Vita tremenda e vita disperata
chi un l'ha provato un lo po' immaginare
credo all'inferno un'anima dannata
che così tanto possi tribolare
quant'è lo spasimo e i' dolore
quella del carbonaro il tagliatore.
Parti da casa ha poco lieto il core
si riunisce assoma a diversi compagni
lascia la moglie immersa in un dolore
e i figli scarzi e 'gnudi come ragni
dicendogli: se giova el mio sudore
ho la speranza farli bon guadagni
soccorso vi darò come vedrete
vi comprerò le scarpe e mangerete
Le speranzi son boni capirete
perché il padron ci fa bon promessione
si va in Corsica in Sardegna fino a Riete
si va a seconda le combinazione
credessimo trovare maggior fortuna
s'anderebbe nel mondo della luna.
In secca in una foresta alta e dura
gli par d'aver trovato un gran tesoro
l'è lì che tutt'insieme ci si adduna
possibilmente ne'ccentro di'llavoro
e lì chi di una parte alcuna
forman la cella per il suo demoro
la fabbrica con legna terra zolle e sassi
pare proprio i'rricovero de' tassi.
Otto mesi bisogna coricarsi
nutrendosi di un cibo più meschino
pure'n di cacio un se doventa grassi
per risparmiar se ne mangia pochino
otto mesi si dorme sotto le oscure zolle
col capo in terra come le cipolle.
Vi posso dire sopra quel terreno
ci siamo tanti assoma a lavorare
ci volesse due lire e non di meno
una e ottanta ce lo fan bastare.
Ci danno la farina a caro prezzo
cinquanta lire la fanno i' quintale
puzza di riscaldato e sa di lezzo
sarebbe roba da darsi al maiale.
Bisogna tace e non c'è via di mezzo
tanto se si reclama è sempre uguale
se da qualcuno siamo ascoltati
si passa da 'gnoranti e da sfacciati.
'Un se lo rammentan più quegli esaltati
che si mangiava il pane a pari eguale
ora che a mangià 'l pan si son trovati
son quelli che si fanno tanto male
tra il capo macchia ministri fattori e dispensieri
son quelli che ci mettono i pensieri.
Ora ch'a' conti ci siamo arrivati
là giò 'l ministro li ha già sistemati.
Ci consegnano biglietti sigillati
par che d'aprirgli a lor molto gli prema
quando che gli hanno letti esaminati
quello che gli par troppo ce lo scema
tutt'a utile suo la somma tira
lo chiude 'l conto e 'l povero sospira.
Quello che gli rispondo a piena ira
Mi scusi signor padrone ma qui ha sbagliato
più s'arrabbia più s'infama più s'adira
dicendo: È troppo quello che ti ho dato
se stavi più accorto e lavoravi
di certo che di più tu guadagnavi
Pensate un po': essere stati otto mesi stiavi
pensate un po' come taglian la giubba
in centonovantanove tutti ladri
fanno a gara tra loro a chi più rubba
Ritorno a casa stracanato e scotto
senza quattrini e con la febbre addosso.
chi un l'ha provato un lo po' immaginare
credo all'inferno un'anima dannata
che così tanto possi tribolare
quant'è lo spasimo e i' dolore
quella del carbonaro il tagliatore.
Parti da casa ha poco lieto il core
si riunisce assoma a diversi compagni
lascia la moglie immersa in un dolore
e i figli scarzi e 'gnudi come ragni
dicendogli: se giova el mio sudore
ho la speranza farli bon guadagni
soccorso vi darò come vedrete
vi comprerò le scarpe e mangerete
Le speranzi son boni capirete
perché il padron ci fa bon promessione
si va in Corsica in Sardegna fino a Riete
si va a seconda le combinazione
credessimo trovare maggior fortuna
s'anderebbe nel mondo della luna.
In secca in una foresta alta e dura
gli par d'aver trovato un gran tesoro
l'è lì che tutt'insieme ci si adduna
possibilmente ne'ccentro di'llavoro
e lì chi di una parte alcuna
forman la cella per il suo demoro
la fabbrica con legna terra zolle e sassi
pare proprio i'rricovero de' tassi.
Otto mesi bisogna coricarsi
nutrendosi di un cibo più meschino
pure'n di cacio un se doventa grassi
per risparmiar se ne mangia pochino
otto mesi si dorme sotto le oscure zolle
col capo in terra come le cipolle.
Vi posso dire sopra quel terreno
ci siamo tanti assoma a lavorare
ci volesse due lire e non di meno
una e ottanta ce lo fan bastare.
