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La mattanza delle foche bianche

Il Canada riapre la caccia ai mammiferi polari.
Vittime designate soprattutto i cuccioli, pregiati per il mercato delle pelli. Autorizzata l'uccisione di un milione di animali in tre anni14 aprile 2004
- Daniela Sanzone
Fonte: www.ilmanifesto.it
In Canada si è aperta la stagione della caccia. E' partita, sotto l'egida governativa, la strage delle foche, compresi i cuccioli, come hanno rivelato le immagini televisive giunte dal Newfoundland e dal Quebec. Migliaia di cacciatori di foche del Canada Atlantico - sono circa 12 mila in possesso di regolare licenza, quasi tutti residenti nella provincia del Newfoundland - si sono spostati verso le banchise di ghiaccio. È una lotta impari. Le foche vengono uccise a picconate, con gli «hakapics», bastoni di legno con un gancio di ferro all'estremità. Si tratta di centinaia di migliaia di animaletti immobili, morbidi, che osservano i cacciatori con gli occhioni spalancati. Due secondi dopo, senza un lamento, giacciono sul ghiaccio in mezzo a una striscia rossa di sangue. Il 97 per cento ha meno di tre settimane e ancora non possono mangiare cibo solido. I cuccioli infatti si nutrono solo del latte materno che è molto grasso e consente di acquistare moltissimo peso in pochi giorni, perciò non sono in grado di muoversi. Le foche migrano in Canada in questo periodo dell'anno soltanto per sei-otto settimane, proprio per dare alla luce i loro cuccioli, poi si spostano in Groenlandia. Qui quelle che sopravvivono alla stagione di caccia canadese rischiano la morte di nuovo, grazie alla legge danese. E' proprio un piano federale canadese, emanato lo scorso anno, che ha dato il via libera a uccidere fino a 975 mila foche tra il 2003 e il 2005. È questo infatti il numero di foche considerate in «eccesso e dannose per l'economia» della provincia del Newfoundland. Nel 1996 il governo canadese attribuì a questi animali la responsabilità della sensibile diminuzione di pesca del baccalà. Gli animalisti affermarono che la diminuzione del baccalà era in realtà legata all'eccesso di pesca. Ma il governo di Ottawa decise di reinvestire nella caccia alla foca circa 20 milioni e mezzo di dollari canadesi, provenienti dalle tasse. Da allora sono stati uccisi più di un milione di esemplari. Il numero massimo di animali da uccidere lo scorso anno era di 350 mila unità e ne sono state sterminate 289 mila. Stesso limite è stato stabilito per il 2004. L'ultima volta che i cacciatori canadesi hanno ucciso 350 mila capi risale al 1956 e gli animalisti denunciano che quest'anno la strage potrebbe essere la peggiore in circa 50 anni. Per i cuccioli a pelo bianco esiste comunque il bando ufficiale del governo di Ottawa, che avrebbe così messo a tacere Greenpeace Canada. Sono state inoltre stabilite norme severe per evitare che gli animali vengano scuoiati prima della morte. Nel 2001 infatti un gruppo internazionale di veterinari indipendenti scoprì che il 79 per cento dei cacciatori non controllavano se gli animali erano morti prima di strapparne la pelle e nel 40 per cento dei casi il cacciatore si accorgeva in seguito che l'animale non era ancora morto e gli dava il colpo di grazia dopo un bel po' di tempo. La scorsa settimana il New York Times ha dedicato un'intera pagina contro la caccia, provocando la reazione di John Efford, ministro federale canadese delle Risore naturali. Efford ha accusato a sua volta i gruppi ambientalisti di fornire informazioni sbagliate. Uno spot, sponsorizzato dall'Human Society degli Stati Uniti, ispirandosi all'inno canadese che comincia proprio con Oh, Canada, citava: «Oh Canada... come hai potuto, ancora una volta?», e invitava chi fosse contrario alla caccia di rivolgersi al primo ministro canadese, Paul Martin. La caccia in Canada era diminuita negli ultimi vent'anni a causa delle veementi proteste degli ambientalisti, capitanate negli anni Settanta dall'attrice Brigitte Bardot. Negli anni Ottanta, grazie alla campagna contro la strage delle foche, il mercato europeo subì un crollo improvviso. Alla vista delle immagini inumane e terribili, in Europa nessuno acquistò più pelli di foca e venne posto il bando di importazione sulle pelli e prodotti derivati dieci anni dopo gli Stati Uniti, che lo istituirono nel 1972. Secondo il New York Times sarebbero però sorti negli ultimi anni mercati alternativi in Russia, Ucraina, Polonia e Cina. «Questa è una cosa molto pericolosa - commenta Lesli Bisgould, avvocato di Toronto, difensore dei diritti degli animali e che da anni si batte contro la caccia alle foche - la natura ha le sue regole che noi non possiamo cambiare senza conseguenze tremende dal punto di vista ambientale. Uccidere questi animali è inumano, che si tratti di uno o un milione». 
uncino
Neve fredda ghiaccio mare
vento gelido che congela i pensieri
l’immagine si staglia chiara all’orizzonte
di strane creature che rotolano nella neve
Esseri imponenti giunti dal mare
si avvicinano alle strane creature
metallo freddo brilla sotto al sole
e la neve si tinge rosso sangue
Esseri avidi e crudeli colpiscono le pacifiche creature
sangue sprizza copioso nella neve
il vento si mischia a urla di dolore
sangue, dolore, morte!
Colpi secchi nella testa
gancio d’ acciaio nella carne
pelle scuoiata nella neve
urla impazzite di una madre
Un corpo perfetto, occhi senza amore
la vanità di una donna
solo carne sbranata nella neve
la vendetta di una madre.

