Caterina Bueno: Le streghe di Bargazza
GLI EXTRA DELLE CCG / AWS EXTRAS / LES EXTRAS DES CCGLanguage: Italian (Toscano)
Non più treni né cavalli,
non più macchine e vagoni.
Or ci son certi caproni
fan più miglia del pensier
Io posso dirvelo che vi son stato
e non è favola credete a me.
Vorrei che provino chi nun c’è stato
che bell’andare a tutt’aria che ’gli è.
L’altro giorno ero a Bargazza,
fui menato ad un festino,
eran sempre a me vicino
due ragazze a favella’.
Poi venne l’ora della partenza
e lor mi chiesero andare con sé.
Io m’accompagno ma in conseguenza.
Che bell’andare a tutt’aria che ’gli è.
Discorrendo pe’ la via
noi giungemmo a casa loro.
Non vi dico che lavoro
che si posero a trama’.
Tosto arrivati, presto un vasetto,
s’unsero tutte e m’unsi anco me
dicendo «Ungetevi fa bòn effetto».
Che bell’andare a tutt’aria che ’gli è.
In codesto contrattempo
ecco un capro grosso e nero.
Dimandare io dico il vero
come si voleva anda’.
Risponde una, la domedaria (1),
«Si fa più presto e ci ho più piace’».
Dice ’«Gli è tardi, s’ha a andare a tutt’aria».
Che bell’andare a tutt’aria che ’gli è.
Gli si monta a cavalluccio,
ci portò tanto lontano
che le stelle con la mano
ci pareva di tocca’.
Pareva un fulmine tra le comete
questo caprone con noialtri tre.
Pare impossibile se ’un ci credete
che bell’andare a tutt’aria che ’gli è.
Io non vidi né campagne
né città, pianure e monti.
Non è il caso ch’io racconti
dove il diavolo ci portò.
In un palazzo illuminato
di dentro e fòri ch’era un piace’,
di tende e pendoli tutto adornato.
Che bell’andare a tutt’aria che ’gli è.
Vidi là certe matrone,
damigelle e i suoi messaggi
tranne che certi visaggi
differenti a questi qua.
Io sempre zitto fisso a sedere
e senza mòvermi e senza parla’
in un silenzio ch’era un piacere.
Che bell’andare a tutt’aria che ’gli è.
Venne l’ora del rinfresco
come ’gli usa nei festini.
Alle dame e a’ ballerini
due serventi a presenta’
creme, biscotti e confetture
paste, pasticci e bottiglie e bicchie’.
senza miseria credetelo pure.
Che bell’andare a tutt’aria che ’gli è.
Ma l’usanza ch’hanno loro
sì da noi diversa e strana.
Non è caso far lor prova
di dialetto o di pattuà.
Tutta una mimica senza parole
e senza mòversi e senza parla’.
Chi nun c’è stato creder non pòle
che bell’andare a tutt’aria che ’gli è.
Sparì tutto in un momento,
non restò neppur le mura
e la solita montura
era pronta pe’ parti’.
Ma dei caproni di quella razza
dove si trovino io non lo so.
Da casa al diavolo fino a Bargazza
in un momento ci riportò.
non più macchine e vagoni.
Or ci son certi caproni
fan più miglia del pensier
Io posso dirvelo che vi son stato
e non è favola credete a me.
Vorrei che provino chi nun c’è stato
che bell’andare a tutt’aria che ’gli è.
L’altro giorno ero a Bargazza,
fui menato ad un festino,
eran sempre a me vicino
due ragazze a favella’.
Poi venne l’ora della partenza
e lor mi chiesero andare con sé.
Io m’accompagno ma in conseguenza.
Che bell’andare a tutt’aria che ’gli è.
Discorrendo pe’ la via
noi giungemmo a casa loro.
Non vi dico che lavoro
che si posero a trama’.
Tosto arrivati, presto un vasetto,
s’unsero tutte e m’unsi anco me
dicendo «Ungetevi fa bòn effetto».
Che bell’andare a tutt’aria che ’gli è.
In codesto contrattempo
ecco un capro grosso e nero.
Dimandare io dico il vero
come si voleva anda’.
Risponde una, la domedaria (1),
«Si fa più presto e ci ho più piace’».
Dice ’«Gli è tardi, s’ha a andare a tutt’aria».
Che bell’andare a tutt’aria che ’gli è.
Gli si monta a cavalluccio,
ci portò tanto lontano
che le stelle con la mano
ci pareva di tocca’.
Pareva un fulmine tra le comete
questo caprone con noialtri tre.
Pare impossibile se ’un ci credete
che bell’andare a tutt’aria che ’gli è.
Io non vidi né campagne
né città, pianure e monti.
Non è il caso ch’io racconti
dove il diavolo ci portò.
In un palazzo illuminato
di dentro e fòri ch’era un piace’,
di tende e pendoli tutto adornato.
Che bell’andare a tutt’aria che ’gli è.
Vidi là certe matrone,
damigelle e i suoi messaggi
tranne che certi visaggi
differenti a questi qua.
