Beaucoup d'ici on connut la prison
Beaucoup de là bas y sont morts
Nous n'avons qu'un seul étranger dans nos maisons
Et vous en avez un au sud et un au nord
La bannière bleue rouge et blanche
De celui d'en haut nous l'avons aussi
Son ombre s'étend sur nos pays
Mais sa guerre n'est pas franche
Celui d'en bas a jeté bas son masque
Et sa main sert plus fort vos brides
La garde des gens de Madrid
Torturez l'homme qui chante basque
Que soit exemple ici l'Euskadi qui veut vivre
Que la mer écoute la montagne
La souffrance et les balles pour être libre
Et cet amour de toi Bretagne.
Beaucoup de là bas y sont morts
Nous n'avons qu'un seul étranger dans nos maisons
Et vous en avez un au sud et un au nord
La bannière bleue rouge et blanche
De celui d'en haut nous l'avons aussi
Son ombre s'étend sur nos pays
Mais sa guerre n'est pas franche
Celui d'en bas a jeté bas son masque
Et sa main sert plus fort vos brides
La garde des gens de Madrid
Torturez l'homme qui chante basque
Que soit exemple ici l'Euskadi qui veut vivre
Que la mer écoute la montagne
La souffrance et les balles pour être libre
Et cet amour de toi Bretagne.
inviata da Riccardo Venturi - 3/6/2011 - 08:44
Lingua: Italiano
Versione italiana di Riccardo Venturi
3 giugno 2011
3 giugno 2011
I PAESI BASCHI
Molti di qui hanno conosciuto la prigione,
Molti di là vi sono morti.
Noi abbiamo solo uno straniero in casa,
Voi ne avete uno a sud e uno a nord
La bandiera blu, rossa e bianca
Di quello sopra l'abbiamo anche noi,
La sua ombra si estende sul nostro paese
Ma la sua guerra non è leale
Quello sotto ha gettato la maschera
E la sua mano stringe su di voi ancor più forti le redini
La galera di quelli di Madrid,
Torturate chi canta in basco.
Che qui sia d'esempio l'Euskadi che vuole vivere,
Che il mare ascolti le montagne,
La sofferenza e le armi per essere liberi,
E questo amore per te, Bretagna.
Molti di qui hanno conosciuto la prigione,
Molti di là vi sono morti.
Noi abbiamo solo uno straniero in casa,
Voi ne avete uno a sud e uno a nord
La bandiera blu, rossa e bianca
Di quello sopra l'abbiamo anche noi,
La sua ombra si estende sul nostro paese
Ma la sua guerra non è leale
Quello sotto ha gettato la maschera
E la sua mano stringe su di voi ancor più forti le redini
La galera di quelli di Madrid,
Torturate chi canta in basco.
Che qui sia d'esempio l'Euskadi che vuole vivere,
Che il mare ascolti le montagne,
La sofferenza e le armi per essere liberi,
E questo amore per te, Bretagna.
PAESE BASCO: POLEMICHE E DIVISIONI (ANCHE TRA GLI INDIPENDENTISTI) PER L’ULTIMO ONGI ETORRI
Gianni Sartori
Occuparsi della questione basca senza entrare nel merito di quella dei prigionieri (gli etarras ancora in carcere) non consente di comprendere alcune delle innegabili contraddizioni dell’attuale situazione in Euskal Herria. Diversamente da altre realtà in cui si era adottata una “soluzione politica” del conflitto (Sudafrica, Irlanda…), la deposizione delle armi da parte di ETA non ha comportato la liberazione dei militanti incarcerati. Tutt’altro.
Eppure, se pur timidamente, qualche apertura sembrerebbe all’opera. Al punto che per facilitare il superamento della contrapposizione muro contro muro (ormai forse sterile, inutile…) tra movimento basco e istituzioni, sia regionali che statali, il collettivo dei prigionieri (EPPK), allineandosi alle richieste di Sortu, nel novembre 2021 ha chiesto ai propri familiari e amici di non celebrare altri omaggi pubblici (ongi etorri) ai prigionieri quando rientrano nei loro paesi e quartieri.
Presentandolo appunto come un passo conciliante r rendere più facili (“fluidi”) i rapporti tra EH Bildu, Sare (il raggruppamento di cittadini a sostegno ai prigionieri) e il Ministero dell’Interno spagnolo. Il quale ministero avrebbe “ricambiato” con qualche piccolo beneficio. Come il passaggio - per chi dichiarava di rinunciare all’ongi etorri- dal secondo al terzo grado e talvolta la libertà condizionale.
Non tutti però si erano adeguati. Solo un mese più tardi l’ex militante di ETA Iñaki Etxeberría (“Mortadelo”, presente anche ai festeggiamenti a Berango per Ibai Aginaga) veniva accolto a Pamplona nel Casco Viejo con fiori, bengala e un “aurresku de honor” organizzato dai familiari, In aperta critica nei confronti della politica più accomodante adottata da Sortu. Un evento da cui si erano dissociate anche buona parte delle organizzazioni della sinistra abertzale.
Ovviamente le critiche maggiori provenivano dalle associazioni filo-spagnole e da quelle dei familiari delle vittime di ETA. Dato che per la Fundación Villacisneros (di cui fanno parte molti esponenti del PP dei Paesi baschi come Maria San Gil e Carlos Urquijo) “defender la causa de las víctimas del terrorismo de Eta está en el ADN de la Fundación Villacisneros”, tale organizzazione aveva chiesto ripetutamente, sia al governo basco che a quello madrileno, di proibire e impedire queste manifestazioni di giubilo per il rientro dei prigionieri.
Dichiarando che “un recibimiento a un terrorista es un acto de enaltecimiento (esaltazione, apologia nda) tipificado como delito en el Codigo Penal y ademбs las leyes de victimas nacional y autonomicas instan a los poderes del Estado a evitarlos”.
La questione era tornata di attualità nella notte di Capodanno quando alcuni militanti indipendentisti avevano lanciato bengala e petardi nei pressi della prigione di Basauri (Vizcaya) in sostegno di Ibai Aginaga (condannato nel 2012 a 21 anni di carcere in quanto membro del comando Nafarroa).
Aginaga è appunto uno dei detenuti baschi che - in aperto dissenso con le scelte di EPPK - non ha chiesto ai suoi sostenitori di rinunciare all’ongi etorri (e rinunciando quindi ai possibili benefici penitenziari). Domenica 12 marzo centinaia di persone hanno riempito all’inverosimile lo stadio di pelota basca di Berango.
Una festa organizzata per questo ex militante di ETA (che attualmente si definisce “comunista e indipendentista”), tornato a casa dopo 21 anni di lontananza. Di cui due trascorsi in clandestinità, gli altri 19 in galera. Anche nel suo caso la sinistra abertzale si era dissociata dai festeggiamenti pubblici chiedendo che il rientro avvenisse in maniera discreta e privatamente.
Invece ad accoglierlo erano in centinaia. Vietato entrare con telefoni cellulari e proibizione assoluta per la stampa spagnola di essere presente. Scanditi i soliti slogan, in particolare “Presoak kalera, amnistía osoa” e - dopo un breve evento musicale - almeno dieci minuti di applausi per l’ex detenuto. Altri applausi per la madre, presente al suo fianco e che lo ha sempre sostenuto. Nel suo discorso di ringraziamento, Ibai Aginaga ha voluto ricordare gli altri prigionieri, sia gli indipendentisti baschi (Kepa Preciado, Dani Pastor, “Txikito”…) e quelli che ha genericamente definito “antifascisti” in riferimento a quelli del PCE(r) e dei GRAPO.
