1.
Als meine Oma ein Baby war, vor 88 Jahr'n,
da ist ihre Mutter im Wochenbett mit Schwindsucht zum Himmel gefahr'n!
Als meine Oma ein Baby war, ihr Vater war Maschinist,
bis gleich darauf die rechte Hand ihm abgerissen ist.
2.
Das war an einem Montag früh, da riß die Hand ihm ab,
er war noch froh, dass die Fabrik den Wochenlohn ihm gab.
Als meine Oma ein Baby war mit ihrem Vater allein,
da fing der Vater das Saufen an und ließ das Baby schrein.
3.
Dann ging er in die Küche rein und auf den Küchenschrank,
da stellte er ganz oben drauf die kleine Küchenbank,
und auf die Bank zwei Koffer noch und auf den schiefen Turm,
ganz oben auf das Federbett, das kleine Unglückswurm.
4.
Dann ging er mit dem letzten Geld in's Meier's Freudenhaus,
und spülte mit Pefferminzabsinth sich das Gewissen raus,
und kam dann wieder im Morgengraun, besoffen und beschissen,
und stellte fest, verflucht, das Wurm hat sich nicht totgeschmissen!
5.
Das Kind lag friedlich da und schlief hoch oben auf dem Turm,
da packt er es mit seiner Hand, das kleine Unglückswurm,
nahm es behutsam auf den Arm und heulte Rotz und Wasser,
und lallte ihm ein Wiegenlied, vor Glück und Liebe fraß er..
6.
...der Oma fast ein Öhrchen ab und schwor, nie mehr zu trinken,
und weil er Maschinist gewesen, schwor er es mit der linken...
das ist ein Menschenalter her, hätt' sie sich totgeschmissen,
dann würde ich von alledem wahrscheinlich garnichts wissen.
7.
Die Alte lebt heut immernoch und kommst Du mal nach Westen,
besuch sie mal und grüß sie schön vom Enkel, ihrem besten.
Und wenn sie nach mir fragt und weint und auf die Mauer flucht,
dann sage ihr, bevor sie stirbt, wird sie nochmal besucht.
8.
Und während Du von mir erzählst, schmiert sie Dir erster Klasse
ein Schmalzbrot, dazu Mukkefuk aus einer blauen Tasse.
Vielleicht hat sie auch Lust und sie erzählt Dir paar Geschichten,
und wenn sie schön sind, komm zurück, die mußt Du mir berichten.
Als meine Oma ein Baby war, vor 88 Jahr'n,
da ist ihre Mutter im Wochenbett mit Schwindsucht zum Himmel gefahr'n!
Als meine Oma ein Baby war, ihr Vater war Maschinist,
bis gleich darauf die rechte Hand ihm abgerissen ist.
2.
Das war an einem Montag früh, da riß die Hand ihm ab,
er war noch froh, dass die Fabrik den Wochenlohn ihm gab.
Als meine Oma ein Baby war mit ihrem Vater allein,
da fing der Vater das Saufen an und ließ das Baby schrein.
3.
Dann ging er in die Küche rein und auf den Küchenschrank,
da stellte er ganz oben drauf die kleine Küchenbank,
und auf die Bank zwei Koffer noch und auf den schiefen Turm,
ganz oben auf das Federbett, das kleine Unglückswurm.
4.
Dann ging er mit dem letzten Geld in's Meier's Freudenhaus,
und spülte mit Pefferminzabsinth sich das Gewissen raus,
und kam dann wieder im Morgengraun, besoffen und beschissen,
und stellte fest, verflucht, das Wurm hat sich nicht totgeschmissen!
5.
Das Kind lag friedlich da und schlief hoch oben auf dem Turm,
da packt er es mit seiner Hand, das kleine Unglückswurm,
nahm es behutsam auf den Arm und heulte Rotz und Wasser,
und lallte ihm ein Wiegenlied, vor Glück und Liebe fraß er..
6.
...der Oma fast ein Öhrchen ab und schwor, nie mehr zu trinken,
und weil er Maschinist gewesen, schwor er es mit der linken...
das ist ein Menschenalter her, hätt' sie sich totgeschmissen,
dann würde ich von alledem wahrscheinlich garnichts wissen.
7.
