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Lingua: Siciliano


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Vitti na crozza cantata nel film Il cammino della speranza di Pietro Germi 1950


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dbbATTENZIONE / WARNING

Sull'attribuzione di questa canzone è in corso una discussione. In base ai suoi risultati attuali è stato deciso di attribuirla ad Autori Vari, salvaguardando così sia la sua natura di canzone popolare, sia gli interventi autorali che vi sono stati effettuati. A tale riguardo si prega di consultare tutta la discussione nei commenti. La pagina è comunque costantemente in aggiornamento e potrà subire modifiche, anche sostanziali, in caso di notizie e dati incontrovertibili. [CCG/AWS Staff]


Strofe popolari siciliane
Trascrizione musicale e arrangiamento di Franco Li Causi [1950]
Prima incisione su disco di Michelangelo Verso [1951]

Michelangelo Verso.
Michelangelo Verso.


Franco Li Causi.
Franco Li Causi.
Purtroppo pochi sanno che Vitti 'na crozza e' stata registrata per la prima volta su dischi Cetra nel 1951 dal tenore Michelangelo Verso, che fu un successo e che l'autore non e' anonimo ma che era Franco Li Causi di Agrigento [*in realtà di Porto Empedocle, v. biografia] che l'aveva composta per il film di Pietro Germi, "Il cammino della speranza" nel 1950.
La versione originale di Vitti 'na crozza come e' cantata da Michelangelo Verso e come e' stata composta da Li Causi, non includeva mai quel "lalalalero lalero lalero lalero lalero lalero lala".

Chi vuole informazioni sul tenore Michelangelo Verso e la sua biografia, discografia ecc., puo visitare il sito a lui dedicato: www.geocities.com/miverso
(Michelangelo Verso Jr.)

Ringraziamo ovviamente Michelangelo Verso Jr. per questa preziosissima informazione contenente le notizie biografiche sull'autore. [Riccardo Venturi]


Una delle più famose canzoni popolari italiane, interpretata, tra gli altri, da Domenico Modugno, da Rosa Balistreri...nonché parte della colonna sonora del famoso film Il cammino della speranza di Pietro Germi, con Saro Urzì, Raf Vallone e Elena Varzi (1950). Ma perché nelle CCG? C'entra il "cannuni", come chiarito in un post al newsgroup it.fan.musica.de-andre del 15 dicembre 2001:

Sul canale irc, ieri sera, è arrivato un certo maurizio da Roma (nickname "Geordie"). Il discorso è andato a finire sulla canzone popolare. Così è successo che mi tornasse in mente il fatto che una nota canzone siciliana, "Vitti 'na crozza", viene di solito tradotta in modo errato. E ritengo, fra l'altro, che la "vera" traduzione della stessa abbia qualche attinenza con la storia che viene narrata nella ballata "Geordie".

Cominciamo dal "cannuni". Il cannone, la grande canna. Così si chiamavano quasi dovunque, in Sicilia, sia le torri dei castelli che quelle di guardia: solo che, distrutti castelli a torri, in certi paesi, la parola è rimasta ad evocare una mitica arma da fuoco puntata a minaccia, sull'altura dove invece era il castello. Al cannone-torre si riferisce il verso "vitti 'na crozza supra lu cannuni", che, a chi non sa, fa piuttosto pensare ad un cannone (arma da fuoco) decorato del piratesco emblema di un teschio. E invece si tratta del teschio di un giustiziato. Nelle giustizie feudali - anche in Sicilia - si usava attaccare la testa dell'uomo, su cui era stata eseguita sentenza di morte, alla torre del castello; e, se si trattava di un qualche brigante che aveva terrorizzato anche le terre vicine, i "quarti" (di uomo, non di bue) alle porte del paese.

Visto che siamo a spendere...spendiamo anche due parole su "crozza". Di "crozza" esiste anche una personalizzazione, in Sicilia. Prende il nome di "Viciu Crozza", traducibile in "Vincenzo Teschio". Ed è il nome e il cognome della "morte". Non la morte che viene per prendere, bensì quella che appare per ammonire.

"Cu nun diuna lu venniri di marzu
ci agghiorna viciu crozza a lu capizzi"

(chi non digiuna nei venerdì di marzo/ si troverà al mattino con la morte al capezzale).

In quanto a Viciu Crozza, è probabile che abbia origine da qualche immagine di San Vincenzo con accanto un teschio.
Finisco, aggiungendo solo che il distico ammonitore si usava recitarlo in special modo ai bambini. Come "imago mortis"!


Leggi anche Vitti na crozza: storia di una canzone di Francesco Giuffrida.
Vitti na crozza supra lu cannuni
fui curiuso e ci vossi spiare
idda m'arrispunniu cu gran duluri
murivi senza un tocco di campani

[la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la]*

Si nni eru si nni eru li me anni
si nni eru si nni eru un sacciu unni
ora ca sugnu vecchio di ottant'anni
chiamu la morti i idda m arrispunni

[la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la]*

Cunzatimi cunzatimi lu me letto
ca di li vermi su manciatu tuttu
si nun lu scuntu cca lume peccatu
lu scuntu allautra vita a chiantu ruttu

[la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la]*

C'è nu giardinu ammezu di lu mari
tuttu ntessutu di aranci e ciuri
tutti l'acceddi cci vannu a cantari
puru i sireni cci fannu all'amuri

[la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la
la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la
la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la]*
NOTA

* Come specificato opportunamente da Michelangelo Verso Jr., il "la la lero" non esisteva nella versione originale della canzone scritta da Franco Li Causi e interpretata dal tenore Michelangelo Verso.

inviata da Riccardo Venturi - 9/8/2006 - 15:54




Lingua: Italiano

Versione italiana, da questa pagina
VIDI UN TESCHIO

Vidi un teschio sopra la torre
Ero curioso e volli domandargli
Lui mi rispose con gran dolore
Sono morto senza rintocchi di campane

Sono andati, sono andati i miei anni
Sono andati, sono andati, non so dove
Ora che sono vecchio di tanti anni
Chiamo la morte e questa mi risponde

Preparatemi, preparatemi il letto
Che già i vermi mi hanno mangiato tutto
Se non lo sconto qui, il mio peccato
Lo sconterò nell'altra vita, a sangue rotto

C'è un giardino in mezzo al mare
Pieno di fiori, di arance e di fiori
Tutti gli uccelli vanno lì a cantare
Anche i pesci vi fanno l'amore

10/8/2006 - 10:52


A proposito del massacro fatto a Bronte dai garibaldini nel 1860...

«Sui fatti di Bronte dell'estate 1860, sulla verità dei fatti, gravò la testimonianza della letteratura garibaldina e il complice silenzio di una storiografia che s'avvolgeva nel mito di Garibaldi, dei Mille, del popolo siciliano liberato: finché uno studioso di Bronte, il professor Benedetto Radice, non pubblicò nell'Archivio Storico per la Sicilia Orientale (anno VII, fascicolo I, 1910) una monografia intitolata Nino Bixio a Bronte; e già, a dar ragione delle cause remote della rivolta, aveva pubblicato (1906, Archivio Storico Siciliano) il saggio Bronte nella rivoluzione del 1820. E non è che non si sapesse dell'ingiustizia e della ferocia che contrassegnarono la repressione: ma era come una specie di «scheletro nell' armadio»; tutti sapevano che c'era, solo che non bisognava parlarne: per prudenza, per delicatezza, perché i panni sporchi, non che lavarsi in famiglia, non si lavano addirittura.»
(Leonardo Sciascia, "Nino Bixio a Bronte", 1963)

"[...] Il carbonaio, mentre tornavano a mettergli le manette, balbettava:
- Dove mi conducete? - In galera? - O perché? Se non ho avuto nemmeno un palmo di terra! … Se avevano detto che c'era la libertà! ..."
(Giovanni Verga, "Libertà", da "Novelle Rusticane", 1883)

da Bronte insieme

Alessandro - 9/8/2006 - 23:20


Questa e' una delle prove che la storia la scrivono i vincitori . Questa e' una delle pagine dell "eroico" risorgimento che i miei libri di storia non narravano.
Credevo che eravamo solo noi reazionari a contestare la versione ufficiale e i suoi stereotipi.

Questo è un sito che per definizione contesta le versioni ufficiali e i suoi stereotipi. Mi sembra oltremodo chiaro. [RV]

Willy - 11/8/2006 - 20:16


Francesco Senia, in un intervento sul suo blog, riprende il tema di "Vitti na crozza". In parte è identico al suo precedente post riportato nell'introduzione, ma è ampliato con alcune interessanti notizie e fornisce anche un'importante precisazione testuale che abbiamo accolto senz'altro.

Un bel disco "Sicily" di Carlo Muratori . Ben fatto, ben cantato, ben confezionato con quel merletto che occupa quasi metà della copertina. E un bel libretto, con i testi siciliani tradotti in inglese, oltre che in italiano. C'è anche il celeberrimo "Vitti 'na Crozza".

Già, "...vitti 'na crozza supra 'nu cannuni.....". Tradotto come "Ho visto un teschio su un cannone". Un cannone?....ma no, dai!
Il cannone, la grande canna. Così si chiamavano quasi dovunque, in sicilia, sia le torri dei castelli che quelle di guardia: solo che, distrutti castelli a torri, in certi paesi, la parola è rimasta ad evocare una mitica arma da fuoco puntata a minaccia, sull'altura dove invece era il castello.

Al cannone-torre ci si riferisce nel verso "vitti 'na crozza supra LU ( e non "''nu") cannuni", che, a chi non sa, fa piuttosto pensare ad un cannone (arma da fuoco) decorato del piratesco emblema di un teschio. E invece si tratta del teschio di un giustiziato.

Nelle giustizie feudali - anche in Sicilia - si usava attaccare la testa dell'uomo, su cui era stata eseguita sentenza di morte, alla torre del castello; e, se si trattava di un qualche brigante che aveva terrorizzato anche le terre vicine, i "quarti" (di uomo, non di bue) alle porte del paese.

...spendiamo anche due parole su "crozza". Di "crozza" esiste anche una personalizzazione, in Sicilia. Prende il nome di "Viciu Crozza", traducibile in "Vincenzo Teschio". Ed è il nome ed il cognome della "morte". Non la morte che viene per prendere, bensì quella che appare per ammonire.

"Cu nun diuna lu venniri di marzu
ci agghiorna viciu crozza a lu capizzi"
(chi non digiuna nei venerdì di marzo/
si troverà al mattino con la morte al capezzale).

In quanto a Viciu Crozza, è probabile che abbia origine da qualche immagine di san Vincenzo con accanto un teschio.
Finisco, aggiungendo solo che il distico ammonitore si usava recitarlo in special modo ai bambini. Come "imago mortis"!

Riccardo Venturi - 26/8/2006 - 01:55


La pagina è stata totalmente ristrutturata e riattribuita grazie alle informazioni provenute da Michelangelo Verso Jr. Cogliamo ancora una volta l'occasione per ringraziarlo.

Riccardo Venturi - 1/2/2007 - 11:20


Cancellate immediatamente il nome di Franco Licausi accanto al titolo della canzone "vitti una crozza", questa canzone viene cantatata da tempi immemorabili in sicilia, ciò mi è stato riferito dalla mia bisnonna morta cinque anni fa alla venerabile età di 96 anni, mi raccontava che fin da bambina già suo padre gli canticchiava questa canzone, Licausi non è di certo l'autore ne il musichiere del brano, l'autore rimarrà per sempre anonimo, pace all'anima sua.

(Antonio)

La vicenda, qui, sta assumendo quasi i contorni di un giallo. Prendiamo ovviamente atto della cosa, ripromettendoci di compiere a questo punto delle ricerche approfondite. Naturalmente saranno i benvenuti anche altri contributi al riguardo. Per ora la canzone rimane attribuita a Franco Li Causi; se, in seguito, tale attribuzione si rivelerà inequivocabilmente errata, sarà tolta. [RV]


È una situazione analoga a Brigante se more, per quella però penso che sia davvero un caso di "invenzione della tradizione" [LM]

4/2/2007 - 16:59


Salve,

girando in rete alla ricerca delle origini di "Vitti 'na Crozza" ho trovato questo:


Vitti 'na crozza-: un anziano minatore di Favara recitò al regista Pietro Germi i versi che divennero popolari in tutto il mondo.

Vitti 'na crozza supra nu cannuni / fui curiusu e ci vosi spiari / idda m'arrispunniu cu gran duluri / Sinni eru sinni eru li me anni / sinni eru sinni eru e un sacciu / unni ora ca su arrivati a ottant'anni / u vivu chiama e u murtu unn'arrispunni.

Nel film "Il cammino della speranza" di Pietro Germi questa canzone fu utilizzata come colonna sonora attribuendogli una generica potestà popolare. In realtà il motivo, riprodotto in migliaia di dischi e riproposto non si sa quante volte in televisione, alla radio, negli spettacoli popolari e in piazza, ha un autore. Si chiama Franco Li Causi, direttore di una piccola orchestra agrigentina e solista di chitarra. Questi racconta che nel 1950 il regista Pietro Germi gli chiese se, nel suo repertorio di canzoni siciliane, ci fosse un motivo "allegro-tragico-sentimentale" da inserire in un film sugli emigrati siciliani. Le composizioni del musicista però non piacquero al regista che, comunque, invitò il maestro sul set a Favara. In quell’occasione un anziano minatore, Giuseppe Cibardo Bisaccia, recitò al regista un brano poetico che conosceva a memoria e Germi chiese a Li Causi di musicare quei versi. Ma questa paternità non gli sarà riconosciuta nonostante il maestro agrigentino avesse inviato subito la composizione in deposito SIAE. Così molti sono stati i cantanti, i musicisti, le case discografiche che hanno utilizzato la musica di "Vitti 'na crozza" o appropriandosene tout court o attribuendola ad un'equivoca tradizione popolare. L'autore di uno dei più popolari motivi siciliani, dunque, è stato per tanti anni un artista indifeso, che ha strenuamente combattuto per far valere i suoi diritti di unico ed indiscutibile autore della musica, avendo come unici alleati i suoi concittadini che hanno testimoniato a suo favore affinché gli fossero riconosciuti tutti i diritti morali ed economici.[1]

[1] Gabriello Montemagno, VITTI 'NA CROZZA, Sicilia n° 83, Omaggio dell'Assessorato Tursimo, comunicazione e trasporti della Regione Siciliana.
(Pierluigi Monaco)

Ovviamente grazie a Pierluigi Monaco per questa informazione che permette davvero di cominciare a delineare i contorni della paternità di questa canzone. [RV]

5/2/2007 - 21:23


Egregio sig. Monaco, se può interessarle io sono proprio di Favara, e se mi sono permesso di sollevare la questione sulla paternità della canzone "Vitti na crozza", e proprio perchè fin da bambino ho ascoltato molti racconti di parenti e non, fra i quali mio padre che hanno assistito personalmente alle riprese del film in questione. Mio padre stesso ha conosciuto il sig. Li Causi, e quando gli ho riferito che "Vitti una crozza" era stata scritta da lui si è messo a ridere, dicendomi testuali parole: "Caro figlio tu non ti immagini nemmeno da quanto tempo questa canzone viene cantata!!", trovando poi conferma nelle parole della mia bisnonna morta 5 anni fa all'età di 96 anni. Ora chi sono questi miei paesani che sostengono che "Vitti na crozza" è stata scritta da Li Causi? Sicuramente saranno i suoi stessi parenti!! ;-).



