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El último sapukay

Los Cantores de Quilla Huasi
Langue: espagnol


Los Cantores de Quilla Huasi

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[1967]
Dall’album “Último momento”
Un “chamamé” (ballabile della cosiddetta “música litoraleña” argentina) composto da Oscar “Cacho” Valles, nome d’arte di Oscar Arturo Mazzanti, membro de Los Cantores de Quilla Huasi fino al 1983, compositore ed autore di centinaia di canzoni entrate a far parte della tradizione folklorica argentina.
Interpretata anche da Jorge Cafrune, Coco Diaz, Danny Martínez ed altri.
Testo trovato su El folklore argentino. Homenaje a Oscar 'Cacho' Valles.

LosQuilla

Il “sapukay” (o “sapucai”) è il celebre “¡Ayyyyyy!”, il grido, che può essere di trionfo, di dolore, di allegria, di allerta o semplicemente di avviso o di richiamo, tipico di molti popoli indigeni – e in Argentina di quello guaraní – rimasto in parecchi generi musicali folklorici sudamericani, come appunto il “chamamé” (ma anche il huapango ed il son jarocho messicani).

"El último sapukay" di Oscar Valles è una canzone dedicata ad Isidro Velázquez, uno dei Bandidos rurales collettivamente celebrati da León Gieco. Ed è una canzone che, partendo da una vicenda non molto conosciuta (ma nel nordest argentino mai dimenticata), finisce con l’unire – come si vedrà – quattro decenni di storia argentina, un unico filo che racconta di repressione, resistenza e memoria…

Isidro Velázquez
Isidro Velázquez

Isidro Velázquez era nato nel 1928 nella provincia “litoraleña “di Corrientes. Era cresciuto come bracciante agricolo ma col tempo era divenuto un apprezzato “gaucho baqueano, rastreador y cazador”, ossia un’abile guida, un uomo dotato di una profonda conoscenza dei cammini e dei segreti delle regioni del nordest, in particolare del Chaco.
Non si sa bene come e perché ma a partire dai primi anni 60 questa persona fiera, capace, stimata e benvoluta nella propria comunità, cominciò ad essere preso di mira dalla polizia. Ingiustamente accusato di alcuni furti ed arrestato, Isidro Velázquez evase di prigione e si nascose nella zona boscosa suggestivamente chiamata El Impenetrable, cominciando a vivere da bandito, assaltando banche e negozi e sequestrando riccastri, uccidendo solo se costretto, per non essere catturato.

Taglia sul bandito Isidro Velázquez
Taglia sul bandito Isidro Velázquez



Tra il 1961 ed il 1967 la banda del “Vengador”, "el fugitivo de la Pampa Bandera", di suo fratello Claudio (ucciso nel 1963) e del suo feroce luogotenente Vicente Gauna diede parecchio filo da torcere a polizia ed esercito. Sempre braccati, godevano però dell’appoggio incondizionato della popolazione più umile che li considerava come eroi imprendibili, invicibili, avvolti da un alone quasi magico, specie dopo la rocambolesca fuga che nel 1966 li vide buggerare ben 800 soldati che credevano di averli accerchiati nei boschi del Chaco. Allora i proprietari terrieri ed i banchieri offrirono una lauta taglia per la cattura di Velázquez e la polizia pagò due conoscenti del bandito per tradirlo (o li costrinse) ed il primo dicembre del 1967 costoro lo condussero in un’imboscata sulla strada tra Quitilipi e Machagai, dove cadde crivellato di colpi.

L’albero accanto al quale cadde il bandito Isidro Velázquez
L’albero accanto al quale cadde il bandito Isidro Velázquez



In Bolivia, a La Higuera, meno di due mesi prima era stato ucciso in circostanze simili un altro bandito di origine argentina, un tal Ernesto Guevara, detto “Che”…
Le autorità del Chaco proclamarono il 1° dicembre “giornata della polizia”…
La gente proclamò Isidro Velázquez santo e cominciò subito il pellegrinaggio all’albero contro il quale il bandito era stato abbattuto…
Oscar Valles scrisse di getto il suo chamamé, il corrido al “bandido rural”, e Los Cantores de Quilla Huasi subito incisero la canzone…
Il dittatore Juan Carlos Onganía vietò la diffusione del disco su tutto il territorio nazionale…
Qualche anno più tardi un giovane sociologo bonaerense, Roberto Carri, condusse un’approfondita ricerca sulla vicenda di Velázquez e la pubblicò nel suo libro intitolato “Isidro Velázquez. Formas prerrevolucionarias de la violencia”…
Nel 1977 Roberto Carri e la moglie Ana María furono sequestrati dai soldati della dittatura di turno, quella di Videla e soci, e sparirono nel nulla lasciando tre bambini orfani… Una di loro, Albertina, che all’epoca aveva 4 anni, è oggi un’apprezzata regista cinematografica, autrice fra l’altro di “Los rubios” (2003), uno dei documentari più importanti mai realizzati in Argentina sulla memoria degli anni dell’ultima dittatura militare…

(Fonti principali: El fugitivo de Pampa Bandera. Isidro Velazquez., Revista Crisis, novembre 1987;
Isidro Velazquez: Los Ecos del Sapucay - Consideraciones en torno a una devoción popular, di Juan Esteban Godoy)
La muerte apagó la risa
del sol que duerme ardiendo en el Chaco,
porque Machagai se ha vuelto
un llanto triste de sangre y barro.
Ha muerto Isidro Velázquez,
la brigada lo ha alcanzado,
y junto a Vicente Gauna
hay dos sueños sepultados.