Contributed by DoNQuijote82 - 2012/7/5 - 16:26



Language: English

Versione inglese
BLOODY RED SNOW

Bloody red snow
Cold snow, ice, sea
icy wind freezes thoughts
strange creatures rolling in the snow

their image is clearly defined in the horizon
huge beings arrived from the sea
get clo-ser to those strange creatures
cold metal shines under the sun
and the snow gets bloody red
greedy and cruel beings hit those peaceful creatures
blood squirts plenti-ful on the snow
wind gets mixed with screams of pain

Blood, pain, death!

Sharp hits on the head
steeled hook in the flesh
ripped skin on the snow
mother's mad screams
Perfect body: loveless eyes
woman's vanity
only ripped flesh on the snow
a mother's revenge.

Contributed by DQ82 - 2012/7/5 - 16:27


NELL’ALTO VICENTINO GLI “ANNI DI PIOMBO” SEMBRANO NON DOVER FINIRE MAI…
Gianni Sartori

Evidentemente la fine dell’impero romano non ha insegnato nulla.

Eppure è (quasi) universalmente noto come tra i molteplici fattori che ne determinarono la caduta non fosse del tutto secondaria l’inveterata abitudine di servirsi dell’acetato di piombo per “insaporire”, addolcire il vino. Soprattutto tra le classi “alte”. Oltre ai casi da manuale degli “imperatori folli” (se pur a diversa intensità e con benefico d’inventario: Caligola, Nerone, Commodo, Domiziano, Tiberio, Claudio…) pare che la pazzia indotta dal saturnismo (avvelenamento da piombo) avesse irreparabilmente colpito anche un buon numero di romani nobili e benestanti, la classe dirigente diciamo.

A cui andrebbe aggiunta l’aggravante dell’utilizzo del piombo per tubature, otri e pentole.

Tale avvelenamento assumendo caratteri di cronicità comportava - e comporta - anemia, stipsi, dolori addominali, meteorismo, ipertensione, problemi renali, problemi alla struttura ossea e - nei bambini - ritardo mentale.

Senza escludere il rischio di malattie neurovegetative e l’insorgere di tumori.

Ai nostri giorni le fonti di possibile inquinamento da piombo dell’organismo sarebbero soprattutto i cereali, le verdure, l’acqua del rubinetto. Per inciso, i più esposti al rischio potrebbero essere proprio i benemeriti vegetariani. Il cui contributo alla salute del pianeta è indiscutibile, ma che rischiano di assorbirne in maggior quantità dato che il piombo prevale nelle diete acide e in quelle a base prevalente di carboidrati e scarse di proteine. Quanto di dice che al mondo non c’è proprio giustizia!

Detto ciò, esistono numerose variabili, ovviamente. E le cose possono cambiare radicalmente da zona a zona. Per esempio in certe aree della pedemontana veneta in generale e di quella vicentina in particolare (zone di passo migratorio, valichi) la situazione appare piuttosto allarmante. A causa del piombo qui sparso nella cosiddetta “attività venatoria” volgarmente conosciuta come caccia.

Analogamente (fatte le debite proporzioni) al caso dell’uranio impoverito, possiamo dire che “le armi uccidono anche quando hanno smesso di sparare”.

Come è stato ampiamente dimostrato e denunciato nellamostra del febbraio 2024 realizzata dal Comune diBrescia: “IL VELENO DOPO LO SPARO L’avvelenamento da piombo negli uccelli selvatici”.