Oltre alla Fundación Villacisneros, anche l’associazione Dignità y Justicia aveva chiesto alle autorità di proibire tale omaggio all’ex etarra. Ricordando che era stato arrestato insieme a Joseba Segurola e che l’Audiencia Nacional aveva condannato entrambi a 21 anni di carcere in quanto membri del Comando Nafarroa.
Dignidad y Justicia denunciava inoltre la comparsa a Berango di uno striscione con la scritta “M13 Denok Berangora. Ongi Etorri Ibai Aginaga” e in evidenza il simbolo di Gestoras pro Amnistia, organizzazione già dichiarata illegale dal Tribunal Supremo.
E concludeva il suo appello rivolgendosi all’Audiencia Nacional, all’Ertzaintza (la polizia autonoma basca), alla Policía Nacional e alla Guardia Civil affinché indagassero per identificare gli organizzatori dell’evento.
Va anche ricordato che il Parlamento Europeo nel 2018 aveva approvato un documento della Commissione Speciale sul terrorismo con cui si chiedeva di proibire questo genere di manifestazioni in quanto costituiscono una forma di“umiliazione e vilipendio per le vittime e un’esaltazione del terrorismo”.
Gianni Sartori
Gianni Sartori
Occuparsi della questione basca senza entrare nel merito di quella dei prigionieri (gli etarras ancora in carcere) non consente di comprendere alcune delle innegabili contraddizioni dell’attuale situazione in Euskal Herria. Diversamente da altre realtà in cui si era adottata una “soluzione politica” del conflitto (Sudafrica, Irlanda…), la deposizione delle armi da parte di ETA non ha comportato la liberazione dei militanti incarcerati. Tutt’altro.
Eppure, se pur timidamente, qualche apertura sembrerebbe all’opera. Al punto che per facilitare il superamento della contrapposizione muro contro muro (ormai forse sterile, inutile…) tra movimento basco e istituzioni, sia regionali che statali, il collettivo dei prigionieri (EPPK), allineandosi alle richieste di Sortu, nel novembre 2021 ha chiesto ai propri familiari e amici di non celebrare altri omaggi pubblici (ongi etorri) ai prigionieri quando rientrano nei loro paesi e quartieri.
Presentandolo appunto come un passo conciliante r rendere più facili (“fluidi”) i rapporti tra EH Bildu, Sare (il raggruppamento di cittadini a sostegno ai prigionieri) e il Ministero dell’Interno spagnolo. Il quale ministero avrebbe “ricambiato” con qualche piccolo beneficio. Come il passaggio - per chi dichiarava di rinunciare all’ongi etorri- dal secondo al terzo grado e talvolta la libertà condizionale.
Non tutti però si erano adeguati. Solo un mese più tardi l’ex militante di ETA Iñaki Etxeberría (“Mortadelo”, presente anche ai festeggiamenti a Berango per Ibai Aginaga) veniva accolto a Pamplona nel Casco Viejo con fiori, bengala e un “aurresku de honor” organizzato dai familiari, In aperta critica nei confronti della politica più accomodante adottata da Sortu. Un evento da cui si erano dissociate anche buona parte delle organizzazioni della sinistra abertzale.
Ovviamente le critiche maggiori provenivano dalle associazioni filo-spagnole e da quelle dei familiari delle vittime di ETA. Dato che per la Fundación Villacisneros (di cui fanno parte molti esponenti del PP dei Paesi baschi come Maria San Gil e Carlos Urquijo) “defender la causa de las víctimas del terrorismo de Eta está en el ADN de la Fundación Villacisneros”, tale organizzazione aveva chiesto ripetutamente, sia al governo basco che a quello madrileno, di proibire e impedire queste manifestazioni di giubilo per il rientro dei prigionieri.
Dichiarando che “un recibimiento a un terrorista es un acto de enaltecimiento (esaltazione, apologia nda) tipificado como delito en el Codigo Penal y ademбs las leyes de victimas nacional y autonomicas instan a los poderes del Estado a evitarlos”.
La questione era tornata di attualità nella notte di Capodanno quando alcuni militanti indipendentisti avevano lanciato bengala e petardi nei pressi della prigione di Basauri (Vizcaya) in sostegno di Ibai Aginaga (condannato nel 2012 a 21 anni di carcere in quanto membro del comando Nafarroa).
Aginaga è appunto uno dei detenuti baschi che - in aperto dissenso con le scelte di EPPK - non ha chiesto ai suoi sostenitori di rinunciare all’ongi etorri (e rinunciando quindi ai possibili benefici penitenziari). Domenica 12 marzo centinaia di persone hanno riempito all’inverosimile lo stadio di pelota basca di Berango.
Una festa organizzata per questo ex militante di ETA (che attualmente si definisce “comunista e indipendentista”), tornato a casa dopo 21 anni di lontananza. Di cui due trascorsi in clandestinità, gli altri 19 in galera. Anche nel suo caso la sinistra abertzale si era dissociata dai festeggiamenti pubblici chiedendo che il rientro avvenisse in maniera discreta e privatamente.
Invece ad accoglierlo erano in centinaia. Vietato entrare con telefoni cellulari e proibizione assoluta per la stampa spagnola di essere presente. Scanditi i soliti slogan, in particolare “Presoak kalera, amnistía osoa” e - dopo un breve evento musicale - almeno dieci minuti di applausi per l’ex detenuto. Altri applausi per la madre, presente al suo fianco e che lo ha sempre sostenuto. Nel suo discorso di ringraziamento, Ibai Aginaga ha voluto ricordare gli altri prigionieri, sia gli indipendentisti baschi (Kepa Preciado, Dani Pastor, “Txikito”…) e quelli che ha genericamente definito “antifascisti” in riferimento a quelli del PCE(r) e dei GRAPO.
Oltre alla Fundación Villacisneros, anche l’associazione Dignità y Justicia aveva chiesto alle autorità di proibire tale omaggio all’ex etarra. Ricordando che era stato arrestato insieme a Joseba Segurola e che l’Audiencia Nacional aveva condannato entrambi a 21 anni di carcere in quanto membri del Comando Nafarroa.
Dignidad y Justicia denunciava inoltre la comparsa a Berango di uno striscione con la scritta “M13 Denok Berangora. Ongi Etorri Ibai Aginaga” e in evidenza il simbolo di Gestoras pro Amnistia, organizzazione già dichiarata illegale dal Tribunal Supremo.
E concludeva il suo appello rivolgendosi all’Audiencia Nacional, all’Ertzaintza (la polizia autonoma basca), alla Policía Nacional e alla Guardia Civil affinché indagassero per identificare gli organizzatori dell’evento.
Va anche ricordato che il Parlamento Europeo nel 2018 aveva approvato un documento della Commissione Speciale sul terrorismo con cui si chiedeva di proibire questo genere di manifestazioni in quanto costituiscono una forma di“umiliazione e vilipendio per le vittime e un’esaltazione del terrorismo”.