Io sempre zitto fisso a sedere
e senza mòvermi e senza parla’
in un silenzio ch’era un piacere.
Che bell’andare a tutt’aria che ’gli è.
Venne l’ora del rinfresco
come ’gli usa nei festini.
Alle dame e a’ ballerini
due serventi a presenta’
creme, biscotti e confetture
paste, pasticci e bottiglie e bicchie’.
senza miseria credetelo pure.
Che bell’andare a tutt’aria che ’gli è.
Ma l’usanza ch’hanno loro
sì da noi diversa e strana.
Non è caso far lor prova
di dialetto o di pattuà.
Tutta una mimica senza parole
e senza mòversi e senza parla’.
Chi nun c’è stato creder non pòle
che bell’andare a tutt’aria che ’gli è.
Sparì tutto in un momento,
non restò neppur le mura
e la solita montura
era pronta pe’ parti’.
Ma dei caproni di quella razza
dove si trovino io non lo so.
Da casa al diavolo fino a Bargazza
in un momento ci riportò.
(1) Con "domedaria" si intende ebdomadaria (settimanale).
Questo termine era usato nei monasteri per indicare la monaca di turno (settimanale) per officiare un rito
Questo termine era usato nei monasteri per indicare la monaca di turno (settimanale) per officiare un rito
Contributed by Bernart Bartleby - 2014/1/9 - 11:14
Language: Italian
Questa è la trascrizione del foglio volante
Non più treni, né cavalli,
Non più macchine e vagoni.
Or ci son certi caproni,
Fan più miglia che il pensier
Io posso dirvelo, perché ho provato,
E non è favola, credete a me.
Vorrei che provino, chi non vi è stato
Che bell’andare a tutt’aria che gli è !
Giorni scorsi ero a Bargazza,
Fui menato ad un festino;
Stavan sempre a me vicino
Due ragazze a favellar;
Poi venne l’ora della partenza,
E mi pregarono di andare con sé;
Io m’accompagno, ma in conseguenza
Che bell’andare a tutt’aria che gli è !
Discorrendo per la via,
Noi si giunse a casa loro;
Sentirete che lavoro
Che mi vennero a tramar.
Entrano in casa, presto un vasetto,
si unsero bene e mi unsi anco me
dicendo : Ungetevi, fa buono effetto :
Che bell’andare a tutt’aria che gli è !
In codesto contrattempo,
Ecco un capro grosso e nero
Dimandò per dirvi il vero,
Come si voleva andar.
Una rispose, la domedaria:
Si fa più presto, e ci ho più piacer.
Su via, gli è tardi; si vada a tutt’aria…
Che bell’andare sul caprone che gli è !
Gli si monta a cavalluccio…
Ci portò tanto lontani
Che le stelle colle mani
Ci pareva di toccar.
Sembrava un fulmine tra le comete,
Questo caprone con tutt’e tre,
Pare impossibile, se ci credete
Che bell’andare a tutt’aria che gli è.
Io non vidi né campagne,
Né città, pianure e monti,
Non v’è caso ch’io racconti
Dove il diavol ci portò.
Dov’è un palazzo illuminato
Di dentro e fuori era un piacer,
Di tende e pendoli tutto adornato:
Che bell’andare a tutt’aria che gli è !
Vidi poi certe matrone,
Damigelle e suoi messaggi,
Meno che certi visaggi
differenti a questi qua;
Io stetti fermo, fisso a vedere,
e senza muovermi sempre a seder
in un silenzio ch’era un piacere.
Che bell’andare a tutt’aria che gli è !
Ecco il tempo del rinfresco,
Come gli usa nei festini,
Alle dame e ai ballerini
Due serventi a dispensar
Creme, biscotti e confetture
Paste, pasticci e bottiglie e bicchier,
Senza miseria credetemi pure,
Che bell’andare a tutt’aria che gli è.
Ma l’usanza che hanno loro
Tutta a noi diversa e nuova
Che non v’è da far lor prova
Del linguaggio o pattuà.
Tutto alla mimica, senza parole
Io mai con loro, né loro a me,
Ma chi non prova mai dir non puole
che bell’andar sul caprone che gli è.
Sparì tutto in un momento;
Non restò neppur le mura;
Ma la solita vettura
Era pronta pe’ partir.
Ma dei caproni di quella razza
Dove si trovino io non lo so.
Da casa al diavolo fino a Bargazza
In un momento ci riportò.
Non più macchine e vagoni.
Or ci son certi caproni,
Fan più miglia che il pensier
Io posso dirvelo, perché ho provato,
E non è favola, credete a me.
Vorrei che provino, chi non vi è stato
Che bell’andare a tutt’aria che gli è !
Giorni scorsi ero a Bargazza,
Fui menato ad un festino;
Stavan sempre a me vicino
Due ragazze a favellar;
Poi venne l’ora della partenza,
E mi pregarono di andare con sé;
Io m’accompagno, ma in conseguenza
Che bell’andare a tutt’aria che gli è !