Ci danno la farina a caro prezzo
cinquanta lire la fanno i' quintale
puzza di riscaldato e sa di lezzo
sarebbe roba da darsi al maiale.
Bisogna tace e non c'è via di mezzo
tanto se si reclama è sempre uguale
se da qualcuno siamo ascoltati
si passa da 'gnoranti e da sfacciati.
'Un se lo rammentan più quegli esaltati
che si mangiava il pane a pari eguale
ora che a mangià 'l pan si son trovati
son quelli che si fanno tanto male
tra il capo macchia ministri fattori e dispensieri
son quelli che ci mettono i pensieri.
Ora ch'a' conti ci siamo arrivati
là giò 'l ministro li ha già sistemati.
Ci consegnano biglietti sigillati
par che d'aprirgli a lor molto gli prema
quando che gli hanno letti esaminati
quello che gli par troppo ce lo scema
tutt'a utile suo la somma tira
lo chiude 'l conto e 'l povero sospira.
Quello che gli rispondo a piena ira
Mi scusi signor padrone ma qui ha sbagliato
più s'arrabbia più s'infama più s'adira
dicendo: È troppo quello che ti ho dato
se stavi più accorto e lavoravi
di certo che di più tu guadagnavi
Pensate un po': essere stati otto mesi stiavi
pensate un po' come taglian la giubba
in centonovantanove tutti ladri
fanno a gara tra loro a chi più rubba
Ritorno a casa stracanato e scotto
senza quattrini e con la febbre addosso.
envoyé par Bartleby - 20/6/2011 - 13:40
Testimonianza di Primo Begliomini, carbonaro e poeta di Vivaio, Pistoia, dal citato articolo di Jean-Pierre Cavaillé.
“... Diceano, ti dò, faccio per dire dieci lire al quintale, dieciundici, mi riordo, al quintale di arbone. Quanteppiù tu ne mandavi allora tu avevi due libretti. Uno ci si segnava i quintali del carbone che si mandava e andava all’imposte, e una della spesa. Un altro libretto della spesa perché la spesa per mangiare pen¬saval padrone a farla venire in macchia. E s’era lontani di tre uattr’ore andà a un paese, ome facevi andàffa la spesa. Faceva la dispensa! Nel mezzo alla macchia e li’ tu andavi, in modo che avea tutta nelle mani. Quando s’arrivaaffine di stagione se tu avei guadagnato lisembraa che tu avessi guadagnato, troppo la spesa te la rincaro e ve la metto più alta in modo che avean tutto nelle mani loro. E ci deano quello che... quel¬lo elli parea ecco. E’ stato il lavoro più massagrante e più sfruttato di quello un ce n’è stati altri di lavori. Peggio del boscaiolo un ce n’è stati. Peggio assai del contadino.
Io, per tanteose, un dio mia, ma per altrettante tornerè volentieri ome si vivea prima, per tanteose Perché c’era più tranquillità, c’era più galatomismo, c’era Dio bono..., ci si volea più bene. Qui siamo una borgata di dieci famiglie. Se uno qui perdea il portafogli, l’avesse perso per qui, tu ha affaconto davello person camera. Se lo trovava un altro sta pur sicuro, come se l’avesse trovato uno di famiglia, lo stesso. Era una bellosa hellaellì. C’era uno he s’ammalava, Dio bono, ell’altro dice, c’avea daffà le faccende, c’avea qui, c’avea là; aspetta, li si dà un colpo di mano tutti, io bono, c’era più fratellanza, più solidarietà. Era meglio, per tante cose, era meglio prima e per tante un dio mia, perché ora si sta diciamo meglio, di mangiare, s’ha la casa con tutti i comodi, quest’è vero, ma c’è anche tanteose che enno peggio.
In Maremma io ci son stato uattr’anni. In Sardegna c’ho fatto undici stagioni. In Corsica quattro. In Affria uattr’anni. Pon’ho passati cinque in Francia: il meglio ho passato uello. In Francia s’è fatto carbone solo un anno. Il resto si facea legna, e si facea il sughero, si facea perfino il tannino.
