les paroles
Langue qui coupe et langue ronde d'abord timide et puis, qui asperge tout.

Eau douce, eau douce trop haute pour se faire caresser
Eau claire ou sale, trop vieille pour remonter
Sous le ventre de chaque barque et sur la tête de chaque pierre
Au-dessus du rosaire de chaque mémoire, mais sur toi pas même un pas ne peut rester
Ni le soleil qui te fouette le dos, ni la lune qui se baigne les pieds,
Ni l'épée de chaque tempête n'arriveront à te laisser même une griffure.

Eau douce, eau douce, eau qui s'enfuit puis revient
Eau verre, eau perle prête pour tous et qui n'attend personne
Face de tortue et face de poisson en carpione
Face qui semble t'appartenir et alors nous te voyons sans te regarder
Quelqu'un fuit la puanteur de l'algue, puis revient se laver
Quelqu'un crache sur ta vague, puis en larmes revient

Eau douce, eau douce : de combien d'eau ces yeux sont remplis
Eau noire et immaculée, eau bénie sans raison
Passe un bateau, passe un hiver, passe une guerre, passent les poissons
Passe le vent qui vole ton manteau et passe le brouillard qui éteint les étoiles
Dans la breva qui mord les vêtements, un pêcheur quitte le rivage
Il rame debout sur cette feuille qui balance avec ma chanson qui jamais ne finit.

inviata da Marco Valdo M.I. - 9/9/2013 - 18:17




Lingua: Polacco

Versione polacca di Anna ripresa dal sito dei desfans, fans di Davide Van De Sfroos.

E siccome noi siamo notoriamente pignuoli, gliela riscriviamo con la grafia corretta e completa di tutti i numerosi segnetti diacritici della lingua polacca :-P [RV]
SŁODKA WODA

Słodka woda, słodka woda, ale tak słodka, że aż nikt nie chce pić
Woda zmęczona i woda napęczniała ssie wiosła i nogi dziecięce…
Praczka nad brzegiem z twoja deska do opierania kolań
Mydlem i koszulą szoruje pranie i odblask gór
A ta fala tulająca sie jest jezykiem, który moczy słowa
Jezykiem tnącym i jezykiem zaokragłonym,
najpierw jest niesmiała, a potem skrapia wszystkich…

Słodka woda, słodka woda, zbyt wysoka by dać sie pięscić
Woda przejrzysta lub mętna, zbyt stara by sciągnąć sobie majtki
Pod brzuchem kazdej barki i na głowie każdego kamienia
Na rózancu każdego wspomnienia… ale na tobie nie pozostanie ani jeden krok…
Nawet słonce, które biczuje ci plecy, czy tez księżyć, który moczy sobie stopy
Nawet szpada każdej burzy nie zdolaja pozostawić ci rysunku…

Słodka woda, słodka woda, która umyka, a potem powraca
Woda szklana i woda perłowa gotowa dla wszystkich, ale na która nikt nie czeka
Wygładamy jak zólw i wygładamy jak ryba w marynacie
Wydaje się, że wygładamy tak jak ty i wtędy widzimy cie bez patrzenia na ciebie
Ktoś uciekł od smrodu algi, a potem powrócił, by umyć rece
Ktoś splunał na twoją falę, a potem powrócił z jedną łzą wiecej

Słodka woda, słodka woda, ilez wody napełnia te oczy
Woda czarna i bez winy, woda święta i bez racji bytu
I przepływa statek i upływa zima i mija wojna i przepływaja ryby
Przelatuje wiatr, który kradnie ci plaszcz i przemija mgła, która zamyka gwiazdy
Rybak, który pozostawia brzeg na brevie*, która kasa ubrania
Wiosłuje na nogach na tym liściu, który kolysze się z piosenka,
której nie chcesz nigdy skonczyć.
* breva = wiatr wiejący w okolicach jezior lombardzkich

inviata da adriana - 21/10/2006 - 14:02




Lingua: Polacco

Versione polacca di Krzysiek Wrona.

