Credo nelle anime sante,
nella loro indipendenza conquistata sui sensi di una preghiera.
Credo nel lamento di un uomo in agonia,
inaccessibile silenzio degli ultimi istanti in una vita.
Credo nel lavaggio del suo corpo fermo,
nel suo vestito a festa e nell’incrocio delle mani,
testimoni di un battesimo confidato.
Credo nella gloria dei vinti.
Credo nelle loro carni piegate sotto le macerie,
i loro respiri cessati.
Credo nelle distese di orti trasformati,
dentro al loro recinto le ossa dei popoli ammazzati.
Credo nei miserabili che annegano alle porte d’Italia.
Credo in quelli che rimangono e il giorno dopo chiamiamo clandestini.
Credo nelle loro bambine vendute ai nostri piaceri,
nella loro tristezza che sorride vittima di un rossetto ingrato.
Credo negli angeli senza ali,
in quelli che a piedi nudi camminano dentro una fede.
Credo nel mondo,
quello fuori dalla vetrina in ginocchio a guardare dentro.
Credo nel colore delle pelli che indossa,
negli occhi neri dei figli che perde affamati.
Credo nella verità delle madri e del loro amore.
Credo nella miseria e nell’umiltà di questi versi.
Credo nella bellezza
E qui conviene fermarmi.
nella loro indipendenza conquistata sui sensi di una preghiera.
Credo nel lamento di un uomo in agonia,
inaccessibile silenzio degli ultimi istanti in una vita.
Credo nel lavaggio del suo corpo fermo,
nel suo vestito a festa e nell’incrocio delle mani,
testimoni di un battesimo confidato.
Credo nella gloria dei vinti.
Credo nelle loro carni piegate sotto le macerie,
i loro respiri cessati.
Credo nelle distese di orti trasformati,
dentro al loro recinto le ossa dei popoli ammazzati.
Credo nei miserabili che annegano alle porte d’Italia.
Credo in quelli che rimangono e il giorno dopo chiamiamo clandestini.
Credo nelle loro bambine vendute ai nostri piaceri,
nella loro tristezza che sorride vittima di un rossetto ingrato.
Credo negli angeli senza ali,
in quelli che a piedi nudi camminano dentro una fede.
Credo nel mondo,
quello fuori dalla vetrina in ginocchio a guardare dentro.
Credo nel colore delle pelli che indossa,
negli occhi neri dei figli che perde affamati.
Credo nella verità delle madri e del loro amore.
Credo nella miseria e nell’umiltà di questi versi.
Credo nella bellezza
E qui conviene fermarmi.
Contributed by Dead End - 2013/3/11 - 15:35
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Versi di Roberta Dapunt, poetessa della Val Badia, dalla raccolta “La Terra più del paradiso”, Einaudi, 2009.
Ambientazione sonora dei Fratelli Mancuso e del compositore Marco Betta.
Nello spettacolo dei Fratelli Mancuso “Il viaggio dell’anima” (2011), con Enzo Mancuso (voce, chitarra classica, violino, baglama, ghironda, sipsy), Lorenzo Mancuso (voce, chitarra classica, armonium, darabouka), Elena Sciamarelli (violoncello), Ketty Teriaca (pianoforte) ed Egle Doria (attrice, voce recitante).
Sulla scena con i fratelli di Sutera, poeti, compositori e musicisti impegnati a perpetuare la memoria delle antiche ballate siciliane e che da anni si esibiscono con celebri formazioni classiche e jazzistiche e con solisti d’eccezione come Stefano Bollani, Enrico Rava, Mario Venuti e Antonella Ruggiero. Ieri, a Catania, erano con la pianista Ketty Teriaca, direttore artistico di Classica & Dintorni, e la violoncellista Elena Sciamarelli, dell’Orchestra del Teatro Massimo Bellini di Catania.
"Abbiamo vissuto in molte città – raccontano al pubblico Enzo e Lorenzo – ma l’unica patria che abbiamo è il dialetto".
La lingua siciliana, dunque, cuce fra loro le performance e cede il passo ai versi di poeti contemporanei per raccontare drammi di cronaca. Così per la rievocazione degli ultimi istanti di vita del giudice Borsellino, dove le parole di Ruggero Cappuccio sono sostenute dalle ambientazioni sonore raccolte dal compositore Marco Betta e si sublimano delle Lamentazioni del Venerdì Santo di Sutera, quasi a sottolineare il dolore ciclico del ricordo (la Pasqua, dunque, come il 19 luglio 1992). E poi il dramma degli uomini in fuga dall’Africa verso le coste siciliane nei versi di Roberta Dapunt, di lucida e amara attualità: “(…) credo nei miserabili che annegano alle porte d’Italia/ Credo in quelli che rimangono e il giorno dopo chiamiamo clandestini (…).
Di grande respiro, con le sue architetture armoniche da terzo millennio, le partiture firmate da Betta e pensate per un insolito impasto timbrico dove il pianoforte di Ketty Teriaca e il violoncello di Elena Sciamarelli fanno da sostrato lieve e quasi evanescente al canto senza tempo intonato dai due fratelli.
(introduzione allo spettacolo, da La Triquetra - Idee e cultura in Sicilia)