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Children's Crusade, Op. 82 [Der Kinderkreuzzug]

Benjamin Britten
Langue: anglais


Benjamin Britten

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(1968)
Benjamin Britten
Benjamin Britten

Ballata per voci bianche, due pianoforti, organo e percussioni
A Ballad for White Voice, Two Pianos, Organ and Drums

Dalla poesia di Bertolt Brecht Der Kinderkreuzzug [1942]
From Bertolt Brecht's Der Kinderkreuzzug [1942]

(Versione inglese di Hans Keller)
Musica di Benjamin Britten
English Translation by Hans Keller
Music by Benjamin Britten



Brecht e la Kinderkreuzzug

Del 1942 è la sua [di Brecht] personale Crociata dei bambini, un piccolo poema, breve e asciutto, in trentacinque strofe senza rima, spogliate di qualunque sentimentalismo ma in grado di trasmettere, grazie alla loro essenzialità, una bellezza sconvolgente. Ancora ignaro della colossale portata delle atrocità che stanno colpendo l’Europa, il canto di Brecht assume valore autobiografi co e profetico.

Ma la fuga dei bambini dalla guerra ci obbliga a una riflessione più ampia e universale. A distanza di anni dai fatti narrati nulla è cambiato: ci sono ancora città in rovina dalle quali fuggire, ancora guerre in cui le vittime sono innanzitutto i più piccoli; esistono tuttora ragazzi in fuga dai loro paesi devastati, in cerca di pace e con la speranza di trovare o ritrovare la propria vita

La Crusade in musica di Britten
britten childrens crusadeLa ballata Children’s Crusade fu composta nel 1968 per il coro della Wandsworth School ed eseguita l’anno seguente nella cattedrale di Saint Paul a Londra per il cinquantesimo anniversario dell’organizzazione “Save the Children”; definita dall’autore «un brano davvero agghiacciante».

Children’s Crusade lancia un cupo monito per liberare l’uomo dalla sua inumanità, aiutandoci a
riflettere su quanto la vita dei piccoli sia indissolubilmente legata al mondo violento e conflittuale degli adulti.

Il coro è qui il grande protagonista: dalla sua voce narrante emergono le voci di nove solisti, figure coraggiose come quella del piccolo capo, o tenui e delicate come quelle dei due fanciulli innamorati, o che portano con sé ancora un barlume di entusiasmo, come il piccolo percussionista. Lo stile è quello di un recitativo aspro e flessibile. La narrazione, in perfetto stile brechtiano, avviene in terza persona anche quando a raccontarsi sono i personaggi stessi.

L’effetto sonoro è angosciante ed è ottenuto grazie all’utilizzo di una compagine orchestrale molto particolare, composta da due pianoforti (qui pianoforte a quattro mani), un organo e un cospicuo gruppo di percussioni. La combinazione di strumenti si presta a molteplici effetti: dalle esplosioni fragorose delle percussioni negli accordi iniziali, in contrasto con il colore scuro del pianoforte e dell’organo, all’utilizzo onomatopeico di un singolo strumento che dà voce, ad esempio, al cane. La
tensione musicale ottenuta da Britten esalta l’atmosfera narrativa del testo brechtiano, un’atmosfera cupa e tragica nella quale sembra impossibile vedere uno spiraglio di luce: la voce dei bambini sperduti e affamati lentamente si affievolisce e anche l’orchestra perde il suo suono, spegnendosi in debolissimi accordi del pianoforte solo.

La vicenda
Nella Polonia del 1939 devastata dalla guerra, cinquantacinque fanciulli cercano di fuggire dal loro paese per mettersi in salvo e cercare la pace. Sono capeggiati da un piccolo leader coraggioso, che però non conosce la strada. Nel gruppo emergono alcune figure: un bambino ebreo che ha perso tutto ma indossa ancora il suo bavero di velluto, due fratelli “abili strateghi”, in cerca di fattorie abbandonate, un bambino esile che se ne sta in disparte perché arriva dall’ambasciata nazista… e ancora un percussionista al quale gli altri bambini impediscono di suonare per paura che il rumore tradisca la loro presenza, due giovani e teneri innamorati e perfino un cane, catturato per essere mangiato, ma che nessuno ha il coraggio di uccidere.

Nel loro vagabondare tra villaggi abbandonati e fattorie bombardate i bambini discutono, litigano,
si riappacificano, seppelliscono il piccolo ebreo col bavero di velluto, prima vittima della fame e del freddo. Ormai perduti, incontrano un soldato morente che indica Bilgoray, la città dove c’è la pace, ma il cartello stradale è stato divelto e risulta così impossibile raggiungerla. Affamati e stremati, i bambini scrivono un biglietto, una richiesta di aiuto, e lo legano al collo smagrito del cane nella speranza che qualcuno li salvi. Anche il cane, però, si perde e morirà di fame.

dalla Scheda di sala dell'allestimento al Teatro Regio di Torino, gennaio 2012.
In Poland, in nineteen thirty-nine,
there was the bloodiest fight:
turning ev’ry town and village
into a wilderness of night.