Discorrendo per la via,
Noi si giunse a casa loro;
Sentirete che lavoro
Che mi vennero a tramar.
Entrano in casa, presto un vasetto,
si unsero bene e mi unsi anco me
dicendo : Ungetevi, fa buono effetto :
Che bell’andare a tutt’aria che gli è !
In codesto contrattempo,
Ecco un capro grosso e nero
Dimandò per dirvi il vero,
Come si voleva andar.
Una rispose, la domedaria:
Si fa più presto, e ci ho più piacer.
Su via, gli è tardi; si vada a tutt’aria…
Che bell’andare sul caprone che gli è !
Gli si monta a cavalluccio…
Ci portò tanto lontani
Che le stelle colle mani
Ci pareva di toccar.
Sembrava un fulmine tra le comete,
Questo caprone con tutt’e tre,
Pare impossibile, se ci credete
Che bell’andare a tutt’aria che gli è.
Io non vidi né campagne,
Né città, pianure e monti,
Non v’è caso ch’io racconti
Dove il diavol ci portò.
Dov’è un palazzo illuminato
Di dentro e fuori era un piacer,
Di tende e pendoli tutto adornato:
Che bell’andare a tutt’aria che gli è !
Vidi poi certe matrone,
Damigelle e suoi messaggi,
Meno che certi visaggi
differenti a questi qua;
Io stetti fermo, fisso a vedere,
e senza muovermi sempre a seder
in un silenzio ch’era un piacere.
Che bell’andare a tutt’aria che gli è !
Ecco il tempo del rinfresco,
Come gli usa nei festini,
Alle dame e ai ballerini
Due serventi a dispensar
Creme, biscotti e confetture
Paste, pasticci e bottiglie e bicchier,
Senza miseria credetemi pure,
Che bell’andare a tutt’aria che gli è.
Ma l’usanza che hanno loro
Tutta a noi diversa e nuova
Che non v’è da far lor prova
Del linguaggio o pattuà.
Tutto alla mimica, senza parole
Io mai con loro, né loro a me,
Ma chi non prova mai dir non puole
che bell’andar sul caprone che gli è.
Sparì tutto in un momento;
Non restò neppur le mura;
Ma la solita vettura
Era pronta pe’ partir.
Ma dei caproni di quella razza
Dove si trovino io non lo so.
Da casa al diavolo fino a Bargazza
In un momento ci riportò.
Contributed by Giovanni Bartolomei da Prato - 2016/11/29 - 21:14
Language: French
Version française – LES SORCIÈRES DE BARGACE – Marco Valdo M.I. – 2020
Chanson italienne – Le streghe di Bargazza – Caterina Bueno – 1997
Chanson populaire des Apennins toscans-émiliens interprétée par Caterina Bueno dans son disque intitulé « Canti di maremma e d’anarchia », en supplément de l’hebdomadaire Avvenimenti, 1997.
Baragazza – Bargace est un hameau de la commune de Castiglione dei Pepoli, province de Bologne, dans les Apennins toscano-émiliens. Dans les temps anciens, il y avait une forteresse à Baragazza, contestée entre les Bolognais et les Florentins, qui fut ensuite abandonnée et détruite en 1400 – qui sait si ce n’est pas le palais qui apparaît et disparaît dans cette chanson. Elle est curieuse cette chanson, qui raconte avec une légèreté et une joie inhabituelles un sabbat satanique, quand juste à Baragazza, à Boccadirio, à la fin de 1400 est apparue la Madone. Aujourd’hui, il existe un important sanctuaire pour les pèlerinages. Ces culs-bénits, cependant, s’y rendent à pied, ou tout au plus en voiture ou en bus, et ne savent certainement pas « comme c’est beau d’y aller par l’air ! » Le texte raconte une histoire qui témoigne de la vision paysanne du sabbat et est emprunté à une ancienne feuille, diffusée sous le titre « Les sorcières de Bargazza ». (notes du disque)
Chanson italienne – Le streghe di Bargazza – Caterina Bueno – 1997
Chanson populaire des Apennins toscans-émiliens interprétée par Caterina Bueno dans son disque intitulé « Canti di maremma e d’anarchia », en supplément de l’hebdomadaire Avvenimenti, 1997.
Baragazza – Bargace est un hameau de la commune de Castiglione dei Pepoli, province de Bologne, dans les Apennins toscano-émiliens. Dans les temps anciens, il y avait une forteresse à Baragazza, contestée entre les Bolognais et les Florentins, qui fut ensuite abandonnée et détruite en 1400 – qui sait si ce n’est pas le palais qui apparaît et disparaît dans cette chanson. Elle est curieuse cette chanson, qui raconte avec une légèreté et une joie inhabituelles un sabbat satanique, quand juste à Baragazza, à Boccadirio, à la fin de 1400 est apparue la Madone. Aujourd’hui, il existe un important sanctuaire pour les pèlerinages. Ces culs-bénits, cependant, s’y rendent à pied, ou tout au plus en voiture ou en bus, et ne savent certainement pas « comme c’est beau d’y aller par l’air ! » Le texte raconte une histoire qui témoigne de la vision paysanne du sabbat et est emprunté à une ancienne feuille, diffusée sous le titre « Les sorcières de Bargazza ». (notes du disque)
Dialogue Maïeutique
Oh !, dit Lucien l’âne, encore une chanson de sorcière ? Ou je me trompe ? Je dis encore, car on vient pourtant de présenter la version française de La strega – LA SORCIÈRE.
