Flowers of Freedom is a project born with the contribution of various artists, like Claudia Cooper, Cyril McCammon and Pino Libonati. The aim was to realize a song honouring and supporting the Kurdish cause in the world, telling about all the vicissitudes this ancient and wonderful people had and have to suffer.
Toi c'est dans ta vie qui change
c'est dans ton coeur, dans ton ame qui bouge la dance
prend mes reves sous ta peau brulée par le soleil
tiens les dans tes yeux qui n'ont pas u de lumiere
Pas de frontière ni races plus de classes
toi qui a retrouvé courage dans un nouveau voyage
qui a dessiné ton pays et tes gens et tes enfants
dans les couleur et les profonds sillons de ton visage…
We walked through the night
to be proud and to fight the law
we fought and blood and pain again
without finding a bit of peace for our souls
we've been frozen in the darkness
we gave up to believe in dreams
and in any kind of new ideas
for the profit of some insane kings
oh shall we go now
'cause the sun is rising
every time I see it in your eyes
and they look so nice and warm
oh shall we wake now
'cause our life is here
and the dream become more real
and your willness make you feel alive
Cursing all my life
and the fall of the social fights
and the loss of rights
nothing can be lived
nothing loved
as a human being
if your land is not free
Take your love and your friends at your side
to walk are long days and to arrive could be so far
you see your people death and suffering and in your mind is
a reason to fight, to build a future for your child...
C'est la, dans les montagnes du Kurdistan
Que j'ai revé d'une fleure
Et je la porte dans mon coeur...
c'est dans ton coeur, dans ton ame qui bouge la dance
prend mes reves sous ta peau brulée par le soleil
tiens les dans tes yeux qui n'ont pas u de lumiere
Pas de frontière ni races plus de classes
toi qui a retrouvé courage dans un nouveau voyage
qui a dessiné ton pays et tes gens et tes enfants
dans les couleur et les profonds sillons de ton visage…
We walked through the night
to be proud and to fight the law
we fought and blood and pain again
without finding a bit of peace for our souls
we've been frozen in the darkness
we gave up to believe in dreams
and in any kind of new ideas
for the profit of some insane kings
oh shall we go now
'cause the sun is rising
every time I see it in your eyes
and they look so nice and warm
oh shall we wake now
'cause our life is here
and the dream become more real
and your willness make you feel alive
Cursing all my life
and the fall of the social fights
and the loss of rights
nothing can be lived
nothing loved
as a human being
if your land is not free
Take your love and your friends at your side
to walk are long days and to arrive could be so far
you see your people death and suffering and in your mind is
a reason to fight, to build a future for your child...
C'est la, dans les montagnes du Kurdistan
Que j'ai revé d'une fleure
Et je la porte dans mon coeur...
inviata da DonQuijote82 - 15/10/2011 - 14:32
IN MORTE DELLA PRIGIONIERA POLITICA CURDA NURCAN BAKIR
(Gianni Sartori)
La prigioniera politica Nurcan Bakir (47 anni di età, in carcere da 28 anni e gravemente ammalata) si è tolta la vita in cella per protestare contro la repressione nelle carceri turche e denunciare le condizioni indegne in cui versano i detenuti. Contro la sua volontà Nurcan era stata trasferita dal carcere femminile di Gezbe a quello speciale di Burhaniye, prigione chiusa di tipo T che sorge nei pressi di Mardin (provincia Balikesir, nella regione di Marmara). Una ritorsione – tale trasferimento - per la sua partecipazione allo sciopero della fame di massa indetto l'anno scorso per protestare contro l'isolamento totale imposto al leader curdo Ocalan. Al suo rilascio definitivo mancavano ancora due anni e lei si era quindi rivolta alla Corte di Giustizia Europea per i Diritti Umani affinché, date le sue condizioni di salute, potesse essere rilasciata prima. Nel suo ultimo contatto con familiari (una telefonata del giorno precedente) aveva detto di non voler “tacere di fronte alla repressione”, ma soprattutto di ricordare “ogni notte nei sogni i suoi figli assassinati dal regime”.