Allora andava il tannino, e usava questo tannino per le conce, per conciare il cuoio, per fa le scarpe. Quello appiccicato. Perché anche la sughera, c’ha il sughero, ma podoppo sotto ci rià l’altra buccia. Quella servia per fare questo tannino per le conce; ecco andava a Santa Croce, di lì e là dove conciavano le pelli. Nsomma in Francia ci sono stato, io e lui (il fratello) ci siamo stati cinquanni, s’è fatto solo un anno carbone. Il resto si facea legna, si facea questo sughero, si facea il sughero avvezzo diciamo osì; avvezzo sarebbe alla sughera e se ne levava un metro, un metro e mezzo, dumetri, conforme la forza che avea la pianta, perché sai tu gli levavi il sughero, la pianta soffriva. Dopo, levato la prima volta, questo sughero che rifacea novo eh sarebbe stato più strinto, sarebbe stato com’una tavola, dopo. Ci devano una quarantina di lire... quarantamila lire. Ti ricordi quanto si guadagnava ? Ottanta franchi il giorno.
In Maremma c’era più sfruttamento perché c’era tanta gente; ce n’era tanti se n’approfittavano.
Invece nell’Affria ci mandavano propriouelli che sapeano fal carbone, i meglio carbonari: uesti padroni lo sapevanon paese. Prendeano il capo macchia, diceano : “Te tu mi devi portare de' carbonari, de’ migliori che c’è. Poi il prezzo nsomma ci s’accomoda”. Ecco che tutti non ci potevan andare là perché quello che nun era capace un lo pigliavano, ecco perché si guadagnava anche di più.
Le ditte eran quasi tutte livornesi... Noi s’è lavorato per un livornese anche là. Ora un mi ricordo ome si chiamava, mansomma eran guasi tuttitaliani nsomma, i padroni he ompravano esti appezzamenti là in Affria, Tunisia, Algeria : quattr’anni. Ci so stato che aveo sedic’anni poi ci son tornato che aveo venti, poi ci son tornato aveo ventidu anni; nsomma ci so stato quattro anni in Affria.
Si stea sempren baracche. Sempre baracche... baracche fatte proprio da noi... costruite da noi e coperte col cartone, col cartone catramato eh... si facea delle capanne nsomma abbastanza... Ci si mettea magari un po’ di più ma abbastanze agiate, ecco! Perché c’era caldo benché fusse dìnverno, là in Affria quando tiral vento del deser¬to c’è un caldo Dio bono he un tu ci resisti da... da quell’afa da quel calore he ha quando tira ma insomma là io ci so stato quatt’anni. Sì, t’ho detto, si dice la vita ma tanto ci si stava tanto bene di mangiare e bere Dio bono, ci si sguazzava anche nel vino.
C’erano sempe i padroni che fornivano il mangiare e fornivano le dispense perché sennò il boscaiolo doveandà a pensare... Nvece tu arrivai la Domenica, dice: “c’è da andà a fa spesa". Si facea per utta la settimana. Settimana per settimana comen Sardegna, come dappertutto. Sempre, sempennel bosco, ecco, senza sortire madel bosco. Si stava otto mesi senza vedere né otomobili né sentire campane.
In Sardegna pol più vicino essostato c’era duòre ma siamo stati anche... anche quattr’ore ci voleandà un paese. Quando s’era a Dorgali ci volea quattr’ore. So stato a Alar de’ Sardi, ci volea quattr’ore, so stato a Oschiri che sarebbe vicino a Olbia, da tre a quattr’ore per andare... macheddiì, Madonna enno i posti più, più, più deserti.
Quando s’era a Canelefìgo, a Dorgali, ci venne mezzo metro di neve allora s'andè alle tracceacignali, siominciò andà aolombi la mattina e podoppo si trovava le tracce e siminciò a andà alle tracce de’ cignali. Ma lo sa', si durò più di venti giorni tutte le mattine; s’era a tre, quattro compagnie s’andeva mia tutti, in due in tre per compagnia, e si durò sì più d’un mese e se ne chiappò sedici; mi ricordo guasi tutte le mattine; sedici cignali si tiappò, in modo che non si rifiniva giorno per giorno: s’era salata e si rimangiava poi dopo. Ma dopo sì, tu aaffàconto he, tempo s’era perso, ma dopo si lavoraa giornennotte. Poerini ragazzi, hevvita essifece anche ell’annillì.
Per dirtene una: alla macchia mi poero babbo si letiò col capo macchia perché, Dio bono... ti veniano a fal prezzo di Marzo, poi ti diano questo, tanto, come li parea loro, Dio bono o bere o affogare. Allora vedeano che un guadagnaano nulla nsomma. Dio bono, un po’ ontrastarono pol mi babbo li prese la rabbia. Dio bono, un ne potea piue, chiappò la pala (ma questo era... eral capomacchia del Magrini... Alberto, l’ho sentito dì tante volte, poi l’ho conosciuto anch’io perché dopo ci sono stato che aveo diec’anni col mi’ babbo, laggiù); allora gli chiappò la rabbia, prese la pala, e allora lui era a cavallo. Berto, me lo ricordo come se fusse ora, Dio bono, e partì e lui gli dé dietro, gli tirò anche la pala dietro. Ora quandol mi’ babbo ritornò lì c’avea un su zio... e ritornò lì alla arbonara, el su’ zio lo trovò che piangea perché dice: « ora tu l’ha fugato, un altranno o noi non ci rende il lavo¬ro ». E piangeva. Di bono, perché un li rendevanol lavoro.