(Antonio)

Mi intrometto ancora in questa interessantissima discussione per raccomandare gentilmente a chiunque intervenga di astenersi possibilmente da commenti...eccessivamente ironici su chi, come ad esempio Franco Li Causi, non può purtroppo più dire la sua in quanto passato a miglior vita da tempo. La questione dell'attribuzione di una canzone come questa è senz'altro complessa; sull'origine popolare del testo non sembrano sussistere dubbi, e la questione riguarda probabilmente soltanto la melodia. L'idea che mi sto formando, è che Li Causi possa almeno aver eseguito l'arrangiamento con il quale la canzone è nota, senza ovviamente poter escludere altre possibilità; del resto, non sarebbe certo il primo caso in cui una canzone popolare viene "limata" da interventi esterni. È possibile che andremo tra non molto ad inserire la canzone nella ristrettissima attribuzione ad "Autori Vari" (per ora solo due canzoni, Guantanamera e La ballata del Pinelli [Ballata dell'anarchico Pinelli, o Il feroce questore Guida], ne fanno parte) cercando così di salvaguardare tutte le campane. Per ora resta provvisoriamente l'attribuzione a Li Causi in attesa che la discussione si sviluppi ancora, però con un'apposita avvertenza. [Riccardo Venturi]

12/2/2007 - 00:20


Hai perfettamente ragione! chiedo a tutti di accettare le mie scuse.
(Antonio)

Davvero nessuno problema, Antonio: il mio era soltanto un pacato richiamo, con l'augurio che questa discussione possa continuare e dare dei risultati tangibili. Direi che questa canzone, ed anche tutti coloro che a vari titoli vi hanno messo le mani, lo meritano senz'altro. Saluti cordiali da RV.

16/2/2007 - 15:05


Mi permetto di inserimi nella diatriba sulla paternità di "Vitti na crozza", anche se non sono siciliano, ma nato a Napoli e di origine ligure da parte della nonna materna.
Vi parlo per l'esperienza acquisita nello studio delle Ballate, Cantari, ecc. popolari spesso di anonimo.
Accade spesso che un musicista trascriva lo sparito di una canzone popolare, tramandata oralmente dal popolo: E' il caso del musicista DE MEGLIO,vissuto a Napoli nella prima metà dell'800, che ha trascritto tante musiche popolari, come "Mariannì", "Oilì oilà", Michellemmà" ed altre.
Lo stesso è avvenuto per "Vitti na crozza",abbiamo una ballata popolare, tragica o di memoria antica, ed un DE MEGLIO che la trascrive, in questo caso è il maestro LI CAUSI che la attinge da uno zolfaro di Girgenti.
Questa è la mia ipotesi, a voi il giudizio, che gradirei conoscere, qualsiasi sia.
Aggiungo una considerazione: perchè un canto di dolore di matrice popolare è diventata una marcetta ed, in seguito, un Inno Regionale? Ha perso tutto il suo fascino di un dramma antico ed ancora attuale, chi lo canta comprende anche il significato delle parole? Credo di no!
"Vitti na Crozza" ha fatto la stessa fine di "O Surdato nnammurato" un addio di chi va a morire, per una patria impostagli dalla Storia, non potrà mai essere una marcetta per andare a zonzo in allegria, battendo le mani come si accompagnava un condannato politico alla forca.
Cordialmente, Bafurno
(Salvatore Bafurno)

Sono fondamentalmente anch'io d'accordo con questa interpretazione fornita da Salvatore Bafurno; ma mi riservo di ampliare maggiormente la cosa in un intervento apposito che non sarà certamente scarno come queste poche righe. [Riccardo Venturi]

11/6/2007 - 21:54


Riporto queste precisazioni da wikipedia in siciliano:

Certi versi foru misi sulu dopu l'anni '60, quannu stu cantu di morti fu dipositatu a s.i.a.e. comu n'allegra polca cu carattirìsticu riturnellu chi però non havi pricidenti ntê virsioni cchiù tradizziunali.

Li virsioni cchiù famusi sunnu chidda di Rosa Balistreri (senza lu "riturnellu", ntrodottu sulu 'n picca virsioni), chidda sulu tambureddu e dui vuci di Alfio Antico e, chidda 'n modu minuri e cchiù attinenti ô testu, di Carlo Muratori.

Lorenzo Masetti - 12/6/2007 - 12:23


Vorrei completare la mia considerazione del 11/6/2007, di cui prego di correggere la parola "sparito" in "spartito", ovviamente, scusandomi del lapsus machinae.
Premetto che capisco, ma non conosco la lingua Siciliana,nè mi interessa studiarla,almeno oggi. Dico "lingua",non "dialetto", parola Sabauda ancora usata dagli epigoni, anche ben pagati, dei Savoia.
Del Resto parlare di "Lingua Siciliana" non è esatto, perchè vi sono almeno sette varianti, che possono classificarsi "Lingua" di cui l'Agrigentina, oggetto della tesi di Laurea di Luigi Pirandello all'Università di Bonn.
Il Maestro LI CAUSI ha trascritto la ballata "Vitti na Crozza" come l'ha sentita dal minatore citato in link precedenti, ma è la versione di Girgenti.
Sarebbe interessante trovare le altre versioni, pulite, ossia scremate dagli interventi di "esperti" o cantanti. Succede, infatti, nelle canzoni che la simbiosi testo e musica abbia due destini diversi. Il testo resta intatto, come un'opera di pittura o scultura, salvo vandalismi, ma la melodia, la musica, si alteri per interpretazioni di "esperti" o "cantanti" anche estranei alla lingua o la cultura in cui la ballata o canzone è nata, come avviene per i capolavori di architettura.
"Vitti na Crozza" ha subito questa sorte.
Poiche penso che essa appartenga alla storia dei popoli dell'Italia, come argomento,mi permetto di suggerire:
Chi è in grado di farlo, ricerchi e produca la versione conosciuta nella sua Zona. Si confronteranno le versioni trovate e si potrà ricostruire parte della storia dei popoli della Sicilia. Qualcosa sto facendo per le Lingue Osca-napoletana e Ligure,e si scopre la vera storia, quella scritta dal popolo,ignorato dagli storiografi, e si comprende le ragioni dei comportamenti odierni, perchè il popolo si esprime nelle Ballate e Cantari spesso anonime, per ovvi motivi.
Cordialmente saluto, Bafurno

Salvatore Bafurno - 13/6/2007 - 20:37


Il bel blog L'angolo del Clown - Una risata su Palermo e dintorni ha ripreso per un suo articolo delle informazioni presenti in questa pagina. Ringraziando il titolare del blog per l'attenzione, ne riprendo questa (credo rara) foto del disco originale Cetra di "Vitti na crozza" dalla cui etichetta risultano informazioni interessanti (come ad esempio Franco Li Causi autore della trascrizione e l'esecuzione del tenore Michelangelo (qui Michele) Verso.

cetracrozza

Riccardo Venturi - 7/8/2007 - 21:50


Salve a tutti,
mi sto occupando in questo periodo di sapere qualcosa in più su questa canzone stupenda, sul significato e sulle origini. Devo dire che siete eccellentemente esaustivi.
L'interesse in me lo ha suscitato il gruppo di canzoni popolari "MATTANZA" di Reggio Calabria, il quale esegue una versione "vitti na crozza" di altissima qualità artistica, ripulendo inoltre il pezzo dal ritornello "tirullallero ecc". Vi invito vivamente a fornirvi di questa versione e non ve ne pentirete davvero.
Per quanto riguarda le origini e la paternità mi sento di poter dire, alla luce delle testimonianze da parte delle persone più anziane, di essere in piena sintonia con Bafurno ed in più aggiungo che, secondo me, Li Causi ha attribuito degli accordi ad una melodia. In pratica ha armonizzato una melodia preesistente su una poesia preesistente.
Pasquale Mercuri

pasquale - 7/10/2007 - 02:03


ho scaricato diverse versioni della canzone, vorrei ricordare che la prima versione fu cantata dal tenore MIchelangelo Verso senza il refrain trallaleru trallallà.

Vitti na crozza

Giacomino ARGENTO - 14/10/2007 - 03:02


Comunicazione CCG Staff

Da oggi (15.10.2007), stanti i risultati della discussione svoltasi su questa pagina per oltre un anno, è stato deciso di cambiare l'attribuzione della canzone e di riportarla a "Autori Vari" (si veda l'introduzione) per salvaguardare sia la natura popolare della canzone, sia gli interventi autorali su di essa. Naturalmente la discussione può liberamente proseguire in attesa di nuovi elementi che possano contribuire a fare maggiore luce sulla sua reale origine e storia. [RV]

CCG/AWS Staff - 15/10/2007 - 10:16


Io sono una ragazza di 14 anni, mi chiamo Elvira, sono di origini favaresi ma abito a Parma. Volevo dire che la canzone è ovviamente meravigliosa ma la traduzione non è del tutto corretta.

Carissima Elvira, cosa non mi vai a ricordare! Era di Favara, provincia di Agrigento, la mia professoressa di matematica del liceo, la celeberrima Filippina Bosco, ma pensa un po' tu! :-PP

Con questo, se ritieni che la traduzione presentata in questa pagina debba essere corretta, ti invitiamo a segnalarci i punti dove a tuo parere ci sarebbe da intervenire, oppure a prepararne una ex novo tu stessa, che ti sarebbe senz'altro pubblicata.

PS. Ci perdonerai se abbiamo riportato nella grafia italiana corrente il tuo messaggio che abbiamo dovuto prima tradurre dalla lingua messagginese. Guarda di non scrivere a quel modo l'eventuale traduzione di questa canzone! :-PP [RV]

10/12/2007 - 19:53


perdonatemi se ho scritto abbreviato ma ormai è l'abitudine.Comunque non volevo dire che la traduzione è SBAGLIATA,ma che ci sono alcune parole tradotte diversamente da come una volta mi dissero i miei nonni che hanno cantato questa canzone per tanti anni.

11/12/2007 - 17:57


Tranquilla, Elvira, davvero non c'è nessun problema; però davvero dovresti dirci quale sono queste parole che i tuoi nonni ti avevano insegnato diversamente; la cosa è molto interessante e sicuramente ci fa piacere poterla avere! Ancora tanti cari saluti da parte di tutto il sito :-)

CCG/AWS Staff - 11/12/2007 - 18:20


Praticamente una volta avevo chiesto ai miei nonni cosa avesse di così importante questa canzone loro mi risposero che era cantata da tutti i minatori della miniera ciavolotta, io ho trovato delle diversità nella vostra traduzione per esempio la frase "vitti na crozza supra lu cannuni" io sapevo che significasse uno scheletro sopra il cannone, oppure "chiamu la morti e idda m'arrispunni" chiamo la morte e lei mi risponde. Ma comunque sia non voglio annoiarvi con le mie considerazioni. Tanti saluti ELVIRA!

11/12/2007 - 19:46


Oh, non solo non ci annoi affatto con le tue considerazioni, ma ci fanno davvero un grande piacere. Insomma, per dirti, trovare una ragazza di quattordici anni che si interessa a queste cose e che magari sacrifica anche cinque minuti del suo tempo per scriverci, la riteniamo una cosa molto bella.

La storia del "teschio sopra il cannone" è di solito l'intepretazione che si dà di quel verso, ma sicuramente avrai letto l'introduzione alla canzone dove la cosa viene spiegata da un siciliano, Francesco Senia, con le sue considerazioni. Insomma, che ci farebbe un "teschio sopra il cannone"? Ciononostante, è bene tenere conto di tutte le interpretazioni.

Il significato di "cannuni" come "torre" o "torre di guardia di un maniero", devi sapere, è molto antico e forse non più molto comune; lo si trova in dizionari siciliani antichi, sebbene l'accezione della parola sia ancora conosciuta. Ho sottomano il dizionario siciliano di un famoso studioso, Giuseppe Pitrè, dove la cosa viene riportata esattamente; ma probabilmente, già nel linguaggio dei tuoi nonni la cosa si era un po' persa e interpretavano "cannuni" nel suo senso comune, ovvero quello di "cannone".

A risentirci prestissimo...e se ci permetti vorremmo ringraziarti davvero di cuore.

CCG/AWS Staff - 12/12/2007 - 00:11


volevo chiedere un'ultima cosa a tutto il sito: come mai tutto questo interesse per questa canzone?

C'è spiegato tutto nell'introduzione, diremmo [CCG/AWS Staff]

12/12/2007 - 17:42


Ho letto con interesse gli interventi di Elvira da Parma, nonchè la domanda: perchè questa canzone interessa tanto?
A mio modesto parere, la canzone interessa per due motivi:
- E'un documento storico scritto dal popolo che subisce gli eventi, quindi utile per capire la storia e riscriverla ignorando la storia ufficiale scritta dai vincitori. In pratica questa ballata popolare dimostra che la Sicilia è stata sempre "liberata" da chi l'ha conquistata, ma il popolo, la povera gente, ha solo cambiato il padrone per cui sgobbare (ricordate il 1860 e Bronte!). Parlo della Sicilia a causa della canzone, ma altrove è avvenuta la stessa cosa, basta cercare per trovare canzoni simili.
- E'una valida testimonianza di come si dimentica la storia patria in uno stato unitario la cui cultura ufficiale è impostata sull'annullamento delle realtà precedenti.
Infatti la canzone dei solfari e dei braccianti è diventata una marcetta ballabile non adatta al testo, anzi.... e la colpa non è del Li Causi bensì di chi ha contribuito alla denaturalizzazione della canzone, guardacaso, estranei alla Regione in cui essa è nata e che l'ha adottata ad suo inno ufficiale nella versione trasformata.
Sono curioso di sentire il parere di Pirandello, di cui sono un appassionato anmmiratore.
Saluti a tutti - Bafurno

Bafurno Salvatore - 29/12/2007 - 22:21


ciao, sono francesco da petrosino..
posso unirmi a voi nella ricerca dell'autore perduto???

francesco ct - 11/2/2008 - 03:32


scusate l'intrusione.. sono Peppy Maniglia di Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento.. Sono un chitarrista classico e conosco molto bene il figlio di Franco Li Causi.. desideravo semplicemente dire che l'arrangiamento originale della canzone, non solo non comprendeva "la lalla lleru", ma era anche suonata in minore, non come la si sente adesso in maggiore.. grazie..

giuseppe maniglia - 1/3/2008 - 21:50


Scusatemi, sono Peppy Maniglia di Palma di Montechiaro (AG).. Come precedentemente vi ho scritto, sono un chitarrista classico latin-jazz.. Desideravo comunicarvi che sono molto amico di CICCIO LI CAUSI, figlio di FRANCO LI CASUSI.. Desideravo mettervi al corrente che Franco Li Causi non dormiva neanche una notte per scrivere i testi di VITTI NA CROZZA e quando lui riusciva a mettere giù qualche frase della canzone, registrava il tutto su "bobina L-R"..Con Ciccio siamo molto amici e abbiamo eseguti numeosissimi concerti.. Egli è un ottimo mudicista.. Pensate che ho tanta confidenza con lui che lo chiamo "BELLINI", poichè il padre sosteneva scherzosamente che Ciccio è stato concepito a Catania dopo uno spettacolo in onore di Vincenzo Bellini.. Attualmente sono in tour a Tenerife, ma appena rientrerò ad Agrigento vi metterò immediatamente in contatto con Ciccio Li Causi, così potrete avere delle iformazioni importanti.. Grazie, cordiali saluti, Peppy Maniglia.