Inizialmente il suo corpo era stato portato all'Istituto di Medicina Forense di Bursa e qui trattenuto in quanto pare mancassero alcuni documenti. Altri problemi dalla direzione del cimitero di Bursa che ha reso problematica (rifiuto di un mezzo di trasporto, proibizione di trasportarlo in aereo) forse in un tentativo di impedirla, la restituzione alla famiglia. Nurkan Bakir verrà sepolta nel villaggio di Kayakdere (nel distretto Omerli di Mardin) dove nel pomeriggio di questo 16 gennaio i suoi parenti si stanno dirigendo trasportandone i resti con i propri mezzi. Seguiti e controllati da uno spiegamento di polizia. Sicuramente le forze dell'ordine cercheranno di impedire che la cerimonia funebre si svolga pubblicamente diventando un momento di lotta e protesta contro Erdogan.
Gianni Sartori
(Gianni Sartori)
La prigioniera politica Nurcan Bakir (47 anni di età, in carcere da 28 anni e gravemente ammalata) si è tolta la vita in cella per protestare contro la repressione nelle carceri turche e denunciare le condizioni indegne in cui versano i detenuti. Contro la sua volontà Nurcan era stata trasferita dal carcere femminile di Gezbe a quello speciale di Burhaniye, prigione chiusa di tipo T che sorge nei pressi di Mardin (provincia Balikesir, nella regione di Marmara). Una ritorsione – tale trasferimento - per la sua partecipazione allo sciopero della fame di massa indetto l'anno scorso per protestare contro l'isolamento totale imposto al leader curdo Ocalan. Al suo rilascio definitivo mancavano ancora due anni e lei si era quindi rivolta alla Corte di Giustizia Europea per i Diritti Umani affinché, date le sue condizioni di salute, potesse essere rilasciata prima. Nel suo ultimo contatto con familiari (una telefonata del giorno precedente) aveva detto di non voler “tacere di fronte alla repressione”, ma soprattutto di ricordare “ogni notte nei sogni i suoi figli assassinati dal regime”.
Inizialmente il suo corpo era stato portato all'Istituto di Medicina Forense di Bursa e qui trattenuto in quanto pare mancassero alcuni documenti. Altri problemi dalla direzione del cimitero di Bursa che ha reso problematica (rifiuto di un mezzo di trasporto, proibizione di trasportarlo in aereo) forse in un tentativo di impedirla, la restituzione alla famiglia. Nurkan Bakir verrà sepolta nel villaggio di Kayakdere (nel distretto Omerli di Mardin) dove nel pomeriggio di questo 16 gennaio i suoi parenti si stanno dirigendo trasportandone i resti con i propri mezzi. Seguiti e controllati da uno spiegamento di polizia. Sicuramente le forze dell'ordine cercheranno di impedire che la cerimonia funebre si svolga pubblicamente diventando un momento di lotta e protesta contro Erdogan.
Gianni Sartori
Gianni Sartori - 16/1/2020 - 19:10
PICCOLE INFAMIE NELLE CARCERI TURCHE
Gianni Sartori
A volte alcuni dettagli rivelatori sono in grado di suscitare più indignazione di una sequela di disgrazie e infamie.
Sappiamo bene che la situazione generale in cui versa da decenni il popolo curdo lascia indifferente l'opinione pubblica (assuefatta, manipolata, meschina di suo...?) e viene ignorata dai media (dai bombardamenti turchi in Rojava e Bashur alla tragica, infernale condizione di prigionieri e alla - non certo ultima - questione delle donne curde, sottoposte a molteplici oppressioni...). Tuttavia un fatto apparentemente – solo apparentemente – secondario, minimale può trasmettere da solo, di colpo, la brutalità di un sistema carcerario. Funzionale sia come deterrente che come anticamera dello sterminio nei confronti di questo popolo non addomesticabile.
E' questo, a mio avviso, il caso di Şaban Kaygusuz, prigioniero politico curdo con disabilità riconosciuta al 90%. L'ex guerrigliero aveva perso una mano e una gamba in combattimento.
In questi giorni è stato trasferito in una cella di isolamento (privandolo della socialità con gli altri detenuti) nel carcere di tipo T nº 2 di Kayseri-Bünyan.
Nell'altra sezione della prigione (dove si trovava in precedenza) era ancora in grado di uscire dalla cella e anche di muoversi.
In quanto, stando a quanto riferiscono i suoi familiari, lì “le scale non erano troppo ripide”.