... Dio bono ragazzi. Eppure è successo a loro di nun pagalli e pom’è successo anche a me di nun dammi neanchun soldo. Quando s’era laggiù... A Potenza, ti ricordi (al fratello) che dovetti veni via. Io doveo andà sol¬dato e li dissi al padrone: « Io, ecco qui la cartolina, io bisogna che andia soldato. Soldi un ce n’ha dati punti, dio, bisogna che mi dia almeno qualcosa, bisogna che me lo dia ».
Disse: « Io nun solo un li dò niente, disse, ma nemmeno permetto che... dice, io voglio che lei rimetta un omo nel su posto. » Che dici, un si guadagnaa nulla, che trovassi un orno che m’andesse lì al suposto, era il mese di Maggio, era il sei di Maggio, me la ricordo sempre. Io c’aveo la artolina lì, per andà soldato, dissi : « Non ci viene nessuno » che di’, un si guadagnaa nulla) « E io nun ti dò neanchun soldo ». Allora andai dai Carabinieri. Gli feci vedere la artolina; il padrone non mi dà neanchun soldo o come fo, da Potenza ?) « Io un voglio sapé nulla! ». Perché anche i Carabinieri io bisogna che sia sincero, bisogna chellodia, aveano paura, e più duna volta l’hanno preso a sassate. Disse « Io nun voglio sapé nulla. Quando m’arriva l’avviso dei Carabinieri del tu’ paese, vengo e t’arresto ! » Allora andai a Potenza insieme con quelli di leva come me che andavano... Senti mi voleano vestire laggiù, ma io, Dio bono, tu sé stato sei o sette mesi in una macchia tutto sudicio... Allora venio volentieri a casa. Allora mi dissero: « Senti, più che ti si pò fa, ti si fa il foglio di viaggio come militare e tu spendi.. ». Si spendea 105 lire, me lo ricordo bene. Spesi 40 lire come militare.
Ma queste 40 lire e si prese tutti i portafogli che ci s’avea lì in capanna... ti riordi, s’arrivò a 42 lire con tutti i soldi che s’avea fra tutti. Insomma, ci si sgocciolò tutti. 40 lire di viaggio e con du lire comprai un pane e una tascata di fichi secchi. Perché guarda è lungotto da Potenza. E per la strada sul treno... la terza era piena, un cisentrava. Dissi io vo in seconda. Si starà a vedere, piglià un mi piglian niente, e un ho niente. Aveo altro che quel pane nella pezzola. Andai in seconda e allora c’era un signore, sa come succede, ci si mette a ragio¬nare, dove va, una cosa un’altra e dopo un po’ di tempo io affetto questo pane. Disse : « E il companatico ? » Eglarraccontai mi c’era voluto nsomma i soldi per il viaggio m’era avanzato du lire, aveo preso questo pane solo. Quest’omo si alzò, ragazzi quella cosa lì nun me la dimenticherò mai; s’alzò, andeva lì... o che ofussino stati gente che si conosceva, io non lo so. Dice: « Dammi du lire, dammi du lire... » girò tutta la carrozza e fece 16 lire.
Arrivò lì e me le dé. Mi c'entranno di omprare il companatico e di venì a mangià a Pistoia. Ecco, doppo avé lavorato tanto, venì a casa lemosinando.”
Io, per tanteose, un dio mia, ma per altrettante tornerè volentieri ome si vivea prima, per tanteose Perché c’era più tranquillità, c’era più galatomismo, c’era Dio bono..., ci si volea più bene. Qui siamo una borgata di dieci famiglie. Se uno qui perdea il portafogli, l’avesse perso per qui, tu ha affaconto davello person camera. Se lo trovava un altro sta pur sicuro, come se l’avesse trovato uno di famiglia, lo stesso. Era una bellosa hellaellì. C’era uno he s’ammalava, Dio bono, ell’altro dice, c’avea daffà le faccende, c’avea qui, c’avea là; aspetta, li si dà un colpo di mano tutti, io bono, c’era più fratellanza, più solidarietà. Era meglio, per tante cose, era meglio prima e per tante un dio mia, perché ora si sta diciamo meglio, di mangiare, s’ha la casa con tutti i comodi, quest’è vero, ma c’è anche tanteose che enno peggio.