Young sisters had lost their brothers;
young wives their men at war;
in the blaze and the heaps of rubble
children found their parents no more.

Nothing has come out of Poland,
letter or printed report;
but in the East runs a story
of the most curious sort.

Snow fell as they told one another,
there in an Eastern town,
about a children’s crusade:
deep in Poland, wand’ring round.

Lost children were scuttling, hungry;
in little formations were seen.
There they gathered with others,
standing where villages once had been.

They wanted to fly from the fighting,
let the nightmare cease;
and one fine day they’d come
upon a land where there was peace.

They had their little leader,
keeping them on the go,
he had a terrible worry:
the way he just did not know.

A little Jew was found marching in step:
he had a velvety collar,
he was used to the whitest bread,
and yet he showed much valour.

Once two brothers joined the pack,
tried strategic campaigning.
When they stormed a peasant’s empty shack,
they left it because it was raining.

A thin, grey boy kept himself apart,
he avoided provocation.
He was marked by a fearful guilt:
he came from the Nazi legation.

And there was among them a drummer-boy,
he found drum and drumsticks in a village shop
that had been raided,
the troop allowed no drumming:
noise would have betrayed it.

And there was a dog,
they’d caught him to eat him;
kept him on as an eater:
that was the only way to treat him.

They had their symphony,
by a waterfall in the snow,
our drummer-boy could use
his drumsticks,

since nobody could hear him. No!
And then there was some loving.
She was twelve, he was fifteen;
there in a ruined cottage,
she sat and combed his hair.

But love it is not for ever
not in the biting cold:
for how’ can the saplings blossom
with so much snow to hold?

Then there was a war,
war against some other children on the run;
and the war just simply ended:
sense it had none.

And then there was a trial,
on either side burned a candle.
What an embarrassing affair!
The judge condemned! What a scandal!

Then there was a funeral,
Velvet Collar it was whom they buried,
the body by Polish and German bearers
to burial was carried.

Protestants and Catholics, and Nazis were there,
to consign him to his mother earth.
At the end they heard a little socialist
talk with confidence of mankind’s rebirth.

So there was faith, there was hope too,
but no meat or bread.
Had people who cuffed them for stealing
offered them shelter instead!

But none should rebuke the needy man
who would not part with a slice:
For fifty odd children you need flour,
flour not sacrifice.

They wandered steadily southward.
South is there, where the sun
stands high at midday
for ev’ry-one.

Once, to be sure, they found a soldier
wounded, in pine-woods he lay.
They tended him seven days,
so that he could tell them the way.

He spoke up clearly: “To Bilgoray!”.
His fever made him rave.
An eighth day he did not live to see:
for him too they dug a grave.

True, there was a signpost also:
deep in the snow they found.
In fact it had ceased to show the way:
someone had turned it round.

And when they hunted for Bilgoray,
nowhere could they find it.
They stood there, around their leader
He looked at the snow-laden air,
and made a sign with his little hand,
and told them: “It must be there”.
Where once the south-east of Poland was,
in raging blizzard keen,
there were our five-and-fifty
last to be seen.

Whenever I close my eyes I see them wander
there from this old
farmhouse destroyed by the war
to another ruined house yonder.

High above them, in the clouded sky
I see others swarming, surging, many!
There they wander, braving icy blizzards,
homes and aims they haven’t any.

Searching for a land where peace reigns,
no more fire, no more thunder,
nothing like the world they‘re leaving
mighty crowds too great to number.

In Poland that same January,
they caught a dog half strangled:
a cord was hung round his scraggy neck
and from it a notice dangled.

Saying this: please come and help us!
Where we are we cannot say.
We’re the five-and-fifty
the dog knows the way.

The writing was in a childish hand.
Peasants had read it over.
Since then more than a year has gone by.
The dog starved: he didn’t recover.

25/8/2012 - 00:01




Langue: italien

La versione italiana del testo inglese tratta dal libretto della rappresentazione al Teatro Regio di Torino.

chilcrus
LA CROCIATA DEI BAMBINI

In Polonia, nel millenovecentotrentanove,
ci fu la più sanguinosa battaglia:
ridusse a una notte desolata
ogni città e paese.

Giovani sorelle persero i fratelli,
giovani mogli persero i mariti in guerra;
tra incendi e mucchi di macerie
i bambini non trovarono più i genitori.

Dalla Polonia non si è saputo più nulla,
né lettere né bollettini;
ma nell’Est circola
una storia stranissima.

La neve cadeva mentre si narrava,
in una città di quelle parti,
di una crociata di bambini
che girovagavano nel cuore della Polonia.

Bambini sperduti fuggivano affamati;
furono visti in piccoli drappelli.
Si radunarono con altri
fermandosi dove un tempo sorgevano villaggi.

Volevano fuggire dalla battaglia,
far cessare l’incubo;
e un bel giorno arrivare
in una terra di pace.

Avevano il loro piccolo capo,
che li incoraggiava ad andare avanti
e che aveva una terribile preoccupazione:
non conosceva affatto la strada.