Ulteriori conferme dall’omonimo seminario "Il veleno dopo lo sparo" che si è tenuto sempre a Brescia presso il Comando della Polizia Provinciale il giorno 27 aprile 2024. Dove, tra le tante cose, veniva denunciato che il 60 per cento di tutti i Rapaci italiani sono intossicati da piombo in modo più o meno grave.

In tale ambito risulta purtroppo ancora tragicamente attuale un documento (presentato anche a Brescia) risalente ormai a quasi dieci anni fa e prodotto dal Coordinamento Protezionista del Veneto.

Il Cpv, costituito da una dozzina di associazioni ambientaliste e animaliste (LAV, ENPA, LAC, UNA, WWF, OIPA, LIPU…) era nato fondamentalmente per “fronteggiare la politica di liberalizzazione dell'attività venatoria (vedi cacce in deroga, cacce da capanno, da altane…nda) portata avanti dalla Regione Veneto”. Tra l’altro recentemente riesumata con la proposta di poter sparare anche a peppole, fringuelli, storni…

Dalla lettura dei calcoli riportati in “CONSIDERAZIONI SULL’INQUINAMENTO DA PIOMBO NELLA FASCIA PEDEMONTANA VICENTINA” del gennaio 2015, siapprende con approssimazione molto verosimile “quanto piombo è stato sparso attraverso l’attività venatoria sulle colline e nelle valli della pedemontana vicentina”. Località che essendo “situate sulle rotte di migrazione dell’avifauna, da sempre sono meta di un grandissimo numero di cacciatori”.

Le quantità considerate nel documento si riferivano soltanto al periodo dopo il 1960, quando la caccia era diventata un fenomeno di massa.

Ossia era stato considerato “un periodo di 54 anni (e dopo altri nove, 63 in totale, la situazione può essere soltanto peggiorata nda) ed un numero di cacciatori medio di 20.000 all’anno, anche se negli anni ’70 ed ’80 questo numero era molto superiore”.

Stimando (per difetto) che ogni cacciatore avesse sparato 400 cartucce, ognuna contenente 33 grammi di piombo. Fermo restando che ancora nel 1968 l'Associazione “Libera caccia” aveva effettuato un sondaggio su 176.890 cacciatori, (pari all'11,8% del totale di quell'anno) e la media aveva sparato 830 cartucce.

Ossia più del doppio delle 400 prese in considerazione nei calcoli del documento.

Quindi risultava che:

“20.000 cacciatori x 54 anni x 400 cartucce x 33 grammi/cartuccia = 14.256.000.000 grammi,pari a 14.256 tonnellate, corrispondenti al contenuto di 4 treni merci completi, 810 autobetoniere a 4 assi, circa 18.000 automobili utilitarie”.

Il Territorio sul quale è possibile esercitare la caccia a Vicenza è di circa 250.000 ettari. All’epoca (come riporta il documento del 2015, ma nel frattempo non è cambiato molto sostanzialmente) solamente in tale provincia veneta non veniva rispettata la Legge 157 del 1992 che imporrebbe di destinare a Parco (o comunque sottrarre alla caccia) almeno il 20 per cento del territorio. Si poteva quindi agevolmente calcolare che questa attività venisse praticata su circa 225.000 ettari.

Alcune zone però non risultano abbastanza “interessanti” dal punto di vista del cacciatore. Mentre altre, troppo vicine alle case o alle strade, sarebbero interdette. Almeno in teoria: abbiamo tutti fatto esperienza dei pallini che piovono in giardino o sul pergolo (o - peggio ancora direttamente sul pergolo).

Gran parte di tale attività si mantiene tuttora sulle colline della fascia pedemontana, specialmente durante le migrazioni. Per cui si poteva legittimamente stimare che “circa il 65 per cento dei cacciatori vicentini abbiano cacciato nella fascia pedemontana, che rappresenta circa il 30% dell’area provinciale”.

Si ha quindi che “14.256 tonnellate x 65 % = 9.266,4 tonnellate pari a 9.266.400 kg di piombo sono stati sparsi sul 30 % di 225.000 ettari, cioèsu 67.500 ettari”.

La “densità” del piombo sparso sul suolo era quindi di “9.266.400 kg : 67.500 ettari, cioè 137,28 kg/ha, pari a 13,72 gr/mq.”.

Questo calcolo però - si precisava nel documento - ha un limite ben preciso: “questa è la densità media del piombo su tutta l'area considerata, mentre è evidente a tutti che i crinali, per una fascia di poche decine di metri di larghezza, sono interessati da una attività enormemente più intensa, rispetto ad esempio ai versanti collinari, od ancor più, al fondo delle valli”.

Da cui si deduce che molto probabilmente “nelle zone a più alta concentrazione di cacciatori i valori sopra enunciati debbano essere moltiplicati per decine o per centinaia di volte”.