In Maremma io ci son stato uattr’anni. In Sardegna c’ho fatto undici stagioni. In Corsica quattro. In Affria uattr’anni. Pon’ho passati cinque in Francia: il meglio ho passato uello. In Francia s’è fatto carbone solo un anno. Il resto si facea legna, e si facea il sughero, si facea perfino il tannino.
Allora andava il tannino, e usava questo tannino per le conce, per conciare il cuoio, per fa le scarpe. Quello appiccicato. Perché anche la sughera, c’ha il sughero, ma podoppo sotto ci rià l’altra buccia. Quella servia per fare questo tannino per le conce; ecco andava a Santa Croce, di lì e là dove conciavano le pelli. Nsomma in Francia ci sono stato, io e lui (il fratello) ci siamo stati cinquanni, s’è fatto solo un anno carbone. Il resto si facea legna, si facea questo sughero, si facea il sughero avvezzo diciamo osì; avvezzo sarebbe alla sughera e se ne levava un metro, un metro e mezzo, dumetri, conforme la forza che avea la pianta, perché sai tu gli levavi il sughero, la pianta soffriva. Dopo, levato la prima volta, questo sughero che rifacea novo eh sarebbe stato più strinto, sarebbe stato com’una tavola, dopo. Ci devano una quarantina di lire... quarantamila lire. Ti ricordi quanto si guadagnava ? Ottanta franchi il giorno.
In Maremma c’era più sfruttamento perché c’era tanta gente; ce n’era tanti se n’approfittavano.
Invece nell’Affria ci mandavano propriouelli che sapeano fal carbone, i meglio carbonari: uesti padroni lo sapevanon paese. Prendeano il capo macchia, diceano : “Te tu mi devi portare de' carbonari, de’ migliori che c’è. Poi il prezzo nsomma ci s’accomoda”. Ecco che tutti non ci potevan andare là perché quello che nun era capace un lo pigliavano, ecco perché si guadagnava anche di più.
Le ditte eran quasi tutte livornesi... Noi s’è lavorato per un livornese anche là. Ora un mi ricordo ome si chiamava, mansomma eran guasi tuttitaliani nsomma, i padroni he ompravano esti appezzamenti là in Affria, Tunisia, Algeria : quattr’anni. Ci so stato che aveo sedic’anni poi ci son tornato che aveo venti, poi ci son tornato aveo ventidu anni; nsomma ci so stato quattro anni in Affria.
Si stea sempren baracche. Sempre baracche... baracche fatte proprio da noi... costruite da noi e coperte col cartone, col cartone catramato eh... si facea delle capanne nsomma abbastanza... Ci si mettea magari un po’ di più ma abbastanze agiate, ecco! Perché c’era caldo benché fusse dìnverno, là in Affria quando tiral vento del deser¬to c’è un caldo Dio bono he un tu ci resisti da... da quell’afa da quel calore he ha quando tira ma insomma là io ci so stato quatt’anni. Sì, t’ho detto, si dice la vita ma tanto ci si stava tanto bene di mangiare e bere Dio bono, ci si sguazzava anche nel vino.
C’erano sempe i padroni che fornivano il mangiare e fornivano le dispense perché sennò il boscaiolo doveandà a pensare... Nvece tu arrivai la Domenica, dice: “c’è da andà a fa spesa". Si facea per utta la settimana. Settimana per settimana comen Sardegna, come dappertutto. Sempre, sempennel bosco, ecco, senza sortire madel bosco. Si stava otto mesi senza vedere né otomobili né sentire campane.
In Sardegna pol più vicino essostato c’era duòre ma siamo stati anche... anche quattr’ore ci voleandà un paese. Quando s’era a Dorgali ci volea quattr’ore. So stato a Alar de’ Sardi, ci volea quattr’ore, so stato a Oschiri che sarebbe vicino a Olbia, da tre a quattr’ore per andare... macheddiì, Madonna enno i posti più, più, più deserti.