Gianni Sartori
Gianni Sartori - 15/3/2022 - 00:23
SCUSATE SE VI PARLO ANCORA DI PERTUR
Gianni Sartori
Con la scomparsa di Concutelli scompare anche la possibilità di far chiarezza (o meglio, ulteriore chiarezza perché sulla sostanza ne sappiamo quanto basta) sia in generale sulla “guerra sucia” operata da Madrid nei confronti dei rifugiati baschi in Ipar Euskal Herria (Paese Basco sotto amministrazione francese) siain particolare sulla scomparsa di Pertur. Avevo sempre che prima o poi, almeno per la Storia se non per la Giustizia, Concutelli avrebbe sollevato il velo impietoso delle complicità, depistaggi, reticenze, bugie, falsità etc sulla questione. Invece siete, fino alla fine.Pace all’anima sua e pazienza. Resto comunque del parere che i neofascisti italiani ospitati in Spagna furono anche braccio armato del regime franchista e post-franchista
.
Il tutto era nato parecchio tempo fa dalla perplessità per una dichiarazione (di un avvocato) secondo cui Pierluigi Concutelli NON avrebbe potuto comunque prendere parte al sequestro e all’eliminazione di Pertur (Eduardo Moreno Bergaretxe) come invece sospettano da tempo i compagni baschi (sostenuti in questa convinzione dalle dichiarazioni di alcuni ex membri delle varie squadre della morte parastatali: ATE; BVE, GAL…) dato che “all’epoca era l’uomo di fiducia di Savimbi, capo dell’UNITA, e stava in Angola”.
Rinfresco la memoria: Jonas Malheiro Savimbi e l’UNITA erano sostanzialmente collaborazionisti dell’imperialismo statunitense e soprattutto del Sudafrica razzista che aveva introdotto l’apartheid anche in Namibia. Sorvoliamo pure sul fatto che anche nel suo ambiente (vedi le dichiarazioni di Stefano Delle Chiaie) si sostiene che in realtà Concutelli in Angola non ha mai messo piede continuando a fare la spola tra Spagna, Francia e Italia. (NOTA 1)
Avrei comunque qualche obiezione.
Prima obiezione: nel libro “Destra estrema e criminale” (di Gianluca Semprini e Mario Caprara ) Concutelli si confidava e raccontava che, proprio nel 1976, sarebbe sbarcato a Nizza proveniente, a suo dire, dall’Angola per incontrarsi con i “suoi” in Corsica. Si sarebbe invece fermato un giorno in più a Nizza per assistere a un concerto dei Rolling Stones (tanto per rilanciare l’immagine, taroccata e stantia, del militante di destra “alternativo e anti-sistema”) andando a Bastia il giorno dopo. Per la cronaca, quando Pertur scomparve viveva in Ipar Euskal Herria (Paese Basco del Nord, sotto amministrazione francese) raggiungibile da Nizza in poche ore.
Seconda obiezione: nel luglio 1976 sono state TRE le azioni significative rivendicate dalla banda criminale denominata Ordine Nuovo.
a) 10 luglio, assassinio del giudice Vittorio Occorsio (che stava indagando sui rapporti tra Ordine Nuovo, P2 e criminalità organizzata) con un mitra Ingram in dotazione alla Guardia Civil spagnola (presumibilmente una delle armi fornite dalla G.C. ai fascisti per assassinare i rifugiati baschi in Ipar Euskal Herria).
b) 23 luglio, rapina di armi a Villa Pacifici (S. Pastore di Tivoli) e omicidio di A. Cipriani. A questa azione, solo a questa nel luglio 1976, Concutelli NON partecipa. Strana coincidenza. Si svolge proprio nel giorno della scomparsa di Pertur . Sul momento avevo pensato di aver involontariamente trovato quasi uno “scoop” (anche se con oltre 40 anni di ritardo), ma poi dovetti ricredermi. La strana coincidenza era già stata segnalata da Elisabetta Rosaspina, anche se forse in maniera frettolosa e non troppo accurata (e per questo severamente fustigata dal Tassinari). Nel suo articolo la corrispondente da Madrid del Corsera si richiamava al documentario realizzato da Angel Amigo (“El caso Calore. Asesinado de un testigo protegido”). Dove si riportavano le dichiarazioni rese nel marzo 2009 da Calore (assassinato nell’ottobre 2010 poco prima di un nuovo incontro con i giudici spagnoli che indagavano sulla scomparsa di Pertur) al giudice dell’Audiencia Nacional Fernando Andreu.
Calore aveva raccontato di aver anche visitato la “Fabrica”, la masseria dove venivano torturati e fatti sparire i rifugiati baschi sequestrati in Iparralde.
c) sempre nel luglio 1976, rapina alla filiale bancaria del Ministero del Lavoro a Roma (bottino: 460 milioni di lire).
Ripeto: Concutelli partecipò alle azioni alla prima e terza non alla seconda.
“E con questo?” – obietterà qualcuno – “Cosa si vorrebbe dimostrare?”.
La coincidenza non implica automaticamente la presenza di Concutelli al rapimento di Pertur, ma nemmeno si può escluderla con la scusa che “stava in Angola”. Certo che come "coincidenza" è strana, perlomeno.
Pertur, cioè Moreno Bergaretxe Eduardo (NOTA 2) era nato a Donostia (Hego Euskal Herria, Paese Basco sotto occupazione spagnola) nel 1950. Militante di ETA, fu costretto all’esilio in Ipar Euskal Herria nel 1972. Convinto che la sola possibilità di continuare a lottare contro il franchismo fosse una organizzazione “que ligara la lucha armada con la luche de masas”, divenne uno dei primi esponenti della corrente politico-militare. Come è noto, nel 1974 (3° Biltzar Ttipia: Assemblea di ETA) si giunse alla divisione tra milis e polimilis. Nel 1976 ETA-pm sequestrò l’industriale Angel Berazadi. Indicato dalla stampa spagnola come il rappresentante di ETA-pm nelle trattative (e mentre sua madre veniva sequestrata dal capo della polizia di Irun.) Pertur scomparve il 23 luglio 1976, a Behobia, mentre si recava ad un appuntamento con un presunto esponente dell’opposizione spagnola. Solo alcuni aspetti della vicenda sono stati finora documentati. Alle 10 di mattina del 23 luglio, in una Seat 850 di colore bianco, si incontrarono nei pressi di Biriatu (nella provincia basca “francese” di Lapurdi) gli ispettori della BPS di San Sebastian (Donosti): Ferreiros, Lopez Arribas e José Maria Escudero Teja.
Quest’ultimo, notoriamente, era membro dei “Grupos de Accion del Norte” incaricato della lotta contro ETA (guerra sporca compresa).
Retrospettivamente, possiamo dire che anche l’anno 1976 (il primo dopo la morte del caudillo e boia Franco) fu per i baschi uno di quelli “vissuti pericolosamente”.
In marzo vi fu lo sciopero generale e a Gasteiz (Vitoria) e si contarono cinque vittime della polizia: Romualdo Chaparro, Francisco Aznar, Iosé Maria Martinez Ocio, José Castillo Garcia, Bienvenido Pereda Moral. In memoria di quella strage (passata alla storia come “semana tragica”) il cantautore catalano Lluis Llach scrisse “Campanades a morts” .