Un piccolo ebreo marciava al passo:
aveva un colletto di velluto,
era abituato al pane più raffi nato,
eppure dimostrò un gran coraggio.

Due fratelli si unirono poi alla truppa
atteggiandosi a strateghi.
Quando presero d’assalto una fattoria abbandonata
la lasciarono perché pioveva.

Un ragazzo esile e grigio si teneva
in disparte, evitava le provocazioni.
Era marcato da una colpa spaventosa:
veniva da un’ambasciata nazista.

E c’era tra loro un tamburino,
trovò tamburo e bacchette in un negozio
che era stato saccheggiato,
ma la truppa non gli permise di suonare il tamburo:
il rumore li avrebbe traditi.

E c’era un cane,
lo avevano catturato per mangiarlo;
e lo mantenevano come uno di loro:
era l’unico modo di trattarlo.

Suonarono la loro sinfonia,
presso una cascata nella neve,
il nostro tamburino poté usare le sue bacchette
poiché nessuno l’avrebbe sentito. Nessuno!

E poi ci fu un po’ d’amore.
Lei aveva dodici anni, lui quindici;
in una casetta abbandonata
lei si fermò per pettinargli i capelli.

Ma l’amore non dura per sempre,
non nella morsa del freddo:
infatti, come fanno le gemme a fiorire
con così tanta neve da sorreggere?

Poi ci fu una guerra,
una guerra contro altri bambini in marcia;
e la guerra semplicemente finì:
perché non aveva alcun senso.

E poi ci fu un processo,
tutti dibattevano ardentemente.
Che affare imbarazzante!
Il giudice condannò. Che scandalo!

Poi ci fu un funerale,
Colletto diVelluto fu quello che seppellirono,
il corpo fu condotto alla sepoltura
da polacchi e tedeschi.

C’erano protestanti, cattolici e nazisti,
per consegnarlo alla madre terra.
E alla fine ascoltarono un piccolo socialista
parlare con fiducia della rinascita del genere umano.

Dunque c’era fede, e c’era speranza,
ma né carne né pane.
Se quelli che li avevano schiaffeggiati per aver rubato
avessero invece offerto loro un riparo!

Ma nessuno biasimi l’uomo bisognoso
che non spartirebbe un boccone:
per una cinquantina di bambini ci vuole farina,
farina e non sacrifici.

Vagavano continuamente verso sud.
Il sud è là dove il sole
splende alto a mezzogiorno
per chiunque.

Una volta, a esser precisi, trovarono un soldato
ferito, disteso in una pineta.
Lo curarono per sette giorni
affinché potesse indicare loro la via.

Lui esclamò a gran voce: “A Bilgoray!”.
La febbre lo faceva delirare.
Non visse abbastanza per vedere l’ottavo giorno:
e anche per lui scavarono una fossa.

Per la verità c’era anche un cartello:
lo trovarono sepolto nella neve.
In realtà aveva smesso di indicare la via:
qualcuno lo aveva girato.

E quando cercarono in lungo e in largo Bilgoray,
non riuscirono a trovarla da nessuna parte.
Restarono là, in piedi, intorno al loro capo.
Lui guardò l’aria carica di neve,
e fece un segno con la piccola mano,
e disse loro: “Dev’essere là”.

Dove una volta c’era il sud est della Polonia,
mentre infuriava una bufera di neve,
i nostri cinquantacinque
furono visti per l’ultima volta.

Tutte le volte che chiudo gli occhi
li vedo vagare
da una vecchia fattoria distrutta dalla guerra
ad un’altra casa in rovina.

Sopra di loro, lassù, nel cielo nuvoloso
ne vedo altri a frotte, a ondate, sono molti!
Vagano sfidando gelide
tormente, senza alcuno scopo nè casa.

Alla ricerca di una terra dove regni la pace,
niente più incendi, niente più tuoni,
niente a che vedere con il mondo che stanno lasciando,
c’è una folla imponente, troppo grande da calcolare!

In Polonia, in quello stesso gennaio,
catturarono un cane mezzo strangolato:
una corda gli stringeva il collo scheletrico
e da essa penzolava un cartellino.

Diceva: per favore venite ad aiutarci!
Non sappiamo dove ci troviamo.
Noi siamo i cinquantacinque,
il cane conosce la strada.

La calligrafia era di mano infantile.
I contadini lo lessero.
Da allora più di un anno è passato.
Il cane è morto di fame: non si è più ripreso.

25/8/2012 - 14:09




Langue: allemand

La poesia originale di Bertolt Brecht (1942)
Bertolt Brecht's Original Poem (1942)
Originalgedichte von Bertolt Brecht (1942)

Da/From/Aus: Kalendergeschichten [1949]


Recitata da Lutz Görner con accompagnamento musicale


La poesia musicata da Ralf Y. Gawlick
Coro dei ragazzi della Chorakademie Dortmund
(Knabenchor der Chorakademie Dortmund)
Direzione/Leitung: Jost Salm


kalender
DER KINDERKREUZZUG

In Polen, im Jahr Neununddreißig
War eine blutige Schlacht
Die hatte viele Städte und Dörfer
Zu einer Wildnis gemacht.