giuseppe maniglia - 15/3/2008 - 21:21


salve a tutti io sono Franco Li Causi Figlio ed erede del COMPOSITORE unico e assoluto di Vitti na crozza.
Che nessuno si azzardi più a dire che vitti na crozza non è
di Franco Li Causi perche io ho un modulo originale del deposito del 1950
quindi per ora vi chiedo molto gentilmente di non insinuare il falso
non vorei incaz...... e fare scattare delle denunce a tutti quelli che sostengono il contrario senza essere per niente documentati.
grazie a priore .
Franco Li causi detto Bellini . Da Agrigento
(Franco Li Causi)

Caro Franco, non mi sembra il caso di scaldarsi così tanto né di denunciare nessuno. Stiamo solo cercando di delineare l'origine della canzone e mi pare nessuno abbia messo in dubbio che sia stata depositata alla SIAE da Franco Li Causi. La questione è capire se e in quale misura Li Causi ha attinto da una tradizione orale precedente, cosa che se anche fosse vera non trovo affatto scandalosa.
(Lorenzo)

10/4/2008 - 11:05


sono sempre Franco Li Causi e volevo comunicarvi che la musica è di franco Li Causi ma le parole sono di pubblico dominio di antichi minatori di origine Favarese

Franco Li Causi - 13/4/2008 - 17:32


Ciao, sono Peppy Maniglia di Palma di Montechiaro (AG), sono stato io a mettervi in contatto con Ciccio (Franco) Li Causi detto Bellini al mio ritorno da un tour internazionale.. Sinceramente mi aspettavo uno scatto di nervi da parte sua.. Scusate la sua impulsività, ma è da anni che gli contestano al padre la proprietà artistica di "vitti na crozza" e adesso sta espodendo.. cmq vi assicuro che è una persona fantastica come suo padre e come testimone (ho suonato con lui per diverso tempo) vi assicuro che è il vero ed unico erede del noto brano siciliano.. Lui è davvero un ottimo musicista/cantautore e va fiero del padre, scusatelo per l'irruenza ma davvero è molto stanco di chiacchiere inutili.. se volete gli chiedo una copia del deposito siae del 1950, anche se è cambiato con gli anni, ma capirete che effettivamente Li Causi è l'autore di "vitti na crozza", così almeno il caso si potrà chiudere.. vi dò la mia disponibilità data l'amicizia con Franco "Bellini" Li Causi, se volete potete contattarmi, sarò onorato di aiutarvi (anche perchè posso fare da tramite con lui).. Cordiali saluti.. Peppy Maniglia.

Giuseppe Maniglia (Peppy Maniglia) - 14/4/2008 - 18:27


Scusate se sono sempre io, Peppy Maniglia che m'intrometto, in riguardo al commento di Antonio del 04/02/2007, scritto sulle righe sovrastanti, mi lascia un pò perplesso.. COME FA A BASARSI SU "RICORDI" della bisnonna senza avere del materiale in visione? Su di lui avete scritto che la discussione assume i contorni di un giallo, di un mistero.. mistero? è tutto moooooooooolto chiaro, gli antichi minatori favaresi (Favara-AG), hanno elaborato le parole, il maestro Li Causi le ha modulate e composto una musica suggestiva.. Ma perchè non fate un salto alla SIAE e controllate il fascicolo di Franco Li Causi del 1950 per chiarirvi le idee? certo, troverete notevoli differenze, niente ritmica allegra, tratti in minore, ma la melodia è sempre la stessa anche se l'armonia si è modificata nel tempo.. E NIENTE TRALLALLERU!!! Scusate lo sfogo, ma dopo che vi ho messo in contatto diretto con il figlio del maestro Li Causi (Franco Li Causi detto Bellini dagli amici), ritengo che quel commento sia inadatto, fuori luogo e dannoso poichè depista... Vi ho fatto scrivere dallo stesso Li Causi junior, se volete posso anche chiedergli qualche documento, ma basta andare alla SIAE e troverete tutto ciò che vi serve per svelare il mistero.. Sono stati molti che si sono attribuiti la paternità del brano, ma carta canta.. Buona musica.. (Giuseppe Maniglia-Peppy Maniglia)..

Giuseppe Maniglia - 23/4/2008 - 20:17


Sono sempre io, Peppy Maniglia da Palma di Montechiaro (AG).. in questo periodo ho fatto delle ricerche approfondite su vari brani musicali che tengono la dicitura "tradizonale/anonimo".. Il brano "Vitti na crozza" appartiene a Franco Li Causi Junior, ho fatto delle ricerche scientifiche, sia sulla SIAE, sia sui moduli ENPALS, con vari mezzi gentilmente messi a disposizione dell'università di musicologia di Cremona.. Ho analizzato ovviamente altri brani, compreso "vitti na crozza".. Il risutato è che la musica di "vitti na crozza" è del padre di Franco Li Causi, non ci sono più dubbi, ho visto, letto e musicato coi miei occhi e con le mie mani il manoscritto SIAE depositato nel 1950.. Mistero risolto, Franco è l'unico erede di "vitti na crozza".. Complimenti a tutta la sua famiglia.. Peppy Maniglia..

Giuseppe maniglia (Peppy Maniglia) - 8/5/2008 - 23:22


caro peppy maniglia vorrei esprimere il mio parere su vitti na crozza. Per me' vitti na crozza e' e rimarra sempre un canto popolare siciliano, le varie interpretazioni da provincia a provincia ne sono la testimonianza se poi Li causi ha avuto l'ingegno di musicarla e registrarla in s.i.a.e buon per lui (e suo figlio l'ha confermato).Quindi i veri autori dei testi rimarranno per sempre sconosciuti, Vitti na crozza rimarra per sempre un canto popolare scritto da ignoti, come i canti degli schiavi nelle piantagioni di cotone che hanno dato vita al blues, l'unica differenza è che nessuno se ne è assunto la paternita'. (p.s)volevo dirti che anche mia nonna mi diceva che la canzone era molto antica ma purtroppo non aveva documenti per testimoniarlo (forse perche era stato sempre un canto popolare prima dell'avvento di Li causi????? E' solo la mia opinione al riguardo non voglio criticare né offendere nessuno un saluto a tutti e (vasamu li manu).

Fulvio da siracusa - 13/5/2008 - 22:58


Siamo alle solite....appena un discussione su qualcosa comincia ad assumere i connotati ed il profumo dei bigliettoni da 100 euro sotto forma di diritti d'Autore, ecco che una pacata discussione su un appassionante dilemma storico-musicale dello scorso secolo si trasforma in rissa furibonda, con tanto di intervento preparatorio dell' "amico" musicista che spiana la strada all'immancabile cazziatone, sapientemente postato ad un paio di settimane di distanza, da parte del legittimo erede del presunto autore di un pezzo di chiara matrice popolare, con annessi anatemi, scomuniche e minacce da parte del suddetto erede di adire le vie legali!!!
Possibile che nessuno riesca, in questo sputo di Paese così scelleratamente avviato verso un nuova stagione di rivolte xenofobe e baracche di poveracci date alle fiamme sotto la sapiente regia di Media perenemente sbilanciati verso la stessa fazione, nessuno riesca dicevo a sottrarsi all'imperativo categorico ormai dominante da lungo tempo, ovvero: "Penso prima di tutto ai 'azzacci miei, a dispetto della verità storica, qualunque essa sia..."
Di canzoni saccheggiate alla tradizione popolare è piena la Storia della Musica, mi sovvengono al momento due su tutte, We shall overcome e The house of the rising sun; queste, come altre altrettanto famose, hanno avuto la ventura di essere "accolte" benevolmente da coloro, musicisti o compositori, che per primi ne hanno intuito le potenzialità espressive nonché la presa immediata di una sia pur abbozzata melodia ed hanno avuto la scaltrezza e l'immediatezza di comporre, ma mi verrebe meglio dire "appoggiare" loro un giro armonico ad hoc che le rendesse presentabili al grande pubblico...
Francamente le diatribe giocate sulla presenza o meno di un pezzo di carta depositato chissà dove e sulla lapalissiana mancanza di un qualche riscontro scritto di una tradizione che più orale non si potrebbe come quella dei canti popolari mi sembra più materia da avvocati che non giusto motivo di rivendicazione da parte di un qualsivoglia erede, finanche provvisto di altisonante soprannome, che voglia in qualche modo rinfrancare il suo genitore da un qualcosa di cui egli ritiene sia stato privato: le Memorie ed i giusti riconoscimenti si esaltano non già rivendicando lauti compensi non corrisposti con i rispettivi interessi, bensì facendo proprio il lavoro di riscoperta che nella fattispecie il Licausi senior aveva evidentemente svolto riguardo al brano "Vitti 'na crozza" e magari aiutando per quanto possibile i ricercatori a rinvenire quelle pochissime tracce ancora esistenti, magari dalla viva voce di qualche arzillo centenario in qualche sperduto paesino dell' amatissima Trinacria.
Scusandomi con tutti voi per essermi dilungato anche oltre il consentito, vi auguro un ottimo ascolto della splendida canzone palesandovi il mio personalissimo gusto riguardo la versione che maggiormente mi è piaciuta fra le varie ascoltate, ovvero quella di Otello Profazio. Vostro...
TheEntertainer

15/5/2008 - 02:54


io segnalerei anche la versione della celeberrima canzone popolare di certi studenti del Regio Liceo DANTE DI firenze intitolata "Bosco Troia" ad esaltare l'imperitura figura di Filippina Bosco di Favara. Su questa non ci sono dubbi; parole e musica Ric. Ven. Ste. Man sicuramente, forse anche Gor. e Farn.

(Un nostalgico non di lei ma di quei tempi e di tanti altri brani popolari; Pippo se lo mena, Sunfoitetes oudenos, il Signor Casini, l'Acciuga. un saluto a Riccardo Venturi

Paolo

Gentile sig. Paolino Cons., credo che 'sta Intennètta, come l'avrebbe chiamata la Filippina, sia una cosa incredibile. Una sera qualsiasi sto al piccì a vagliare ed approvare i commenti a questo sito che oramai mi impegna giorno e notte da anni, e cosa ti vedo? Nominare la Pippa Bosco, Ste., Gor. e Farn., la "Sunfo", il signor Casini (di cui avevo parlato non più di una settimana fa alla mia attuale compagna, raccontando dell'alcolica serata in cantina con Ste. durante la quale avevamo messo in musica le didascalie di un libro sull'alluvione di Firenze unite alla demenziale storia del signor Casini, fotografo di ondate di piena...parlandole poi anche dell'Acciuga Pergolizzi Gianfrancesco e della relativa canzone. Quando si dice il caso!). Che dire? Prima o poi ci si ritrova in questo pollajo globale, cisi. E se tu mi scrivessi a k.riccardo@gmail.com? Per ora mi godo questo momento di trasporto a oltre trent'anni fa, oramai. Tempus fugit, ruit hora.

NB per gli amici siciliani che magari, su questa pagina dedicata a una canzone della loro terra, si ritroveranno espressioni non riguardose verso una loro conterranea di Favara (Agrigento). Posso soltanto loro dire che tali espressioni sarebbero a suo tempo state usate anche se fosse stata di Belluno, di Cividale del Friuli o di Ventimiglia. Era semplicemente la Bosco, e altro non si può dire...! [RV]

5/6/2008 - 00:33


Salve, sono Peppy Maniglia dalla provincia di Agrigento.. Ci tenevo a precisare che comunque Vitti na crozza oramai è un brano tradizionale e mi associo pienamente al commento di Fulvio da Siracusa poichè l'unica cosa che io sontengo è la paternità MUSICALE di Franco Li Causi, per il resto, dai testi, all'interpretazione, è soggetta a cambiamenti da provincia a provincia.. Sono pienamente in sintonia con Fulvio da Siracusa.. Buona musica a tutti voi.. Peppy Maniglia..

Giuseppe Maniglia - 14/6/2008 - 21:10


scusatemi ho letto con molto ineresse quanto da voi commentato sul brano di vitti na crozza. oltre che confermare quanto asserito da mio fratello Francesco detto " Bellini ", devo invece ribadire che nonostante tutto il bene che voglio a Bellini, non è l'unico erede del de cuius mio padre Francesco, di fatti oltre a Bellini, Franco Li Causi ha avuto altri due figli dal suo prinmo matrimonio con Ciulla Maria Calogera di Lucca Sicula, Pietro e Giuseppe entrambi nati a Porto Empedocle, il primo nel 1954 e il secondo nel 1955 ed entrambi residenti a Trapani. Difatti Bellini è figlio della seconda moglie.
Questa mia dichiarazione solo per chiarezza ed onor di cronaca.
P.S. anchio mi incazzo quando qualcuno si attribbuisce una paternità che non è sua, riconosco solo che noi figli abbiamo sbagliato a non intraprendere un'azione legale nei confronti di chi allora e ancora a tutt'oggi si aggiudica qualcosa che non e SUO.
Pietro Li Causi

Pietro Li Causi - 17/8/2008 - 13:57




Lingua: Siciliano

Un tempo sentii cantare questa canzone da parte di mio padre, che oggi non c'è più. ma ricordo una strofa che fa così, e perdonatemi se è scritta male in dialetto:
oh bedda madri, madri addulurata
salva la vita mia e ddà mia amata

inviata da francesco - 14/9/2008 - 21:52


vitti na crozza supra a nu cantuni, in lingua siciliana ha un significato.
supra nu cannuni non significa nulla e non fila con la canzone, inutile dire poi che nasce chissà da quali tempi, 1951 è troppo recente.

18/12/2008 - 20:37


supra a nu CANTUNI? in siciliano?
Vorrai dire in svizzero.

19/12/2008 - 15:38


Una domanda. Se, come e' stato detto da qualcuno, in origine era un canto di minatori siciliani...
Perche' di minatori? La crozza ha a che fare coi minatori, con la miniera, in qualche modo.
Ho l'impressione che la storia sia un'altra, e che ci sita sfuggendo.

Mi viene in mente la canzone catalana

Santa barbara bendida,
Patrona de los mineros
mira
mira marucina, mira
mira como vengo yo

Tengo la camicia roja
(anche qui c'è un dubbio lallaralala, lallala)
del sangre de un compañero

Tengo la cabeza rota
y me la rumpió un marreno

Eventualmente posso essere piu' precisa e ritrovare le altre parole

A me sembra che si debba cercare in questa direzione.

perche' infatti e' una canzone bellissima, ed e' vero che I Mattanza sono quelli che l'hanno raccolta nel modo piu' egregio, a mio musicale parere.

Un saluto

Karagoz - Musica nomade

Toti O'Brien - 27/1/2009 - 01:02


Ho letto con interesse tutta la diatriba sulla traduzione di alcune parole. Credo di poter dare un piccolo parere in merito alla traduzione della parola "cannuni". Trattandosi di un canto di minatori, infatti, ritengo che questo termine indichi l'ingresso della miniera.