In aprile avvenne l’evasione dal carcere di Segovia di 29 militanti antifranchisti, in maggioranza militanti di ETA-pm e di ETA-m. Vi presero parte anche alcuni esponenti della Liga Revolucionaria e il catalano Oriol Solé (NOTA 3) del MIL, il gruppo di Salvador Puig Antich. Per una serie di sfortunate coincidenze la fuga finì in tragedia. Tra le vittime, Oriol Solé ucciso dalla Guardia Civil.
In maggio vi fu l’assalto squadrista di Montejurra (Jurramendi in euskara) dove i fascisti uccisero due esponenti della componente democratica del Carlismo: Ricardo Garcia Pellejero e Aniano Jimenez Santos. Circa duecento mercenari dell’estrema destra (compresi esponenti del BVE e del GAL), sotto lo sguardo benevolo della Guardia Civil, aprirono il fuoco contro i seguaci di Carlos Hugo de Borbon Parma. Immancabile la presenza dei soliti noti: gli italiani di estrema destra che vennero anche fotografati.
E infine, in luglio, la scomparsa di Pertur.
Concludo. A questo punto, almeno per ragioni storiografiche, sarebbe giunto il momento di chiarire il ruolo (suggerisco: manovalanza?) dei vecchi arnesi del neonazifascismo nostrano nella “guerra sucia” condotta dallo Stato spagnolo contro i dissidenti baschi. Anche dopo la fine del franchismo, ovviamente.
NOTA 1: durante la Guerra Civile (1936-1939) Mussolini e Hitler vennero prontamente in aiuto dei golpisti (vedi i bombardamenti di Durango, Gernika, Granollers, Barcellona…). Relativamente famosa (e degna di nota per sottolineare le responsabilità vaticane nel santificare la “crociata” fascista contro la legittima Repubblica spagnola) la foto dell’arrivo in Spagna nel pieno della Guerra Civile (per “dare sostegno morale” alle truppe franchiste e fasciste) della “Madonna di Loreto”, aviotrasportata e accompagnata da cappellani militari con gradi e paramenti sacri. Nella sconfitta dei Repubblicani l’appoggio nazi-fascista svolse un ruolo preponderante e anche questo spiega l’ospitalità generosamente offerta da Franco ai neofascisti italiani (Pierluigi Concutelli, Stefano Delle Chiaie, Sergio Calore, Mario Ricci, Carlo Cicuttini, Piero Carmassi, Augusto Cauchi…) in cambio di qualche modesto favore come la partecipazione alle squadre della morte antibasche. Franco, ovviamente, accolse anche vari esponenti di spicco del nazismo storico: fra questi, il capo del contingente vallone delle Waffen SS Lèon Degrelle e Otto Skorzeny, l’ufficiale nazista di origine austriaca che andò a prelevare Mussolini provvisoriamente imprigionato a Campo Imperatore sul Gran Sasso (12 settembre 1943).
NOTA 2: su Pertur vedi “Diccionario historico-politico di E.H.”, Inaki Egana, 1996 (pag. 602) e “ETA, storia politica dell’esercito di liberazione dei Paesi Baschi”, L. Bruni, 1980 (pag. 243).
NOTA 3: il 2 marzo 1974, mentre Salvador Puig Antich veniva condotto all’esecuzione, in un’altra cella del carcere Modelo il militante del MIL Oriol Solé (condannato a quaranta anni) iniziava a scrivere il suo ultimo libro. La dedica era per l’amico “mort construint una vida millor”. Forse non pensava che sarebbe diventato anche il suo epitaffio. Due anni dopo, aprile 1976, Oriol prese parte alla storica evasione di massa dal carcere di Segovia quando ben 29 prigionieri politici presero il volo. L’operazione era stata organizzata meticolosamente da ETA-pm e da ETA-m e consisteva nello scavo di una galleria che, attraverso la rete fognaria, permise ai militanti di raggiungere l’esterno. Dopo essersi riforniti di armi attraversarono mezza Spagna nascosti in un camion, opportunamente attrezzato e fornito di regolari documenti, riuscendo a giungere incolumi a pochi chilometri dalla frontiera francese. Purtroppo alcuni contrattempi e un banale equivoco sulla parola d’ordine portarono al fallimento. Solo in cinque riuscirono a superare la frontiera mentre gli altri vennero catturati mentre vagavano feriti e assiderati nella nebbia. Esperienza quasi ricorrente nella storia della resistenza antifranchista. Basti citare il fratello minore di Sabaté (El Quico), poi catturato e fucilato. Due dei fuggiaschi vennero uccisi dalla Guardia Civil, uno di questi fu appunto Oriol Solé. La sua morte confermava la sostanziale continuità repressiva del post-franchismo.
Gianni Sartori
Con la scomparsa di Concutelli scompare anche la possibilità di far chiarezza (o meglio, ulteriore chiarezza perché sulla sostanza ne sappiamo quanto basta) sia in generale sulla “guerra sucia” operata da Madrid nei confronti dei rifugiati baschi in Ipar Euskal Herria (Paese Basco sotto amministrazione francese) siain particolare sulla scomparsa di Pertur. Avevo sempre che prima o poi, almeno per la Storia se non per la Giustizia, Concutelli avrebbe sollevato il velo impietoso delle complicità, depistaggi, reticenze, bugie, falsità etc sulla questione. Invece siete, fino alla fine.Pace all’anima sua e pazienza. Resto comunque del parere che i neofascisti italiani ospitati in Spagna furono anche braccio armato del regime franchista e post-franchista
.
Il tutto era nato parecchio tempo fa dalla perplessità per una dichiarazione (di un avvocato) secondo cui Pierluigi Concutelli NON avrebbe potuto comunque prendere parte al sequestro e all’eliminazione di Pertur (Eduardo Moreno Bergaretxe) come invece sospettano da tempo i compagni baschi (sostenuti in questa convinzione dalle dichiarazioni di alcuni ex membri delle varie squadre della morte parastatali: ATE; BVE, GAL…) dato che “all’epoca era l’uomo di fiducia di Savimbi, capo dell’UNITA, e stava in Angola”.
Rinfresco la memoria: Jonas Malheiro Savimbi e l’UNITA erano sostanzialmente collaborazionisti dell’imperialismo statunitense e soprattutto del Sudafrica razzista che aveva introdotto l’apartheid anche in Namibia. Sorvoliamo pure sul fatto che anche nel suo ambiente (vedi le dichiarazioni di Stefano Delle Chiaie) si sostiene che in realtà Concutelli in Angola non ha mai messo piede continuando a fare la spola tra Spagna, Francia e Italia. (NOTA 1)
Avrei comunque qualche obiezione.
Prima obiezione: nel libro “Destra estrema e criminale” (di Gianluca Semprini e Mario Caprara ) Concutelli si confidava e raccontava che, proprio nel 1976, sarebbe sbarcato a Nizza proveniente, a suo dire, dall’Angola per incontrarsi con i “suoi” in Corsica. Si sarebbe invece fermato un giorno in più a Nizza per assistere a un concerto dei Rolling Stones (tanto per rilanciare l’immagine, taroccata e stantia, del militante di destra “alternativo e anti-sistema”) andando a Bastia il giorno dopo. Per la cronaca, quando Pertur scomparve viveva in Ipar Euskal Herria (Paese Basco del Nord, sotto amministrazione francese) raggiungibile da Nizza in poche ore.