Die Schwester verlor den Bruder
Die Frau den Mann im Heer;
Zwischen Feuer und Trümmerstätte
Fand das Kind die Eltern nicht mehr.

Aus Polen ist nichts mehr gekommen
Nicht Brief noch Zeitungsbericht.
Doch in den östlichen Ländern
Läuft eine seltsame Geschicht.

Schnee fiel, als man sich's erzählte
In einer östlichen Stadt
Von einem Kinderkreuzzug
Der in Polen begonnen hat.

Da trippelten Kinder hungernd
In Trüpplein hinab die Chausseen
Und nahmen mit sich andere, die
In zerschossenen Dörfern stehn.

Sie wollten entrinnen den Schlachten
Dem ganzen Nachtmahr
Und eines Tages kommen
In ein Land, wo Frieden war.

Da war ein kleiner Führer
Das hat sie aufgericht'.
Er hatte eine große Sorge:
Den Weg, den wußte er nicht.

Eine Elfjährige schleppte
Ein Kind von vier Jahr
Hatte alles für eine Mutter
Nur nicht ein Land, wo Frieden war.

Ein kleiner Jude marschierte im Trupp
Mit einem samtenen Kragen
Der war das weißeste Brot gewohnt
Und hat sich gut geschlagen.

Und ging ein dünner Grauer mit
Hielt sich abseits in der Landschaft.
Er trug an einer schrecklichen Schuld:
Er kam aus einer Nazigesandtschaft.

Und da war ein Hund
Gefangen zum Schlachten
Mitgenommen als Esser
Weils sie's nicht übers Herz brachten.

Da war eine Schule
Und ein kleiner Lehrer für Kalligraphie.
Und ein Schüler an einer zerschossenen Tankwand
Lernte schreiben bis zu Frie...

Da war auch eine Liebe.
Sie war zwölf, er war fünfzehn Jahr.
In einem zerschossenen Hofe
Kämmte sie ihm sein Haar.

Die Liebe konnte nicht bestehen
Es kam zu große Kält:
Wie sollen die Bäumchen blühen
Wenn so viel Schnee drauf fällt?

Da war auch ein Begräbnis
Eines Jungen mit samtenen Kragen
Der wurde von zwei Deutschen
Und zwei Polen zu Grab getragen.

Protestant, Katholik und Nazi war da
Ihn der Erde einzuhändigen.
Und zum Schluß sprach ein kleiner Kommunist
Von der Zukunft der Lebendigen.

So gab es Glaube und Hoffnung
Nur nicht Fleisch und Brot.
Und keiner schelt sie mir, wenn sie was stahl'n
Der ihnen nicht Obdach bot.

Und keiner schelt mir den armen Mann
Der sie nicht zu Tische lud:
Für ein halbes Hundert, da braucht es
Mehl, nicht Opfermut.

Sie zogen vornehmlich nach Süden.
Süden ist, wo die Sonn
Mittags um zwölf steht
Gradaus davon.

Sie fanden zwar einen Soldaten
Verwundet im Tannengries
Sie pflegten ihn sieben Tage
Damit er den Weg ihnen wies.

Er sagte ihnen: Nach Bilgoray!
Muß stark gefiebert haben
Und starb ihnen weg am achten Tag.
Sie haben auch ihn begraben.

Und da gab es ja Wegweiser
Wenn auch vom Schnee verweht
Nur zeigten sie nicht mehr die Richtung an
Sondern waren umgedreht.

Das war nicht etwa ein schlechter Spaß
Sondern aus militärischen Gründen.
Und als sie suchten nach Bilgoray
Konnten sie es nicht finden.

Sie standen um ihren Führer.
Der sah in die Schneeluft hinein
Und deutete mit der kleinen Hand
Und sagte: Es muß dort sein.

Einmal, nachts, sahen sie ein Feuer
Da gingen sie nicht hin.
Einmal rollten drei Tanks vorbei
Da waren Menschen drin.

Einmal kamen sie an eine Stadt
Da machten sie einen Bogen.
Bis sie daran vorüber waren
Sind sie nur nachts weitergezogen.

Wo einst das südöstliche Polen war
Bei starkem Schneewehen
Hat man die fünfundfünfzig
Zuletzt gesehn.

Wenn ich die Augen schließe
Seh ich sie wandern
Von einem zerschossenen Bauerngehöft
Zu einem zerschossenen andern.

Über ihnen, in den Wolken oben
Seh ich andre Züge, neue, große!
Mühsam wandernd gegen kalte Winde
Heimatlose, Richtungslose

Suchend nach dem Land mit Frieden
Ohne Donner, ohne Feuer
Nicht wie das, aus dem sie kamen
Und der Zug wird ungeheuer.

Und er scheint mir durch den Dämmer
Bald schon gar nicht mehr derselbe:
Andere Gesichtlein seh ich
Spanische, französische, gelbe!

