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Leonard Peltier

Steven Van Zandt
Lingua: Inglese


Steven Van Zandt

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Su Leonard Peltier vedere Leonard's Song
Leonard Peltier sleeps in a prison tonight
For 400 years he’s lived with justice washed white
His crime was tradition spoken with pride
And the evidence that put him there
Was deliberately falsified
And the government spends a lot of money
To keep the red man quiet
He should say what he wants to say
And it’s time we listened
He should pray where he wants to pray
Without asking permission

Leonard Peltier
Where is the justice for Leonard Peltier?

June ’75 Pine Ridge Reservation
Two FBI trespass Lakota Nation
Looking for trouble their army waiting outside
And trouble they brought some
They were pawns in the big game
For stolen minerals and tourists
They were sacrificed in profit’s name
And what would you do?
As you stare into the face of
The genocide of your people
Put yourself in the place of

Leonard Peltier
Where is the justice for Leonard Peltier?

Somebody ask the Federal Bureau of Investigation
Somebody ask the Bureau of Indian Affairs
Somebody ask the Bureau of Land Management
Somebody ask the Environmental Protection Agency

Ask them about Raymond Yellowthunder
Wesley Badheart Bull
Joe Killsright Stuntz
Tina Trudell
Annie May Aquash
Pedro Bissonnette
Delphine Eagledeer
Byron Deserta
Buddy Lamont

Leonard Peltier
Where is the justice for Leonard Peltier?

inviata da adriana - 11/12/2011 - 18:57


LEONARD PELTIER: è evidente che lo vogliono morto
Gianni Sartori
Dispiace dirlo, ma – se le cose andranno avanti così - sembra proprio che dobbiamo rassegnarci. Quando uscirà dal carcere Leonard Peltier (Turtle Mountain Ojibwe, il più antico prigioniero politico indigeno degli USA) lo farà con i piedi in avanti.
Il 28 ottobre il “Mandela” dei nativi americani (in prigione dal 1976) era stato ricoverato all'ospedale, ma sarebbe già stato riportato in cella. Nonostante i suoi sostenitori chiedano che venga trasferito d'urgenza in una struttura medica. Nato nel 1944 da un nativo chippewa e una donna lakota, Peltier (80 anni compiuti in settembre) è seriamente malato. Soffre di diabete, di ipertensione e per le conseguenze del Covid-19. Situazione sanitaria che l'infinita detenzione non ha fatto altro che aggravare. Stando a quanto riferito da Kevin Sharp, il suo avvocato, un'udienza provvisoria sarebbe prevista per giugno 2026, mentre un'udienza completa è stata programmata non prima del giugno 2039. Quando Peltier, se fosse ancora in vita, avrebbe 94 anni.
In giugno Peltier si era vista negare ancora una volta la libertà condizionale da parte della Commissione di Libertà Condizionale statunitense (organizzazione ufficialmente “indipendente” ma – almeno per il caso Peltier – influenzata dal Federal Bureau of Investigation). L'ultima udienza risaliva a ben quindici anni fa.
Anche Amnesty International si era mobilitata affinché venisse scarcerato per “ragioni umanitarie”.
Come aveva commentato Nick Tilsen (presidente del Collettivo NDN, un'organizzazione indigena che da anni si batte per Peltier) ”oggi è un triste giorno per i popoli indigeni e per la giustizia”.
Per continuare:“Hanno negato la libertà condizionale a un sopravvissuto tra i prigionieri indiani le cui condizioni di reclusione si possono definire una forma di genocidio. Mentre lotta per sopravvivere, insistono nel trattenerlo in carcere per un reato di cui non hanno prove contro di lui”. Oltre alle numerose incongruenze (v. le diverse versioni in merito a un camioncino- o a un pickup - bianco e rosso) ricordo che Peltier venne giudicato da una giuria di soli bianche e che molti testimoni in seguito confessarono di essere stati minacciati dall'FBI.
E secondo Nick Tilsen sarebbe proprio il Federal Bureau of Investigation (FBI) a diffondere false informazioni su Peltier allo scopo di mantenerlo in carcere vita natural durante.
Una vendetta infinita, anche se nei confronti di un capro espiatorio. Membro dell'American Indian Movement (AIM), Peltier era stato accusato di coinvolgimento nell'uccisione di due agenti speciali dell'FBI (Ronald A. Williams e Jack R. Coler) nella riserva di Pine Ridge nel 1975. Episodio di di cui Peltier si è sempre dichiarato innocente.
Gianni Sartori

Gianni Sartori - 31/10/2024 - 19:30


LEONARD PELTIER ESCE DAL CARCERE (AGLI ARRESTI DOMICILIARI) DOPO 49 ANNI

Gianni Sartori

Leonard PeltrierQuestione di pochi minuti e Leonard sarebbe rimasto a crepare in carcere. Poco prima dell’investitura di Donald Trump, Joe Biden ha compiuto una scelta se non esemplare per lo meno dignitosa.

Commutando la pena all’ergastolo per l’ottantenne ex dirigente dell’AIM (American Indian Movement) e consentendogli gli arresti domiciliari.

