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La classe morta

Ivan Della Mea
Langue: italien


Ivan Della Mea

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[1997]
Omicron/Della Mea
Album: Ho male all'orologio

umarlaLa classe rinasce

Su quello che sarebbe stato il finire della sua vita, ma non lo si sapeva, Ivan Della Mea, nel 1997 e nel 2000, pubblicò due album che nessuno potrà mai definire dei « testamenti ». Non era certo tipo da « testamenti », Ivan, sebbene non pochi sommi poeti in musica (si pensi solo a Brassens e De André) abbiano indulto a questa categoria che debbono in gran parte a nonno François Villon. Nel primo dei due album, però, sarebbe sbagliato dire che non si avvertano delle ombre pesanti; e sono ombre di un uomo che sapeva di essere malato. Un album che si chiama Ho male all'orologio, e dove la canzone omonima, quella che questo sito volle scegliere per ricordarlo il giorno dopo morto, il 14 giugno 2009, è una sorta di colloquio col proprio medico. A pensarci bene, proprio quella canzone, se si volesse, potrebbe funzionare da « testamento » di Ivan Della Mea; però quel che ci ha « testato » è del tutto immateriale (e, per questo, incommensurabilmente prezioso). Ci ha « testato », ad esempio, una voglia càgna di non arrenderci mai, neppure davanti alle più schifose evidenze che questo tempo propone. Poi ci ha « testato » che non arrendersi significa anche non farlo davanti alla tristezza, allo sconforto, alla morte che, avvicinandosi, ci impedirà senz'altro di rivedere un barlume di luce. Così, in quelli che sarebbero stati gli ultimi suoi due album, Ivan Della Mea alterna canzoni disperate ad altre divertentissime, che fanno letteralmente scompisciare dalle risate. Ha alternato quella cosa incredibile che è Il capitano, la « canzone su cui non mi riuscirà mai scrivere nulla » alla « Vaccata », che pure presenterò in questo sito, la prima canzone proletar-bovina della storia. Poi c'è questa qua, « La classe morta ». Sono anni, letteralmente anni, che me la patullo. Anni che cerco i collegamenti giusti, che pure ci devono essere, con la sua omonima di Tadeusz Kantor:  « Può risultare poco agevole raccontare in brevi battute la trama de La Classe Morta di Kantor a chi non conosca il testo. Si può correre il rischio di svilire o banalizzare uno dei capolavori del teatro del '900. Lo stesso Kantor definiva l'opera per cui è più conosciuto al di fuori dei confini della madrepatria (la Polonia) come seduta drammatica, una rappresentazione opprimente e catartica in cui affiorano ossessioni personali, reminiscenze e nodi irrisolti e irrisolvibili senza apparente soluzione di continuità. Il pubblico si troverà  di fronte ad una classe scolastica di vecchi-bambini (è tipica di Kantor la confusione tra infanzia e senescenza, in una chiusura del cerchio in cui gli estremi si toccano) che sembrano apparire sul palcoscenico in una zona di confine tra la vita e la morte, in un limbo tra realtà e sogno. Quasi delle ombre che nel fugace transito tra il mondo terreno e l'aldilà non riescono a liberarsi del fardello delle proprie passioni terrene. » E, forse, proprio in quel non liberarsi mai dalle passioni terrene sta il legame. Dalla passione per la libertà, per la consapevolezza, per un mondo nuovo che Ivan Della Mea ha cantato dal primo suo giorno fino all'ultimo. Ma qui c'è altro. La « gran classe morta » è anche il tempo in cui Ivan ebbe a vivere l'ultima parte della sua vita, gli « anni di stronzio » che hanno preceduto la cosiddetta « crisi »; e non è un caso che, dando espressione piena (proprio nell'album del 1997) ad una cosa che in lui, comunista ma di provenienza libertaria e mai dogmatico, nonché vera coscienza critica senza sconti e spesso marginalizzata, era già parecchio latente: l'anarchia. L'anarchia era qualcosa di più che una semplice « simpatia », per Ivan; e mi è capitato anche di sentirglielo dire di persona, al di là delle canzoni dove lo dice apertis verbis. Non soltanto questa. Alla fine della vita, mentre aveva « male all'orologio », Ivan Della Mea sentì il bisogno di rivolgersi all'anarchia e il desiderio di andare via con lei. Ora che la « classe morta », quella dei compagni con cui aveva portato in giro l'anima popolare di un paese divenuto sotterraneo, rifiutata e messa da parte come un reperto fossile di un lontano passato, non c'era più, Ivan ribadiva la sua negazione di ogni potere e di ogni frontiera. Chissà cosa avrebbe scritto e cantato in questi ultimi anni, se fosse ancora vissuto, davanti ad un'evoluzione in cui tutte le baggianate sulle « classi che non esistono più » sono state finalmente messe a nudo e smentite dai fatti; chissà come avrebbe sogghignato davanti ad una classe che, seppur assai faticosamente, mostra di riprendere coscienza e di non voler più sottostare alle menzogne con cui è stata addormentata per decenni. [RV]
Tutti gli anni
tuoi i troppi affanni
preghiere che non ho.
Oh, vita mia, stupida aporia
portami via,
finire
è il solo eterno che mi do.
Oh, vita mia, portami via
finire se si può.