In Polen, in jenem Januar
Wurde ein Hund gefangen
Der hatte um seinen mageren Hals
Eine Tafel aus Pappe hangen.

Darauf stand: Bitte um Hilfe!
Wir wissen den Weg nicht mehr.
Wir sind fünfundfünfzig
Der Hund führt euch her.

Wenn ihr nicht kommen könnt
Jagt ihn weg
Schießt nicht auf ihn
Nur er weiß den Fleck.

Die Schrift war eine Kinderhand.
Bauern haben sie gelesen.
Seitdem sind eineinhalb Jahre um.
Der Hund ist verhungert gewesen.

25/8/2012 - 00:17




Langue: italien

La traduzione italiana di Ruth Leiser e Franco Fortini.
Da: Bertolt Brecht, Storie da Calendario. Einaudi, I Coralli 128, Torino 1972. Traduzioni di Ruth Leiser, Franco Fortini, Cesare Cases e Roberto Corazza.

Franco Fortini e la moglie Ruth Leiser.
Franco Fortini e la moglie Ruth Leiser.
LA CROCIATA DEI RAGAZZI

In Polonia, nel Trentanove,
una battaglia grande ci fu
che fece rovina e deserto
di tanti paesi e città.

La sorella ci perse il fratello,
la moglie il marito soldato,
tra fuoco e macerie i figliuoli
i genitori non trovano più.

Di Polonia non venne più nulla,
né notizie ai giornali né lettere.
Ma nei paesi dell’Est
una storia strana raccontano.

Nevicava, quando in quei posti
si sentì che la gente parlava
d’una crociata di ragazzi
che in Polonia era cominciata.

Trottavano sugli stradali
ragazzi affamati attruppati,
e dai villaggi bombardati
altri portavano con sé.

Dalle battaglie volevano
fuggire, da tutti quegli incubi
e finalmente un giorno,
venire a una terra di pace.

Avevano un piccolo capo
che li aveva guidati fin là.
Ma una gran pena aveva in cuore:
la strada non la sapeva.

Una d’undici anni menava
un bambino di quattro anni
Come una mamma farebbe; ma non
fino a una paese di pace.

Marciava nel gruppo un piccolo ebreo
col suo bavero di velluto;
lui, avvezzo al pane più bianco,
da coraggioso s’era battuto.

E due fratelli venivano avanti,
che erano grandi strateghi
per assalire fattorie
deserte, lasciate alla pioggia.

E c’era uno, grigio, sottile,
che andava da solo pei campi
con una colpa tremenda: veniva
da un’ambasciata dei nazi.

E un musicista tra loro
che in un negozio distrutto aveva trovato un tamburo
ma, per non farli scoprire,
non lo poteva suonare.

E anche c’era un cane:
per ammazzarlo l’avevano preso
ma gli era mancato il coraggio
e ora mangiava con loro.

E c’era una scuola ed un piccolo
maestro che si sgolava.
Sulla corazza di un carro, uno scolaro
sillabava, di « pace », « p » e « a ».

E al fragore di un freddo torrente
anche un concerto ci fu:
nessuno li avrebbe sentiti
e il tamburo allora suonò.

E anche c’era un amore,
lei dodici, lui quindici anni.
In un cortile di macerie, lei
i capelli gli pettinava.

L’amore non poté resistere,
il freddo che venne fu troppo.
Come le piante possono fiorire
se cade tanta neve?

E anche una guerra ci fu,
perché un’altra banda comparve,
ma la guerra fu presto finita,
ché non c’era ragione di farla.

Ma mentre ancora infuriava
intorno a un casello distrutto,
si dice che uno dei gruppi
a un tratto fu a corto di viveri.

E quando gli altri lo seppero
mandarono uno dei loro
con un sacco di patate; perché
chi non mangia la guerra non fa.

E ci fu anche un processo,
e ardevano due candele.
E fu un’inchiesta penosa.
Il giudice venne condannato.

E il funerale ci fu di un ragazzo
che portava il colletto di velluto.
Lo calarono due tedeschi
e due polacchi nella fossa.

C’erano protestanti, cattolici e nazi
per consegnarlo alla terra.
E alla fine un piccolo socialista
parlò del futuro dei vivi.

Così c’erano fede e speranza,
ma non c’era né carne né pane.
Chi non gli dette un tetto
non mi venga ora a dire che rubavano.

E nessuno dia colpa a quei poveri
che non li invitarono a tavola.
Per cinquanta ragazzi, farina
ci voleva, non solo bontà.

Pareva che andassero a sud.
Il sud è dove il sole
all’ora di mezzogiorno
proprio ti sta davanti.

Trovarono anche un soldato
tra gli aghi dei pini, ferito.
Lo curarono per sette giorni
perché gli indicasse la via.

Lui disse: « A Bilgoray! ».
Tremava tutto di febbre,
l’ottavo giorno morì
e così anche lui seppellirono.