De fait, dit Marco Valdo M.I., il s’agit de ma version d’une chanson de sorcière et d’une chanson de sorcière d’origines populaires – toscane, pour tout dire ou peut-être même, qui sait, étrusque.
Quoi, s’étonne Lucien l’âne, les Étrusques, ça fait bien longtemps que j’en ai entendu parler. Mais de mes souvenirs, du temps où je me promenais en Étrurie, menant par les collines, tel un Dante prématuré, un lucumon distingué qui s’en allait ainsi sur les sommets à la rencontre de sorcières antiques. Car c’est par elles qu’il se faisait soigner de certaine maladie dont les hommes attribuent volontiers la source à Vénus, comme ce méchant coup de pied dont parle Georges Brassens dans Le Bulletin de Santé :
Il buvait pour ce faire des eaux vénérables, salées, pierreuses et s’oignait, ou plutôt par la main de la sorcière se faisait oindre, de certaine huile essentielle qui le raidissait d’abord, puis le détendait subitement et ensuite, généralement, il s’endormait pour un moment. Il en ressentait un très grand bien, me disait-il.
Voilà qui est intéressant, dit Marco Valdo M.I. ; d’ailleurs, on trouve la trace de cette pratique dans la chanson. Il suffit de regarder son antienne pour comprendre :
Elle est intéressante à plus d’un titre cette canzone populaire, car elle permet de faire surgir une fois de plus les fondements du mythe de la Vierge ou de la Madone, c’est tout comme. Comme on le sait, dans l’histoire des deux derniers millénaires, il a bien fallu faire apparaître la Vierge Marie pour tenter d’effacer jusqu’au souvenir des sorcières et ainsi pouvoir s’approprier leur action bénéfique auprès des paysans. Mais ceux-ci n’ont rien oublié ou à tout le moins, ont gardé la trace du temps où les sorcières de tout le pays se réunissaient – souvent par trois (au minimum), pour faire la fête. C’était le sabbat des sorcières ; en somme, le samedi soir de l’ouvrier. Les fêtes, dites de sabbat, ne sont rien d’autre que des réunions de joyeuses commères.
Tout cela est bien vrai, dit Lucien l’âne. J’ajouterais cependant cette occurrence que à la mi-août, la grande fête des moissons, était en fait la fête des sorcières, moment où elles se retrouvaient pour plusieurs jours en une grande foire annuelle et elles faisaient des concours et des spectacles qui faisaient la joie des gens et des pays. Elles échangeaient là aussi tous leurs mystères et s’en retournaient ensuite dans leurs campagnes et leurs montagnes reprendre leurs activités quotidiennes, qui consistaient en gros à soigner les gens et les animaux, aider les femmes à avorter et à accoucher – selon les cas, les vaches à vêler, les chèvres à mettre bas ; ou encore, à aider les vieux à vieillir – elles visitaient les grabataires, elles secouraient le nécessiteux – et quand venait le temps, elles aidaient ces vieux miséreux à finir leur vie, au besoin aussi, à l’abréger ; elles prenaient sur elles le temps qu’il fallait à conseiller les jeunes filles et les jeunes garçons, les enfants et leurs parents, les maris et les amants ; elles savaient tout des maladies, elles savaient tout de la vie des gens et du pays.
Avec elles, dit Lucien l’âne, il n’y avait pas besoin de prêtres, de religions et pire que tout, elles chassaient les nuages de la peur et de la superstition. Bien sûr, si elles savaient beaucoup des choses de la nature et de l’humaine personne, elles ne savaient pas tout, mais c’était chez elles qu’on allait chercher de l’aide et du réconfort. De plus, elles avaient ce qu’on appelle de la morale, elles avaient une sorte d’éthique qui les empêchait de se laisser aller et de profiter leurs pouvoirs et de leur influence sur les gens. Ainsi, elles dérangeaient, elles faisaient barrage à la religion, marchandise d’importation venue du Moyen-Orient.