Invece nella nuova sezione per Şaban Kaygusuz è praticamente impossibile salirle o scendere da solo. Infatti sarebbe già caduto varie volte.
Recentemente il prigioniero aveva chiesto di essere trasferito in un carcere di Dîlok (Antep) vicino a dove vive la sua famiglia. Unica risposta, il recente trasferimanto, quasi una ritorsione.
Şaban Kaygusuz era stato ferito gravemente e catturato dall'esercito turco nell'agosto del 2018 a Siirt (Sêrt). In quella circostanza due suoi compagni erano stati uccisi.
Tutto questo - come ben sappiamo - avviene in un contesto torbido e convulso.
Mentre prosegue la resistenza popolare a Mardin e nelle altre località in cui sono stati arbitrariamente estromessi i rappresentanti eletti democraticamante, nel nord-est della Siria i mercenari filoturchi – oltre a opprimere la popolazione - abbattono centinaia di ulivi (il 9 novembre a Korzila, comune di Sherawa). Nel contempo l'Isis compie attacchi terroristici contro i curdi (il 14 novembre sulla strada tra Shaddadi e Dashisha) e i collaborazionisti del PDK espellono da Hewlêr (Erbil, nel Bashur, il Kurdistan entro i confini iracheni) i rappresentanti del partito democratico dei Popoli (HDP).
Ordinaria amministrazione direi.
Gianni Sartori
Gianni Sartori
A volte alcuni dettagli rivelatori sono in grado di suscitare più indignazione di una sequela di disgrazie e infamie.
Sappiamo bene che la situazione generale in cui versa da decenni il popolo curdo lascia indifferente l'opinione pubblica (assuefatta, manipolata, meschina di suo...?) e viene ignorata dai media (dai bombardamenti turchi in Rojava e Bashur alla tragica, infernale condizione di prigionieri e alla - non certo ultima - questione delle donne curde, sottoposte a molteplici oppressioni...). Tuttavia un fatto apparentemente – solo apparentemente – secondario, minimale può trasmettere da solo, di colpo, la brutalità di un sistema carcerario. Funzionale sia come deterrente che come anticamera dello sterminio nei confronti di questo popolo non addomesticabile.
E' questo, a mio avviso, il caso di Şaban Kaygusuz, prigioniero politico curdo con disabilità riconosciuta al 90%. L'ex guerrigliero aveva perso una mano e una gamba in combattimento.
In questi giorni è stato trasferito in una cella di isolamento (privandolo della socialità con gli altri detenuti) nel carcere di tipo T nº 2 di Kayseri-Bünyan.
Nell'altra sezione della prigione (dove si trovava in precedenza) era ancora in grado di uscire dalla cella e anche di muoversi.
In quanto, stando a quanto riferiscono i suoi familiari, lì “le scale non erano troppo ripide”.
Invece nella nuova sezione per Şaban Kaygusuz è praticamente impossibile salirle o scendere da solo. Infatti sarebbe già caduto varie volte.
Recentemente il prigioniero aveva chiesto di essere trasferito in un carcere di Dîlok (Antep) vicino a dove vive la sua famiglia. Unica risposta, il recente trasferimanto, quasi una ritorsione.
Şaban Kaygusuz era stato ferito gravemente e catturato dall'esercito turco nell'agosto del 2018 a Siirt (Sêrt). In quella circostanza due suoi compagni erano stati uccisi.
Tutto questo - come ben sappiamo - avviene in un contesto torbido e convulso.
Mentre prosegue la resistenza popolare a Mardin e nelle altre località in cui sono stati arbitrariamente estromessi i rappresentanti eletti democraticamante, nel nord-est della Siria i mercenari filoturchi – oltre a opprimere la popolazione - abbattono centinaia di ulivi (il 9 novembre a Korzila, comune di Sherawa). Nel contempo l'Isis compie attacchi terroristici contro i curdi (il 14 novembre sulla strada tra Shaddadi e Dashisha) e i collaborazionisti del PDK espellono da Hewlêr (Erbil, nel Bashur, il Kurdistan entro i confini iracheni) i rappresentanti del partito democratico dei Popoli (HDP).
Ordinaria amministrazione direi.
Gianni Sartori
Gianni Sartori - 18/11/2024 - 12:22
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