אונטער די פּױלךשע גרינינקע בײמעלעך
Yoysef Papiernikof [Joseph Papiernikov] / יוסף פּאַפּיערניקאָףLangue: yiddish
אונטער די פּױלךשע גרינינקע בײמעלעך
שפּילן זיך מער ניט קײן משהלעך, שלמהלעך,
שפּילן זיך מער ניט קײן שׂרהלעך, לילהעך
ניט אױף קײן גרעזעלעך, ניט אױף קײן שנײעלעך.
ס'הילכן שױן מער ניט די ייׅדישע שטימעםעך
פֿון די קונדסימלעך, מאָטעלעך, שימעלעך,
מיט די צעקרעלטע, צעדראַפּעטע צורהלעך,
פֿונעם באַװײַזן װוּנדײרים און גבורהלעך.
ס'טרױערן אַצינד, די פּױליתע בײמעלעך
טױט זײַנען ייׅדישע הײמען און הײמעלעך,
טױט זײַנען געסעלעך, חרוב די הײַזעלעך
װוּ עס פֿאַרשטעקן זיך קינדער, װי מײַזעלעך.
ייׅדישע קינדער מיט גרױסע אײגעלעך
שװאַרצע אַזױ װי מיט חושך פֿאַרצױגענע,
אײגעלעך פֿולע, מיט פּחד פֿאַרלאָפֿענע,
אונטער דעם אומגליק -דעם ברױנעם- געטראָפֿענע.
אונטער די פּױלךשע גרינינקע בײמעלעך
שפּילן זיך מער ניט קײן משהלעך, שלמהלעך,
שפּילן זיך מער ניט קײן שׂרהלעך, לילהעך
ניט אױף קײן גרעזעלעך, ניט אױף קײן שנײעלעך.
שפּילן זיך מער ניט קײן משהלעך, שלמהלעך,
שפּילן זיך מער ניט קײן שׂרהלעך, לילהעך
ניט אױף קײן גרעזעלעך, ניט אױף קײן שנײעלעך.
ס'הילכן שױן מער ניט די ייׅדישע שטימעםעך
פֿון די קונדסימלעך, מאָטעלעך, שימעלעך,
מיט די צעקרעלטע, צעדראַפּעטע צורהלעך,
פֿונעם באַװײַזן װוּנדײרים און גבורהלעך.
ס'טרױערן אַצינד, די פּױליתע בײמעלעך
טױט זײַנען ייׅדישע הײמען און הײמעלעך,
טױט זײַנען געסעלעך, חרוב די הײַזעלעך
װוּ עס פֿאַרשטעקן זיך קינדער, װי מײַזעלעך.
ייׅדישע קינדער מיט גרױסע אײגעלעך
שװאַרצע אַזױ װי מיט חושך פֿאַרצױגענע,
אײגעלעך פֿולע, מיט פּחד פֿאַרלאָפֿענע,
אונטער דעם אומגליק -דעם ברױנעם- געטראָפֿענע.
אונטער די פּױלךשע גרינינקע בײמעלעך
שפּילן זיך מער ניט קײן משהלעך, שלמהלעך,
שפּילן זיך מער ניט קײן שׂרהלעך, לילהעך
ניט אױף קײן גרעזעלעך, ניט אױף קײן שנײעלעך.
envoyé par Bartleby + CCG/AWS Staff - 7/3/2011 - 15:39
Langue: yiddish
Trascrizione del testo in caratteri latini.
Un ricontrollo della trascrizione già presente è stato effettuato su questo documento .pdf.
UNTER DI POYLISHE GRININKE BEYMELEKH
Unter di poylishe grininke beymelekh
Shpiln zikh mer nit keyn Moyshelekh, Shloymelekh,
Shpiln zikh mer nit keyn Sorelekh, Leyelekh
Nit af keyn grezelekh, nit af keyn shneyelekh.