C’est d’ailleurs, rappelle Marco Valdo M.I., en cela qu’elles étaient dangereuses : elles empêchaient par leurs actions les prometteurs de beaux jours éternels et les charlatans séculiers d’opérer leurs manœuvres circonvenantes auprès des populations et c’est ainsi et pour ces raisons que l’on substitua à la sorcière, en vue de l’éradiquer, le culte de la Vierge, en ce compris la grande fête de la mi-août. La Vierge (et c’est là le sommet de l’indécence) serait – selon ses bénisseurs et ses adorateurs – la Personnification de l’Amour : marial, lustral, immaculé, invraisemblablement détaché des choses du corps et du réel. Et comme le relevait déjà Cavanna dans sa Lettre ouverte aux culs-bénits (1994) :
« Qu’ont en commun les inquisiteurs, les brûleurs de sorcières, les massacreurs de populations au nom de la foi (soixante mille égorgés lors de la prise de Jérusalem pendant la première croisade), les bénisseurs d’armées, les pendeurs d’hérétiques, les incitateurs à l’assassinat pieux, les lapideurs de femmes adultères, les qui vont-à-la-messe, bouffent du foie gras et laissent un abbé Pierre leur astiquer la bonne conscience en se faisant le bouc émissaire de la charité ? Ils ont en commun le mot clé de tous les culs-bénits : AMOUR. »
Et que dit de ça, cette chanson ?, demande Lucien l’âne.
Elle répond, Lucien l’âne mon ami, « Que c’est bon d’aller en l’air ! ». En français, on dit la chose un peu différemment, on dit : « Qu’il est bon de s’envoyer en l’air ! », mais en disant ça dans leur chanson – car c’est une chanson d’origine paysanne, les paysans savaient très bien de quoi il s’agissait et ils aimaient leur nocturne liberté.
Certes, dit Lucien l’âne, je le sais aussi. Mais n’épiloguons pas plus et tissons le linceul de ce vieux monde cagot, hypocrite, menteur, suborneur et cacochyme.
Heureusement !
Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien Lane
Oh !, dit Lucien l’âne, encore une chanson de sorcière ? Ou je me trompe ? Je dis encore, car on vient pourtant de présenter la version française de La strega – LA SORCIÈRE.
De fait, dit Marco Valdo M.I., il s’agit de ma version d’une chanson de sorcière et d’une chanson de sorcière d’origines populaires – toscane, pour tout dire ou peut-être même, qui sait, étrusque.
Quoi, s’étonne Lucien l’âne, les Étrusques, ça fait bien longtemps que j’en ai entendu parler. Mais de mes souvenirs, du temps où je me promenais en Étrurie, menant par les collines, tel un Dante prématuré, un lucumon distingué qui s’en allait ainsi sur les sommets à la rencontre de sorcières antiques. Car c’est par elles qu’il se faisait soigner de certaine maladie dont les hommes attribuent volontiers la source à Vénus, comme ce méchant coup de pied dont parle Georges Brassens dans Le Bulletin de Santé :
« Vénus parfois vous donne
De méchants coups de pied qu’un bon chrétien pardonne,
Car, s’ils causent du tort aux attributs virils,
Ils mettent rarement l’existence en péril. »
De méchants coups de pied qu’un bon chrétien pardonne,
Car, s’ils causent du tort aux attributs virils,
Ils mettent rarement l’existence en péril. »
Il buvait pour ce faire des eaux vénérables, salées, pierreuses et s’oignait, ou plutôt par la main de la sorcière se faisait oindre, de certaine huile essentielle qui le raidissait d’abord, puis le détendait subitement et ensuite, généralement, il s’endormait pour un moment. Il en ressentait un très grand bien, me disait-il.
Voilà qui est intéressant, dit Marco Valdo M.I. ; d’ailleurs, on trouve la trace de cette pratique dans la chanson. Il suffit de regarder son antienne pour comprendre :
« Que c’est bon d’aller en l’air ! »
Elle est intéressante à plus d’un titre cette canzone populaire, car elle permet de faire surgir une fois de plus les fondements du mythe de la Vierge ou de la Madone, c’est tout comme. Comme on le sait, dans l’histoire des deux derniers millénaires, il a bien fallu faire apparaître la Vierge Marie pour tenter d’effacer jusqu’au souvenir des sorcières et ainsi pouvoir s’approprier leur action bénéfique auprès des paysans. Mais ceux-ci n’ont rien oublié ou à tout le moins, ont gardé la trace du temps où les sorcières de tout le pays se réunissaient – souvent par trois (au minimum), pour faire la fête. C’était le sabbat des sorcières ; en somme, le samedi soir de l’ouvrier. Les fêtes, dites de sabbat, ne sont rien d’autre que des réunions de joyeuses commères.
Tout cela est bien vrai, dit Lucien l’âne. J’ajouterais cependant cette occurrence que à la mi-août, la grande fête des moissons, était en fait la fête des sorcières, moment où elles se retrouvaient pour plusieurs jours en une grande foire annuelle et elles faisaient des concours et des spectacles qui faisaient la joie des gens et des pays. Elles échangeaient là aussi tous leurs mystères et s’en retournaient ensuite dans leurs campagnes et leurs montagnes reprendre leurs activités quotidiennes, qui consistaient en gros à soigner les gens et les animaux, aider les femmes à avorter et à accoucher – selon les cas, les vaches à vêler, les chèvres à mettre bas ; ou encore, à aider les vieux à vieillir – elles visitaient les grabataires, elles secouraient le nécessiteux – et quand venait le temps, elles aidaient ces vieux miséreux à finir leur vie, au besoin aussi, à l’abréger ; elles prenaient sur elles le temps qu’il fallait à conseiller les jeunes filles et les jeunes garçons, les enfants et leurs parents, les maris et les amants ; elles savaient tout des maladies, elles savaient tout de la vie des gens et du pays.