Quando s’era a Canelefìgo, a Dorgali, ci venne mezzo metro di neve allora s'andè alle tracceacignali, siominciò andà aolombi la mattina e podoppo si trovava le tracce e siminciò a andà alle tracce de’ cignali. Ma lo sa', si durò più di venti giorni tutte le mattine; s’era a tre, quattro compagnie s’andeva mia tutti, in due in tre per compagnia, e si durò sì più d’un mese e se ne chiappò sedici; mi ricordo guasi tutte le mattine; sedici cignali si tiappò, in modo che non si rifiniva giorno per giorno: s’era salata e si rimangiava poi dopo. Ma dopo sì, tu aaffàconto he, tempo s’era perso, ma dopo si lavoraa giornennotte. Poerini ragazzi, hevvita essifece anche ell’annillì.
Per dirtene una: alla macchia mi poero babbo si letiò col capo macchia perché, Dio bono... ti veniano a fal prezzo di Marzo, poi ti diano questo, tanto, come li parea loro, Dio bono o bere o affogare. Allora vedeano che un guadagnaano nulla nsomma. Dio bono, un po’ ontrastarono pol mi babbo li prese la rabbia. Dio bono, un ne potea piue, chiappò la pala (ma questo era... eral capomacchia del Magrini... Alberto, l’ho sentito dì tante volte, poi l’ho conosciuto anch’io perché dopo ci sono stato che aveo diec’anni col mi’ babbo, laggiù); allora gli chiappò la rabbia, prese la pala, e allora lui era a cavallo. Berto, me lo ricordo come se fusse ora, Dio bono, e partì e lui gli dé dietro, gli tirò anche la pala dietro. Ora quandol mi’ babbo ritornò lì c’avea un su zio... e ritornò lì alla arbonara, el su’ zio lo trovò che piangea perché dice: « ora tu l’ha fugato, un altranno o noi non ci rende il lavo¬ro ». E piangeva. Di bono, perché un li rendevanol lavoro.
... Dio bono ragazzi. Eppure è successo a loro di nun pagalli e pom’è successo anche a me di nun dammi neanchun soldo. Quando s’era laggiù... A Potenza, ti ricordi (al fratello) che dovetti veni via. Io doveo andà sol¬dato e li dissi al padrone: « Io, ecco qui la cartolina, io bisogna che andia soldato. Soldi un ce n’ha dati punti, dio, bisogna che mi dia almeno qualcosa, bisogna che me lo dia ».
Disse: « Io nun solo un li dò niente, disse, ma nemmeno permetto che... dice, io voglio che lei rimetta un omo nel su posto. » Che dici, un si guadagnaa nulla, che trovassi un orno che m’andesse lì al suposto, era il mese di Maggio, era il sei di Maggio, me la ricordo sempre. Io c’aveo la artolina lì, per andà soldato, dissi : « Non ci viene nessuno » che di’, un si guadagnaa nulla) « E io nun ti dò neanchun soldo ». Allora andai dai Carabinieri. Gli feci vedere la artolina; il padrone non mi dà neanchun soldo o come fo, da Potenza ?) « Io un voglio sapé nulla! ». Perché anche i Carabinieri io bisogna che sia sincero, bisogna chellodia, aveano paura, e più duna volta l’hanno preso a sassate. Disse « Io nun voglio sapé nulla. Quando m’arriva l’avviso dei Carabinieri del tu’ paese, vengo e t’arresto ! » Allora andai a Potenza insieme con quelli di leva come me che andavano... Senti mi voleano vestire laggiù, ma io, Dio bono, tu sé stato sei o sette mesi in una macchia tutto sudicio... Allora venio volentieri a casa. Allora mi dissero: « Senti, più che ti si pò fa, ti si fa il foglio di viaggio come militare e tu spendi.. ». Si spendea 105 lire, me lo ricordo bene. Spesi 40 lire come militare.
Ma queste 40 lire e si prese tutti i portafogli che ci s’avea lì in capanna... ti riordi, s’arrivò a 42 lire con tutti i soldi che s’avea fra tutti. Insomma, ci si sgocciolò tutti. 40 lire di viaggio e con du lire comprai un pane e una tascata di fichi secchi. Perché guarda è lungotto da Potenza. E per la strada sul treno... la terza era piena, un cisentrava. Dissi io vo in seconda. Si starà a vedere, piglià un mi piglian niente, e un ho niente. Aveo altro che quel pane nella pezzola. Andai in seconda e allora c’era un signore, sa come succede, ci si mette a ragio¬nare, dove va, una cosa un’altra e dopo un po’ di tempo io affetto questo pane. Disse : « E il companatico ? » Eglarraccontai mi c’era voluto nsomma i soldi per il viaggio m’era avanzato du lire, aveo preso questo pane solo. Quest’omo si alzò, ragazzi quella cosa lì nun me la dimenticherò mai; s’alzò, andeva lì... o che ofussino stati gente che si conosceva, io non lo so. Dice: « Dammi du lire, dammi du lire... » girò tutta la carrozza e fece 16 lire.