S'hilkhn shoyn mer nit di yidishe shtimelekh
Fun di kundeysimlekh, Motelekh Shimelekh,
Mit di tsekrelte, tsedrapete tsurelekh,
Funem bavayzn vundeyrim un gvurelekh.
S'troyern atsind, di poylishe beymelekh
Toyt zaynen Yidishe heymen un heymelekh,
Toyt zaynen geselekh, khorev di hayzelekh
Vu es farshteken zikh kinder, vi mayzelekh.
Yidishe kinder mit groyse eygelekh
Shvartse azoy vi mit khoyshekh fartsoygene
Eygelekh fule, mit pakhed farlofene
Unter dem umglik - dem broynem - getrofene.
Unter di poylishe grininke beymelekh
Shpiln zikh mer nit keyn Moyshelekh, Shloymelekh,
Shpiln zikh mer nit keyn Sorelekh, Leyelekh,
Nit af keyn grezelekh, nit af shneyelekh.
Unter di poylishe grininke beymelekh
Shpiln zikh mer nit keyn Moyshelekh, Shloymelekh,
Shpiln zikh mer nit keyn Sorelekh, Leyelekh
Nit af keyn grezelekh, nit af keyn shneyelekh.
S'hilkhn shoyn mer nit di yidishe shtimelekh
Fun di kundeysimlekh, Motelekh Shimelekh,
Mit di tsekrelte, tsedrapete tsurelekh,
Funem bavayzn vundeyrim un gvurelekh.
S'troyern atsind, di poylishe beymelekh
Toyt zaynen Yidishe heymen un heymelekh,
Toyt zaynen geselekh, khorev di hayzelekh
Vu es farshteken zikh kinder, vi mayzelekh.
Yidishe kinder mit groyse eygelekh
Shvartse azoy vi mit khoyshekh fartsoygene
Eygelekh fule, mit pakhed farlofene
Unter dem umglik - dem broynem - getrofene.
Unter di poylishe grininke beymelekh
Shpiln zikh mer nit keyn Moyshelekh, Shloymelekh,
Shpiln zikh mer nit keyn Sorelekh, Leyelekh,
Nit af keyn grezelekh, nit af shneyelekh.
envoyé par Bartleby + CCG/AWS Staff - 30/5/2013 - 12:37
Langue: italien
Traduzione italiana di Riccardo Venturi
30 maggio 2013
30 maggio 2013
Un testo letteralmente impossibile da riprodurre esattamente in italiano, sia per il ritmo, sia per il tipico uso dei diminutivi yiddish. Nella lingua yiddish il diminutivo è usato ovunque ed ha connotazioni affettive non sempre facilmente afferrabili (anche se intuibili); in questo, forse, le uniche lingue che gli sono paragonabili sono il greco e il portoghese coi loro -aki e -(z)inho. In questa traduzione (per forza di cose munita di alcune note), ho provato coi mezzi a disposizione dell'italiano. Anche in italiano si fa largo uso del diminutivo, ma non nelle quantita e con le connotazioni proprie dello yiddish. Si aggiunga che questo testo, che riproduce volutamente una canzoncina per bambini, mantiene il diminutivo affettivo proprio a mo' di contrasto con la terribile situazione in cui è stato scritto.
SOTTO I VERDI ALBERELLI POLACCHI
Sotto i verdi alberelli polacchi
non giocan più i piccoli Salomone e Mosè, 1
non giocan più le piccole Sara e Leyla, 2
né sull'erbetta tenera, né sulla soffice neve. 3
Non si senton più le voci dei piccoli ebrei, 4
dei monelli 5, dei piccoli Matteo e Simone
sbucciati e contusi con le loro piccole grida,
con andatura solenne e con aria di sfida.
Piangono in lutto, gli alberelli polacchi,
sono morte le famiglie ebree e le loro case.
Morti i vicoletti, distrutte le casette
dove i bambini si nascondono come topolini.