Die Alte lebt heut immernoch und kommst Du mal nach Westen,
besuch sie mal und grüß sie schön vom Enkel, ihrem besten.
Und wenn sie nach mir fragt und weint und auf die Mauer flucht,
dann sage ihr, bevor sie stirbt, wird sie nochmal besucht.
8.
Und während Du von mir erzählst, schmiert sie Dir erster Klasse
ein Schmalzbrot, dazu Mukkefuk aus einer blauen Tasse.
Vielleicht hat sie auch Lust und sie erzählt Dir paar Geschichten,
und wenn sie schön sind, komm zurück, die mußt Du mir berichten.
inviata da Riccardo Venturi - 9/8/2013 - 10:07
Lingua: Italiano
MORITAT SU NONNA MEUME BIERMANN DI AMBURGO
1.
Quando mia nonna era appena nata, ottantotto anni fa,
sua madre, tubercolotica, crepò di parto.
Quando mia nonna era appena nata, suo padre faceva il capomacchina
finché la mano destra non gli partì via sul lavoro.
2.
Successe un lunedì mattina presto che la mano gli partì via,
però era contento d'avere avuto il salario settimanale dalla fabbrica.
Quando mia nonna era piccola, sola con suo padre,
lui cominciò a bere e lasciò la bambina a strillare.
3.
Poi, beh, andò in cucina e mise in cima alla credenza
il panchetto di cucina, e poi sopra al panchetto
ci mise due valigie, e su quella torre in bilico
ci mise quella piccola sventurata con tutta la sua culla.
4.
Poi, con gli ultimi soldi, andò al bordello della Meier,
e si sciacquò via la coscienza con l'assenzio alla menta.
Tornò a casa al tramonto, sbronzo marcio e tutto lercio
e, maledizione, vide che la vermiciattola non era morta spiaccicata.
5.
La bimba dormiva tranquilla lassù in cima alla torre,
e allora lui la prese con le mani, la piccola sventuratella,
se la mise in braccio pian piano e pianse come una fontana,
e le cantò una ninnananna, e poi dalla gioia e dall'amore...
6.
...alla nonna quasi le mangiò un orecchio giurando di non bere più,
e visto che era stato capomacchina, giurò con la sinistra.
Successe una generazione fa, e se lei fosse morta spiaccicata
probabilmente io non avrei saputo nulla di tutto questo.
7.
La vecchia è ancora viva, e se una volta vai in Occidente,
falle una visita e salutala da parte del suo nipote preferito.
E se lei chiede di me, piange e maledice il Muro,
dille che prima di morire una visita la avrà ancora.
8.
E mentre tu le racconterai di me, lei ti spalmerà un panino
con burro di prima qualità, poi ti servirà il Mukkefuk 1 in una tazza blé.
Forse avrà anche voglia di raccontarti un altro par di storie,
e se sono belle, torna qua ché me le devi raccontare.
1.
Quando mia nonna era appena nata, ottantotto anni fa,
sua madre, tubercolotica, crepò di parto.
Quando mia nonna era appena nata, suo padre faceva il capomacchina
finché la mano destra non gli partì via sul lavoro.
2.
Successe un lunedì mattina presto che la mano gli partì via,
però era contento d'avere avuto il salario settimanale dalla fabbrica.
Quando mia nonna era piccola, sola con suo padre,
lui cominciò a bere e lasciò la bambina a strillare.
3.
Poi, beh, andò in cucina e mise in cima alla credenza
il panchetto di cucina, e poi sopra al panchetto
ci mise due valigie, e su quella torre in bilico
ci mise quella piccola sventurata con tutta la sua culla.
4.
Poi, con gli ultimi soldi, andò al bordello della Meier,
e si sciacquò via la coscienza con l'assenzio alla menta.
Tornò a casa al tramonto, sbronzo marcio e tutto lercio
e, maledizione, vide che la vermiciattola non era morta spiaccicata.
5.
La bimba dormiva tranquilla lassù in cima alla torre,
e allora lui la prese con le mani, la piccola sventuratella,
se la mise in braccio pian piano e pianse come una fontana,
e le cantò una ninnananna, e poi dalla gioia e dall'amore...
6.
...alla nonna quasi le mangiò un orecchio giurando di non bere più,
e visto che era stato capomacchina, giurò con la sinistra.