Seconda obiezione: nel luglio 1976 sono state TRE le azioni significative rivendicate dalla banda criminale denominata Ordine Nuovo.
a) 10 luglio, assassinio del giudice Vittorio Occorsio (che stava indagando sui rapporti tra Ordine Nuovo, P2 e criminalità organizzata) con un mitra Ingram in dotazione alla Guardia Civil spagnola (presumibilmente una delle armi fornite dalla G.C. ai fascisti per assassinare i rifugiati baschi in Ipar Euskal Herria).
b) 23 luglio, rapina di armi a Villa Pacifici (S. Pastore di Tivoli) e omicidio di A. Cipriani. A questa azione, solo a questa nel luglio 1976, Concutelli NON partecipa. Strana coincidenza. Si svolge proprio nel giorno della scomparsa di Pertur . Sul momento avevo pensato di aver involontariamente trovato quasi uno “scoop” (anche se con oltre 40 anni di ritardo), ma poi dovetti ricredermi. La strana coincidenza era già stata segnalata da Elisabetta Rosaspina, anche se forse in maniera frettolosa e non troppo accurata (e per questo severamente fustigata dal Tassinari). Nel suo articolo la corrispondente da Madrid del Corsera si richiamava al documentario realizzato da Angel Amigo (“El caso Calore. Asesinado de un testigo protegido”). Dove si riportavano le dichiarazioni rese nel marzo 2009 da Calore (assassinato nell’ottobre 2010 poco prima di un nuovo incontro con i giudici spagnoli che indagavano sulla scomparsa di Pertur) al giudice dell’Audiencia Nacional Fernando Andreu.
Calore aveva raccontato di aver anche visitato la “Fabrica”, la masseria dove venivano torturati e fatti sparire i rifugiati baschi sequestrati in Iparralde.
c) sempre nel luglio 1976, rapina alla filiale bancaria del Ministero del Lavoro a Roma (bottino: 460 milioni di lire).
Ripeto: Concutelli partecipò alle azioni alla prima e terza non alla seconda.
“E con questo?” – obietterà qualcuno – “Cosa si vorrebbe dimostrare?”.
La coincidenza non implica automaticamente la presenza di Concutelli al rapimento di Pertur, ma nemmeno si può escluderla con la scusa che “stava in Angola”. Certo che come "coincidenza" è strana, perlomeno.
Pertur, cioè Moreno Bergaretxe Eduardo (NOTA 2) era nato a Donostia (Hego Euskal Herria, Paese Basco sotto occupazione spagnola) nel 1950. Militante di ETA, fu costretto all’esilio in Ipar Euskal Herria nel 1972. Convinto che la sola possibilità di continuare a lottare contro il franchismo fosse una organizzazione “que ligara la lucha armada con la luche de masas”, divenne uno dei primi esponenti della corrente politico-militare. Come è noto, nel 1974 (3° Biltzar Ttipia: Assemblea di ETA) si giunse alla divisione tra milis e polimilis. Nel 1976 ETA-pm sequestrò l’industriale Angel Berazadi. Indicato dalla stampa spagnola come il rappresentante di ETA-pm nelle trattative (e mentre sua madre veniva sequestrata dal capo della polizia di Irun.) Pertur scomparve il 23 luglio 1976, a Behobia, mentre si recava ad un appuntamento con un presunto esponente dell’opposizione spagnola. Solo alcuni aspetti della vicenda sono stati finora documentati. Alle 10 di mattina del 23 luglio, in una Seat 850 di colore bianco, si incontrarono nei pressi di Biriatu (nella provincia basca “francese” di Lapurdi) gli ispettori della BPS di San Sebastian (Donosti): Ferreiros, Lopez Arribas e José Maria Escudero Teja.
Quest’ultimo, notoriamente, era membro dei “Grupos de Accion del Norte” incaricato della lotta contro ETA (guerra sporca compresa).
Retrospettivamente, possiamo dire che anche l’anno 1976 (il primo dopo la morte del caudillo e boia Franco) fu per i baschi uno di quelli “vissuti pericolosamente”.
In marzo vi fu lo sciopero generale e a Gasteiz (Vitoria) e si contarono cinque vittime della polizia: Romualdo Chaparro, Francisco Aznar, Iosé Maria Martinez Ocio, José Castillo Garcia, Bienvenido Pereda Moral. In memoria di quella strage (passata alla storia come “semana tragica”) il cantautore catalano Lluis Llach scrisse “Campanades a morts” .
In aprile avvenne l’evasione dal carcere di Segovia di 29 militanti antifranchisti, in maggioranza militanti di ETA-pm e di ETA-m. Vi presero parte anche alcuni esponenti della Liga Revolucionaria e il catalano Oriol Solé (NOTA 3) del MIL, il gruppo di Salvador Puig Antich. Per una serie di sfortunate coincidenze la fuga finì in tragedia. Tra le vittime, Oriol Solé ucciso dalla Guardia Civil.
In maggio vi fu l’assalto squadrista di Montejurra (Jurramendi in euskara) dove i fascisti uccisero due esponenti della componente democratica del Carlismo: Ricardo Garcia Pellejero e Aniano Jimenez Santos. Circa duecento mercenari dell’estrema destra (compresi esponenti del BVE e del GAL), sotto lo sguardo benevolo della Guardia Civil, aprirono il fuoco contro i seguaci di Carlos Hugo de Borbon Parma. Immancabile la presenza dei soliti noti: gli italiani di estrema destra che vennero anche fotografati.
E infine, in luglio, la scomparsa di Pertur.
Concludo. A questo punto, almeno per ragioni storiografiche, sarebbe giunto il momento di chiarire il ruolo (suggerisco: manovalanza?) dei vecchi arnesi del neonazifascismo nostrano nella “guerra sucia” condotta dallo Stato spagnolo contro i dissidenti baschi. Anche dopo la fine del franchismo, ovviamente.
NOTA 1: durante la Guerra Civile (1936-1939) Mussolini e Hitler vennero prontamente in aiuto dei golpisti (vedi i bombardamenti di Durango, Gernika, Granollers, Barcellona…). Relativamente famosa (e degna di nota per sottolineare le responsabilità vaticane nel santificare la “crociata” fascista contro la legittima Repubblica spagnola) la foto dell’arrivo in Spagna nel pieno della Guerra Civile (per “dare sostegno morale” alle truppe franchiste e fasciste) della “Madonna di Loreto”, aviotrasportata e accompagnata da cappellani militari con gradi e paramenti sacri. Nella sconfitta dei Repubblicani l’appoggio nazi-fascista svolse un ruolo preponderante e anche questo spiega l’ospitalità generosamente offerta da Franco ai neofascisti italiani (Pierluigi Concutelli, Stefano Delle Chiaie, Sergio Calore, Mario Ricci, Carlo Cicuttini, Piero Carmassi, Augusto Cauchi…) in cambio di qualche modesto favore come la partecipazione alle squadre della morte antibasche. Franco, ovviamente, accolse anche vari esponenti di spicco del nazismo storico: fra questi, il capo del contingente vallone delle Waffen SS Lèon Degrelle e Otto Skorzeny, l’ufficiale nazista di origine austriaca che andò a prelevare Mussolini provvisoriamente imprigionato a Campo Imperatore sul Gran Sasso (12 settembre 1943).