I bambini ebrei con i loro grandi occhietti
neri come avvolti in una buia devastazione.
Occhietti pieni di paura, invasi dal terrore
colpiti dalla più nera sventura.
Sotto i verdi alberelli polacchi
non giocan più i piccoli Salomone e Mosè,
non giocan più le piccole Sara e Leyla,
né sull'erbetta tenera, né sulla soffice neve.
Sotto i verdi alberelli polacchi
non giocan più i piccoli Salomone e Mosè, 1
non giocan più le piccole Sara e Leyla, 2
né sull'erbetta tenera, né sulla soffice neve. 3
Non si senton più le voci dei piccoli ebrei, 4
dei monelli 5, dei piccoli Matteo e Simone
sbucciati e contusi con le loro piccole grida,
con andatura solenne e con aria di sfida.
Piangono in lutto, gli alberelli polacchi,
sono morte le famiglie ebree e le loro case.
Morti i vicoletti, distrutte le casette
dove i bambini si nascondono come topolini.
I bambini ebrei con i loro grandi occhietti
neri come avvolti in una buia devastazione.
Occhietti pieni di paura, invasi dal terrore
colpiti dalla più nera sventura.
Sotto i verdi alberelli polacchi
non giocan più i piccoli Salomone e Mosè,
non giocan più le piccole Sara e Leyla,
né sull'erbetta tenera, né sulla soffice neve.
NOTE alla traduzione
[1] Al diminutivo sono qui usati i più comuni nomi ebraici maschili. Nella pronuncia ashkenazita, Moyshe è Mosè e Shloyme è Salomone.
[2] Lo stesso vale per i più comuni nomi ebraici femminili, Sore ( = Sara) e Leyle ( = Leyla). Si ricordi che “Leyla” significa “notte”.
[3] Nella traduzione, i diminutivi affettivi sono stati resi con aggettivi: “erbetta tenera” per greyzelekh (alla lettera solo “erbetta”) e “soffice neve” per shneyelekh (alla lettera: “nevuccia”).
[4] Si è fatta qui una traduzione “ad sensum”; alla lettera il verso significa “non si sentono più le vocette ebree”.
[5] Il termine per “monello”, kundes, è in realtà di derivazione polacca: kundys. Lo yiddish però lo scrive come se fosse una parola ebraica svocalizzata, קונדס, e gli ha dato un plurale ebraico in -im (kundeysim). Non è l'unico esempio del genere.
[1] Al diminutivo sono qui usati i più comuni nomi ebraici maschili. Nella pronuncia ashkenazita, Moyshe è Mosè e Shloyme è Salomone.
[2] Lo stesso vale per i più comuni nomi ebraici femminili, Sore ( = Sara) e Leyle ( = Leyla). Si ricordi che “Leyla” significa “notte”.
[3] Nella traduzione, i diminutivi affettivi sono stati resi con aggettivi: “erbetta tenera” per greyzelekh (alla lettera solo “erbetta”) e “soffice neve” per shneyelekh (alla lettera: “nevuccia”).
[4] Si è fatta qui una traduzione “ad sensum”; alla lettera il verso significa “non si sentono più le vocette ebree”.
[5] Il termine per “monello”, kundes, è in realtà di derivazione polacca: kundys. Lo yiddish però lo scrive come se fosse una parola ebraica svocalizzata, קונדס, e gli ha dato un plurale ebraico in -im (kundeysim). Non è l'unico esempio del genere.
Langue: anglais
Traduzione inglese dal programma 2008 delle celebrazioni del Yom Hashoah presso la Duke University di Durham, North Carolina.