Successe una generazione fa, e se lei fosse morta spiaccicata
probabilmente io non avrei saputo nulla di tutto questo.
7.
La vecchia è ancora viva, e se una volta vai in Occidente,
falle una visita e salutala da parte del suo nipote preferito.
E se lei chiede di me, piange e maledice il Muro,
dille che prima di morire una visita la avrà ancora.
8.
E mentre tu le racconterai di me, lei ti spalmerà un panino
con burro di prima qualità, poi ti servirà il Mukkefuk 1 in una tazza blé.
Forse avrà anche voglia di raccontarti un altro par di storie,
e se sono belle, torna qua ché me le devi raccontare.
Annotazione
[1] Il Mukkefuk è una famosa torrefazione di caffè tedesca con sede a Hannover (dove ha diverse botteghe e caffetterie). Si tratta di un caffè molto costoso, quindi il fatto che venga servito all'ospite da una proletaria come Nonna Meume ha un preciso valore.
[1] Il Mukkefuk è una famosa torrefazione di caffè tedesca con sede a Hannover (dove ha diverse botteghe e caffetterie). Si tratta di un caffè molto costoso, quindi il fatto che venga servito all'ospite da una proletaria come Nonna Meume ha un preciso valore.
Riccardo Venturi - 13/8/2013 - 11:49
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Text und Musik: Wolf Biermann
Lyrics and Music: Wolf Biermann
Testo e musica: Wolf Biermann
Album: Chausseestraße 131
(leggi anche Wolf Biermann, Chausseestrasse 131, Ostberlin sul blog)
- Die hab' ich satt!
- Das Barlach-Lied
- Deutschland: Ein Wintermärchen (1. Kapitel)
- Ballade auf den Dichter François Villon
- Deutschland: Ein Wintermärchen (Fortsetzung)
- Wie eingepfercht in Kerkermauern
- Zwischenlied
- Frühling auf dem Mont Klamott
- Moritat auf Biermann seine Oma Meume in Hamburg
- Großes Gebet der alten Kommunistin Oma Meume in Hamburg
- So soll es sein - So wird es sein
Chausseestraße 131 è stato il primo album inciso da Wolf Biermann e ha una storia leggendaria: poiché Biermann era bandito nella DDR, e quindi aveva il divieto ufficiale di registrare le sue canzoni, mise su uno studio improvvisato nel suo appartamento. Con l'aiuto di alcuni amici e di sua madre, riuscì a procurarsi apparecchiature come un microfono di alta qualità e un registratore da studio contrabbandato dalla Germania occidentale, in modo da poter incidere le sue canzoni. La storia narra però che il microfono fosse di qualità anche fin troppo buona, ed ultrasensibile: in breve, mentre Biermann registrava, captava anche i rumori di strada tipo le automobili che passavano e, a volte, anche il canto degli uccellini. Dopo qualche tentativo di eliminare questi rumori di sottofondo, andato a vuoto, Biermann decise di fare di necessità virtù e registrò le canzoni com'erano, con tutti i rumori; e fu un colpo di genio, dato che la cosa rendeva perfettamente le condizioni particolari in cui l'album era stato registrato, il confino domestico e la clandestinità totale dell'artista. La „naturalità“ totale di tutto ciò non ha cessato di rivelare la sua efficacia a 45 anni di distanza: Chausseestraße 131, si può dire, è nato già come album storico, anche al di là dello stesso, elevatissimo, valore dei testi (la musica ha, come lecito attendersi, un valore secondario, quasi di semplice sottofondo come gli stessi rumori di strada). Lo si potrebbe definire un album per parole, rumori e voce: la voce rauca e sporca di Biermann. Si tratta anche di una testimonianza precisa di un fatto: pur essendo ufficialmente bandito e esiliato in casa, Biermann non era affatto tagliato fuori dagli eventi che riusciva a seguire e a cantare con precisione. Chausseestraße 131, ben oltre le „evoluzioni“ dell'uomo e dell'artista Wolf Biermann nel tempo, ha passato l'esame del tempo e rimane un capolavoro assoluto della canzone d'autore, non soltanto tedesca; un album che ebbe una grande influenza in tutta Europa (ed il suo anno di pubblicazione, il 1968, la dice tutta).