I vent'anni
tuoi chiusi e soli
bestemmie che non so.
Oh, vita mia, fede o eresia
portami via,
finire
è il solo credo che mi do.
Oh, vita mia, portami via
finire e amare no.

La gran classe
morta dei compagni
già libera i suoi no.
Oh, anarchia della vita mia,
dammi poesia
potere
io negherò e più frontiere non avrò.
Oh, anarchia, dammi poesia,
e anch'io con te verrò
e anch'io con te verrò.

envoyé par Riccardo Venturi - 26/6/2012 - 09:09



Langue: français

Version française – LA CLASSE MORTE – Marco Valdo M.I. – 2012
Chanson italienne – La Classa morta – Ivan Della Mea – 1997


La classe renaît

… À la fin de la vie, pendant qu'il avait " male" à l'orologio , Ivan Della Mea éprouva le besoin de se tourner vers l'anarchie et le désir de partir avec elle. Maintenant que la " classe morta ", celle des camarades avec laquelle il avait porté l'âme populaire d'un pays devenue souterraine, refusée et mise de côté comme une pièce fossile d'un passé lointain, qu'elle n'était plus, Ivan confirma sa négation de tout pouvoir et de toute frontière. Qui sait ce qu'il aurait écrit et chanté ces dernières années, s'il avait encore vécu, face à une évolution dans lequel toutes les sottises sur les " classes qui n'existent plus " ont été mises à nu et démenties par les faits; qui sait comment il aurait ri face à une classe que, même très péniblement, essaye de reprendre conscience et de ne plus vouloir se plier aux mensonges avec lesquels elle a été endormie pendant des décennies. [RV]
LA CLASSE MORTE

Toutes les années
Tes trop d'angoisses
Prières que je n'ai pas.
Oh, ma vie, aporie stupide
Emmène-moi
Finir
C'est la seule éternité que je me donne.
Oh, ma vie emmène-moi
Finir si c'est possible.

Tes vingt ans
Enfermés et seuls
Blasphèmes que je ne sais pas.
Oh, ma vie, foi ou hérésie
Emmène-moi,
Finir
C'est le seul credo que je me donne
Oh, ma vie , emmène-moi
Finir et pas aimer.

La grande classe morte
Des camarades
Déjà délivre ses non.
Oh, anarchie de ma vie
Donne-moi de la poésie
Pouvoir
Je nierai et je n'aurai plus de plus frontières
Oh, anarchie donne-moi de la poésie,
Et moi aussi, je viendrai avec toi
Et moi aussi, je viendrai avec toi

envoyé par Marco Valdo M.I. - 2/7/2012 - 12:21




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