Hem trepitjat la terra promesa,
hem visitat els camps de refugiats.
Els nens d’Aïda llancen mil pedres,
intenten tombar el mur de l’Apartheid.
Hem vist el fem damunt de les reixes,
botigues tancades en el mercat d’Hebron,
pertot arreu hi ha cases en runes
i homes valents que no abandonen mai.
Hem tractat d’imaginar-nos
que els hereus d’aquesta terra
per fi tornaven a casa
després de seixanta anys d’ocupació.
Les mares d’Askar ploren i ploren
mentre ens expliquen el seu gran dolor.
Hem guardat uns minuts de silenci
davant de les tombes dels màrtirs de Jenín.
Hem esgotat la nostra paciència
en cada checkpoint que ens ha tocat creuar.
Hem contemplat la llum del capvespre
des dels terrats de Jerusalem.
Hem deambulat per les platges d’Acre
amb un sol de justícia cremant-nos la pell.
Resulta impossible no enamorar-se
de les lluitadores del 48.
Hem comprovat la força increïble
que podem obtenir si unim les nostres mans.
Hem cantat junts Biladi, biladi
en el Teatre de la Llibertat.
hem visitat els camps de refugiats.
Els nens d’Aïda llancen mil pedres,
intenten tombar el mur de l’Apartheid.
Hem vist el fem damunt de les reixes,
botigues tancades en el mercat d’Hebron,
pertot arreu hi ha cases en runes
i homes valents que no abandonen mai.
Hem tractat d’imaginar-nos
que els hereus d’aquesta terra
per fi tornaven a casa
després de seixanta anys d’ocupació.
Les mares d’Askar ploren i ploren
mentre ens expliquen el seu gran dolor.
Hem guardat uns minuts de silenci
davant de les tombes dels màrtirs de Jenín.
Hem esgotat la nostra paciència
en cada checkpoint que ens ha tocat creuar.
Hem contemplat la llum del capvespre
des dels terrats de Jerusalem.
Hem deambulat per les platges d’Acre
amb un sol de justícia cremant-nos la pell.
Resulta impossible no enamorar-se
de les lluitadores del 48.
Hem comprovat la força increïble
que podem obtenir si unim les nostres mans.
Hem cantat junts Biladi, biladi
en el Teatre de la Llibertat.
Langue: italien
Traduzione italiana di Riccardo Venturi
4 marzo 2015
4 marzo 2015
1948
Abbiamo calpestato la terra promessa,
abbiamo visitato i campi profughi.
I bambini di Aida lanciano mille pietre,
cercano di far cadere il muro dell'apartheid.
Abbiamo visto il letame sulle inferriate,
botteghe chiuse nel mercato di Hebron,
dappertutto ci sono case in macerie
e uomini valenti che non cedono mai.
Abbiamo cercato di immaginare
che gli eredi di questa terra
infine tornassero a casa
dopo sessant'anni di occupazione.
Le madri di Askar piangono, piangono
mentre ci spiegano il loro gran dolore.
Abbiamo osservato un minuto di silenzio
davanti alle tombe dei martiri di Jenin.
Abbiamo esaurito la nostra pazienza
a ogni checkpoint che ci è toccato attraversare.
Abbiamo contemplato la luce del vespro
dai terrazzi di Gerusalemme.
Abbiamo camminato sulle spiagge di Acri
con un sole di giustizia che ci bruciava la pelle.
Riesce impossibile non innamorarsi
dei combattenti del '48.
Abbiamo constatato la forza incredibile
che possiamo avere unendo le nostre mani.
Abbiamo cantato insieme Biladi, biladi,
nel Teatro della Libertà.
Abbiamo calpestato la terra promessa,
abbiamo visitato i campi profughi.
I bambini di Aida lanciano mille pietre,
cercano di far cadere il muro dell'apartheid.
Abbiamo visto il letame sulle inferriate,
botteghe chiuse nel mercato di Hebron,
dappertutto ci sono case in macerie
e uomini valenti che non cedono mai.
Abbiamo cercato di immaginare
che gli eredi di questa terra
infine tornassero a casa
dopo sessant'anni di occupazione.
Le madri di Askar piangono, piangono
mentre ci spiegano il loro gran dolore.
Abbiamo osservato un minuto di silenzio
davanti alle tombe dei martiri di Jenin.
Abbiamo esaurito la nostra pazienza
a ogni checkpoint che ci è toccato attraversare.
Abbiamo contemplato la luce del vespro
dai terrazzi di Gerusalemme.
Abbiamo camminato sulle spiagge di Acri
con un sole di giustizia che ci bruciava la pelle.
Riesce impossibile non innamorarsi
dei combattenti del '48.
Abbiamo constatato la forza incredibile
che possiamo avere unendo le nostre mani.
Abbiamo cantato insieme Biladi, biladi,
nel Teatro della Libertà.
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R: És una cançó molt fresca, i la veritat és que volíem representar l’essència del que allà vam viure. I és que, malgrat que estan molt fotuts, i pateixen diàriament problemes als checkpoints, no poden controlar la terra i estan clausurats dins la seua pròpia terra com una presó, crida molt l’atenció l’esperança que tenen en els ulls i l’alegria amb què viuen el dia a dia. Aleshores, la cançó diu coses molt dures, però deixa una escletxa oberta a l’esperança, a la fe en el canvi.
Entrevista publicada a L’Informatiu
Més enllà del mur. Cançons contra l’aparheid
D: Non è la prima volta che dai voce a chi non la tiene. Per esempio, nello stesso disco, in “1948” parli della tua esperienza in Palestina, un tema molto doloroso nel testo, ma che, musicalmente, risulta essere il più luminoso dell'album...
R: È una canzone recentisima, e la verità è che volevamo rappresentare l'essenza di ciò che abbiamo visto là. È che, nonostante siano in condizioni di merda, abbiano problemi ogni giorno ai checkpoints, non abbiano il controllo del loro paese e siano rinchiusi dentro la propria terra come in una prigione, colpisce molto l'attenzione la speranza che hanno negli occhi e l'allegria con la quale vivono giorno dopo giorno. Certo, la canzone dice cose durissime, ma lascia uno spiraglio aperto alla speranza, alla fede nel cambiamento. [trad. RV]