L'album inizia con il grido di Die hab' ich satt! („Mi sono rotto“), scritta alcuni anni prima, nel 1963. La canzone si rivolge a tutti i diversi tipi di persone deboli e vigliacche che sostengono un sistema ingiusto: le „donne che mi accarezzano fredde“, i „falsi amici che mi adulano e che dagli altri si aspettano coraggio mentre loro se la fanno addosso”, la “tribù di burocrati che si mette a ballare con zelo sulla schiena della gente”, gli “insegnanti flagello dei giovani”, i “poeti che si fanno le seghe a poetare sulla patria perduta”, e così via. Si tratta di uno dei commenti più originali e duri sulla Germania Est degli anni '60, ma negli anni della contestazione fu presa come una protesta dal valore universale, cosa del tutto naturale. Das Barlach-Lied (“La canzone di Barlach”) descrive la delusione che aspetta ogni artista non conformista sotto ogni regime oppressivo; si tratta di una canzone poetica che si serve della figura dello scultore Ernst Barlach, perseguitato dai nazisti, per stabilire un contatto con il presente. La vena ironica e sarcastica di Biermann diviene feroce nei tre brani successivi: in Deutschland: Ein Wintermärchen (“Germania: una fiaba invernale"), un testo recitato in diretto riferimento al poemetto di Heinrich Heine, Biermann chiama la Germania il “grasso culone del mondo” (gioco di parole sull'espressione Arsch der Welt, alla lettera “culo del mondo” ma che, come l'espressione italiana “in culo al mondo” significa lontana da ogni cosa, in mezzo al nulla), e Berlino il suo “buco diviso con peli di filo spinato”. Nella Ballade auf den Dichter François Villon (“Ballata sul poeta François Villon”), che inframezza il recitativo, Biermann fa girare il suo alter ego sotto al muro di Berlino per dare noia ai Vopos. Wie eingepfercht in Kerkermauern (“Come murato in galera”) descrive la reclusione domestica e l'esilio interno a Berlino: una canzone particolarmente amara e triste. Nella canzone successiva, Zwischenlied (“Interludio”), Biermann dichiara che, nonostante qualche canzone venata di tristezza, non si sente disperato in questi “tempi belli e commoventi” e, come se volesse rafforzare tale visione, Biermann canta Frühling auf dem Mont Klamott (“Primavera sul monte Klamott”). Da tenere presente, però, che il cosiddetto “Monte Klamott”, nel mezzo di Berlino, è un'altura che è stata formando ammassando l'enorme quantità di macerie della città distrutta dopo la II Guerra mondiale (sull'altura è stato poi costruito un parco). Nel Moritat auf Biermann seine Oma Meume in Hamburg (“Moritat su nonna Meume Biermann di Amburgo”) e nel Großes Gebet der alten Kommunistin Oma Meume in Hamburg (“Orazione di nonna Meume, vecchia comunista di Amburgo”), Biermann parla delle sue radici e di come da esse sia stato influenzato; la seconda delle due canzoni presenta l'indimenticabile immagine della vecchia nonna che prega Dio perché faccia vincere il comunismo. Il brano finale dell'album, So soll es sein - So wird es sein (“Così dev'essere, così sarà”), è come una sorta di testamento dell'allora trentunenne Biermann.
Nonna Meume
di Riccardo Venturi
Con questa canzone facciamo la conoscenza di una delle nonne più famose della canzone d'autore, non solo di quella tedesca: nonna Meume Biermann. La conosciamo in una canzone in forma di Moritat, la “ballata di strada” tedesca (il nome deriva da Mordtat “delitto, fatto di sangue”) resa famosa da Bertolt Brecht (come nel Moritat di Mackie Messer dell' Opera da Tre Soldi), e non è certo un caso. Ma sarà bene dire due parole sulla famiglia Biermann, alla quale Wolf, il “nipote preferito” di nonna Meume, dedica nell'album Chausseestraße 131 due storiche canzoni. Questa è la prima, la seconda (che è ancora più famosa) la vedrete fra un po'. Wolf Biermann, nato a Amburgo nel 1936, è figlio di Dagobert Biermann, ebreo, operaio nei cantieri navali e comunista facente parte della resistenza organizzata al nazismo. Forse la cosa potrà apparire strana, ma la resistenza al nazismo in Germania non è stata soltanto la romantica “Rosa Bianca” degli studenti di buona famiglia; ve lo spiegherò meglio con una fotografia.