La muerte apagó la risa
de los machetes en los quebrachos,
la pólvora entre los huesos
se hizo ceniza en dos pechos bravos.
Sin una vela encendida,
sin una flor a su lado,
sin una cruz en la tierra
hay dos sueños sepultados.

Camino de Pampa Bandera
lo esperan en una emboscada,
y en una descarga certera
ruge en la noche una metrallada.
Isidro Velázquez ha muerto
enancao a un sapukay,
pidiéndole rescate al viento,
que lo vino a delatar.

envoyé par Bartleby - 20/4/2011 - 15:25



Roberto Carri - il sociologo e docente universitario autore nei primi anni 70 di “Isidro Velázquez. Formas prerrevolucionarias de la violencia”, uno degli studi ancora oggi più completi sul banditismo rurale in Argentina – e la moglie Ana María Caruso avevano 25 anni quando, il 24 febbraio 1977, furono sequestrati dall’esercito della dittatura e detenuti presso il commissariato di Villa Insuperable (meglio conosciuto come “Sheraton” o “Embudo”) a Buenos Aires.
Prigionieri numeri 1771 e 1761, a Roberto e Ana María fu in un primo momento consentito di intrattenere corrispondenza e telefonate con la famiglia e, soprattutto, con i tre figli Andrea, Paula e Albertina..
Dalla prigionia Ana María scrisse molto, raccontando quel che le accadeva. Non altrettanto fece Roberto il quale, essendo attivista montonero, probabilmente subì torture feroci prima di essere eliminato…



Nelle sue lettere Ana María descrive i compagni di prigionia, come il vecchio Héctor Germán Oesterheld, il creatore de "L'Eternauta" e di “Sergente Kirk”, due fra le più importanti storie a fumetti mai realizzate, desaparecido insieme alle sue quattro figlie (ne abbiamo parlato a proposito di Aria di Buenos Aires di Lalli), racconta delle loro giornate trascorse al lavoro in officina, della visita di alcuni boia della Giunta (tra i quali i generali Luciano Adolfo Jáuregui, José Antonio Vaquero e Juan Bautista Sasiaiñ, il fucilatore di 30 prigionieri a Cordoba nel 1976, tutti indultati da Menem e sottoposti a nuovi processi – quando non dichiarati affetti da demenza senile – in questi ultimi anni) e soprattutto della speranza di salvare al pelle:

“…Comunque ci sono alcune cose che ci preoccupano. Prima di tutto, non sappiamo come andrà a finire... Stanno ancora discutendo cosa farne di noi… Ci sono tre diverse posizioni: alcuni hanno detto che la guerra è quasi finita e che noi non serviamo più a nulla e che per questo dobbiamo essere eliminati; altri hanno detto che se non siamo più utili bisogna che veniamo trasferiti nelle prigioni dello Stato; altri ancora hanno sostenuto che serviamo e serviremo ancora a lungo e che pertanto la nostra attuale situazione non potrà protrarsi per molto tempo…
Non hanno trovato un accordo e quindi hanno rinviato la discussione, il che – io credo – è cosa buona per noi perché più passa il tempo e più diventa difficile che ci uccidano…”


Purtroppo Ana María si sbagliava. Alla fine del 1977 lei, il marito Roberto Carri, Héctor Germán Oesterheld e la quasi totalità dei loro compagni di prigionia sparirono nel nulla…I fascisti avevano trovato la soluzione che li aveva messi tutti d’accordo: la “desapareción”.

“… Ieri due a Buenos Aires, oggi sei a Cordoba, domani quattro a Rosario, e così via fino a 5.000, 10.000, 30.000. Non c’era altro modo. Bisognava farli sparire. E’ quanto insegnano i manuali di repressione in Algeria, in Vietnam [e prima ancora il decreto hitleriano “Nacht und Nebel”, “Notte e Nebbia” – ndr]. Eravamo tutti d’accordo. Far conoscere dove sono sepolti i resti? Ma cosa potevamo dire? Il mare, il Rio della Plata, il Rio Matanza? Ad un certo momento si pensò anche di far conoscere le liste dei desaparecidos, ma poi si fece marcia indietro perché – si disse – se ammettiamo che sono morti, allora poi vengono le domande a cui non si può rispondere: chi uccise, dove e come.” (Jorge Rafael Videla, capo della Giunta militare, intervistato dalla giornalista María Seoane nel 2001)

Fonte: Nunca más

Bartleby - 21/4/2011 - 14:47




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