Attendo commenti

Alessandro - 22/3/2009 - 17:12


Voglio aggiungere una cosa: anche se il testo della canzone potrebbe essere retrodatato rispetto alla canzone che ormai conosciamo tutti, voglio dare atto all'ingegno del maestro Li Causi, per avergli inserito la bellissima musica e se non fosse stato per lui questa canzone sarebbe rimasta anonima come tantissimi canti e poesie popolari Siciliane, dobbiamo dare merito a lui, per averla fatta conoscere in tutto il Mondo.
Paolo Tortorici
(Ribera)

6/4/2009 - 10:06


Ciao a tutti, mi chiamo Diego sono siciliano e anch'io nato per coincidenza a Favara paese di cui spesso si parla a proposito della provenienza dei sedicenti autori della ballata'VITTI NA CROZZA'.Premesso che non ho nessuna intenzione di entrare in merito alla paternità del brano, vorrei proporre una diversa chiave di lettura dal punto di vista filologico.Da una prima lettura del testo salta subito agli occhi che l'ultima strofa (c'è nu giardinu ammezzu di lu mari ecc.)sembra proprio non avere niente a che fare con tutto il resto. Tanto più che io ricordo (ho qualche lustro sulle spalle) che quest'ultima(strofa) non finiva esattamente come viene scritto ma continuava con

Senti li trona di lu mungibeddu*
ca jetta focu e fiammi di tutti i lati.

*Mungibeddu = Mongibello, antico nome dato al monte Etna.
Si potrebbe perciò supporre una contaminazione dell'antico testo diventato quindi un mix di due testi diversi il secondo dei quali giustificherebbe il ritornello tralallallero lallero ecc.trattandosi questo si di un testo allegro.
()

Diego Vitello - 17/5/2009 - 02:01


Comunque nel verso
"chiamu la murti e idda marrispunni"
"idda" e` traducibile con "lei" non con "vita"
come aveva gia' fatto notare qualcuno
quindi
"chiamo la morte e lei mi risponde"

Francesco - 31/5/2009 - 02:20


"chiamu la murti e idda marrispunni"? Io conosco questa strofa così:
"chiamu la vita e a morti m'arrispunni"
Saluti.

7/9/2009 - 08:40


Ho letto i commenti relativi alla parola "cannuni" o "cantuni". Pur non essendo siciliano, ho girato la Sicilia varie volte, per lavoro e per piacere, e ho visto che esistono entrambe le versioni. Ricordo che nel nord della Sicilia (palermitano e messinese) si usa la parola "cannuni", col significato qui riportato di "torre", mentre in alcune zone del sud della Sicilia (forse l'agrigentino?) si usa la parola "cantuni". Notata la differenza, mi sono informato e su un sito ho trovato il significato della parola cantuni: "'u cantuni è la porta della zolfara oppure quell'asse misu a spicu di cantunera che permetteva i carretti di girare facilmente".
Dato che il testo risale al tempo delle zolfatare, anche la parola "cantuni" ha un suo senso.

Arnaldo - 16/10/2009 - 13:29




Lingua: Italiano

Il mio nome è Giovanni Bellomo. Sono pugliese e sono un estimatore di Salvatore Adamo, che seguo da alcuni anni. Salvatore è nato a Comiso (RG) il 1/11/1943. All'età di 4 anni il padre Antonino trasferì la sua famiglia in Belgio, per lavorare in miniera, abitando in comunità, in barracche lasciate dai russi. Vita piena di privazioni, di paure e di dolori. Nemmeno ventenne, accompagnato dal padre, vincitore di concorsi canori, esplose con la canzone "Sans toi mamie". Salì sulla ribalda internazionale e non è più sceso sino ad oggi. E' compositore di musica e parole, diverse cantate in più di 10 lingue, di circa 600 canzoni (oltre 100 in italiano). Ad ottobre e novembre 2009 tiene diversi concerti in Canada. I concerti all'Olympia di Parigi del 5/6 febbraio 2010 sono esauriti. Arriva gente anche dal Cile ad ascoltarlo. Dopo la morte del padre nel 1967 per annegamento alla marina di Ragusa per soccorrere due bambine, per 15 anni Salvatore non tornò più in Sicilia. In seguito cambiò idea. In Italia ebbe grande successo negli anni 60/70. Poi lui stesso evitò per molti anni l'Italia, in quanto non riconosciuto, non dal pubblico, per la sua vera valenza. Un errore fatale, che oggi gl'impedisce di ritornare come artista, per non essere ben accetto dagli impresari. Ha scritto circa 40 canzoni contro le guerre. E' ambasciatore dell'UNICEF per il Belgio. E' ritenuto inoltre anche poeta per le sue composizioni. Un vero talento italiano, stimato in ogni parte del mondo, tranne che in Italia. Nel cuore è rimasto sempre siciliano ed italiano.
La sua versione di "Vitti 'na crozza", cantata solo dal vivo, è frutto dei ricordi di adolescenza e del testo cantato da suo padre e dagli altri minatori siciliani. A questo duro lavoro credo che si riferisca la terza strofa. Poi lui ci avrà messo la sua pennellata di artista più che competente. Quindi sarebbe così confermato che la canzone sia stata patrimonio canoro di minatori siciliani.
La versione della canzone registrata in un concerto è in mio possesso e la posso inviare a chi me la richiede. Chi vuole conoscere qualcosa in più di Salvatore può andare sul suo sito; nella Tribuna Italiana, alla voce Cenni di Biografia, ci sono molte notizie sulla sua vita.
http://www.adamosalvatore.com/

Saluti
Giovanni Bellomo
VITTI 'NA CROZZA

(Salvatore Adamo)

Vitti na crozza supra nu cannuni
e co sta crozza mi misi a parlari
idda m'arrispunniu cu gran duluri
morsi senza nu tocco di campani

lalalalero lalero lalero lalero lalero lalero lala

Si nni eru si nni eru li mi anni
si nni eru si nni eru e nu sacciu unni
sta vita è fatta tutta di duluri
u vivu parla e u morti m’arrispunni

lalalalero lalero lalero lalero lalero lalero lala

Che nagghe fari cchiù de la mia vita
nu socciu buonu cchiù pe travagghiari
sta vita è fatta tutta di duluri
e accusì nu vogghe cchiù campari

lalalalero lalero lalero lalero lalero lalero lala

C'è nu giardinu immezu di lu mari
tuttu ntessutu di aranci e ciuri
unni l'acceddi vannu a cantari
e tutti i pisci cci fannu l'amuri

lalalalero lalero lalero lalero lalero lalero lala

inviata da Giovanni Bellomo - 5/11/2009 - 19:48


salve mi permetto di intervenire perchè ho una opinione sulla canzone /ballata popolare diversa ma logica.
ho letto molti interventi che condannano l'inserimento
del tra lla llero.
non concordo è la parte più bella della canzone
se è un falso è fatto benissimo
credo che tutti i frequentatori di questo sito internet
sanno che le canzoni di protesta potevano essere veicolate
solo se divulgate in modo mascherato è la storia della musica (cito il film riso amaro) cioè tutti gli studiosi di musica popolare conoscono queste tecniche penso alla capoera brasiliana alla musica popolare italiana è normale
aggingere (se di aggiunta si tratta)un trallà 'llero
anzi bilancia il brano che diventa quasi dark viceversa sarebbe (musicalmente con rispetto)lagnoso.grazie
enrico

8/3/2010 - 09:26


'Vitti na crozza' è sicuramente un canto popolare antico. E se è canto, e non solo poesia, deve aver avuto anche una melodia. Trovo quindi alquanto impropria l'attribuzione totale e originale a F. Li Causi della relativa musica. Concordo invece pienamente sul fatto che egli abbia curato la trascrizione della musica con un suo personale arrangiamento e lo abbia depositato presso la SIAE.
Giustamente sull'etichetta del disco Cetra si legge 'trascrizione' di F. Li Causi. E la trascrizione di un brano musicale non implica anche la composizione.

Aurelio Zuzzi - 13/3/2010 - 15:04


Lalallalèru è stato aggiunto molto di recente. C'è anche nella versione interpretata da Rosanna Fratello

Nino - 13/3/2010 - 19:14


ho sentito una versione di questa bellissima canzone cantata da un ragazzo siciliano con la sua chitarra, e verso la fine dice "....lascio questo bel mondo e lascio tutto", ovviamente in siciliano. E' possibile?
Daniela

daniela - 14/3/2010 - 19:48


Quel capodanno quando Rosa Balistreri chiese di accendere il registratore

rosasanremo


di Aldo Migliorisi

La storia di "Vitti 'na crozza"

Com’è strano a volte, il destino di una canzone. C’è un pezzo antichissimo della tradizione siciliana che parla della Morte. In questo canto (alcuni dicono che sia originario dei minatori di Favara, per i quali il termine “cannuni” non significherebbe “cannone”, bensì l’ingresso della miniera) un teschio - na crozza supra nu cannuni- risponde così, “con gran dolore”, alle domande di chi è ancora illuso, vivo: “Morii senza tocco di campana / I miei anni se ne sono andati / andati non so più dove / Se non li sconto qua i miei peccati / li sconterò nell’altro mondo / Oh scellerato! Preparatemi il letto che ormai sono tutto mangiato dai vermi / Ora che sono arrivato agli ottant’anni / chiamo la vita e la morte mi risponde”.

Com’è che una canzone che ha questi versi può diventare una marcetta per carillon da carrettino siciliano?

Una delle prime volte che questo canto popolare esce dal suo contesto “regionale” è nel 1950, grazie al film “Il cammino della Speranza” di Germi, sceneggiatura di Fellini e Pinelli. In questo film Renato Terra interpreta un personaggio che era stato inventato da Fellini: Mommino il chitarrista, quello che canta “Vitti na crozza”. Ma Renato Terra era doppiato: a cantare veramente era un certo Peppino Ferrara. Il film fu anche girato in Sicilia, e - tutto torna - tra i minatori di Favara.

“Il cammino della speranza”, pur rimanendo uno dei films più amati dallo stesso Germi, ebbe accoglienze tiepide e subì vari tentativi di censura politica. Ma ciò nonostante, quella canzone, cantata (si fa per dire) da Renato Terra, incominciò a girare. E i discografici non persero tempo: la prima incisione di questo canto popolare risale al 1951 e nell’etichetta del 78 giri si legge testualmente “Vitti na crozza trascrizione F. Li Causi - canzone siciliana inserita nel film Il cammino della speranza - Quartetto Francesco Li Causi - Canta Michele Verso”.

Cercando il colpaccio, grazie anche al ritorno promozionale dovuto al film di Germi - diligentemente sfruttato nell’etichetta del disco - la canzone fu arrangiata con un 2/4 “allegro andante” (e già qua si può intravedere il peccato originale: quanto di questo testuale “allegro andante” imposto alla prima versione discografica contribuì a snaturare la percezione futura di questo brano?). Gli strumenti musicali impiegati furono tre: chitarra, mandolino e basso suonato da un musicista dell’Orchestra Angelini (secondo indizio: cosa c’entrava un turnista dell’orchestra Angelini con quest’antica canzone di minatori siciliani, tutta intrisa di Morte?). Terzo indizio, estremamente speculativo: la registrazione fu effettuata a Torino negli studi della “Cetra” (e questo risponderebbe alla domanda precedente: l’incisione nasceva in un contesto assolutamente estraneo per intenti ed habitat allo spirito della composizione originale).

Nonostante sia vero solo nel breve termine, c’è da dire che il delitto paga: l’operazione biecamente commerciale andò bene e subito dopo quell’incisione, Michelangelo Verso fu ingaggiato da managers italo-americani e partì per l’America. “Vitti na crozza”, col suo tralallallero da cartolina era ormai diventata un successo internazionale, nonché simbolo della Sicilia. Tanto successo venne però accompagnato da diverse interpretazioni sia della musica che del testo: ci fu chi trasformò il ritmo, chi il testo, chi tentò di registrarla alla SIAE a proprio nome. Negli anni ‘60 e ‘70 molti la incisero: da Domenico Modugno che la trasformò in un canto da carrettieri, al napoletanissimo Toni Bruni, ad Amalia Rodriguez, a Rosanna Fratello che nel 1973 ne fece un suo successo personale, per finire ai giorni nostri con Carmen Consoli, con una versione a mò di cazzeggio/omaggio alla sicilianità. Contenta lei...

Ma tutte queste versioni furono, e sono tuttora, altrettante coltellate piantate nella schiena della canzone in questione, lame distrattamente affondate fino al manico da prezzolati interpreti di passaggio. Tutti (arrangiatori e cantanti) guardando “Vitti na crozza” con il paraocchi del luogo comune folkloristico - tanto simile al pregiudizio - e correndo tutti, allo stesso tempo, dietro alla facile carota dell’”allegro andante” scritto abusivamente sull’etichetta della prima incisione. Contenti loro...

Quello che invece non era contento era l’agrigentino Francesco Li Causi, il trascrittore dal tralallalero facile: odorato l’affare, il nostro aveva subito (1950, stesso anno d’uscita del film di Germi) inviato alla SIAE la trascrizione della canzone, accompagnandola con la sua firma.
Vent’anni dopo, negli anni settanta, Li Causi mise sfacciatamente su un’azione giudiziaria invocando la “usurpazione di paternità” (traduz: i diritti d’autore) di questa canzone. La registrazione presso la SIAE bastava, a suo dire, a dargli il diritto di paternità su “Vitti na crozza”.


Come invece andarono le cose ce lo racconta Alfieri Canavero, classe 1927, un pezzo di storia del cinema italiano. Ne “Il cammino della speranza”, Canavero è operatore di seconda macchina, al fianco del direttore di fotografia Leonida Baroni ma, di fatto, le macchine da presa Debrie e Arriflex sono in mano sua. “Abbiamo iniziato le riprese ad Agrigento, nelle miniere di zolfo. Ricordo che i minatori erano in sciopero da due giorni. Erano sottoterra, nudi per il caldo insopportabile. Stavano cantando “Vitti na crozza” quando la troupe scese giù con il regista Pietro Germi. Registrammo quel canto, che andava perfettamente a tempo con la biella della pompa dell’aria. Con quella registrazione iniziammo il film”, ricorda Canavero.

Il processo sull’ “usurpazione di paternità” fu celebrato a Catania, inizio anni ‘70, e si concluse una decina d’anni dopo con un’asinesca sentenza che riconosceva Li Causi come “‘il padre” di “Vitti na crozza”. Si sa: i giudici non capiscono niente di musica, né tantomeno conoscono il cinema neorealista. E il delitto, a lungo termine, non paga: Li Causi morì prima del verdetto. I minatori Favaresi ringraziano...

"Rosa Balistreri non aveva mai voluto cantarla, questa canzone..."

Rusidda ‘a licatisa e la sua chitarra (così si faceva chiamare nei suoi primi 45 giri degli anni ‘60 incisi per la Tauro Records) “Vitti na crozza”, invece, non aveva mai voluta cantarla in pubblico, consapevole com’era delle storpiature che man mano l’avevano stravolta. Troppo forte ed evidente lo scempio che era stato fatto di tutto quello che questa canzone rappresentava: un testo che parla di morte, della vita come inferno che c’imprigiona e che nonostante tutto si cerca mentre si sente sfuggire, trasformato in un canto da gita fuoriporta. Quanta amarezza, dentro queste parole. Tutto però azzerato, travisato da versioni offensive, umilianti, ad uso d’irresponsabili canterini dediti al ballo del qua-qua spacciato per tarantella. Tutto, fuorché il rispetto per l’anima imprigionata in quei versi dolorosi.