"Non potevo più guarda 'sta bela canzon nella traduzion storpia cozi, allor coressi 'li error più gross, specialment ne'la scriutur polaand

Grüiskot"
WODA SŁODKA

Słodka woda, słodka woda, ale tak słodka, że aż nikt nie chce pić
Woda zmęczona i woda napęczniała ssie wiosła i nogi dziecięce…
Praczka nad brzegiem ze swoją deską do opierania kolan
Mydłem koszulę szoruje, pranie i odblask gór
A ta fala kotłująca się, jest językiem, który moczy słowa
Językiem tnącym i językiem zaokrąglonym,
najpierw jest nieśmiała, a potem skrapia wszystkich…

Słodka woda, słodka woda, zbyt wysoka by dać się pieścić
Woda przejrzysta lub mętna, zbyt stara by ściągnąć sobie majtki
Pod brzuchem każdej barki i na głowie każdego kamienia
Na różańcu każdego wspomnienia… ale na tobie nie zostanie ślad…
Nawet słońce, które biczuje ci plecy, czy też księżyc, który moczy sobie stopy
Nawet szpada każdej burzy nie zdołają pozostawić ci odcisku…

Słodka woda, słodka woda, która umyka, a potem powraca
Woda szklana i woda perłowa gotowa dla wszystkich, ale na których nikt nie czeka
Wyglądamy jak żółw i wyglądamy jak ryba w marynacie
Wydaje się, że wyglądamy tak jak ty i wtedy widzimy cię nie patrząc
Ktoś uciekł od smrodu algi, a potem powrócił, by umyć ręce
Ktoś splunął na twoją falę, a potem powrócił z jedną łzą więcej

Słodka woda, słodka woda, ileż wody napełnia te oczy
Woda czarna i bez winy, woda święta i bez racji bytu
I przepływa statek i upływa zima i mija wojna i przepływają ryby
Przelatuje wiatr, który kradnie ci płaszcz i przemija mgła, która zamyka gwiazdy
Rybak, który pozostawia brzeg na brevie*, która kasuje mu ubrania
Stojąc wiosłuje na tym liściu, który kołysze się z piosenką,
której nie chcesz nigdy skończyć.

inviata da Krzysiek Wrona - 5/9/2013 - 23:53




Lingua: Svedese

Svensk (sångbar?) översättning av Riccardo Venturi
9. september 2007
Versione svedese (cantabile?) di Riccardo Venturi
9 settembre 2007


Ospitata anche dal sito ufficiale di DVDS, cauboi.it (sezione "Testi").
SÖTVATTEN

Hej sötvatten, hej sötvatten, men så sött att ingen vill dricka det,
trött vatten, upprört vatten, det suger årorna och barnens ben.
Hej tvätterska på stranden med din bräda för att lägga knäna på,
med tvålen och skjortan tvätter du i den fjällspeglande sjön.
Och den här vandrande vågen är liksom en ordblötande tung',
liksom en rund, skärande tunga som stänker alla men visar sig blyg.

Hej sötvatten, hej sötvatten, för högt för att låta dig smekas på,
hej klart eller smutsigt vatten, för gammalt för att kunna klä av sig
under buken av varje båt, över huvudet av varje sten,
över varje minnekrans, men på dig ska inte ett steg stanna intryckt.
Inte ens solen som piskar din rygg eller månen som blöter fötterna i dig,
inte ens svärdet av varje storm ska lyckas at trycka ett tecken på dig.

Hej sötvatten, hej sötvatten, vatten som flyr och se'n kommer tillbak',
hej glasvatten, hej pärlvatten, du är redo för alla och väntar på ingenting.
Och vi liknas vid sköldpaddor, och vi liknas vid kryddfisk,
och vi liknas vid dig och numera ser vi dig utan att titta på dig.
Någon flydde från tångstanket men kom tillbaka för en handtvätt
någon spottade på din våg men kom tillbaka med en tår mer.