Ricordo che i tecnici quando setacciano il terreno e prelevano i campioni da analizzare tolgono preventivamente i pallini per cui le concentrazioni si riferiscono solamente al piombo disciolto nel terreno, nell’humus acido.

Per il Decreto Legislativo N° 152 del 3 aprile 2006 (che considera le concentrazioni massime degli inquinanti nel terreno, misurato come sostanza secca, senza calcolare quindi il peso dell’umidità) le concentrazioni massime ammesse nei terreni (distinguendo i terreni agricoli, a verde pubblico e privato da quelli ad uso commerciale ed industriale) devono rientrare in limiti ben precisi.

Quello di 100 milligrammi per ogni chilogrammo per i terreni agricoli e dieci volte di più, cioè 1000 milligrammi, per chilogrammo per le aree commerciali ed industriali.

Oltre tali limiti il D.Lgs 152 impone la bonifica dell’area che viene considerata contaminata e quindi nociva per la salute.

Ovviamente la caccia può essere esercitata solamentenelle aree verdi ed agricole, dove il limite viene fissato in 100 milligrammi per ogni chilogrammo di terreno (secco).

Inoltre, sempre in “CONSIDERAZIONI SULL’INQUINAMENTO DA PIOMBO NELLA FASCIA PEDEMONTANA VICENTINA”, si sottolineava che “tra gli studiosi è opinione comune che i pallini si fermino nei primi uno o due centimetri di profondità del suolo, perché le radici e la densità stessa del terreno impediscono che si disperdano più in profondità. Si ritiene che i pallini non possano comunque mai scendere oltre i cinque centimetri. Qui il suolo è prevalentemente vegetale, e quindi acido, e questi acidi deboli riescono a disciogliere lentamente il piombo facendolo assorbire dalle radici delle piante, da dove entra nel ciclo dell’agricoltura, della zootecnia e della viticoltura. Una piccola frazione scende ad inquinare le falde acquifere. Se ipotizziamo che i pallini si fermino nel primo centimetro, calcolato che il terreno vegetale (secco) ha un peso di 1.450 kg al metro cubo, abbiamo che i 13,72 grammi di piombo al metro quadrato sono contenuti in una massa di 14,5 kg di terreno, quindi con una concentrazione di 946 mg/kg, cioè 9,46 volte di più del limite ammesso, mentre se ammettiamo che si disperdano nei primi due centimetri, abbiamo 473,10 mg/kg, cioè 4,73 volte di più dei limiti di legge”.

Facile conclusione: è alquanto probabile che molti dei terreni della fascia pedemontana vicentina siano da ritenere inquinati in modo gravissimo, tanto da dover “rendere necessaria, a termini di legge, la asportazione dello strato superficiale di quelli più avvelenati, e la bonifica dell’intera area pedemontana”.

Con una nota finale paradossale (per non dire allucinante).

Proprio alcuni di quei terreni risultano essere gli stessi dellaproduzionedi svariate “eccellenze” alimentari del Vicentino: vino, patate, latte e formaggi.

Nel documento si riportava il caso di una Latteria Socialedella Valle del Chiampo che produce un formaggio “ a pasta morbida” alquanto rinomato. L’area del pascolo delle mucche si troverebbe sul crinale tra la Valle dell’Agno e quella del Chiampo. Storicamente impestato di roccoli, altane e capanni. Oltre che da cacciatori vaganti.

“Le nostre analisi sulla concentrazione del piombo - spiegano gli autori del documento - sono state effettuate su campioni prelevati in queste zone”.

Raccontando poi di aver saputo dai soci di tale latteria che “è capitato che il latte non cagliasse perché c’era così tanto piombo nel latte da impedire la proliferazione dei batteri necessari a far cagliare il latte”.

All’epoca quelle analisi erano state inviate all’Assessorato all’Ambientedella Provincia di Vicenza.

“Se le analisi trovassero conferma bisognerebbe provvedere”, fu la lapidaria risposta.

Ma in seguito - ne dubitavate ? - la cosa sarebbe rimasta lì. E il piombo pure evidentemente.

Come direbbe qualcuno “ragionateci sopra”.

Gianni Sartori

*nota 1: Purtroppo(per inderogabili impegni) senza la presenza di Alessandro Andreotti, autore con Fabrizio Borghesi della pubblicazione dell'ISPRA del 2012 (Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale del Ministero dell'Ambiente) dal titolo: " Il piombo nelle munizioni da caccia: problematiche e possibili soluzioni”. Per chi volesse saperne di più, 96 pagine illuminanti.

Gianni Sartori - 2024/5/7 - 17:27




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