Sebbene coperti di neve
c’erano frecce e cartelli.
Non mostravano più la via giusta,
qualcuno li aveva scambiati.

Non era uno scherzo malvagio,
era per ragioni di guerra:
cercando così Bilgoray
nessuno mai ci arrivò.

Erano in cerchio intorno al loro capo.
Lui guardava nell’aria di neve.
Accennò con la piccola mano
e disse: « Dev’essere laggiù ».

Una notte videro un fuoco
ma non gli andarono incontro.
Tre carri armati, una volta,
passarono e dentro c’erano uomini.

E una volta giunsero presso
a una città, e le girarono attorno,
camminando soltanto di notte
finché la città non passò.

Dove una volta c’era la Polonia
del sud, furono visti nella neve
della tormenta, quei cinquantacinque,
per un’ultima volta.

Quando io chiudo gli occhi
li vedo come vagano
dalle rovine di una fattoria
alle rovine di un’altra.

Su di loro, lassù nelle nuvole,
vedo altri cortei, nuovi, grandi!
Vanno a fatica contro i venti freddi,
i senza patria, i senza meta,

cercando una terra di pace,
senza il tuono, senza l’incendio,
non come quella che lasciano.
E immenso diventa il corteo.

E dentro il buio del crepuscolo
non mi pare già più quel che era.
Altri piccoli visi vi scorgo,
spagnuoli, francesi, orientali.

In Polonia, in quel mese di gennaio,
un cane per caso fu preso.
C’era un cartello appeso
al suo collo smagrito,

e c’era scritto: « Aiutateci,
abbiamo perduta la strada.
Siamo cinquantacinque.
Il cane vi guiderà.

Se non potete venire,
lasciatelo andar via.
Non gli sparate. Dove
siamo, lui solo lo sa ».

Era una scrittura infantile.
La lessero quei contadini.
Un anno e mezzo da allora è passato.
Il cane moriva di fame.

envoyé par Riccardo Venturi - 9/9/2015 - 01:05




Langue: français

Version française – LA CROISADE DES ENFANTS – Marco Valdo M.I. – 2012
Chanson allemande - Der Kinderkreuzzug – Bertolt Brecht – 1942

Brecht et la Kinderkreuzzug

La Croisade des Enfants de Bertolt Brecht est une œuvre qui date de 1942. Un poème assez « sec » de trente-cinq strophes, dépouillées de tout sentimentalisme mais qui transmettent, grâce à leur densité, une beauté bouleversante. Encore ignorant de la portée colossale des atrocités qui frappaient l'Europe, le chant de Brecht a une valeur autobiographique et prophétique.

Mais la fuite des enfants de la guerre nous oblige à une réflexion plus ample et universelle. À distance des années, des faits racontés, rien n'a changé ; il y a encore des villes en ruines d'où il faut fuir, encore des guerres où les victimes sont d'abord les plus petits; il y a toujours des enfants en fuite de leurs pays dévastés, en quête de paix et avec l'espoir de trouver ou retrouver leur propre vie.

britten childrens crusadeJe ne crois pas qu'en 1942, Brecht ignorait ce qui se passait en Allemagne, en Pologne et ailleurs en Europe... Pour moi, la chose n'est pas sûre du tout, dit Lucien Lane... Bien au contraire, il connaissait très bien « les atrocités qui frappaient l’Europe ». Sans compter tous ceux qui avaient été assassinés (Rosa Luxembourg, Karl Liebknecht, Gustav Landauer), ceux qui étaient déjà massacrés dans les camps depuis l'arrivée des nazis au pouvoir (Carl von Ossietsky, Erich Mühsam... et les milliers ou millions (?) d'Allemands qu'on ne peut tous citer ici), tout comme ceux restés au pays, les exilés allemands : Kurt Tucholsky (suicide), Bertolt Brecht, Ernst Töller (suicide), Thomas Mann, Klaus Mann (suicide)..., autrichiens : Jozef Roth (suicide éthylique), Stefan Zweig (suicide), polonais, tchèques, les juifs de toute l'Europe … savaient pour les camps, les massacres, la mentalité du nationalisme, héritier de Bismarck... Ils le savaient depuis des années et ils n'arrêtaient pas de le crier... Vox clamans in deserto, car les « démocraties » ne voulaient pas savoir... C'est le sens réel des accords de Munich... Elles ne voulaient pas voir et pas savoir, comme ce fut le cas en Espagne dès 1936 (Victor Serge, Arthur Koestler, George Orwell), il est d’ailleurs plus que probable que la position russe allait dans le même sens – ne pas voir, ne pas savoir... quand bien même, ils savaient tout. Pour l'essentiel, il s'agissait de laisser les mains libres aux nazis pour liquider toute cette bande d'anarchistes, de communistes, de socialistes, de syndicalistes... Tout ce qui pouvait constituer l'ossature d'une révolution pour un monde où la domination des riches et des puissants au pouvoir aurait disparu... Il faut regarder les choses au travers du prisme de la Guerre de Cent Mille Ans et des Histoires d'Allemagne... par exemple Les Jeux Olympiques de Sachsenhausen près de Berlin, ces Jeux olympiques de Sachsenhausen près de Berlin, où le monde entier fut convié à voir et à regarder... et d'un coup, on comprend mieux... Personne ne pouvait ignorer, mais tous ont fait semblant de ne pas savoir... tant que ce fut possible. Cela dit, qu'est-ce que cette histoire de croisade des enfants ?