Hej sötvatten, hej sötvatten, hur mycket vatten häller det i ögonen,
hej svart vatten, oskyldigt vatten, heligt vatten utan någon grund.
förbi seglar nu en båt, och nu fiskar, en vinter, ett krig,
och vinden som stjäler din kappa, och dimman som hindrar stjärnsyn.
Hej fiskare som lämnat stranden med sjövinden som biter i dig,
stå och ro på det här bladet som gungar med en oändlig sång…

9/9/2007 - 18:20


Poiché questo sito non è e non deve essere terreno per nazionalismi balcanici vari (casomai l'esatto contrario), né di presupposte offese all'orgoglio etnico/linguistico con relative indignazioni, e seguendo una ben precisa richiesta della d.sa Tijana Mrkić, la versione di "Akuaduulza" da lei effettuata nella propria lingua materna è stata rimossa assieme ai relativi commenti. Per chi volesse consultarla, rimandiamo al sito originario cauboi.it. Avvertiamo che eventuali ulteriori commenti non strettamente attinenti alla canzone ed alle traduzioni ancora presenti non saranno più approvati.

CCG/AWS Staff - 11/11/2007 - 21:49


é un play back...il video...ma è grande

krzyś - 13/1/2014 - 03:22


Solo adesso mi accorgo che il video è un orrendo play back....purtroppo...ma la traccia è troppo forte

krzyś - 13/1/2014 - 04:56


Perchè è una musica stregata, son oramai gli anni che me sta perseguita'. Alla faccia de' 'sto stregon' lagese, basta
Mi raccomadi al sig. Mefisto ????
O no!!!

krzyś - 18/9/2015 - 00:49


Mi attacco qui, per analogia o assonanza....ciao, GS

CANTI POPOLARI VENETI DI LOTTA E RESISTENZA
Anche cantare, come scrivere, può essere RESISTENZA.
La canzone popolare veneta ha trovato nel “Canzoniere Vicentino” dei cultori attenti non solo alle sue valenze musicali, ma al contesto storico, sociale e umano in cui ha avuto origine. Sfatando anche qualche stereotipo.

Un incontro con il IL CANZONIERE VICENTINO
(Gianni Sartori)