Unter di Poylishe Grininke Beymelekh
Our previous 'Song of the Month,' Unter di grininke beymelekh, developed into many versions in which the lyrics were modified. One example is a song commemorating victims of a pogrom, which opens: "Beneath the green trees, Moyshelekh and Shloymelekh are homeless."* The present ”Song of the Month,” Unter di Poylishe grininke Beymelekh, however, is not simply a textual modification of Unter di grininke beymelekh. It presents a new melody and a very different text, thus creating an entirely new song. It is, in fact, a sort of response—or perhaps a sequel—to Bialik's and Brounoff's song, in light of the Holocaust. It could well be titled, Unter di grininke Beymelekh 2 (the Holocaust) . The most obvious connection between the two songs is their almost identical opening line. However, a more careful analysis reveals more hidden connections in other lines.
The poem, Unter di Poylishe grininke beymelekh (Beneath the Polish Green Trees), was written by Joseph Papernikoff. Papernikoff published his song in Tel Aviv in 1945, as part of a collection titled, "Mayn brenendiker shtam" (My Torrid Race), containing poems about the Holocaust, during which most were likely written. The melody was composed by Israel Alter (1901-1979), a Polish-born cantor-composer and faculty member at the Hebrew Union College. It was published in New York (by Hensley Music Co.: Metro Music Co.) in 1966.
Papernikoff's text portrays the tender Jewish children of Bialik during the Holocaust. They do not play anymore beneath the green trees, but hide in their houses, and instead of their previous curiosity, their big, wandering, Jewish eyes are now black and full of fear. One interesting addition by Papernikoff is the inclusion in the poem of Sarahs and Leahs, not only Moyshes and Shlomos, as part of a more modern view.
Israel Alter's melody is perhaps influenced by his experience as cantor. It is monotonic and sad, and sounds like a Jewish prayer. This is a main difference from Brounoff's lyrical melody in Unter di Grininke Beymelekh. Furthermore, Alter's music is longer and more complicated than Brounoff's. But still Alter preserves few of Brounoff's original elements. He tries to maintain some of the structure of a children’s song. The text consists of 5 stanzas, the last being a repetition of the first. Each line has 12 syllables, and each syllable is given an eighth note, thus making each line exactly 4 bars long. This creates a very clear structure of 80 bars. The clear structure, monotonic rhythm, and generally narrow range of the melody help to preserve the essence of a children’s song. The through-composed form, however, tampers with this essence, making the song difficult to remember and disposing with the catchiness of Brounoff's music. Another difference is the longer melody given to each line: 4 bars in Alter's music instead of 2 in Brounoff's (due to Papernikoff's 12-syllable lines).
The most important difference in the music of the two songs is the elaborated harmony. The complicated harmony in the later song shadows the remains of the spirit of a children’s song in structure, but some connections to Brounoff can be perceived.
The changes in the harmony in Unter Di Poylishe Grininke Beymelekh correspond to the division of the song into five stanzas; each stanza is set to a unique harmonic progression.
The first stanza remains in the simple harmony of D minor, with a brief modulation to the parallel major scale. It might be suggested that this modulation is a reference to the same modulation in Brounoff's music. The stanza ends with an open cadence on the dominant, leading to the next stanza.
The second stanza is a continuation of the first, and remains in D minor. The D minor harmony is modal, sustaining several plagal cadences one after the other. It ends on the fourth degree and rests there, before entering the next stanza with new harmonic material.
The third stanza introduces a sudden change of harmony: a modulation of the tonic chord from minor to major. The scale used in this stanza is the Hassidic mode (Shteiger) "Ahava Raba." The use of the Hassidic mode offers a chilling reference to the old Jewish communities of Eastern Europe that vanished in the Holocaust. It can also be regarded as a reference to Brounoff's second melody of Unter di Grininke Beymelekh, which he wrote and published prior to the famous one.
The fourth stanza describes the eyes of the children, the eyes that were wide and curious in Bialik's song, but now are black and full of fear. This startling allusion to Bialik's song is set to the most intense segment of the music. The melody rises as high as E flat, and the harmony is extended in consecutive secondary dominants until landing on a G minor chord. From the G minor chord, the harmony returns to the Hassidic mode on D, preparing for the concluding stanza.