Afflitto da seri problemi di salute, per quanto non graziato, dopo 49 anni di carcere almeno potrà trascorrere il tempo che gli resta fuori dalle mura del carcere. Da Trump non avrebbe potuto aspettarsi nemmeno questo gesto minimo di compassione (se non di giustizia).

Tra i principali esponenti del lungo assedio di Wounded Knee da parte dei nativi (1973), era stato accusato di aver preso parte all’uccisione di due agenti del FBI nella riserva di Pine Ridge nel 1975.

Era il 27 febbraio del 1973 quando circa 200 militanti armati dell’AIM occupavano l’insediamento di Wounded Knee (luogo di un efferato massacro contro i Lakota Minneconjou nel 1890). Prendendo in un primo momento in ostaggio alcune persone (prontamente rilasciate) e chiedendo un’inchiesta sia sulla corrotta amministazione della riserva di Pine Ridge che sulla sistematica violazione dei trattati firmati dal governo statunitense con le popolazione native. Sul posto intervennero centinaia di poliziotii e circa duemila agenti del FBI, oltre a blindati ed elicotteri che posero il villaggio sotto assedio.

Un po’ di Storia per comprendere la scelta del luogo, non certo casuale.

Nel 1868 era stato firmato un accordo che “concedeva” ai Teton Sioux (termine di origine francese non gradito agli interessati, noti anche come Očhéthi Šakówiŋ o Lakota) una vasta riserva nelle Colline Nere (Pahá Sápa). Trattato infranto quanto prima, dopo la scoperta (forse solo un pretesto per occuparne ulteriormente le terre) di presunti giacimenti auriferi nella zona interessata. Nella disperata disgregazione culturale e sociale in cui versavano a causa delle innumerevoli sconfitte, i nativi si erano affidati a Wovoka, un “profeta” che annunciava, attraverso la “danza degli spiriti”, la resurrezzione dei guerrieri morti in battaglia e il ritorno delle mandrie dei bisonti. Ne seguì una crudele repressione in cui venne assassinato anche il capo tradizionale dei Lakota Hunkpapa Toro Seduto (Tatanka Yotanka, con Tȟašúŋke Witkó uno dei vincitori nella battaglia del Little Bighorn).

Temendo di venir rinchiusi o uccisi, circa 400 indiani si rifugiarono nell’accampamento di Big Foot (Heȟáka Glešká) in un’altra riserva. Il 29 dicembre 1890 intervennero i vendicativi soldati del 7° cavalleria (quello di Custer, sconfitto e ucciso al Little Bighorn) e mentre si procedeva al disarmo dei fuggitivi un colpo partito forse casualmente (o forse no) scatenò il massacro. Ai fucili si aggiunsero le cannonate che bombardarono il villaggio massacrando donne e bambini. Le vittime accertate (indiani) furono circa 350.
A questo episodio che segnava irrimediabilmente la fine della resistenza indiana (nel 1886 si erano arresi anche gli apache Geronimo e Mangus, il figlio di Mangas Coloradas) si vollero richiamare gli aderenti all’AIM quando occuparono Wounded Knee. Un’azione eclatante che veniva dopo l’occupazione di Alcatraz nel 1969, del monte Rushmore nel 1970 e dell’Ufficio degli affari indiani a Washington nel 1972.

Nei giorni successivi, ai primi di marzo, molte persone raggiunsero gli occupanti (portando viveri e altri beni di prima necessità) e Wounded Knee venne dichiarato territorio indipendente. Vennero organizzate mense comunitarie, servizi sanitari e un piccolo ospedale. Nei settanta giorni dell’assedio si registrarono isolati colpi di fucile e almeno due militanti indigeni persero la vita. Tra la polizia alcuni feriti, di cui uno soltanto gravemente.

Alla fine agli occupanti venne garantito che il governo avrebbe esaminato le loro richieste (in merito alla violazione dei trattati, alla corruzione del Consiglio tribale collaborazionista…), ma dovevano deporre le armi ed evacuare dal luogo. L’occupazione si concluse l’8 maggio 1973 quando, col favore delle tenebre, i militanti si dispersero senza farsi arrestare.

In realtà le condizioni a Pine Ridge non cambiarono nei mesi e anni successivi e l’inchiesta stessa finì nel dimenticatoio. E naturalmente i trattati del 1868 non vennero mai rinegoziati come richiesto.

Si scatenò invece una vera “guerra sporca” contro i militanti dell’AIM, molti dei quali vennero arrestati, assassinati (almeno sette in due anni) o morirono in incidenti sospetti (inevitabile l’analogia con quanto accadde alle Black Panthers). Tanto che alcuni preferirono fuggire altrove, per esempio in Canada.
In questo clima di generale repressione, Peltier venne arrestato e condannato per l’omicidio di due agenti del FBI il 25 giugno 1975 nella riserva di Pine Ridge. Al processo i suoi avvocati subirono pesanti limitazioni e venne impedita la presentazione di testimoni a sua difesa. Ancora oggi oltre 140mila pagine del “dossier Peltier” rimangono inacessibili (anche agli avvocati) per ragioni di “sicurezza nazionale”.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 20/1/2025 - 21:10




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