E' stata scattata proprio nei cantieri navali di Amburgo, dove lavorava Dagobert Biermann, nello stesso 1936 in cui nacque Wolf. Ritrae un operaio, August Landmesser, comunista, che durante il varo di una nave rimane ostentatamente a braccia conserte mentre tutti gli altri fanno il saluto nazista. August Landmesser era già stato condannato a due anni di lavori forzati per la sua attività e per aver sposato una donna ebrea; Dagobert Biermann era ebreo lui stesso e, essendo comunista, si può dire che gli mancasse soltanto di essere negro. Si ignora la sorte di August Landmesser, l'operaio che dice “no” nella foto; una sua figlia, che non ne aveva saputo più niente, lo riconobbe nel 1991 in quella foto. Probabilmente la sua sorte non deve essere stata diversa da quella del padre di Wolf Biermann, che fu arrestato e deportato; fu ucciso a Auschwitz nel 1943, ma prima di allora era riuscito a sabotare alcune navi della Kriegsmarine nazista. Nello stesso anno 1943, la città di Amburgo fu sottoposta a rovinosi bombardamenti alleati, ai quali sopravvissero sia il piccolo Wolf che sua madre Emma; sotto uno di questi bombardamenti, mentre il quartiere di Hammerbrook andava in fiamme, la madre salvò il figlio buttandosi con lui nel Nordkanal. Tutte cose da considerare nella storia di Wolf Biermann, anche se oggi, per le sue più recenti “prese di posizione”, non sta generalmente molto simpatico.
Ma qui siamo una generazione ancora indietro, quella di Nonna Meume. Considerato che la canzone di Wolf Biermann è del '67/'68, e che nel primo verso della canzone si dice che la nonna era appena nata ottantotto anni prima, si deve risalire a circa il 1880 e gettarsi in una famiglia operaia di quegli anni. Figurarsi il nonno, capomacchina in una fabbrica e salariato settimanale, che perde una mano tranciata da chissà quale macchinario, mentre la moglie, ammalata di tubercolosi, muore nel dare alla luce la bambina. Le storie che Wolf Biermann deve aver sentito in famiglia ancor prima di fabbricarsi la sua, di storia (che già non è roba di tutti i giorni) sono un vero e proprio affresco delle condizioni della Arbeiterklasse tedesca tra rivoluzioni e repressioni, alcool e malattie, lotte e speranze di riscossa. Bisogna immaginarsela davvero, nonna Meume, mentre racconta di come sia sopravvissuta, appena nata, alla disperazione di suo padre: è la storia di questa canzone. Il lavoro perso assieme alla mutilazione, la moglie morta, una bimba piccola e la voglia di farla finita con quella “vermiciattola sventurata” (il termine tedesco Unglückswurm è intraducibile, da “sventuratella” a “bacherozzolo del malaugurio”); e così, un giorno, il padre costruisce una specie di malferma torre con le povere cose di cucina sistemandoci in cima la culla con la piccola per farla precipitare e rompersi l'osso del collo, per andare poi a ammazzarsi d'assenzio in un bordello con gli ultimi soldi rimasti. Da qui il ricorso al Moritat, la ballata di “fatti e fattacci” da stampare su un volantino e vendere a un centesimo all'angolo della strada; solo che nonna Meume era tranquilla. O forse, aveva voglia di viversi una vita di merda e di stenti, ma pur sempre una vita. Il padre torna a casa e la vede che dorme calma nella sua culla, in cima all'ambaradan che la doveva ammazzare; e giura, piangendo e mangiandosela di baci, di non bere mai più. Così nonna Meume, passando attraverso due guerre, un terzo Reich e il suo comunismo ferreo, arriva a ottantotto anni per farsi visitare da un qualche amico del “nipote preferito”, offrendogli panini imburrati e caffè che costa un occhio della testa. Mentre il nipote se ne sta confinato in un appartamento della Chausseestraße 131, a Berlino, con François Villon nell'armadio, un'apparecchiatura di fortuna, il divieto di qualsiasi cosa e un bel Muro che divide tutto e tutti dalla propria storia. E sembra di risentire i versi di Raoul Vaneigem: Parti des rouges, parti des gris, nos révolutions sont trahies.