Ah, Lucien l'âne mon ami, cette histoire de croisade des enfants, c'est toute une épopée... Et je vais te dire pourquoi... Tu connais Bertolt Brecht et tu sais que c'est là un homme de culture et de culture allemande. Ceci a son importance très particulière en ce qui concerne la croisade des enfants. Car il est une histoire dans la tradition « allemande » qui raconte une histoire de croisade d'enfants. Elle remonte loin cette histoire de croisade des enfants, tout au début du XIIIième siècle. On la situe généralement en l'année 1212. On en trouve plusieurs récits datant de cette époque – environ. Elle prend ainsi son origine bien avant la venue de Bertolt Brecht. Mais je pense bien que Brecht en avait connaissance et y fait implicitement référence.

Oh, dit Lucien l'âne en riant, moi, j'y étais. J'y ai participé tant à l'allemande qu'à la française, même si à l'époque, il n'y avait ni France, ni Allemagne. Car il y eût deux croisades de « pueri ». C’était, si je me souviens bien, il y a huit cents ans exactement en 1212. Parenthèse : raison de plus pour en parler, c'est pas tous les jours qu'on a huit cents ans. Donc, il y a mille ans, il y eut, c'est la légende, une croisade des enfants. Mais, moi qui y ai participé, à titre de bête de somme, je peux te garantir qu'il ne s'agit là que d'une légende... Mais les « pueri », les soi-disants enfants étaient en réalité des pauvres... Il y avait des soldats, mais aussi des femmes (à soldats), des femmes (de soldats) , des vagabonds, des prêtres... et même des enfants. Un peu la même faune que celle de la croisade de Pierre... Bien sûr, on partit pour la croisade, comme on disait à l'époque... En route vers Jérusalem, une ville maudite, crois-moi... Depuis que je la connais et il y a des milliers d'années, cette ville n'a attiré que des malheurs et a suscité tant de massacres qu'il vaudrait mieux qu'elle disparaisse définitivement de la carte ou qu'à tout le moins, on arrête de délirer et de la prendre pour une ville sainte. Ce qu'elle ne pourrait être en vérité, je te le dis. Bref, Jérusalem est une vraie catastrophe, une pomme de discorde parfaitement oiseuse et inutile. Comme les jeunes suisses disaient : « Rasez les Alpes, qu'on voie la mer ! » , disons : « Rasez Jérusalem qu'on aie la paix ! », sans que je veuille, je le souligne, le moindre mal à ses habitants. Il suffira de les déplacer... Le bonheur de l'humanité est à ce prix. Enfin, le bonheur, je ne sais pas trop ; mais la paix certainement. En tous cas, on évitera les croisades et autres guerres sectaires...

Sais-tu, Lucien l'âne mon ami, qu'il y a eu – à partir de cette épopée brechtienne une version anglaise et musicale par le compositeur britannique Benjamin Britten, qui en a musicalisé une version légèrement différente... dont je te ferai une traduction. C'est à peu près la même histoire, mais comment dire, un peu aseptisée, plus intemporelle, rabotée aux angles. Enfin, tu verras. Et puis, des croisades d'enfants, on en trouve un certain nombre d’autres et fort différentes de celle de Bertolt Brecht. Je n'en ferai pas une recension exhaustive. Je te signalerai cependant, car elle a certaine parenté avec les soucis de Brecht, celle de Kurt Vonnegut Jr., mieux connue sous le nom d'Abattoir 5: Slaughterhouse Five or the Children's Crusade. Mais elle est de loin postérieure à l'histoire racontée par Brecht. Cependant, elle se rapporte directement au bombardement de Dresde de 1945. Pour la petite histoire, il existe aussi une chanson enfantine française sur le même thème de la croisade des enfants. Elle date de 1985 et est chantée, écrite et composée par Jacques Higelin. Elle plaît beaucoup dans les patronages... mais elle n'a rien, mais alors rien de commun avec la croisade des enfants de Bertolt Brecht, sauf le titre. C'est cependant une chanson contre la guerre, reprise dans la CCG, La croisade des enfants. Cela dit, j'ai établi une version française du texte de Bertolt Brecht.

À nous, il reste cependant à poursuivre, non pas une croisade, mais notre simple tâche quotidienne de tisser le linceul de ce vieux monde peuplé de croisés et de croisades, où meurent trop vite trop d'enfants, vieux monde avide, absurde et cacochyme, cependant.

Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien Lane
LA CROISADE DES ENFANTS

En mil neuf cent trente-neuf, en Pologne,
Il y eut une bataille sanglante
Qui a transformé villes et villages
En zones désertes.