Rosa Balistreri c’era abituata, a queste cose: nascere in Sicilia alla fine degli anni ‘20, nascere povera e nascere donna, sintetizzavano dolorosamente la condizione di vinti, ed abituavano ad una frequentazione invasiva con il dolore. E chissà, forse la confidenza con il dolore fa meglio capire quello che si canta, quando si cantano certe parole. Lei questi On li aveva già tutti sospesi al momento della nascita, ma non per questo si deve cedere alla tentazione Romantica del Dolore che crea l’Arte. C’è dolore e dolore. C’è il dolore dell’artista, che magari attraverso libri che sono solo riverberi, sente intellettualmente su di sé il dolore del mondo e c’è poi il dolore di chi, ad esempio, per sopravvivere è costretto a fuggire. Fuggire dalla propria dolorosissima storia personale che non si è scelta -soltanto subita- per diventare quello che si è. Al di là delle violenze, della fame, del carcere, degli omicidi, dei suicidi: ribellarsi all’inferno al quale si è condannati. C’è dolore e dolore. E c’è il dolore che quasi ci ara, scavando solchi profondi, e da questi solchi possono nascere timbri di voce, modi di cantare, di scrivere, idee, fatti. Dignità.

Nei primi anni sessanta, dopo che nel 1949 era fuggita - più che emigrata - a Firenze dove per la prima volta aveva trovato anche rispetto e serenità, la Balistreri incontra Ignazio Buttitta e Ciccio Busacca. Dopo aver assistito al concerto di Busacca, Rosa è come folgorata: “Anch’io ero una cantastorie, come Busacca, e in lui mi sono rispecchiata”, così ricorda quest’incontro in un’intervista raccolta da Giuseppe Cantavenere nel libro “Rosa Balistreri” (La Luna edizioni, 1992). Impara a suonare la chitarra - “Canta, Rò!” le diceva Buttitta, “Tu devi imparare a suonare la chitarra, perché tu sarai la cantatrice del Sud” - e inizia le prime serate in Toscana, grazie alle quali conoscerà Dario Fo.

Ed ecco come la Balistreri, nel libro di Cantavenere, racconta il suo esordio con Fo, nello spettacolo “Ci ragiono e ci canto” del 1966: “La prima sera alla Pergola. In sala c’erano mia madre, le mie sorelle, Manfredi, gli amici fiorentini. Mi sono detta: Rò, ricordati del porcile di via Martinez, di Iachinuzzu, della violenza della vetreria, del prete malandrino di Palermo. La fame, le ingiustizie, il carcere... Le ho gridate, queste cose. (...) Quella sera sono diventata Rosa Balistreri”.

E così c’era stato un periodo, tra la fine degli anni sessanta e i primi settanta, che Rosa era divenuta qualcuno. Prima l’incontro con Dario Fo e con Ciccio Busacca; poi era ritornata in Sicilia e i suoi amici erano Marcello Carapezza, Guttuso, Sciascia, Buttitta, Cesare Terranova, Pio La Torre, Roberto Leydi. La Balistreri partecipa a Sanremo nel 1973 (la canzone che presentava, “Terra ca nun senti”, fu esclusa perché non inedita; ma in compenso, per la gioia di Mike Bongiorno che presentava quell’edizione, vinse Peppino Di Capri con “Un grande amore e niente più”); prende parte anche ad una contestatissima edizione di Canzonissima nel 1974; esegue concerti nei teatri di grandi città. Nonché tournée all’estero: Svezia, Germania, Stati Uniti. Tournée che le facevano dire, a proposito delle comunità di emigranti che incontrava: “Pareva di essere in Sicilia. Ma non la Sicilia che avevo conosciuto da ragazza, quella che ti sfrutta. Una Sicilia generosa, dal cuore grande”.

In quegli anni Rosa aveva cantato cose belle, e importanti: in parte prese dalle raccolte di Alberto Favara, musicologo trapanese della fine ottocento; altre ripescate da vecchie canzoni dell’entroterra siciliano, canti del carcere, ma anche proprie composizioni, alternate a quelle -uno tra tanti- di Ignazio Buttitta. La Balistreri aveva anche fatto teatro: con Maurizio Scaparro, e poi “La lupa” con Anna Proclemer, “La lunga notte di Medea” con Piera Degli Esposti ed altro ancora. Era stata paragonata ad Amalia Rodriguez, era diventata la voce della Sicilia e nel suo canto intravedevi colori, odori; sentivi il sale, lo zolfo, il fuoco dell’Etna e del mare che lo circonda. Furono quegli anni in cui le tradizioni popolari, anzi il “folk”, come si diceva allora, era diventato di moda, nonché argomento e scusa per intellettuali con la coscienza sporca. Attenzione di massa pelosa, che dopo pochi anni sarebbe scemata, abbandonando tradizioni ed interpreti per rivolgersi ad altre voghe.
Rosa, negli ultimi anni della sua vita, quella dimenticanza la stava pagando tutta. Alla fine degli anni ottanta i suoi amici palermitani erano morti quasi tutti, così come era scomparsa la madre alla quale era legatissima. Era rimasta senza più soldi, e aveva bisogno di lavoro ed amici.

A quel periodo risale la registrazione della sua prima ed unica versione di “Vitti na crozza” e di quello che lei stessa definiva il suo testamento spirituale : “Quannu moru”. Rosa non aveva mai voluto neanche inciderla quella canzone, fino a quel Capodanno - uno dei suoi ultimi -, trascorso a casa di Felice Liotti, uno dei pochi amici rimastole. Solo allora, dopo il pranzo - lei come al solito non aveva mangiato quasi niente e aveva fumato tanto - prese la chitarra, chiese di mettere in funzione il registratore e cantò “Vitti na crozza”.

Anzi: la rielaborò. Innanzi tutto tagliò quel ritornello da carrettino siciliano, il tralallallero da cartolina. Poi rallentò il tempo e si lasciò andare ad un’interpretazione da brividi. Il respiro che spezzava il verso, le modulazioni quasi arabe del canto, la sua voce scura, profonda, antica, vibrante, ridavano finalmente dignità e significato a quella canzone, restituendola a se stessa. Domanda sul dolore e sulla vita cioè, e nessuna risposta: solo la consapevolezza della violenza dell’inferno sulla terra. “Vitti na crozza” ritornava così di nuovo un canto di dolore, di sconfitta per la morte che si avvicina.
Quel Capodanno Rosa sembrava avesse incontrato per la prima volta quella canzone e da come la cantava, sembrava che quelle parole disperate le risuonassero dentro quasi da presagio.


Da lì a poco, nel settembre del novanta, a causa di un ictus cerebrale che la colpisce durante uno spettacolo in Calabria, la Balistreri muore in un ospedale a Palermo, spegnendosi a sessantatre anni, dietro ad un vetro che gli negò per sempre gli sguardi attoniti dei pochi amici presenti.
“Quannu iu moru / pinsatimi ogni tantu / ca pi sta terra ncruci / iu moru senza vuci”.

Posseduta dalla voce della sua terra, così cantava Rosa Balistreri, siciliana ribelle al proprio destino di schiava.

Alessandro - 18/4/2010 - 11:20


giorgio - 18/4/2010 - 20:23


"La vita chiamo e la morti rispunne": Φαρμάκι τα γεράματα...

Gian Piero Testa - 18/4/2010 - 21:53


Sono arrivata a questa pagina googlando, in un momento di delirio di curiosità e fancazzismo acuto, indovina un po'... "Filippina Bosco"! Anch'io sono una sopravvissuta! ;-)
Un saluto!

Silvia - 14/6/2010 - 10:55


Sono Dino da Biancavilla (CT), classe 1991. Da diversi anni vivo lontano dal mio paese per motivi di studio (in questo momento vi scrivo da Barcellona, e non Pozzo di Gotto :D ) e mi capita spesso che nelle serate "allegre", nella quale magari si beve un goccetto in più, mi chiedano di cantare "vitti na crozza" per sentire qualcosa in dialetto siciliano..
Quasi sempre rispondo che non mi sembra il caso di cantare una canzone che parla di morte e sofferenza in situazioni del genere, quindi attacco con "ciuri ciuri".. e se canto "vitti na crozza" tutti stanno lì ad aspettare il lalallallerollalla.. che non faccio mai! xD Ma tornando agli argomenti di discussione affrontati su questa pagina, volevo segnalare questa versione rifatta totalmente in chiave moderna che ho trovato girovagando su youtube che, oltre a tenere conto delle origini e del vero senso di quei versi, rispecchia più o meno nel testo quella che da piccolo sentivo intonare dalle mie parti, fatta eccezione per gli ultimi due versi che anch'io conosco come:

< ca jetta focu e fiammi di tutti i lati.>>

come già segnalato nei post precedenti da Diego Vitello.
D'altro canto mi sembra alquanto logico pensare che ci siano piccole o grandi varianti del testo tante quante ce ne siano nei vari dialetti della nostra bella Sicilia.
E' normale che un catanese non canterà mai "cantuni" se nel suo dialetto questa parola non esiste. Così come "murivi" diventa "murivu" a Palermo e "Ca mossi" a Catania.
Totalmente daccordo invece con il verso "chiamu la morti e idda m'arrispunni", giacchè dagli altri s'evince che il narratore desidera la morte: sarebbe illogico che ad ottant'anni, ormai neanche più buono per lavorare, mentre chiede che gli venga "cunzatu" il letto, egli chiami ancora la vita...
Spero non essermi dilungato troppo e di non avervi annoiato con le mie osservazioni.. ciao a tutti e fozza Trinacria!

Dino Ritch - 23/6/2010 - 06:24


Ciao a tutti sono Diego Vitello.Mi piace ritornare sull'argomento in particolare per quanto riguarda la frase"chiamu la morti e idda (m'arrispunni?)". Mi trovo d'accordo col precedente post di Dino Richt sul senso da attribuire a questa frase ma appunto percio' parrebbe più verosimile a mio avviso non GIà "M'ARRISPUNNI" ma NN'ARRISPUNNI.(Che, preciso per i non siciliani ,equivale a "NON RISPONDE".

Un saluto a tutti i posters

24/6/2010 - 00:44


Beh, quello che dice Diego ha sicuramente un suo senso, ma la mia interpretazione va in quella direzione poichè nella versione da me conosciuta ci sono 2 versi che recitano:
<< cunzatimi cunzatimi lu lettu,
ca vinni l' ura di lu me 'rrizzettu>>
e da queste parole io intendo che dopo anni in cui il protagonista cerca disperatamente "refrigerio" nella morte, soltanto adesso che egli è un vecchio di ottant'anni, la morte risponde finalmente al suo richiamo..

Dino Ritch - 28/6/2010 - 04:47


Non sono un filologo, né ho il coraggio di pronunciarmi circa la corretta interpretazione della canzone, tuttavia ho sempre visto il "lalalallèru" come una sorta di atteggiamento ironico nei confronti della morte. Non è forse un tratto tipico dei siciliani quello di vivere con un certo distacco beffardo anche quelle occasioni che ci coinvolgono drammaticamente ricordandoci la nostra precarietà e contingenza? Forse bisognerebbe aver partecipato ai cortei funebri con tanto di banda al seguito per comprendere ciò che cerco di far intuire... Ma ovviamente non lo auguro a nessuno! ;)

p.s. Questa scena di Baaria del maestro Tornatore può aiutarmi a comunicare ciò che avrei voluto esprimere più chiaramente:

(purtroppo il video e' stato cancellato e non sappiamo a quale scena si riferisse f.m.)

f.m. - 22/7/2010 - 01:00


Salve, questa canzone che sentivo cantare dai miei commilitoni siciliani durante il servizio di leva negli anni '80 mi ha sempre incuriosito, me ne sono occupato qui cercando di dare un senso a questo bellissimo canto.

Analisi storica di una canzone

Marcello - 13/9/2010 - 15:20


La teoria del "cannuni" a mio parere non ha senso, non è avvalorata da nessun'altro concetto del testo. E' ai miei orecchi chiaro che chi parla è un vecchio di 80 anni che visto riflesso il suo volto in uno specchio, smunto dal tempo si chiede dove sia finita la sua vita, la sua gioventù e la "morte senza tocco di campane" è la sua morte come uomo a causa della sua estrema vecchiaia e dell'incapacità che questa porta, quindi morto, ma ancora in vita.

Gef - 11/11/2010 - 11:37


Salve non sono uno studioso e pertanto mi fido delle cose che leggo:la canzone in base a quello che o letto su vecchi testi orignariamente era stata scritta da un minatore -,credo che siano le miniere di zolfo -quando dici supra u cannuni si riferisce al pozzo che si usava per entrare con la guerra non c'entra niente perche se si analizzano le strofe una per una si avvicina alla prieghera e paura di un minatore.Perche dopo anni di lavoro in miniera una persona non e piu in grado di fare niente e non sono le miniere moderne con tutti i sistemi di sicurezza.

giuseppe - 13/11/2010 - 19:30


Ieri nella trscrizione ho scritto vitti na crozza supra a nu cannuni -- mi correggo la prima versione (l'originale) è:VITTI NA CROZZA SUPRA A NU CANTUNI..
ecco perche si riferisce a un minatore.E non c'era il ritornello.
Chiedo scusa per l'errore precedente.

Giuseppe - 14/11/2010 - 07:50


Ho letto la traduzione di Vitti 'na crozza e tutto mi sta bene tranne che la traduzione di sangu ruttu, che, mi disse un siciliano, poteva anche voler dire inferno. Mario

11/11/2011 - 23:23


Mattanza Vitti na Crozza - Live Sonika

Mimmo Martino - 27/3/2012 - 00:06


Non sono siciliano, ma mi sono laureato a Messina. Vengo alla diatriba CANNUNI-CANTUNI. U' CANNUNI può essere benissimo il vero e proprio cannone, così me lo spiegava Lando Buzzanca, con cui ho lavorato. Qui si parlerebbe quindi di un morto in guerra, un morto non sereno che risponde "cù gran dulùri", appunto morto "senza sonu di campani", abbandonato sul campo, senza onori funebri, Santa Messa e funerale.

Diego Verdegiglio - 24/6/2012 - 13:19


Questa storia della Filippina Bosco è veramente assai strana!

Occi fi spieco il principio di Archimete.
Archimete è famoso per tre cose:
1) il principio di Archimete
2) la tavoletta di Archimete
3) gli scpecchi a usctione

la fisica era il suo forte... accidenti!

Per quanto riguarda vitti na crozza... non è un canto di guerra ma il canto di un vecchio che guarda in faccia sé stesso e vede che la vita gli è passata davanti senza speranza di ritrovarla.

17/9/2012 - 19:04


Ma che vedono le mie fosche pupille? La Bosco sulle CCG...?!?!?... Mi piglia quasi un gòppo, i fantasmi del passato!