Il primo L.P. del Canzoniere Vicentino “S’è rivà el Torototela” ha rappresentato una pietra miliare nel panorama della musica popolare veneta. È quindi assai auspicabile che quanto prima venga data al gruppo la possibilità di ripetere l’esperienza: il materiale non manca e la capa- cità neppure. Il secondo LP dovrebbe presentare un repertorio un po' diverso. Il primo è stato sostanzialmente una antologia mentre stavolta vorrebbero, attorno ad un pezzo che usano spesso in concerto (“La cena dela sposa”, un canto di nozze) realizzare un disco a tema. Praticamente una monogra- fia sull’amore: i morosi, i sposi, el matrimonio ... Nel frattempo quelli del Canzoniere hanno prodotto una raccolta di canti di Natale: “Cantastella. Zampogne e arie natalizie”. “Con questa incisione - spiega Luciano Zanonato - non abbiamo preteso di presentare una raccolta completa, ‘scientifica’, sul vasto argomento dei canti di Natale del Veneto. La maggior parte dei testi sopravvissuti è ridotta a poche strofe, quelle che è stato possibile recuperare con il lavoro di ricerca sul campo”. Nella presen- tazione è stata definita come “una carrellata di melodie e di testi di grande suggestione”. Da rilevare che questo materiale, raccolto e “assemblato” dal Canzoniere Vicentino, era già stato collaudato e portato in giro per le strade e le
piazze di Vicenza e provincia. Oltre alle Stelle cantate vengono pro- posti alcuni pezzi strumentali, ricavati dagli intermezzi cantati “a baga”, imitando il suono della cor- namusa diffusa un tempo nel Veneto. Per quanto riguarda gli strumenti il C.V. ripropone anche la zampogna. È stato scelto un tipo di cornamusa abbastanza simile, come timbro e forma, a quella esi- stente nel Nord fino al XVIII seco- lo. Utilizza inoltre due tipiche formazioni strumentali del Vicentino, diffuse fino a non molti anni fa: l’orchestrina a plettri e la bandel- la. L’orchestrina a plettri è stata riprodotta con strumenti quali i mandolini a cassa bombata, la ban- durria (strumento spagnolo che fa le veci della mandòla) e la chitarra. Anche nelle percussioni sono stati inseriti alcuni strumenti tradizionali del vicentino (rebukel, cimbalin...). Fondamentale la fisarmonica, naturalmente.
Un’altro progetto giunto già a buon punto è quello della pubblicazione di un volume che raccolga i testi dei Canti Sociali del Veneto. Il libro dovrebbe approfon- dire le tematiche del lavoro subalterno contadino (risaia, in particolare) e operaio (filanda).
El Torototela
“El Torototela” resta comunque il cavallo di battaglia del canzoniere. Informa il solito Luciano Zanonato che il “torototela” (l’equivalente del “barbapedana”) era so- stanzialmente un questuante di mestiere che utilizzava un omoni- mo strumento, un rudimentale vi- olino costituito da un arco e da una zucca vinaria che fungeva da cassa di risonanza. Notizie in proposito si possono ancora rinvenire “rumegando” tra gli strati profondi della memoria collettiva, per esempio nell’Alto Vicentino. A riguardo Gianmaria Sberze, decano del gruppo, rievoca le sue incursioni in quel di Posina, Laghi, Rio Freddo ... Va sottolineato che fin dalle origini il Canzoniere Vicentino ha sempre manifestato una spiccata propensione alla ricerca sul campo. Il gruppo era già costituito -ricorda Sberze- ma venne ulteriormente incoraggiato e indirizzato verso la ricerca del patrimonio musicale popolare dalla pubblicazione della fondamentale opera di Vere Paiola: “Canti popolari Vicentini” (ed. Neri Pozza). Insieme alle fonti e radici del folclore sono sta- te ricercate la storia, la cultura, tutto ciò che ha concorso a forma- re la visione del mondo propria delle cosiddette “classi subalterne” venete, integrando due tendenze che convivevano nel gruppo; un fi- lone politico-sociale e uno etnologico. Già dalla fine degli anni set- tanta il Canzoniere Vicentino si differenzia sia dai tanti “canzonieri politici” tout court (che sparisco- no di scena con il venir meno del- l’impegno politico o si riciclano al seguito delle mode correnti) che da quanti scavano nel folclore limitandosi a riesumare ed imbalsama- re “reperti archeologici” del patrimonio culturale collettivo della nostra gente. “La nostra maggiore novità, rispetto anche a Paiola, - continuano Sberze e Zanonato- è proprio quella di non isolare dal contesto l’elemento musicale. Non ci si limita quindi a registrare solo i canti, ma tutto ciò che i protagonisti, gli intervistati hanno da raccontare in proposito. Purtroppo dobbiamo riconoscere che non proprio tutto è stato debitamente registrato e archiviato. Ma almeno si è sempre ascoltato e memorizzato, alimentando se non altro la tradizione orale”.
Veneti rassegnati ?