Arrivò lì e me le dé. Mi c'entranno di omprare il companatico e di venì a mangià a Pistoia. Ecco, doppo avé lavorato tanto, venì a casa lemosinando.”
Bartleby - 20/6/2011 - 13:57
Langue: italien
In realtà sembra che questo canto di anonimo sia molto più antico, forse risalente al 700.
Fa parte dei canti superstiti provenienti dalla montagna pistoiese e raccolti a partire dai primi dell’800 prima da Niccolò Tommaseo (tutti dall’informatrice Beatrice Bugelli) e poi da molti altri (Giuseppe Tigri, Filippo Rossi-Cassiglioli, Francesca Alexander, Michele Barbi). Più recentemente, nei primi anni 70 del secolo scorso, questi canti sono stati sistematizzati dal musicologo e sociologo Sergio Gargini ed è sulle sue ricerche che si fonda la versione proposta da Caterina Bueno così come quella di Riccardo Tesi e Maurizio Geri (Album “Acqua foco e vento” del 2003)
(Fonte: it.wikipedia)
Fa parte dei canti superstiti provenienti dalla montagna pistoiese e raccolti a partire dai primi dell’800 prima da Niccolò Tommaseo (tutti dall’informatrice Beatrice Bugelli) e poi da molti altri (Giuseppe Tigri, Filippo Rossi-Cassiglioli, Francesca Alexander, Michele Barbi). Più recentemente, nei primi anni 70 del secolo scorso, questi canti sono stati sistematizzati dal musicologo e sociologo Sergio Gargini ed è sulle sue ricerche che si fonda la versione proposta da Caterina Bueno così come quella di Riccardo Tesi e Maurizio Geri (Album “Acqua foco e vento” del 2003)
(Fonte: it.wikipedia)
IL LAMENTO DEL CARBONARO
Vita tremenda, vita tribolata
di chi va alla macchia la’ per lavorare
vita tremenda trista e strapazzata
non si può creder quanto immaginare
un’anima dell’inferno più dannata
non possa così tanto spasimare
non pole aver ne’ spasmo ne’ dolore
quante n’ha il carbonaro e tagliatore
Parte da casa tutto lieto il cuore
e va lieto in Sardegna a lavorare
lascia la moglie ni’ mezzo al dolore
sperando un giorno di poter tornare
Dicendo che se giova il mio sudore
speranza n’ho di far buoni guadagni
soccorso vi darò poi lo vedrete
comprerete il vestire e mangerete
Le speranze son bone capirete
perché il padron fa bone promessioni
si va per tutto come ben sapete
come secondo le combinazioni
in Corsica in Sardegna e infino e Riete
e per dicendo di maggior fortuna
s’ andrebbe anche ni’ ggrigio della luna
s’incontra una foresta folta e bruna
si fabbrica una cella per demorio
si fabbrica di legno terra e sassi
sembrava il ricovero dei tassi
la porta fan di rami e di altri assi
il letto ancor di ramo del più fino
polenda e cacio si doventa grassi
per risparmiar se ne mangia anco pochino
si dorme duro sotto quelle zolle
co’ i’ ccapo ‘n tera come le cipolle
il sangue nel mio cuore ancor mi bolle
star sette mesi e non mi spoglio mai
e tengo il foco acceso la’ in foresta
anda’ e veni’ che sembra un viavai
fra le visite e le cacciate
si passa a non dormir molte nottate
ora c’é l’ingiustizia e l’angherie
quando il capomacchia il prezzo viene a fare
da chi vuole 20, 25 e 30
uno e ottanta ce lo fan bastare
ma quande ha fatto il portafoglio pieno
lo mette in tasca e a noi ci da’ di meno
ed ora che risponde il poveretto
benché poco sia quel che tu mi dai
a termina’ il lavoro son costretto
senno’ a casa non ritorno mai
vedrò se a lavorar 5 o 6 mesi
tu mi rimandi a casa per le spesi
il dispensier che sta su’ libri tesi
non fa che aggiunger cifre ad altri zeri
tiengan di loro le misure e i pesi
per levarci quel che c’han dato ieri
poi c’è di tara un 15 per cento
poi c’è un rinsacco smisurato
quello lo fan secondo il suo talento
per levarci tutto quel che c’hanno dato
fra tara rinsacchi e fra rivelli
credete in dio ce ne rimangia mezzi
ritorna a casa dolorante e stracco
non è più omo
e’ diventato straccio…
Vita tremenda, vita tribolata
di chi va alla macchia la’ per lavorare
vita tremenda trista e strapazzata
non si può creder quanto immaginare