Riccardo Venturi, altro sopravvissuto della Bosco - 18/9/2012 - 02:10


Sono Salvsatore Sferrazza di Favara (Ag) e sull'origine della canzone "Vitti 'na crozza", nonchè sulla correttezza di alcune parole dei suoi versi, posso certamente dare la versione vera. Intanto sono fiero di dire che sono l'unico possessore della versione originale della canzone, colonna sonora del film, cantata dai minatori Giuseppe Bisaccia Cibardo e dai coristi, tutti minatori tra cui Bunone Luigi, ancora vivente anche se molto anziano. Posso dire inoltre che pochi, anzi pochissimi, sappiano e dicano la verità sulla canzone.
Occorre sapere che quando Pietro Germi venne in Sicilia, a Favara (Ag) si stava verificando lo sciopero dei minatori che lavoravano nella miniera Ciavolotta, perchè il proprietario, un certo Giambertone di Palermo, non solo li malpagava, ma li pagava una tantum, lasciando nella miseria molte famiglie favaresi. Spesso i minatori trascorrevano le feste, Natale, Pasqua, San Giuseppe, San Calogero, nella miseria e nelle ristrettezze. Noi bambini poi vivevamo quelle feste con estrema tristezza perchè non potevamo ricevere i dolci nè i giocattoli che "u Bammineddru" ci faceva trovare in occasione del Natale. Ad aggravare la situazione economica dei minatori spesso si aggiungeva la chiusura della miniera con la muratura dell'ingresso per lo scoppio di un incendio nelle viscere e gli scioperi continui perchè i minatori ricevevano spesso la paga ogni tre-quattro mesi e forse più.
In quel periodo, tra il 1949 e il 1950, il Sig. Giambertone minacciò la chiusura definitiva della miniera e il licenziamento dei minatori.
A causa della chiusura della miniera molti minatori pensarono di volersi recare in Francia clandestinamente, unica "speranza" forse lontana di un lavoro e di un futuro tranquillo all'estero. Saputa quella situazione Pietro Germi, sicuramente uno dei maggiori esponenti del neorealismo, venne proprio a Favara per girare il film "Il cammino della speranza". Qull'anno io avevo l'età di sette anni e ho personalmente assistito alla ripresa di alcune scene del film come "La cerimonia del matrimonio nella chiesa di san Calogero e la partenza dei minatori verso la terra straniera con l'aiuto della guida, Saro Urzì, che, come tante altre guide nella realtà, abbandonavano i poveri emigranti clantestini alla frontiera e spesso venivano fatti rimpatriare dopo qualche giorno di carcere.
Durante le riprese del film, tra auna pausa e l'altra, Pietro Germi, amante del buon vino, si recava in una bettola sita in via Belmonte, una strada di accesso alla piazza Cavour. In quella bettola tutti i pomeriggi si recavano molti minatori a bere un bicchiero di vino e proprio lì "u zi Peppi Cibardo Bisaccia" e un gruppo di minatori cantavano spesso la canzone "Vitti 'na crozza". Pietro Germi, sentendola cantare non potè non innamorarsene e farla registrare su disco per farne la colonna sonora del suo film.
Nelle varie versioni che sono seguite, (l'originale è solo quella che si ascolta all'inizio del film quando scorrono i titoli di testa), sono da rilevare alcuni errori. La canzone originale è la seguente:" Vitti 'na crozza supra nu cannuni"
fui curiusu e ci vonsi spiari, iddra m'arrispunnì cu un gran duluri, muriri senza toccu di campaaaaaani. (Non estiste il "Trallallaleru, llalleru llalleru, llalleru,llalleru, llalleru, llallà" dopo le strofe).
Si 'nnieru, si 'nnieru li me aaaanni(proprio così aaaanni), si 'nnieru si 'nnieru e un sacciu uuuunni. Ora ca su arrivatu a ottant'anni lu vivu chiamu e la morti arrispuuuuuunni.
Cunzatimi, cunzatimi stu lettu, ca di li vermi su mangiatu tuuuuttu. O nun lu scuttu ccà lu me difeeeeettu, lu scuttu a beddra vita a sangu ruuuuuttu.
E' questa la verità sulla canzone "Vitti 'na crozza" e, senza presunzione, sono certo che nessuno mi possa smentire.

Salvatore Sferrazza - 24/9/2012 - 00:55


Mi sembra strano che nessun siciliano sappia la traduzione di "cantuni". Sono semplicemente i blocchi di tufo per le case. Per cui non si parla di minatori inteso dentro le gallerie ma nelle cave di tufo entrambi lavori faticosi. Plurale cantuna.

Cercando in giro ho trovato tantissime versioni e fra le versioni tante strofe sostituite da altre
- Cunzatimi, cunzatimi stu lettu, ca di li vermi su mangiatu tuuuuttu. O nun lu scuttu ccà lu me difeeeeettu, lu scuttu a beddra vita a sangu ruuuuuttu. -
-Cunzatimi cu ciuri lu me lettu - Picchi' alla fine già sugnu arriduttu - Vinni lu tempu di lu me rizzettu -
Lassu stu beddu munnu e lassu tuttu

Forse i vermi sono peggio dei fiori no?

Cordiali saluti e viva la Trinacria
Rosaria



Cordiali saluti

Rosaria Russo - 24/9/2012 - 19:49


cara Rosaria, cosa vuol dire rizzettu?
non sono siciliana (solo di lontana origine), ma mia madre mi cantava vitti 'na crozza e anche lei ci aggiungeva dei fiori nel letto da cunzare
viva l'inventiva popolare (e anche gi autori che poi codificano, archiviano e diffondono)

Livia - 13/11/2012 - 11:43


Dead End - 13/11/2012 - 15:19


risettu(lo scrivo con "s" raccomandandone la pronuncia sonora): "risistemazione", "riassetto". In questo caso "riposo".
→ Verbo: arrisittàri: riassettare, rimettere in ordine, ritrovare la pace.
Attenzione: ha spessissimo un significato ironico indicante tutto l'opposto:
Viri comu m'arrisittàvi! Guarda tu come mi sono sistemato !
E accussì t'arrisittàsti.. Ti hanno conciato per le feste..

giorgio - 19/11/2012 - 16:13


Mi chiamo Davide Valenti-Kirevskij, insegno morfologia della storia all'Università di L'viv (Leopoli, Ucraina)... almeno così dicono - e i miei cromosomi sono inconfondibilmenti siciliani... ve la faccio breve per non tediarvi. Ritengo sia ormai disutile districarsi nel groviglio delle stratificazioni, delle comprensibili adulterazioni locali, delle versioni più omeno "filologiche"... Ma non credo sia di poco momento far notare quanto una canzone popolare così "liminare", squisitamente metafisica, pur nell'andamento apparentemente querulo-esistenziale, sia la più nobile professione di agnosticismo che un Popolo, "prematuramennte cerebrato" come direbbe Gottfried Benn, abbia mai depositato e consegnato alla trasmissione orale delle sue Madri... di così abissale,verticistica profondità, nel suo beffardo sarcasmo, concede quel raro privilegio - a dispetto delle molteplici sue versioni - di "riconoscersi", di "ritrovarsi", oltre lo spazio ed il tempo, nella propria cristallina purezza ideale, direi archetipica, come Nazione "provvidenziale" ed eterna... che tutto comprende e tutto perdona cristicamente, come una madre... e che non ha rivelazioni, mistiche epifanie da elargire, ma che carezza e consola, quando è giunto il momento di congedarsi...
Miei cari fratelli che non ho il privilegio di conoscere, vogliate perdonare la mia stucchevole tirata, ma giusto a quel momento son giunto e so che se fosse qui fra noi lo spirito fiammeo del "deportato" Dostoevskij, che per una vita intera ho maldestramente frequentato, Vi benedirebbe tutti!...

Davide Valenti-Kirevskij - 2/12/2012 - 23:37




Lingua: Spagnolo

Versione castigliano di cataldo antonio amoruso


ho cercato di sentire il siciliano e il castigliano contemporaneamente; forse ho rubato qualcosina alla grammatica, ma è una traduzione senza pretese...
Ví a* una calavera en la picota
me puse curioso y quise preguntar porqué
ella me contestó muy dolorida
'me fui sin oir ni un toque de campana'

[la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la]*

Se fueron, ya se fueron los años míos
se fueron, ya se fueron no sé donde
ahora que soy viejo de ochenta años
llamo a* la muerte y ya la oigo contestar

[la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la]*

Parad mi cama, ustedes, paradmela
porqué ya me carcomieron los gusanos
qué si no me voy a pagar mi pecado para acá
me iré a quebrar mis lágrimas de allá

[la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la]*

Hay un jardín en alta mar
enriquecido por flores y naranjos
todos los pájaros se van allí cantando
y las sirenas también ya hacen el amor.

[la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la
la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la
la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la]*
* calavera e muerte sono personificate

inviata da cataldo antonio amoruso - 3/1/2013 - 01:48


volevo dire 'sentire' il siciliano ecc., ma scrivere quasi al buio non è poi il massimo... ciao

cataldo antonio amoruso - 3/1/2013 - 01:49


Ví a una calavé- ráen lá picó-ó-ó-o-tá
me-pu-se curió-so y pregun-té-é-e-e
ella-me contestó, muy dolórí-i-í-ídá
que sin tocár campá-nas yà-había í-í-í-do...

...suona?

cataldo antonio amoruso - 3/1/2013 - 14:50




Lingua: Italiano

ecco la VERA versione in italiano


p.s. la prossima volta fatela tradurre da un vero siciliano
VIDI UNO SCHELETRO

Vidi uno scheletro sopra un cannone
Ero curioso e volli domandargli
lei mi rispose con gran dolore
Sono morto senza rintocchi di campane

Sono andati, sono andati i miei anni
Sono andati, sono andati, non so dove
Ora che sono vecchio di tanti anni
Chiamo la morte e lei mi risponde

Preparatemi, preparatemi il letto
Che già i vermi mi hanno mangiato tutto


Se non lo sconto qui, il mio peccato
Lo sconterò nell'altra vita, a pianto rotto

C'è un giardino in mezzo al mare
Pieno di fiori, di arance e di Sole
Tutti gli uccelli vanno lì a cantare
Anche i pesci vi fanno l'amore

inviata da Roberto - 22/1/2013 - 16:31


E larallalero non c'è. Glielo hanno messo dopo.

Mimmo - 22/1/2013 - 17:58


vorrei precisare che vecchiu di ottantanni letteralmente tradotto vuol dire vecchio di ottanta anni. per quanto riguarda invece lu cannuni, potrebbe essere attendibile la teoria del cannone inteso come arma. VITTI NA CROZZA SUPRA LU CANNUNI, letteralmente tradotto significa ho visto un teschio sopa il cannone, sono stato curioso e le ho voluto domandare, lui mi ha risposto con gran dolore, sono morto senza il tocco delle campane. Questa strofa lascia pensare ad un caduto in guerra che per tale ragione non ha avuto un funerale. Ritengo che il senza tocco di campane si riferisca alla mancata messa funeraria.

zummo.angelo@virgilio.it - 12/3/2013 - 21:52


Ho letto parte degli interventi e permettetemi di dire la mia: Il testo della canzone esisteva già e ben lo conoscevano i minatori, tanto è vero che fu un minatore a declamarlo al regista Pietro Germi. Ho letto, anni fa e i figli me lo potrebbero confermare s'è vero, che Franco Li Causi autore della musica dovette affrontare una causa civile di 25 anni circa per aver riconosciuto il suo diritto (ripeto non so se è vero o no, dicono che è in un'enciclopedia Curcio). Vengo al puntu: ho sentito varie campane ... vitti 'na crozza supra nu cannuni... o cantuni? Credo più CANTUNI che tra le altre cose così veniva chiamata la porta della zolfara. Quindi: Vitti 'na crozza sopra la porta della zolfara etc etc. Domanda: che ci stava a fare la crozza sopra la porta della zolfara? ammoniva i minatori ad non scendere in miniera in un giorno "segnato" com'era di consueto per quei lavoratori non lavorare in un anniversario di disgrazie. Secondo la mia modesta pèinione non c'entra nulla con la guerra con i cannoni etc... poi è soltanto una mia opinione .... Un salutone!

armando,carruba@libero.it - 10/4/2013 - 12:34


Per me la canzone( non conosco il dialetto siciliano) parla di una persona in là con gli anni,con i propri acciacchi, non desiderosa più di vivere e felice di andare in quel mondo dove è tutto luce colori gioia...l'ultima spiaggia!!..il motivetto allegro vuol dimostrare che lascia tutto senza rimpianti ormai finito il suo tempo.... Angela!!

10/4/2013 - 21:36


Cercavo la traduzione di questo brano e ho trovato un intero mondo. Persone appassionate, addirittura gli eredi dell'autore della musica. L'evocazione di un luogo e di un tempo passati che devono essere tramandati ma anche e soprattutto l'immagine di una profonda umanità. Grazie a tutti per il prezioso contributo e complimenti agli amministratori del sito. VoceVana.

Fabrizio - 15/8/2013 - 18:41


Come VoceVana cercando la traduzione e l'origine della canzone mi sono ritrovata su questo sito... incredibile! Sono siciliana, di Caltagirone, per cui il termine cantone qui da noi non si usa. Però vorrei far notare a chi scrive "fate tradurre il testo ad un siciliano" che per il motivo suddetto di termini che da oriente a occidente della sicilia sono diversi, non si può dire "fate tradurre ad un siciliano!" Vorrei però buttarla un po' sugli ottanta anni del teschio che da tempo aspetta degna sepoltura perchè abbandonato lì,senza onori, dimenticato... se è vero che i minatori già conoscevano, e c'è motivo di crederlo, è possibile che anche loro ne abbiamo modificato il testo per renderla vicina alla loro condizione... ma a me tornano in mente quegli ottanta anni che inevitabilmente portano al decennio di massacro dei briganti nel regno delle due Sicilie... Vorrei ricordare anche che molti di quei briganti finivano in fosse comuni e le teste mozzate venivano anche "studiate" (molte si trovano in quel museo degli orrori del Lombroso!)... Claudia.

Claudia - 27/4/2014 - 09:39


Scrivo da Pietraperzia e chi si occupa di musica mi ha riferito che la canzone narri le vicende del brigante Testalonga, nato a Pietraperzia.

Concetta - 4/5/2014 - 04:23


Un canto popolare non rimane inalterato nel tempo, cambia anche di luogo in luogo. Vitti una crozza potrebbe essere aperto oggi a nuove versioni, secondo la fantasia di chicchessia, magari affrontando dolorose problematiche attuali.
Per quanto riguarda la versione antica, quella che ho sempre conosciuto fin dagli anni '50(fosse o non fosse stata già rimaneggiata) è vicina a quella espressa il 22/1/2013 da Roberto, ma do un altro senso al dialogo tra il vivo e il morto, nel quale mi sembra ci possa essere anche un significato religioso:
(IL VIVO:) Vidi un teschio sopra un cannone,
fui curioso e gli volli domandare,
lui mi rispose con gran dolore:
(IL MORTO:)“Sono morto senza tocco di campane”.

(IL VIVO:)Sono andati, sono andati i miei anni
Sono andati, sono andati … non so dove,
ora che sono arrivato agli 80 anni
chiamo la morte e lei mi risponde:

(IL MORTO:)“Preparatemi, preparatemi questo letto
ormai i vermi mi hanno mangiato tutto”.
(IL VIVO:)Se non lo sconto qua, il mio peccato,
lo sconto nell'altra vita, in modo atroce.

(IL MORTO:)“C'è un giardino messo in mezzo al mare,
pieno di fiori, di arance e di sole,
tutti gli uccelli ci vanno a cantare,
anche i pesci ci fanno l'amore”.

Per quanto riguarda il ritornello, se proviamo a cantarlo in modo sommesso, non troppo allegro, ne esce fuori una ninna nanna perfetta con cui ci possiamo addormentare i bambini! Non è che, allora, in questo canto siciliano non ci sia anche un significato rivolto alla vita?

Nicola - 5/7/2014 - 19:13


Ho 66 anni ,ho vissuto da piccolo in sicilia a ravanusa,i miei nonni cantavano spesso questa canzone che,mi dicevano molto vecchia,e ricordo alcune strofe che poi non ho piu sentito e che riporto qui di seguito,scusate il mio siciliano approssimato. Suli ca spacchii i petri pa calura,suli ca rumpi lu sciancu a cu lavura,sulu lu chiantu di la donna amata po allifriscari st'arma scunsulata.Mi piacerebbe sapere se c'e qualcuno che ne ha notizia. Lo Porto Giuseppe Livorno 16/11/2014

16/11/2014 - 18:00


Per quel che riguarda la strofa : chiamo la morte .....io ricordo che dicevano: chiamo la vita e morte mi risponde...come a dire sono vecchio mi aspetta solo di morire, ma non so, come per cio che ho scritto prima,se e' piu o meno giusto.