Avec elles, dit Lucien l’âne, il n’y avait pas besoin de prêtres, de religions et pire que tout, elles chassaient les nuages de la peur et de la superstition. Bien sûr, si elles savaient beaucoup des choses de la nature et de l’humaine personne, elles ne savaient pas tout, mais c’était chez elles qu’on allait chercher de l’aide et du réconfort. De plus, elles avaient ce qu’on appelle de la morale, elles avaient une sorte d’éthique qui les empêchait de se laisser aller et de profiter leurs pouvoirs et de leur influence sur les gens. Ainsi, elles dérangeaient, elles faisaient barrage à la religion, marchandise d’importation venue du Moyen-Orient.
C’est d’ailleurs, rappelle Marco Valdo M.I., en cela qu’elles étaient dangereuses : elles empêchaient par leurs actions les prometteurs de beaux jours éternels et les charlatans séculiers d’opérer leurs manœuvres circonvenantes auprès des populations et c’est ainsi et pour ces raisons que l’on substitua à la sorcière, en vue de l’éradiquer, le culte de la Vierge, en ce compris la grande fête de la mi-août. La Vierge (et c’est là le sommet de l’indécence) serait – selon ses bénisseurs et ses adorateurs – la Personnification de l’Amour : marial, lustral, immaculé, invraisemblablement détaché des choses du corps et du réel. Et comme le relevait déjà Cavanna dans sa Lettre ouverte aux culs-bénits (1994) :
« Qu’ont en commun les inquisiteurs, les brûleurs de sorcières, les massacreurs de populations au nom de la foi (soixante mille égorgés lors de la prise de Jérusalem pendant la première croisade), les bénisseurs d’armées, les pendeurs d’hérétiques, les incitateurs à l’assassinat pieux, les lapideurs de femmes adultères, les qui vont-à-la-messe, bouffent du foie gras et laissent un abbé Pierre leur astiquer la bonne conscience en se faisant le bouc émissaire de la charité ? Ils ont en commun le mot clé de tous les culs-bénits : AMOUR. »
Et que dit de ça, cette chanson ?, demande Lucien l’âne.
Elle répond, Lucien l’âne mon ami, « Que c’est bon d’aller en l’air ! ». En français, on dit la chose un peu différemment, on dit : « Qu’il est bon de s’envoyer en l’air ! », mais en disant ça dans leur chanson – car c’est une chanson d’origine paysanne, les paysans savaient très bien de quoi il s’agissait et ils aimaient leur nocturne liberté.
Certes, dit Lucien l’âne, je le sais aussi. Mais n’épiloguons pas plus et tissons le linceul de ce vieux monde cagot, hypocrite, menteur, suborneur et cacochyme.
Heureusement !
Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien Lane
LES SORCIÈRES DE BARGACE
Plus de trains, ni de postillons,
Plus de voitures et de wagons.
Or, certains boucs là-bas
Font mille milles par la pensée.
Je peux vous dire que j’y suis allé.
Et ce n’est pas une fable, croyez-moi.
Qui n’y est pas allé, désespère.
Que c’est bon d’aller en l’air ! »
L’autre jour, je fus à Bargace,
J’y fus à une fête,
« Deux filles de conte de fées ».
M’ont tenu la jambe toute la soirée
Puis quand vint l’heure de partir
Chez elles, elles m’invitèrent.
Je les suivis et du coup, je peux dire :
« Que c’est bon d’aller en l’air ! »
Discourant sur le chemin, tout du long,
Nous sommes arrivés à leur maison.
Je ne vous dis pas quel bazar,
J’en tremblais comme à la foire.
Bientôt arrivé, sitôt d’un pot,
Tous s’oignirent, et je m’oins moi aussi aussitôt
Disant : « S’oindre, quel bien, ça peut faire !
Et que c’est bon d’aller en l’air ! »
Dans cette circonstance,
Un bouc grand, gros et noir s’avance.
Je lui demandai la vérité
Et comment on allait y aller.
Une répondit, celle du milieu :
« Au plus vite et au mieux !
Il est déjà tard, il faut prendre l’air. »
Que c’est bon d’aller en l’air !
On monta tous en croupe,
Il emmena si loin toute la troupe
Qu’on touchait les étoiles du matin
Rien qu’en tendant la main.
L’éclair entre les comètes et la Terre,
C’était ce bouc et nous autres trois.
Chose impossible, si « on ne croit pas
Que c’est bon d’aller en l’air ! »
Je n’ai vu ni campagnes
Ni villes, ni plaines, ni montagnes.
Le diable nous a emmenés
Dans un palais illuminé
À l’intérieur et devant, une place ornée
De tentes et de pendules toute décorée.