Tra le altre cose, grazie al loro lavoro di ricercatori, Sberze & C. si sono convinti di dover demistificare uno stereotipo. È infatti opinione diffusa che la maggior parte dei canti sociali veneti esprimano più che altro cristiana rassegnazione. ideologie dominanti e ai padroni di turno. E questo traspare an- che da alcuni canti tradizionali. Un bell’esempio viene dai canti delle filandiere di Arzignano, pervasi da una buona dose di antagonismo sociale e anche di irriverenza. L’anomalia risulta meno incomprensibile se teniamo conto del fatto che queste donne erano in massima parte mogli, figlie, morose (e ne assumevano quindi i comportamenti e i sentimenti) di operai della neonata “Pellizzari”, una fabbrica che periodicamente è stata al centro di ribellioni. Dagli scioperi contro i nazifascisti nel 1943-44 (che costarono la vita ad alcuni operai fucilati per rappresaglia) fino alla vera e propria rivolta del 1972 (a cui chi scrive si onora di aver dato un piccolo contributo), quando l’intero paese diventò una specie di “No Go Area”, circondato da barricate e falò che nemmeno i blindati della Celere 2 osavano attaccare. Appare chiaro a questo punto che per quelli del CV la ri- cerca, il concetto stesso di folclore, non si limitano al mondo contadino, ma si estendono a tutte quelle trasformazioni strutturali (quindi anche all’industrializzazione) che, dalla fine dell’800 ai nostri giorni, si sono via via succedute sul territorio veneto. A tale proposito Sberze si chiede quale sia e debba essere il significato autentico del folclore, inteso come “serbatoio della memoria storica collettiva”. Fa anche una precisazione: “Praticamente con il termine di ‘popolare’ si intendono sia il folk che il pop (popular) alimentando una certa confusione e reciproca contaminazione. Spesso la situazione è assai difficile da decodificare”. Interviene Zanonato: “In questo senso, a voler essere pignoli, i cori alpini andrebbero classificati come ‘pop’, in quanto polifonici ...”. Anche per questo il Canzoniere Vicentino ha sempre cercato di selezionare i canti applicando una certa discriminazione; sono stati scelti nella misura in cui non erano oleografici. Quindi non d’autore, non i canti “popolareschi” urbani che fanno il verso al popolare. Cercando insomma quelli autentici. Dopo questa prima distinzione si passa a classificare i canti concentrandosi in particolar modo su quelli sociali, individuando alcune tematiche costanti: la guerra, l’emigrazione, la filanda ... Nel primo L.P. (“El Torototela”) erano presenti due canti riferiti alla Prima Guerra Mondiale (“Passando per Milano” e “Al ventiquattro maggio”) da cui traspariva tutta l’estraneità popolare al patriottismo tricolore. Altri pezzi forti delle esibizioni del Canzoniere sono, come ho detto, i canti sul lavoro femminile, come “Le mondariso di Vicenza” e “Aliégre compagne”.
“Soprattutto con questi canti - spiega Zanonato - abbiamo opera- to una scelta di melodie per così dire insolite e abbiamo cercato di superare lo stereotipo del canto popolare veneto triste, rassegnato (“sfigà”) sempre e comunque”. Di particolare interesse quello sulle (delle) mondariso raccolto ad Agugliaro. Documenta la diffusa pratica dell’emigrazione stagionale di mano d’opera femminile vicentina verso le risaie lombarde e piemontesi. Notizie in proposito le avevo già avute dalla mia povera nonna che negli ultimi anni si lamentava spesso per essersi" rovinà la schina" a star curva in risaia. Analogamente la lavorazione del tabacco in Vallagarina (TN) era attività prettamente stagionale. A ricordarcelo è rimasto il canto delle “pòsene” (le donne di Posina): “Aliégre compagne”. Scorrendo l’utilissimo libriccino annesso all’L.P. del Torototela scopro che il canto “ A la matina a l’alba” (canto sul lavoro in filanda) è stato raccolto a Breganze dal compianto Carlo Geminiani. In questo caso l’informatore è un contadino, Firmino Miotti, personaggio già immortalato da Virgilio Scapin ne “I Magnasoete”. Il medesimo canto, in una versione simile, era conosciuto anche in Lombardia. La maggior parte di questi canti infatti è diffusa, oltre che nel Veneto, anche in Lombardia, Piemonte, Trentino.
Strumenti vari
È inevitabile a questo punto una digressione su quali siano gli strumenti popolari da considerare realmente autoctoni. Zanonato parla di “strumenti etnici”, in quanto utilizzati in una certa area geografica. “In primo luogo la fisarmonica-sostiene Sberze- che nella moderna versione a tasti si è diffusa nel secondo dopoguerra. Suoi diretti precursori la fisarmonica a bottoni e il classico organetto. Relativamente diffusi anche il mandolino e soprattutto il violino”. Non mancavano nemmeno i flauti, generalmente di corteccia, e gli zufoli, di sambuco. Senza dimenticare infine i “fiati” (in particolare il clarinetto) delle numerose bande di paese. Il senso ultimo di tutto il loro impegno, concludono i Canzonieri è “rimettere in circolazione tra la gente, diffondere quello che la gente aveva prodotto, creato sul piano musicale e culturale”. In sostanza restituire a questo popolo veneto una parte significativa della sua storia e della sua identità.
Ascoltando le interpretazioni del Canzoniere Vicentino, al di là degli innegabili aspetti estetici, folcloristici ed etnografici, traspare tutta la vitalità delle risposte culturali che i popoli sanno autonomamente elaborare di fronte alle talvolta laceranti trasformazioni sociali, politiche, economiche che spesso venivano decise altrove, sulle loro teste.
Una risposta tutt'altro che passiva e accondiscendente; un modo originale di reintegrare il tessuto comunitario; una forma di resistenza...
Gianni Sartori

Gianni Sartori - 12/10/2015 - 10:55




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