NOTA 2: su Pertur vedi “Diccionario historico-politico di E.H.”, Inaki Egana, 1996 (pag. 602) e “ETA, storia politica dell’esercito di liberazione dei Paesi Baschi”, L. Bruni, 1980 (pag. 243).
NOTA 3: il 2 marzo 1974, mentre Salvador Puig Antich veniva condotto all’esecuzione, in un’altra cella del carcere Modelo il militante del MIL Oriol Solé (condannato a quaranta anni) iniziava a scrivere il suo ultimo libro. La dedica era per l’amico “mort construint una vida millor”. Forse non pensava che sarebbe diventato anche il suo epitaffio. Due anni dopo, aprile 1976, Oriol prese parte alla storica evasione di massa dal carcere di Segovia quando ben 29 prigionieri politici presero il volo. L’operazione era stata organizzata meticolosamente da ETA-pm e da ETA-m e consisteva nello scavo di una galleria che, attraverso la rete fognaria, permise ai militanti di raggiungere l’esterno. Dopo essersi riforniti di armi attraversarono mezza Spagna nascosti in un camion, opportunamente attrezzato e fornito di regolari documenti, riuscendo a giungere incolumi a pochi chilometri dalla frontiera francese. Purtroppo alcuni contrattempi e un banale equivoco sulla parola d’ordine portarono al fallimento. Solo in cinque riuscirono a superare la frontiera mentre gli altri vennero catturati mentre vagavano feriti e assiderati nella nebbia. Esperienza quasi ricorrente nella storia della resistenza antifranchista. Basti citare il fratello minore di Sabaté (El Quico), poi catturato e fucilato. Due dei fuggiaschi vennero uccisi dalla Guardia Civil, uno di questi fu appunto Oriol Solé. La sua morte confermava la sostanziale continuità repressiva del post-franchismo.
Gianni Sartori - 17/3/2023 - 11:51
Dimenticavo un'altra "coincidenza" (questa del tutto casuale naturalmente). All'evasione di Segovia del 1976 prese parte anche Angel Amigo, l'autore di “El caso Calore. Asesinado de un testigo protegido”.
GS
GS
Gianni Sartori - 18/3/2023 - 09:29
Mentre i ghiacciai del "Terzo Polo" (in Pakistan) rimangono meta privilegiata dei nostrani e scanzonati turisti d'alta quota, nella galere pakistane c'è chi rischia la pena di morte per l'assurdo reato di "blasfemia"
Shagufta Kiran in carcere per “blasfemia” ormai da 19 mesi
Gianni Sartori
Forse abbacinati dal riverbero delle nevi del “Terzo Polo” i nostrani turisti d’alta quota, tra l'elargizione di una manciata di medicinali (sostitutivi delle banali caramelle) e la costruzione di qualche albergo (spacciato per “rifugio”), evidentemente quando viaggiano in Pakistan non ne colgono alcuni aspetti.
Già qualche mese fa ne avevo accennato. Quando in Pakistan una donna cristiana accusata di blasfemia (ma per gli attivisti dei diritti umani di Voice for Justice si tratterebbe di un “caso inventato”) aveva dovuto trascorrere il Natale tutta sola, lontano dai suoi figli, in una piccola cella. Da allora niente è cambiato, come ci ha puntualmente ricordato Shafique Khokhar - che da tempo segue il caso - in un suo recente articolo. Rinnovando per la seconda o terza volta l’appello alla scarcerazione di Shagufta Kiran “donna cristiana e madre di quattro figli, vittima di false accuse per alcuni commenti pubblicati in una chat su un social network”.
Arrestata dalla Federal Investigation Agency (FIA) il 29 luglio 2021, sta in galera ormai da 19 mesi e il 27 marzo i giudici si sono rifiutati nuovamente di concederle la libertà su cauzione.
Un caso che fatalmente riporta alla memoria quello di qualche anno fa di Asia Bibi. Per il suo avvocato, Shagufta Kiran sarebbe “rimasta coinvolta a causa della malafede del denunciante”. Inoltre non esiste nessuna prova incriminante che possa collegarla al presunto reato: aver diffuso materiali considerati irrispettosi dell’islamin “Pure Discussion” (un gruppo WhatsApp) durante una discussione sulla religione.
In base alla legge del 2016 sulla prevenzione dei crimini elettronici e agli articoli anti-blasfemia del Codice penale pachistano questa reato è punibile anche con la morte.
Il giorno dell’ultima udienza, nella speranza di poter trascorrere con la madre almeno la Pasqua, i suoi quattro figli stavano digiunando e pregando. Inutile dire quale sia stata la loro amarezza.
Un portavoce di Voice for Justice ha voluto esprimere tutta la sua disapprovazione per come “una donna cristiana viene facilmente presa di mira a causa delle sue convinzioni e per limitare la libertà di espressione, di pensiero, di coscienza o di religione”.
In Pakistan denunce e arresti per “blasfemia” sono in netta crescita. In genere a causa di vendette personali e dispute per la proprietà, comunque alimentati da pregiudizi di natura religiosa.
Da un rapporto del Centre for Social Justice (Centro per la giustizia sociale) diffuso l’anno scorso si ricava che “solo nel 2021 ci sono state 84 accuse. Le principali vittime sono i musulmani. La stragrande maggioranza dei casi si registrano nel Punjab”.
Nel rapporto erano stati raccolti i dati sulle accuse di blasfemia da quando è entrata in vigore nel 1987 (durante il regime militare del generale Zia ul-Huq) la modifica che impone anche la pena di morte.
Se nei primi quattro anni si erano registrati non più una ventina di casi all’anno per accuse di blasfemia, in seguitosono andati aumentando progressivamente. Arrivando a 208 nel 2020.
Sempre secondo il rapporto del Centre for Social Justice “dal 2001 al 2010 ci sono stati 708 casi in tutto, saliti a 767 nell’ultimo decennio”. Confermando che la maggioranza risultano nel Punjab.
Seguono, ma con percentuali inferiori, Sindh, Khyber Pakhtunkhwa e Islamabad.
Nel 2020 si calcolava che nel 70% dei casi gli accusati erano musulmani sciiti (i musulmani sunniti solo il 5%), il 20% ahamadi e il 3,5 % cristiani. Solo l’1%riguardava gli indù.
Percentuali confermate nel 2021. E al momento non sembra che le cose siano in fase di miglioramento. Insomma, se questa è la situazione, c’è poco da restare allegri.
Ma nel frattempo, dai compaesani impegnati in operazione della serie “aiutiamoli a casa loro” (in luoghi ancora tra i più integri e salubri del Pakistan? Ma andate in qualche campo profughi o nelle periferie degradate …) mi aspetto quanto meno una pubblica presa di posizione, un’aperta condanna per tali discriminazioni.
E se poi le autorità pachistane non dovessero più concedere i permessi per i fuori-pista e le arrampicate sulle vette “inviolate” (da bravi neocolonialisti frustrati) e i militari negare gli elicotteri per i soccorsi…?
Pazienza.
Dovrete farvene una ragione.
Gianni Sartori
Shagufta Kiran in carcere per “blasfemia” ormai da 19 mesi
Gianni Sartori
Forse abbacinati dal riverbero delle nevi del “Terzo Polo” i nostrani turisti d’alta quota, tra l'elargizione di una manciata di medicinali (sostitutivi delle banali caramelle) e la costruzione di qualche albergo (spacciato per “rifugio”), evidentemente quando viaggiano in Pakistan non ne colgono alcuni aspetti.