Ce n’est pas là paroles en l’air
Et que c’est bon d’aller en l’air ! »
J’ai vu certaines matrones, là,
Demoiselles fabuleuses
À l’exception de certains visages
Différents de ceux qu’ici, on a.
Moi, toujours muet, je m’assis,
Sans bouger et sans bruit,
En un silence qui sut me plaire.
Que c’est bon d’aller en l’air ! »
Vint l’heure des douceurs et des liqueurs.
Comme dans les fêtes,
Aux dames, aux danseurs,
Deux serviteurs présentent
Crèmes, biscuits et confitures
Pâtisseries, tartes, bouteilles et verres.
Et sans misère, je le déclare, sincère,
Que c’est bon d’aller en l’air ! »
Elles ont de particuliers usages
Pour nous, différents et étranges,
Comme d’user et abuser
Du dialecte ou du patois,
De toute une mimique sans voix,
Sans se mouvoir et sans parler.
Qui n’y a pas été, s’y perd :
Que c’est bon d’aller en l’air ! »
Tout disparut en un moment,
Il ne resta que les murs
Et la coutumière monture
Prête à partir à l’instant
— C’était un bouc de belle race,
Je ne sais où il est né –
De la maison du diable jusqu’à Bargace,
En un instant, nous a ramenés.
Plus de trains, ni de postillons,
Plus de voitures et de wagons.
Or, certains boucs là-bas
Font mille milles par la pensée.
Je peux vous dire que j’y suis allé.
Et ce n’est pas une fable, croyez-moi.
Qui n’y est pas allé, désespère.
Que c’est bon d’aller en l’air ! »
L’autre jour, je fus à Bargace,
J’y fus à une fête,
« Deux filles de conte de fées ».
M’ont tenu la jambe toute la soirée
Puis quand vint l’heure de partir
Chez elles, elles m’invitèrent.
Je les suivis et du coup, je peux dire :
« Que c’est bon d’aller en l’air ! »
Discourant sur le chemin, tout du long,
Nous sommes arrivés à leur maison.
Je ne vous dis pas quel bazar,
J’en tremblais comme à la foire.
Bientôt arrivé, sitôt d’un pot,
Tous s’oignirent, et je m’oins moi aussi aussitôt
Disant : « S’oindre, quel bien, ça peut faire !
Et que c’est bon d’aller en l’air ! »
Dans cette circonstance,
Un bouc grand, gros et noir s’avance.
Je lui demandai la vérité
Et comment on allait y aller.
Une répondit, celle du milieu :
« Au plus vite et au mieux !
Il est déjà tard, il faut prendre l’air. »
Que c’est bon d’aller en l’air !
On monta tous en croupe,
Il emmena si loin toute la troupe
Qu’on touchait les étoiles du matin
Rien qu’en tendant la main.
L’éclair entre les comètes et la Terre,
C’était ce bouc et nous autres trois.
Chose impossible, si « on ne croit pas
Que c’est bon d’aller en l’air ! »
Je n’ai vu ni campagnes
Ni villes, ni plaines, ni montagnes.
Le diable nous a emmenés
Dans un palais illuminé
À l’intérieur et devant, une place ornée
De tentes et de pendules toute décorée.
Ce n’est pas là paroles en l’air
Et que c’est bon d’aller en l’air ! »
J’ai vu certaines matrones, là,
Demoiselles fabuleuses
À l’exception de certains visages
Différents de ceux qu’ici, on a.
Moi, toujours muet, je m’assis,
Sans bouger et sans bruit,
En un silence qui sut me plaire.
Que c’est bon d’aller en l’air ! »
Vint l’heure des douceurs et des liqueurs.
Comme dans les fêtes,
Aux dames, aux danseurs,
Deux serviteurs présentent
Crèmes, biscuits et confitures
Pâtisseries, tartes, bouteilles et verres.
Et sans misère, je le déclare, sincère,
Que c’est bon d’aller en l’air ! »
Elles ont de particuliers usages
Pour nous, différents et étranges,
Comme d’user et abuser
Du dialecte ou du patois,
De toute une mimique sans voix,
Sans se mouvoir et sans parler.
Qui n’y a pas été, s’y perd :
Que c’est bon d’aller en l’air ! »
Tout disparut en un moment,
Il ne resta que les murs
Et la coutumière monture
Prête à partir à l’instant
— C’était un bouc de belle race,
Je ne sais où il est né –
De la maison du diable jusqu’à Bargace,
En un instant, nous a ramenés.