un’anima dell’inferno più dannata
non possa così tanto spasimare
non pole aver ne’ spasmo ne’ dolore
quante n’ha il carbonaro e tagliatore
Parte da casa tutto lieto il cuore
e va lieto in Sardegna a lavorare
lascia la moglie ni’ mezzo al dolore
sperando un giorno di poter tornare
Dicendo che se giova il mio sudore
speranza n’ho di far buoni guadagni
soccorso vi darò poi lo vedrete
comprerete il vestire e mangerete
Le speranze son bone capirete
perché il padron fa bone promessioni
si va per tutto come ben sapete
come secondo le combinazioni
in Corsica in Sardegna e infino e Riete
e per dicendo di maggior fortuna
s’ andrebbe anche ni’ ggrigio della luna
s’incontra una foresta folta e bruna
si fabbrica una cella per demorio
si fabbrica di legno terra e sassi
sembrava il ricovero dei tassi
la porta fan di rami e di altri assi
il letto ancor di ramo del più fino
polenda e cacio si doventa grassi
per risparmiar se ne mangia anco pochino
si dorme duro sotto quelle zolle
co’ i’ ccapo ‘n tera come le cipolle
il sangue nel mio cuore ancor mi bolle
star sette mesi e non mi spoglio mai
e tengo il foco acceso la’ in foresta
anda’ e veni’ che sembra un viavai
fra le visite e le cacciate
si passa a non dormir molte nottate
ora c’é l’ingiustizia e l’angherie
quando il capomacchia il prezzo viene a fare
da chi vuole 20, 25 e 30
uno e ottanta ce lo fan bastare
ma quande ha fatto il portafoglio pieno
lo mette in tasca e a noi ci da’ di meno
ed ora che risponde il poveretto
benché poco sia quel che tu mi dai
a termina’ il lavoro son costretto
senno’ a casa non ritorno mai
vedrò se a lavorar 5 o 6 mesi
tu mi rimandi a casa per le spesi
il dispensier che sta su’ libri tesi
non fa che aggiunger cifre ad altri zeri
tiengan di loro le misure e i pesi
per levarci quel che c’han dato ieri
poi c’è di tara un 15 per cento
poi c’è un rinsacco smisurato
quello lo fan secondo il suo talento
per levarci tutto quel che c’hanno dato
fra tara rinsacchi e fra rivelli
credete in dio ce ne rimangia mezzi
ritorna a casa dolorante e stracco
non è più omo
e’ diventato straccio…
envoyé par Bartleby - 5/4/2012 - 10:42
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In “La veglia” del 1968 e poi in “Eran tre falciatori” del 1973.
Per quel che riguarda l’attribuzione - incerta, ma potrebbe trattarsi del carbonaro e poeta Olinto Venturi (1865-1926) di Iano in Montaione - [o Riccardo, gl’è mica un parente tuo?] e le altre versioni di questo canto rimando a questo articolo firmato dallo studioso francese Jean-Pierre Cavaillé e pubblicato su “Toscana Folk”, XIV, 15, 2010.
Il lamento racconta di quando, tra 800 e 900, dalla montagna pistoiese nei mesi invernali partivano in gruppi i “carbonari” per andare a “cuocere il carbone” (il laborioso procedimento di carbonizzazione del legname) nella Maremma toscana e in quella laziale ma poi fino in Sardegna e in Corsica, ovunque vi fosse lavoro per loro. Se ne stavano mesi lontani da casa a lavorare in condizioni durissime per una paga da fame: “Ritorno a casa stracanato e scotto, senza quattrini e con la febbre addosso.” Immaginate cosa volesse dire produrre a mano il carbone a partire dall’abbattimento degli alberi, e poi il trasporto in luogo appropriato, e poi il taglio della legna nei diversi formati necessari, e poi l’allestimento delle carbonaie, e poi la lentissima “cottura” che avveniva senza pause, giorno e notte, per settimane, e poi il raffreddamento e l’insaccamento: un lavoro infame che oltretutto, se il carbonaio non stava attento o aveva poca esperienza, proprio all’ultimo poteva finire letteralmente in fumo con l’incenerimento della carbonaia.
Ci volevano 40 quintali di legna per produrne 8 di carbone e se poi quel carbone il committente non lo riteneva abbastanza ben fatto – e così sempre accadeva – allora la misera paga prevista veniva ulteriormente decurtata…