Lo Porto Giuseppe - 16/11/2014 - 18:31


Qui di seguito un articolo da me scritto qualche anno fa sulle origini di Vitti 'na crozza. Francesco Giuffrida

VITTI ‘NA CROZZA: STORIA DI UNA CANZONE


È la locandina del film “Il cammino della speranza” le cui riprese cominciarono a Favara, in provincia di Agrigento, nel 1950. Per chi non ricorda o non ha mai visto il film – e a tanti farebbe un gran bene vederlo, visto che parla dei nostri nonni, poveri e disperati emigranti in cerca di lavoro fuori dal proprio Paese - diciamo subito che la nostra canzone ne “ Il cammino della speranza” è indiscussa protagonista sonora. E diciamo anche che senza questo film ‘ Vitti ‘na crozza’ forse non sarebbe mai nata. Ma andiamo con ordine: è il 1950 quando Pietro Germi, già conosciuto e apprezzato regista, viene in Sicilia per iniziare le riprese del suo film, inizialmente intitolato ‘ Terroni’. Ad Agrigento gli viene presentato il Maestro Franco Li Causi, chitarrista, compositore, nonché Direttore di una sua orchestra, a cui chiede (e usiamo le parole del Maestro tratte dalla lunga intervista concessa al giornalista Gabriello Montemagno nel 1978) “ un motivo allegro-tragico-sentimentale “ da inserire nel film. Nessuna delle tante composizioni del Maestro soddisfa il regista, che però invita il Li Causi ad assistere alle riprese nella vicina Favara. E proprio sul set comincia la nostra storia: il 16 marzo del 1950, il minatore Giuseppe Cibardo Bisaccia (che avrà poi una particina nel film) recita a Germi una poesia popolare che ricorda a memoria; questi sono i versi recitati quel giorno:

Vitti ‘na crozza supra nu cannuni
fui curiusu e ci vosi spiari
idda m’arrispunniu cu gran duluri
muriri senza toccu di campani

Si ‘nni eru si ‘nni eru li me anni
si ‘nni eru si ‘nni eru e nun sacciu unni
ora ca su arrivati a ottant’anni
u vivu chiama e u mortu unn’arrispunni

Cunzatimi cunzatimi stu lettu
ca di li vermi su manciatu tuttu
si nun lu scuttu cca lu me piccatu
lu scuttu a chidda vita a sangu ruttu

(Vidi un teschio sopra un cannone/fui curioso e gli volli chiedere/esso mi rispose con gran dolore/morire senza tocco di campane Se ne sono andati i miei anni/se ne sono andati non so dove/ora che sono arrivati a ottant’anni/il vivo chiama e il morto non risponde Preparatemi il letto/perché dai vermi sono tutto divorato/se non lo espio qua il mio peccato/ lo espierò in quella vita col mio sangue)

Germi resta affascinato dai versi e chiede a Li Causi se può musicarli; Li Causi si apparta sotto un albero, un piede appoggiato a un muretto per sostenere la sua chitarra, e compone la musica che tutti conosciamo. E subito capisce che ha creato una melodia orecchiabile, di impatto positivo e immediato, piacevole e cantabile. Il giorno stesso spedisce alla Società che tutela il diritto d’autore, la SIAE, il deposito della sua composizione. In futuro, come vedremo, questo atto burocratico sarà di vitale importanza.
La nuova ‘antica’ canzone si diffonde subito: testimonia Alfieri Canavero – allora giovane operatore cinematografico oggi vispo ottantaduenne – che, sempre nel corso delle riprese, scesero un giorno in miniera dove, immersi in un caldo insopportabile, praticamente senza vestiti addosso, i minatori stavano cantando ‘ Vitti ‘na crozza’ , accompagnandosi col ritmo … della pompa dell’aria. E lì il Canavero realizzò la prima registrazione della canzone, con un piccolo registratore a cavo che aveva con sé.
La canzone entra di diritto nella colonna sonora del film così da essere conosciuta in breve tempo in tutta Italia. Verrà conosciuta la canzone, non l’autore della musica, non citato né sulla locandina del film, né nei titoli di testa o di coda: autore delle musiche, di tutte le musiche, risulta Carlo Rustichelli, famoso autore di colonne sonore. Fu per rispetto nei suoi confronti che regista e produzione evitarono di citare il Li Causi come autore? O c’era in atto un tentativo di appropriarsi di un probabile successo discografico? Oggi non possiamo rispondere a questa domanda; è certo che il successo ci fu e varcò i confini della Sicilia e dell’Italia. Non solo per merito del film, ma anche perché nel 1951 il Maestro Li Causi fa incidere ‘Vitti ‘na crozza’ al tenore Michelangelo Verso in un disco della CETRA e l’etichetta, dopo il titolo, recita ‘ trascr. F.Li Causi ‘. Il disco avrà un grande successo e farà conoscere in America questo pezzetto sonoro di Sicilia. Il motivo per cui l’autore risulta semplicemente ‘trascrittore’ è presto detto: all’epoca la SIAE non prevedeva la possibilità che un testo antico di anonimo potesse essere musicato successivamente e avere così un autore della melodia.
Ma è uno dei pochi casi in cui il nome di Li Causi figura; in tanti, successivamente, incideranno la canzone, senza mai citare l’autore della musica. La canzone, anzi, passa per ‘tradizionale’ e va acquistando un passato, una storia che in verità non ha mai avuto e non poteva avere. A titolo d’esempio vogliamo citare una pubblicazione dei primi anni ’60: “ Un secolo di canzoni” a cura di F.Rocchi, Roma, Parenti 1961. È una raccolta di ‘fogli volanti’, di quei fogli a stampa, cioè, venduti dai cantastorie quando ancora non c’erano o non avevano larga diffusione i dischi: ne riporta ben 377, copie perfette degli originali, recuperati in tutte le regioni d’ Italia; e a pagina 378, a chiusura del volume si può leggere:

1914. Scoppia la << grande guerra >>. Altre canzoni, altri fogli volanti.
Qui termina la nostra raccolta perché riteniamo non solo che abbia inizio un nuovo ciclo della storia, ma anche un nuovo gusto per la poesia popolare e per la sua musica.
<< Vittì >> (sic!) è un vecchio canto di guerra siciliano: lo cantarono gli insorti di Garibaldi nella spedizione dei Mille, lo cantarono i fanti siciliani, sul Carso, sul Pasubio, sul Piave; è bello nel suo tragico linguaggio come nel ritmo della musica e può chiudere degnamente la lunga catena qui presentata.


E a pagina 379 viene pubblicata ‘Vitti ‘na crozza’ – ovviamente non il suo foglio volante, che non può esistere – un po’ storpiata nel testo e nel dialetto, ma indiscutibilmente lei. Nel disco allegato un famoso cantante – Domenico Modugno – canta per la prima volta ‘Vitti ‘na crozza’, canto tradizionale siciliano! E’ ovvio che pubblicazioni di questo genere o meglio invenzioni di questo genere non fanno altro che alimentare gli equivoci: basta pensare che anche il nostro Andrea Camilleri è stato tratto in inganno dalla presunta ‘anzianità’ della composizione, e la fa figurare nel repertorio dei due suonatori che nel romanzo “Il casellante” (ambientato nei primissimi anni ’40) allietano i clienti del barbiere del loro paese.
Ma in verità prima del film e del disco CETRA nessuno aveva mai sentito questa canzone; e purtroppo le raccolte di canti popolari siciliani – dove sono riportati circa 20.000 canti – sono appunto raccolte di canti, non di poesie. L’unica vaga rassomiglianza con la nostra canzone la troviamo nel ‘ Corpus di musiche popolari siciliane’ di Alberto Favara: dal numero 175 al 178 sono trascritte quattro varianti di un canto dove il protagonista sogna una crozza e con essa si mette a parlare; ma la somiglianza finisce qui. Tra l’altro la raccolta del Favara – compilata a cavallo tra ‘800 e ‘900 – viene pubblicata solamente nel 1957.
Ma altre questioni ha fatto sorgere la nostra canzone: cosa vuol dire esattamente? Di cosa parla? A chi vanno attribuite correttamente le varie parti del dialogo? Sempre che di dialogo si tratti! Ogni versione in prosa proposta finora ha sempre lasciato gli stessi interrogativi iniziali. È corretto allora avanzare qualche ipotesi: e tra le più fondate c’è quella che possiamo chiamare ‘dei pezzi mancanti’. In ogni trasmissione orale, affidata cioè alla memoria di chi trasmette l’informazione, occorre fare i conti con la possibilità che l’informatore non ricordi esattamente quello che, a sua volta, ha ascoltato e di cui vuole riferire; abbiamo allora delle lacune, ma anche delle aggiunte del tutto originali o estrapolate da altra fonte. Se pensiamo poi che la canzuni siciliana – e per canzuni si deve intendere un componimento non necessariamente con musica – è formata da otto endecasillabi a rima alternata, Vitti ‘na crozza potrebbe essere una ballata formata da tre o più canzuni di cui si sono perse varie componenti.

Ma forse si deve proprio a questa possibilità di interpretazioni varie, a questo mistero, a questa serie di allusioni proprie di ‘Vitti ‘na crozza’ se il canto ha subito affascinato. Riporto qui qualche possibilità di interpretazione, che chi naviga in internet già conosce: il cannuni non è un cannone, ma una torre a cui venivano appese le gabbie coi condannati, fino alla loro riduzione in ossa consunte dalle intemperie e dal sole, perchè servissero da monito ed esempio. Ma in nessun dialetto della nostra Isola cannuni ha il significato di torre, torrione o simili; certo, possiamo trovare - per esempio a Mazzarino – l’uso di chiamare la torre del castello ‘u cannuni (il cannone); ma è quella torre a essere ‘u cannuni , non tutte le torri e, in ogni caso, la ‘crozza’ sarebbe ‘mpisa e non supra.

Il cannuni non è cannuni, bensì cantuni, che, nelle pirrere del trapanese – cioè nelle miniere, nelle cave – è un concio di tufo, di arenaria, ed anche il luogo di lavoro dei minatori; ricordiamo qui che il Cibardo Bisaccia era proprio minatore, ma dell’agrigentino. È possibile che, imparata la poesia nella provincia di Trapani o da qualcuno proveniente dal trapanese, abbia poi sostituito, in maniera del tutto automatica, il termine per lui senza significato con un termine più familiare. Ipotesi affascinante – sposta l’attenzione dalla guerra a un disastro in miniera, frequente fino a qualche decennio fa in Sicilia – ma, proprio per l’assenza di raccolte di componimenti poetici, ormai difficilmente verificabile.

In ogni caso, sia che la poesia alluda a fatti di guerra o a disastri minerari o a condannati a morte, stona parecchio quell’assurdo ritornello, il famigerato tirollalleru che nei primi anni ’60 qualcuno infilò tra una strofa e l’altra, consegnando il canto al filone più ‘turistico’ del folklore siciliano Ritornello che male si accorda con l’impianto generale del canto, e che induce ad un accompagnamento che si discosta nettamente dalle prime esecuzioni, quelle per intenderci presenti nel film o registrate dal tenore Michelangelo Verso, più vicine agli intendimenti del Maestro Li Causi. Il quale – e qui chiudiamo – dovette fare causa alla SIAE per avere riconosciuta la paternità della musica; paternità che infine, grazie a decine di testimonianze (tra cui quella di Cibardo Bisaccia) e a quel deposito alla SIAE del 1950, gli venne riconosciuta ‘a norma di legge’ nel luglio del 1979. Ma, dopo neanche un anno, il Maestro Franco Li Causi moriva.

Francesco 'Ciccio' Giuffrida - 18/11/2014 - 20:35


Caro Giuseppe Loporto, hai perfettamente ragione , pure mio nonno che era di Realmonte mi cantava la strofa riguardante la pianura.
Suli ca spacchi i petri da chianura , suli ca rumpi l'ossa PA calura, sulu l'a muri di la donna amata po' cunsulari st'arma scunsulata ( arma= anima).
Sempre da mio nonno:
Ora ca su arrivati a l'ottant'anni chiamu la vita e morti m'arrispunni.
Una breve considerazione , mio nonno da bambino mi portava alla'opera dei pupi , 1955 . non conosceva bene il cinema , tantomeno il neorealismo e meno che mai pietro germi.
Conosceva benissimo però la storia di Orlando e Rinaldo e tutti i proverbi siciliani antichi e i canti tradizionali. Ora è vero che porto Empedocle è vicino a Realmonte , ma sinceramente , non ricordo che mio nonno Stefano Gucciardo n'tisu Beatrice mi abbia mai parlato di franco licausi . eppure mi cantava questa canzone e mi diceva che era una canzone contro la guerra e che il teschio era quello di un soldato morto senza ragione e lasciato li con le ossa a sbiancare sotto il sole cocente siciliano. E infatti l'invocazione cunzatimi stu lettu significa forse 'datemi sepoltura perché sono mangiato dai vermi . e alla fine contrappone l'inutilità e la tragedia della morte in guerra con la grandezza dell'amore ' sulu l'amuri di la donna amata po cunsulari st'arma scunsulata. .Potenza dell'amore..
Per quanto riguarda la paternità , se non bastasse la testimonianza di tutti noi , basta guardare attentamente l'etichetta del disco originale porta la scritta. " Trascr. F. Licausi" non autore , il maestro Licausi la ha trascritta , lo dice lui stesso .mi sembra come meucci e bell , il telefono lo ha inventato meucci , il brevetto lo ha depositato il sig. Bell.
Senza nulla togliere nulla al merito del maestro Licausi , sono certo che trattasi di canto tradizionale siciliano che parla dell'avversione dei siciliani verso la guerra e del loro amore per la terra , il sole , i fiori e l'amore per la vita .
Del resto quando mai i siciliani sono scesi in guerra e si sono ribellati? L'ultima volta erano i Vespri , ma sempre per le proprie donne e l'onore.
Scusate se mi sono dilungato ma magari senza andare a cercare logiche troppo sociali possiamo provare a dare un significato coerente a questa poesia che considero la SINTESI DELLA VITA.
Luigi crispino - SICILIANO

luigi crispino - 10/5/2015 - 23:00


cercavo una spirgazione e mi si e' aperto il mondo! grazie a tutti in questi nove anni hannp scritto i loro commentoli, ho capito la poesia e ho visto l'intero scibile umano; e' stato x me un viaggio che ha dato quanto sperato e ancora di piu'. Tanti credo sono scivolati incosciamente sulla meschinita' o sulla loeo ptesunzione scrivendo in manieta stucchevole! Nel mip piccolo solo un commentp e' degno di nota,quello che parla del vecchio che arribato alla finw della viela fa considrrazioni! Pero' x me la poesia comunica moltp di piu'! e' un opeta d'arye pipolare e una ricchezza! grazie atutti pet questa epsperieza, Rino

26/6/2015 - 15:35


Salve,
vorrei aggiungere che in una versione che sentivo da bambino (circa 45 anni fa) la canzone terminava con :
....o terra di briganti, terra d' unu-u-u-u-u-u-ri
(o terra di briganti terra di onore)

Gio - 16/10/2015 - 13:58


adriana - 7/11/2015 - 11:20


Mi permetto di correggere due traduzioni che, a mio avviso, non sono state trascritte correttamente:

"lu scuntu allautra vita a chiantu ruttu" .. "chiantu ruttu" sta per "pianto a dirotto" e non per "sangue rotto"

"ciuri" è stato tradotto "sole" ma significa "fiori" scritto nel verso "tuttu ntessutu di aranci e ciuri... ossia "tutto intessuto di aranci e fiori".