Già qualche mese fa ne avevo accennato. Quando in Pakistan una donna cristiana accusata di blasfemia (ma per gli attivisti dei diritti umani di Voice for Justice si tratterebbe di un “caso inventato”) aveva dovuto trascorrere il Natale tutta sola, lontano dai suoi figli, in una piccola cella. Da allora niente è cambiato, come ci ha puntualmente ricordato Shafique Khokhar - che da tempo segue il caso - in un suo recente articolo. Rinnovando per la seconda o terza volta l’appello alla scarcerazione di Shagufta Kiran “donna cristiana e madre di quattro figli, vittima di false accuse per alcuni commenti pubblicati in una chat su un social network”.
Arrestata dalla Federal Investigation Agency (FIA) il 29 luglio 2021, sta in galera ormai da 19 mesi e il 27 marzo i giudici si sono rifiutati nuovamente di concederle la libertà su cauzione.
Un caso che fatalmente riporta alla memoria quello di qualche anno fa di Asia Bibi. Per il suo avvocato, Shagufta Kiran sarebbe “rimasta coinvolta a causa della malafede del denunciante”. Inoltre non esiste nessuna prova incriminante che possa collegarla al presunto reato: aver diffuso materiali considerati irrispettosi dell’islamin “Pure Discussion” (un gruppo WhatsApp) durante una discussione sulla religione.
In base alla legge del 2016 sulla prevenzione dei crimini elettronici e agli articoli anti-blasfemia del Codice penale pachistano questa reato è punibile anche con la morte.
Il giorno dell’ultima udienza, nella speranza di poter trascorrere con la madre almeno la Pasqua, i suoi quattro figli stavano digiunando e pregando. Inutile dire quale sia stata la loro amarezza.
Un portavoce di Voice for Justice ha voluto esprimere tutta la sua disapprovazione per come “una donna cristiana viene facilmente presa di mira a causa delle sue convinzioni e per limitare la libertà di espressione, di pensiero, di coscienza o di religione”.
In Pakistan denunce e arresti per “blasfemia” sono in netta crescita. In genere a causa di vendette personali e dispute per la proprietà, comunque alimentati da pregiudizi di natura religiosa.
Da un rapporto del Centre for Social Justice (Centro per la giustizia sociale) diffuso l’anno scorso si ricava che “solo nel 2021 ci sono state 84 accuse. Le principali vittime sono i musulmani. La stragrande maggioranza dei casi si registrano nel Punjab”.
Nel rapporto erano stati raccolti i dati sulle accuse di blasfemia da quando è entrata in vigore nel 1987 (durante il regime militare del generale Zia ul-Huq) la modifica che impone anche la pena di morte.
Se nei primi quattro anni si erano registrati non più una ventina di casi all’anno per accuse di blasfemia, in seguitosono andati aumentando progressivamente. Arrivando a 208 nel 2020.
Sempre secondo il rapporto del Centre for Social Justice “dal 2001 al 2010 ci sono stati 708 casi in tutto, saliti a 767 nell’ultimo decennio”. Confermando che la maggioranza risultano nel Punjab.
Seguono, ma con percentuali inferiori, Sindh, Khyber Pakhtunkhwa e Islamabad.
Nel 2020 si calcolava che nel 70% dei casi gli accusati erano musulmani sciiti (i musulmani sunniti solo il 5%), il 20% ahamadi e il 3,5 % cristiani. Solo l’1%riguardava gli indù.
Percentuali confermate nel 2021. E al momento non sembra che le cose siano in fase di miglioramento. Insomma, se questa è la situazione, c’è poco da restare allegri.
Ma nel frattempo, dai compaesani impegnati in operazione della serie “aiutiamoli a casa loro” (in luoghi ancora tra i più integri e salubri del Pakistan? Ma andate in qualche campo profughi o nelle periferie degradate …) mi aspetto quanto meno una pubblica presa di posizione, un’aperta condanna per tali discriminazioni.
E se poi le autorità pachistane non dovessero più concedere i permessi per i fuori-pista e le arrampicate sulle vette “inviolate” (da bravi neocolonialisti frustrati) e i militari negare gli elicotteri per i soccorsi…?
Pazienza.
Dovrete farvene una ragione.
Gianni Sartori
Gianni Sartori - 29/3/2023 - 19:30
INQUIETUDINI IRRISOLTE IN EUSKAL HERRIA E CORSICA
Gianni Sartori
Domenica scorsa, 3 marzo 2024, cadeva il 48° anniversario del massacro operato dalla polizia spagnola a Vitoria-Gasteiz e costato al vita a cinque operai: Pedro Martínez, Francisco Aznar, Romualdo Barroso, José Castillo e Bienvenido Pereda.
Indetta dai sindacati ELA, LAB, ESK e Steilas (con lo slogan “Atzo eta gaur borrokan. Hacia un futuro justo’, ha raccolto la partecipazione di migliaia di persone davanti al monumento in memoria delle vittime presso la chiesa di San Francisco de Asis , il luogo in cui avvenne l’eccidio.
Quel giorno (Franco era deceduto da circa tre mesi), dopo mesi di sciopero, i lavoratori di molte fabbriche si erano riuniti nella chiesa in assemblea. La polizia prima sparò lacrimogeni in gran quantità anche dentro la chiesa, costringendoli a uscire, poi aprì il fuoco (fuego real) causando appunto cinque morti e centinaia di feriti.
Tra gli interventi più significativi, quello dell’ Asociación de Víctimas del 3 de marzo che ha rivendicato come “la memoria de los asesinatos está muy viva, gracias a la batalla de años contra el olvido institucional que trató de imponerse".
Un sindacalista ha ricordato che quei lavoratori rivendicavano “un presente digno que les asegurara un futuro justo. Reclamaban mejoras en salarios y en condiciones laborales que hicieran sus vidas dignas”.
Ma la loro lotta venne duramente repressa in nome di “un sistema político, social y económico que aseguraba la explotación de la clase trabajadora".
Aggiungendo che “hoy vivimos tiempos convulsos con el auge de la xenofobia, el crecimiento de la extrema derecha, el incremento de las guerras, el genocidio del pueblo palestino o el desarrollo del capitalismo a veces disfrazado de verde pero salvaje en cualquier caso, que arrasa con la vida y el planeta"
Per cui, aveva concluso, è urgente una ”transición ecosocial que nos lleve a un futuro justo”.
La vice-lehendakari Idoia Mendia (esponente del PSE) ha voluto sottolineare che i cinque operai erano stati assassinati "cuando defendían pacíficamente sus derechos laborales”.
Da parte sua Pello Otxandiano (candidato della sinistra abertzale di EH Bildu a lehendakari), ha chiesto, preteso "memoria, verdad y justicia" precisando che si tratta di "una memoria frente a quienes se han empeñado en negarla, una verdad oculta en archivos bajo llave y una justicia que las víctimas han tenido que buscar fuera, en Argentina, porque los juzgados competentes no quisieron impartirla”.
Altri interventi, quelli di Miren Gorrotxategi (candidata a lehendakari di Elkarrekin Podemos), Alba García (candidata di Sumar ), Imanol Pradales (del PNV), del presidente del PNV di Álava, José Antonio Suso e del deputato Ramiro González.