Contributed by Marco Valdo M.I. - 2020/7/29 - 17:45
Language: Italian
Versione cantata dal Gruppo Emiliano
IL CAPRONE DI BARAGAZZA
L'altro giorno a Baragazza
invitato ad un festino
due ragazze a me vicino
comincionno a favellar
Dopo questo appuntamento
mi invitonno a casa loro
sentirete che lavoro
il mio core fa tremar
Una di loro si tolse un vasetto
s'unsero loro e unsero mè
e poi mi dissero fa bon effetto
che bel andar sul capron che gliè
Ecco apparve in un istante
un capron cornuto e nero
che ci disse per il vero
come si doveva andar
Una rispose la dromedaria
si fa più presto fa più piacer
presto montiam s'andrà a tutt'aria
che bell'andar sul caprone che gliè
Ci montammo a cavalluccio
ci portò tanto lontano
che le stelle con la mano
ci pareva di toccar
In un palazzo illuminato
di dentro e fuori ch'era un piacer
di tende e ninnoli tutto addobbato
che bel andar sul capron che gliè
Musiche e danze con cavalieri,
dame cortesi in gran lacchè
piatti e bicchieri apparecchiati
che di più bello non ce n'è.
Sparì tutto in un momento
non restò neanche le mura
e la solita vettura
era pronta a partir
Di quei caproni di quella razza
in vita mia mai più troverò
da cà del diaolo fino a Bargazza
in un baleno ci portò
Di quei caproni di quella razza
in vita mia mai più troverò
da cà del diaolo fino a Bargazza
in un baleno ci portò
L'altro giorno a Baragazza
invitato ad un festino
due ragazze a me vicino
comincionno a favellar
Dopo questo appuntamento
mi invitonno a casa loro
sentirete che lavoro
il mio core fa tremar
Una di loro si tolse un vasetto
s'unsero loro e unsero mè
e poi mi dissero fa bon effetto
che bel andar sul capron che gliè
Ecco apparve in un istante
un capron cornuto e nero
che ci disse per il vero
come si doveva andar
Una rispose la dromedaria
si fa più presto fa più piacer
presto montiam s'andrà a tutt'aria
che bell'andar sul caprone che gliè
Ci montammo a cavalluccio
ci portò tanto lontano
che le stelle con la mano
ci pareva di toccar
In un palazzo illuminato
di dentro e fuori ch'era un piacer
di tende e ninnoli tutto addobbato
che bel andar sul capron che gliè
Musiche e danze con cavalieri,
dame cortesi in gran lacchè
piatti e bicchieri apparecchiati
che di più bello non ce n'è.
Sparì tutto in un momento
non restò neanche le mura
e la solita vettura
era pronta a partir
Di quei caproni di quella razza
in vita mia mai più troverò
da cà del diaolo fino a Bargazza
in un baleno ci portò
Di quei caproni di quella razza
in vita mia mai più troverò
da cà del diaolo fino a Bargazza
in un baleno ci portò
Prego, grazie a te che sei l'unica a ricordarti del grande Màicol Gècson...
Lui ci ama tutti e da lassù ci protegge.
Lui ci ama tutti e da lassù ci protegge.
Bernart Bartleby - 2014/1/9 - 18:05
Tutti meno uno please. Per quel che mi riguarda, non ci tengo né ad essere amato, né protetto da quel coglione. Thank you!
Riccardo Venturi - 2014/1/9 - 18:15
Lo sapevo, lo sapevo... Comunque ci ho parlato proprio adesso: lui ti ama lo stesso, anche se sei bruto e cativo!
Bernart Bartleby - 2014/1/9 - 18:22
(Poi, dopo questa, la smetto... vorrei evitare un'escalèscion di viuuulenza...)
Bernart Bartleby - 2014/1/10 - 07:52
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Note for non-Italian users: Sorry, though the interface of this website is translated into English, most commentaries and biographies are in Italian and/or in other languages like French, German, Spanish, Russian etc.
Caterina Bueno, canto; Andrea Degl'Innocenti, chittara; Maurizio Geri, chitarra; Jamie-Marie Lazzara, violino; Valentino Santagati, chitarra e tamburello.
Non mi sono tenuto. Dovevo proprio contribuire questa canzone per dedicarla alla perfida Admin Adriana che – come tutti sanno – è una streguzza verace con tanto di scopa volante… Chissà, Adriana, “che bell’andare a tutt’aria che gli è!”…
Baragazza è una frazione del Comune di Castiglione dei Pepoli, provincia di Bologna, sull’Appennino tosco-emiliano. A Baragazza sorgeva anticamente una fortezza, sempre contesa tra bolognesi e fiorentini, che fu poi abbandonata e distrutta già nel 400… chissà che non si tratti del palazzo che appare e scompare di questa canzone… Sicuramente è curioso questo canto, in cui si racconta con insolita leggerezza ed allegria di un sabba satanico, quando proprio a Baragazza, in località Boccadirio, alla fine del 400 comparve la Madonna. Vi sorge oggi un santuario importante meta di pellegrinaggi… Quei baciapile però ci vanno a piedi, o tutt’al più in macchina o autobus, e non sanno certo “che bell’andare a tutt’aria che gli è!”…
Il testo racconta una storia che testimonia la visione contadina del sabba ed è mutuato da un antico foglio volante, diffuso con il titolo "Le streghe di Bargazza"
(dalle note al disco)
La trascrizione corretta del testo cantato da Caterina Bueno ci è stata fornita da Giovanni Bartolomei.