Grazie per l'attenzione :-)

Aldo Polcini - 19/9/2016 - 20:42


Caro Aldo, abbiamo corretto la traduzione di ciuri che era ovviamente sbagliata, a questo punto ti chiederemmo se vuoi rifare tutta la traduzione della canzone

CCG Staff - 19/9/2016 - 21:03


Senza alcuna presunzione, mi permetto di dare il mio contributo sulle origini di "Vìtti 'na crozza" riportando integralmente quanto pubblicato nel mio libro IL SICILIANO - DIZIONARIO ETIMOLOGICO - Edizioni LEIMA S.r.l. - a pag.447
Vìtti ‘na cròzza
"Celebre canzone siciliana, quasi simbolo e bandiera canora dell’Isola. La storia è legata alla pellicola Il cammino della speranza (Pietro Germi, 1950). Vi sono varie ipotesi sulla scoperta del testo e della melodia; la più verosimile appare quella fornita, per testimonianza diretta, da Alfieri Canavero, operatore di macchina nel film di Germi. Questi racconta che iniziarono le riprese nelle miniere di zolfo vicine ad Agrigento; i minatori erano in sciopero da due giorni. Quando la troupe e il regista scesero giù, trovarono i minatori nudi, per il caldo infernale; stavano cantando Vitti ‘na crozza.
Registrarono quel canto con cui inizia il film (su richiesta di Germi, il maestro Franco Li Causi ne scrisse la partitura, che registrò poi alla SIAE a proprio nome).
Il tempo della canzone è un 4/4 lento, quasi una nenia, un lamento; il motivo ricalca la struggente melodia originaria cantata dai minatori, composta da sole quattro quartine; successivamente sono uscite varie versioni, spesso commerciali e snaturate, eseguite da molti cantanti.
Lo stesso Li Causi aggiunse dei versi alla poesia originaria, del tutto stridenti con l’anima del testo, e uno stravolgente, folkloristico, trullallèru da festa paesana.
Testo e traduzione
Vitti na cròzza sùpra nu cannùni (cantuni)
fùi curiùsu e ci vòsi spiari;
ìddra m’arrispunnìu cu gràn dulùri
murìvu senza ‘n tòccu di campani.
Vidi un teschio sopra un cannone
fui curioso e gli volli chiedere;
mi rispose con gran dolore:
sono morto senza un tocco di campana (senza funerale > morte violenta, probabilmente in battaglia).
Sinni èru, sinni èru li me anni
sinni èru, sinni èru un sàcciu ùnni;
ora ca sùgnu vècchiu d’ottant’anni
chiàmu la vita e a morti m’arrispùnni.
Se ne andarono, se ne andarono i miei anni
se ne andarono, se ne andarono non so dove (non so che senso possa avere avuto la mia vita),
ora che sono vecchio di ottant’anni
chiamo la vita e mi risponde la morte.
Chi nn’àiu a ffàri cchiù di li me anni
nun sùgnu bbonu cchiù pi travagghiàri,
sta vita è fatta tutta di dulùri
e accussì nun vògghiu cchiù campàri.
Che me ne debbo fare dei miei anni
non sono più buono per lavorare,
questa vita è fatta tutta di dolore
e così non voglio più vivere.
Cunzàtimi, cunzàtimi lu lettu
ca di li vermi su’ (sùgnu) manciàtu tùttu;
si nun lu scùntu ccà lu me piccàtu
lu scùntu all’àutra vita a chiàntu rrùttu.
Preparatemi, preparatemi il letto
perché sono interamente divorato dai vermi ( sto morendo, preparatemi almeno un letto decoroso),
se non lo sconto qui il mio peccato
lo sconterò nell’altra vita piangendo.
Didascalia
La canzone ha come tema l’immaginario dialogo di un vecchio con un teschio e le sue riflessioni, profuse di malinconia, tristezza, rassegnazione e rimpianto. L’autore è ignoto ed è difficile collocare la canzone nel tempo. L’esibizione del teschio di un nemico ucciso in combattimento sopra un cannone è un’usanza che risale al Medioevo; di sicuro, comunque, è di epoca anteriore al 1950. Rimane un lucido, sintetico e intenso spaccato esistenziale che aderisce profondamente alla storia, ai travagli, alle avversità, per non dire alle tribolazioni, patite dal popolo siciliano per quasi tre millenni.
Taluni scindono la prima strofa dalle altre tre, argomentando che facciano parte di altra canzone; a parer nostro la morte violenta “raccontata” dal teschio e le riflessioni del vecchio si integrano nel più vasto tema fatalistico ed esistenziale della sorte, che profonde la poesia.
Nota. Per completezza, si riportano le strofe aggiunte: C’e’ nu giardìnu ammènzu di lu màri / tuttu ‘ntissùtu di aranci e ciùri, / tutti l’acèddi cci vànnu a cantàri / pùru li pìsci ‘cci fannu all’amùri. / Senti li tròna di lu Mungibbèddru, / ca èetta fòcu e làmpi di tutti i lati. / Oh bèddra Matri, Matri Adduluràta / sàrba la vita mia e di la mia amàta (C’è un giardino in mezzo al mare / tutto intessuto di arance e fiori / tutti gli uccelli ci vanno a cantare / pure i pesci ci fanno l’amore. / Senti i tuoni dell’Etna / che lancia fuoco e lampi da tutti i lati / Oh Madre bella, Madre Addolorata / preserva la vita mia e quella della mia amata).

Rosario Sciangola - 15/10/2016 - 18:35


Ho sentito questa mattina dai Mattanza la ballata popolare "vitti ha crozza" ...semplicemente da brividi, chiunque l'abbia scritta...cantata intensamente e senza fronzoli

12/3/2017 - 10:06


Successive
da me composte P. N. Biancavilla

Ora ca s’affaciunu i duluri
spalanca u Paradisu lu Signuri
ca voli fari parti do s’Amuri
ca nalla cruci scoppia e scumparunu i duluri
Rit
Godu di l’Amuri do Signuri
Iddu cancia in amuri li duluri
ca sunu u prezzu ranni di l’Amuri
ca tuttu passa e resta l’Amuri Rit

Godu nallu prisenti di l’Amuri
l’Amuri veru di lu Signuri
ca tuttu duna cu granni splinduri
oggi e dumani e sempri e tutti luri Rit

Sintesi di quest’ultime tre strofe

Ora ca s’affaciunu i duluri
spalanca u Paradisu lu Siguri
ca tuttu duna cu granni splinduri
oggi e dumani e sempri e tutti luri (2v) Rit

P. N. biancavilla - 8/6/2017 - 16:28


Interessante la nota di Rosario Sciangola del 2016.Approfondendo l'argomento ho trovato altra versione del testo che voglio sottoporre all'attenzione di questo forum.
In tale versione, nella prima strofa si parla di tale Saro Crozzato, anarchico che, giunto alla vecchiaia e preso dallo sconforto (o dal rimorso) si lamenta, con il curioso che lo vede all'angolo (a lu cantone) e gli va a parlare, del fatto che quando morirà non avrà il conforto del suono di una campana "muriri senza tocco di campane". E una versione razionale che, negli anni fino al 1950, potrebbe essere stata "purgata" dai riferimenti anticlericali per diventare più accettabile e popolare. La razionalità (rispetto ad un cranio parlante appeso ad una torre) della 1^ strofa è peraltro confermata nelle strofe successive. In particolare con il riferimento al pentimento e alla necessità, per il senza-Dio, di scontare il peccato prima di morire per non doverlo fare "a sangu ruttu". Per cui la prima strofa poteva essere stata questa (prima della censura)

"Vidi Saro Cruzzato (Rosario craniopelato) a lu cantoni
io che fui curiusu vo a parlari,
idda mi rispunniu cun gran duluri,
moriri senza tocco de campani"


E poi tutto il resto. In particolare mi ha fatto piacere conoscere le strofe (che non sono note) trascritte da Sciangola nella sua interessante descrizione

Francesco Laricchia - 29/4/2019 - 20:59




Lingua: Siciliano

Successive
da me composte Padre Salvatore Nicoletti Biancavilla
Ora ca s’affaciunu i duluri
spalanca u Paradisu lu Signuri
ca voli fari parti do s’Amuri
ca nalla cruci scoppia e scumparunu i duluri
Rit
Godu di l’Amuri do Signuri
Iddu cancia in amuri li duluri
ca sunu u prezzu ranni di l’Amuri
ca tuttu passa e resta l’Amuri Rit

Godu nallu prisenti di l’Amuri
l’Amuri veru di lu Signuri
ca tuttu duna cu granni splinduri
oggi e dumani e sempri e tutti luri Rit

Sintesi di quest’ultime tre strofe

Ora ca s’affaciunu i duluri
spalanca u Paradisu lu Siguri
ca tuttu duna cu granni splinduri
oggi e dumani e sempri e tutti luri (2v) Rit

inviata da Padre Salvatore Nicoletti Biancavilla - 6/7/2019 - 17:49


ciao a tutti, mi chiamo dino e scrivo da genova. ho letto varie versioni di "VITTI NA CROZZA" e questo non mi spiega con precisione il vero testo della poesia, (la canzone nasce nel 51 e questo l'ho capito ) non esiste il ritornello aggiunto successivamente, ma da una parte parla di giardino e fiori dall'altra no! dal film si sentono solo le prime frasi. quale è la verità. grazie.

pompili dino - 26/8/2019 - 14:58


ciao a tutti, sono ancora dino; ho riletto i commenti passati con più attenzione e credo di aver capito meglio la storia della prosa. grazie

pompili dino - 31/8/2019 - 13:49


Io sono di Favara e a parte il fatto che la canzone la cantavano i minatori ma almeno un secolo prima che venisse musicata da li causi fu proprio un vecchio minatore che ha una piccola parte nel film il "cammino della speranza" che la fa sentire a Pietro Germi,e proprio perche era cantata dai minatori il significato e molto diverso da quello che tutti attribuite al testo,"vitti na crozza supra un cannuni" il cannuni era l'ingresso della miniera e le canne erano i cuniculi,"moriri senza toccu di campani" era dovuta al fatto che quando succedeva un'incidente e capitavano spesso,le salme non venivano mai o quasi mai recuperati anche perche se crollavano i cunicoli era umanamente impossibile per quei tempi,il testo parla del resoconto della propria vita da parte di un vecchio minatore che ormai si sente prossimo alla fine e dialoga con la morte che si trova all'ingresso della miniera come sottolineare il fatto che in effetti non ha mai vissuto una vita agiata e che la morte era stata sempre costantemente la sua compagna che lo accompagnava quotidianamente in quei cunicoli e ora che è vecchio e stanco desidera morire in un letto e avere un funerale , cosa che per molti minatori non era stato possibile, quindi a parte il fatto che questa canzone era tristissima andava ad evidenziare la condizione disumana che vivevano i minatori nelle zolfatare

Antonio - 5/10/2019 - 15:33


Caro Antonio, quanto Lei dice era già stato qui registrato e fin dal 2007... Ma non era Lei lo stesso Antonio di allora?
Saluti

B.B. - 5/10/2019 - 23:55


Caro B.B io non sono lo stesso antonio che ha commentato nel 2007,ma comunque ciò che dice lui e quello che dico io collimano perfettamente, cioè il brano che viene attribuito a li causi e un falso storico

Antonio - 4/11/2019 - 00:56


Caro Antonio, voglio solo dire che la sua opinione era nota ed accolta da tempo... infatti qui il brano è attribuito ad "Autori differenti", a Li Causi solo la trascrizione musicale e l'arrangiamento.
Saluti

B.B. - 4/11/2019 - 07:33


Esiste una versione diversa di un cantautore siracusano attivo negli anni 70: Virginio Puzo (Puzzo) che la cantò in un noto programma della RAI.

Andrea Schiavo - 19/3/2020 - 16:21


In un post su facebook ho letto oggi questa spiegazione alternativa. Mi sembra interessante e plausibile (tra l'altro qualcun altro tra i commenti aveva fatto cenno a questa origine) e quindi la ripropongo

LA VERA STORIA DI "VITTI 'NA CROZZA"

zolfare


Qual è la vera storia di" Vitti ‘na crozza", una tra le più celebri canzoni della tradizione siciliana?
Non è una canzone allegra.
Tutt'altro.
Il vero significato delle parole ci riporta al mondo delle zolfare, fatto di faticosissimo lavoro e di sofferenza.
Una canzone che ci ricorda la sofferenza e anche l’ingiustizia di chi passava la maggior parte della propria vita nelle miniere di zolfo della vecchia Sicilia e se aveva la sventura di morire tra le viscere della terra lì restava, sepolto senza nemmeno “un toccu ‘ri campane”.

Protagonista della canzone è ’na crozza, ossia un teschio.
Un teschio che, attraverso il suo racconto, si fa promotore di una forte denuncia sociale, rivolta principalmente contro determinate usanze della Chiesa cattolica di un tempo.
La maggior parte delle persone ha sempre ritenuto che il famoso ‘cannuni’ dove si trova il teschio, protagonista della canzone, fosse il pezzo di artiglieria cilindrico utilizzato per fini bellici, e che la canzone si riferisca ad un evento di guerra.
Ma così non è; Il "cannuni" altro non era che il boccaporto delle miniere.

Il testo ripercorre l’ostracismo perpetrato dalla Chiesa, incredibilmente cessato solo verso il 1940, nei confronti dei minatori morti nelle solfatare.
I loro resti mortali non solo spesso rimanevano sepolti per sempre nella oscurità perenne delle miniere, ma per loro erano precluse onoranze funebri e perfino, insiste la voce del teschio, un semplice rintocco di campana, perché zolfo e sottosuolo erano simboli e dimora del demonio.
La voce del teschio implora che qualcuno riservi anche a lui questa pietas, affinché una degna sepoltura, accompagnata da un’onoranza funebre che lo possa degnamente accompagnare nell’aldilà sia in grado di riscattare i suoi peccati e garantirgli una pace eterna dopo un’esistenza di stenti, contrassegnata da un lavoro massacrante in un’oscurità permanente".

"Storia di vitti 'na crozza", Sara Favarò

Giovanni Sonego - 3/10/2022 - 17:23


Ieri durante una presentazione al festival La città dei lettori a Villa Bardini a Firenze, Stefania Aphel Barzini ha presentato il suo libro La mia casa è un’isola. La vita e la musica di Rosa Balistreri.

Nell'occasione ha raccontato anche l'aneddoto di come Francis Ford Coppola alla ricerca di musiche siciliane per la colonna sonora del film Il Padrino abbia conosciuto Rosa Balistreri, che naturalmente gli ha cantato questa, che è una delle poche canzoni siciliane conosciute all'estero. Finita la strofa il regista ha cominciato a cantare il famigerato tra-lla-lero del ritornello suscitando le ire di Rosa che ha spiegato che la canzone era tragica e che il ritornello non c'entrava niente. Conclusioni della Balistreri: "sarà anche un grande regista ma della Sicilia non ci capisce una minchia". Ovviamente le canzoni di Rosa non finirono nella colonna sonora del film.

Lorenzo Masetti - 12/6/2023 - 10:48




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