Tra i presenti anche la alcaldesa di Vitoria, Maider Etxebarria (PSE) e Loli García, segretaria generale di CCOO del Paese Basco.
Forse meno apprezzata dalla classe operaia basca quella della candidata del PP al Parlamento, Ainhoa Domaica e del parlamentare, ugualmente del PP, Carmelo Barrio.
Qualche incidente si è registrato durante il corteo in prossimità del centro commerciale 'El Corte Inglés' contro cui sono stati lanciati alcune petardi e vernice rossa.
Prontamente interveniva l'Ertzaintza (la polizia “autonoma” basca) caricando i manifestanti. A quel punto dal corteo venivano lanciate pietre, bottiglie, uova…
Almeno due persone, accusate di “turbamento dell’ordine pubblico”, sono state arrestate (in un secondo momento si è parlato di quattro) e una donna è rimasta ferita.
La manifestazione, come previsto, si è conclusa in Plaza de los Fueros.
Il giorno prima - sabato 2 marzo - una grande manifestazione si era ugualmente svolta a Bastia: in memoria di Yvan Colonna che il 2 marzo 2022 aveva subito un’aggressione mortale nel carcere di Arles.
Indetta dal collettivo Patriotti, dall’Associu Sulidarità e dal partito indipendentista Nazione, tra i principali slogan: “Basta a ripressione” e “Per i diritti di u populu corsu”.
Centinaia i manifestanti accorsi; molti protestavano anche per l’arresto in gennaio di due nazionalisti poi trasferiti in un carcere del “Continente”.
Davanti alla prefettura dell’Haute-Corse, dal corteo veniva lanciata qualche molotov a cui la polizia rispondeva con granate lacrimogene. A causa degli scontri, durati almeno due ore, alcune persone rimaste ferite venivano portate all’ospedale d’urgenza.
Gianni Sartori
Gianni Sartori
Domenica scorsa, 3 marzo 2024, cadeva il 48° anniversario del massacro operato dalla polizia spagnola a Vitoria-Gasteiz e costato al vita a cinque operai: Pedro Martínez, Francisco Aznar, Romualdo Barroso, José Castillo e Bienvenido Pereda.
Indetta dai sindacati ELA, LAB, ESK e Steilas (con lo slogan “Atzo eta gaur borrokan. Hacia un futuro justo’, ha raccolto la partecipazione di migliaia di persone davanti al monumento in memoria delle vittime presso la chiesa di San Francisco de Asis , il luogo in cui avvenne l’eccidio.
Quel giorno (Franco era deceduto da circa tre mesi), dopo mesi di sciopero, i lavoratori di molte fabbriche si erano riuniti nella chiesa in assemblea. La polizia prima sparò lacrimogeni in gran quantità anche dentro la chiesa, costringendoli a uscire, poi aprì il fuoco (fuego real) causando appunto cinque morti e centinaia di feriti.
Tra gli interventi più significativi, quello dell’ Asociación de Víctimas del 3 de marzo che ha rivendicato come “la memoria de los asesinatos está muy viva, gracias a la batalla de años contra el olvido institucional que trató de imponerse".
Un sindacalista ha ricordato che quei lavoratori rivendicavano “un presente digno que les asegurara un futuro justo. Reclamaban mejoras en salarios y en condiciones laborales que hicieran sus vidas dignas”.
Ma la loro lotta venne duramente repressa in nome di “un sistema político, social y económico que aseguraba la explotación de la clase trabajadora".
Aggiungendo che “hoy vivimos tiempos convulsos con el auge de la xenofobia, el crecimiento de la extrema derecha, el incremento de las guerras, el genocidio del pueblo palestino o el desarrollo del capitalismo a veces disfrazado de verde pero salvaje en cualquier caso, que arrasa con la vida y el planeta"
Per cui, aveva concluso, è urgente una ”transición ecosocial que nos lleve a un futuro justo”.
La vice-lehendakari Idoia Mendia (esponente del PSE) ha voluto sottolineare che i cinque operai erano stati assassinati "cuando defendían pacíficamente sus derechos laborales”.
Da parte sua Pello Otxandiano (candidato della sinistra abertzale di EH Bildu a lehendakari), ha chiesto, preteso "memoria, verdad y justicia" precisando che si tratta di "una memoria frente a quienes se han empeñado en negarla, una verdad oculta en archivos bajo llave y una justicia que las víctimas han tenido que buscar fuera, en Argentina, porque los juzgados competentes no quisieron impartirla”.
Altri interventi, quelli di Miren Gorrotxategi (candidata a lehendakari di Elkarrekin Podemos), Alba García (candidata di Sumar ), Imanol Pradales (del PNV), del presidente del PNV di Álava, José Antonio Suso e del deputato Ramiro González.
Tra i presenti anche la alcaldesa di Vitoria, Maider Etxebarria (PSE) e Loli García, segretaria generale di CCOO del Paese Basco.
Forse meno apprezzata dalla classe operaia basca quella della candidata del PP al Parlamento, Ainhoa Domaica e del parlamentare, ugualmente del PP, Carmelo Barrio.
Qualche incidente si è registrato durante il corteo in prossimità del centro commerciale 'El Corte Inglés' contro cui sono stati lanciati alcune petardi e vernice rossa.
Prontamente interveniva l'Ertzaintza (la polizia “autonoma” basca) caricando i manifestanti. A quel punto dal corteo venivano lanciate pietre, bottiglie, uova…
Almeno due persone, accusate di “turbamento dell’ordine pubblico”, sono state arrestate (in un secondo momento si è parlato di quattro) e una donna è rimasta ferita.
La manifestazione, come previsto, si è conclusa in Plaza de los Fueros.
Il giorno prima - sabato 2 marzo - una grande manifestazione si era ugualmente svolta a Bastia: in memoria di Yvan Colonna che il 2 marzo 2022 aveva subito un’aggressione mortale nel carcere di Arles.
Indetta dal collettivo Patriotti, dall’Associu Sulidarità e dal partito indipendentista Nazione, tra i principali slogan: “Basta a ripressione” e “Per i diritti di u populu corsu”.
Centinaia i manifestanti accorsi; molti protestavano anche per l’arresto in gennaio di due nazionalisti poi trasferiti in un carcere del “Continente”.
Davanti alla prefettura dell’Haute-Corse, dal corteo veniva lanciata qualche molotov a cui la polizia rispondeva con granate lacrimogene. A causa degli scontri, durati almeno due ore, alcune persone rimaste ferite venivano portate all’ospedale d’urgenza.
Gianni Sartori
Gianni Sartori - 4/3/2024 - 20:16
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Testo e musica: Gilles Servat
Parole e musica: Gilles Servat
Lyrics and music: Gilles Servat
Album: L'Hirondelle
Tra i popoli colonizzati esiste, o dovrebbe esistere, una forte solidarietà reciproca; e quella tra bretoni, baschi e corsi, che "condividono" lo stato francese ed il suo spietato centralismo politico e culturale, non è mai venuta a mancare. Difficile trovare un autore od un gruppo militante dei tre paesi che non abbia dedicato almeno una canzone agli altri popoli oppressi; e Gilles Servat non fa naturalmente eccezione. Facendo opportunamente notare che, se la Bretagna ha "un solo straniero" a sud, Euskalherria ne ha uno a nord (lo stato francese) e uno a sud (lo stato spagnolo). [RV]