La sœur perdit son frère
La femme son homme à la guerre,
Entre les ruines et le feu dévorant
L'enfant perdit ses parents.

Il n'est plus rien venu de Pologne,
Pas de lettre ni de nouvelles
Dès lors dans les régions orientales
Courut une histoire étrange.

La neige tombait, tandis que les gens
Dans une ville orientale
Racontaient qu'une croisade d'enfants
Avait commencé en Pologne.

Là trottinaient des enfants affamés
En bandes descendant les chaussées
Et emmenaient avec eux d’autres
Des villages en décombres.

Ils voulaient fuir la guerre
Et tout ce sombre rêve
Et un jour, ils voulaient
Arriver dans un pays en paix.

Ils avaient un petit führer
Qui leur a fait grand peur
Il avait un petit doute
Il ne connaissait pas la route.

Un gars de onze ans traînait
Un gamin de quatre ans
C'était comme une mère
Dans ce monde tout en guerre.

Un petit juif marchait avec la troupe
Il avait un col de belle coupe
Il était habitué au pain le plus blanc
Et au combat, il était très vaillant.

Suivait un terne gars gris
Qui se perdait dans le paysage
Et portait une faute horrible sur son visage :
Il venait d'une ambassade des nazis.

Et il y avait un chien
Qui dans la bataille, les avait rejoints
Qu'ils traitaient comme un des leurs
Car ils ne pouvaient agir à contrecœur.

Il y avait une école
Et un petit prof de calligraphie
Un élève sur un mur effondré
Avait juste pu écrire pai...

Il y avait un amour
Elle avait douze ans, lui en avait quinze
Tout au fond d'une cour
Elle lui peignait les cheveux

L'amour ne put pas durer
Il vint un trop grand froid :
Comment refleurissent les bois
Quand il a tant neigé ?

Il y avait aussi un enterrement
Le jeune au col de belle coupe
Était porté par deux Allemands
Et deux Polonais jusqu'à sa tombe.
Protestants, catholiques et nazis étaient là
Pour l'enterrement
Et à la fin un petit communiste parla
De l'avenir des vivants.

Ainsi il y avait la foi et l'espérance
Mais ni pain, ni viande.
Et ne les engueulez pas, quand ils grapillent
Si vous ne leur offrez pas d'abri.

Et ne tourmentez pas les misérables
Qui n'ont rien sur la table
Quand on est cinquante pour manger
Il ne faut pas de l'abnégation, mais du blé .

Vers le Sud, ils avancent sans peur
Le Sud, c'est là où le soleil
À midi marque douze heures
Juste au milieu du ciel.

Ils trouvèrent alors un soldat
Il gisait blessé dans la sapinière
Sept jours, ils le soignèrent
Afin qu'il les emmène là-bas.

Il leur dit : à Bilgoray !
Il avait une fièvre terrifiante
Après huit jours, il mourut en route
Lui aussi, ils l'ont enterré.

Il y avait là un panneau de direction
Par la neige entièrement caché
Et qui n'indiquait plus l'orientation
Car on l'avait retourné.

Il n'y avait pas de pire blague
En dehors des affaires militaires.
Et quand ils cherchèrent Bilgoray
Ils ne purent rien trouver


Ils restèrent autour de leur führer.
Il regardait à travers le rideau de neige
Il indiqua de sa petite main quelque chose
Ce doit être par là, dit le führer.

Une fois, la nuit, ils virent un feu
Ils n'allèrent pas devant.
Une autre fois, trois tanks passèrent
Des hommes étaient dedans.

Une fois dans une ville, ils arrivèrent
Là, ils firent un détour
Jusqu'à ce qu'ils la contournèrent
Et ils repartirent pour un nouveau jour.

Une fois en Pologne du Sud
Sous la neige, par moins vingt-cinq
On a perdu de vue
Les cinquante-cinq.

Quand je ferme les yeux
Je les vois qui errent
D'une ferme perdue
À une autre disparue

Au dessus d'eux, dans les nuées
Des bandes nouvelles font leur apparition
Mühsam vagabonde dans le vent glacé
Sans patrie, sans direction.

Cherchant après le pays de la paix
Sans tonnerre, sans feu
Rien à voir avec ce qu'ils connaissaient
Leur mouvement s'étire serpentueux.

Et il m'apparaît dans l'aube
Plus du tout le même :
Je vois d 'autres petits visages
Espagnols, français, jaunes.

En Pologne, ce mois de janvier
On attrapa un chien
Dont le maigre cou retient
Un écriteau de carton accroché.

On lisait : Aidez-moi !
Nous ne savions plus le chemin,
Nous étions cinquante-cinq
Le chien leur montra.

S'il ne peut pas venir, ce chien
Qu'on le chasse
Mais il ne faut pas l'abattre
Il connaît le coin.

L'écrit était d'une main d'enfant
Comme l'ont vu les paysans
Un an et demi est passé depuis ce matin
Le chien est mort de faim

envoyé par Marco Valdo M.I. - 28/8/2012 - 21:07




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