The last stanza is a textual repetition of the first. It continues with the Hassidic mode, and returns to D minor, the original tonality, in the middle. There is a sustaining second degree on the down-beat of the final D minor chord, thus maintaining the tension gathered throughout the entire song until the final release.
As we have seen, Unter di Poylishe grininke beymelekh mirrors Unter di Grininke Beymelekh on many levels. It portrays the horrors of the Holocaust with a seemingly simple image of Jewish children that used to play beneath the trees, but now are afraid to do so. Both the words and the music create many layers of this image.
(*Eleanor Gordon Mlotek, Pearls of Yiddish Song, (New York: Education Department of the Workmen’s Circle, 1988))
Written by Ofer Ronen. - Jewish Music Research Center
Our previous 'Song of the Month,' Unter di grininke beymelekh, developed into many versions in which the lyrics were modified. One example is a song commemorating victims of a pogrom, which opens: "Beneath the green trees, Moyshelekh and Shloymelekh are homeless."* The present ”Song of the Month,” Unter di Poylishe grininke Beymelekh, however, is not simply a textual modification of Unter di grininke beymelekh. It presents a new melody and a very different text, thus creating an entirely new song. It is, in fact, a sort of response—or perhaps a sequel—to Bialik's and Brounoff's song, in light of the Holocaust. It could well be titled, Unter di grininke Beymelekh 2 (the Holocaust) . The most obvious connection between the two songs is their almost identical opening line. However, a more careful analysis reveals more hidden connections in other lines.
The poem, Unter di Poylishe grininke beymelekh (Beneath the Polish Green Trees), was written by Joseph Papernikoff. Papernikoff published his song in Tel Aviv in 1945, as part of a collection titled, "Mayn brenendiker shtam" (My Torrid Race), containing poems about the Holocaust, during which most were likely written. The melody was composed by Israel Alter (1901-1979), a Polish-born cantor-composer and faculty member at the Hebrew Union College. It was published in New York (by Hensley Music Co.: Metro Music Co.) in 1966.
Papernikoff's text portrays the tender Jewish children of Bialik during the Holocaust. They do not play anymore beneath the green trees, but hide in their houses, and instead of their previous curiosity, their big, wandering, Jewish eyes are now black and full of fear. One interesting addition by Papernikoff is the inclusion in the poem of Sarahs and Leahs, not only Moyshes and Shlomos, as part of a more modern view.
Israel Alter's melody is perhaps influenced by his experience as cantor. It is monotonic and sad, and sounds like a Jewish prayer. This is a main difference from Brounoff's lyrical melody in Unter di Grininke Beymelekh. Furthermore, Alter's music is longer and more complicated than Brounoff's. But still Alter preserves few of Brounoff's original elements. He tries to maintain some of the structure of a children’s song. The text consists of 5 stanzas, the last being a repetition of the first. Each line has 12 syllables, and each syllable is given an eighth note, thus making each line exactly 4 bars long. This creates a very clear structure of 80 bars. The clear structure, monotonic rhythm, and generally narrow range of the melody help to preserve the essence of a children’s song. The through-composed form, however, tampers with this essence, making the song difficult to remember and disposing with the catchiness of Brounoff's music. Another difference is the longer melody given to each line: 4 bars in Alter's music instead of 2 in Brounoff's (due to Papernikoff's 12-syllable lines).
The most important difference in the music of the two songs is the elaborated harmony. The complicated harmony in the later song shadows the remains of the spirit of a children’s song in structure, but some connections to Brounoff can be perceived.
The changes in the harmony in Unter Di Poylishe Grininke Beymelekh correspond to the division of the song into five stanzas; each stanza is set to a unique harmonic progression.
The first stanza remains in the simple harmony of D minor, with a brief modulation to the parallel major scale. It might be suggested that this modulation is a reference to the same modulation in Brounoff's music. The stanza ends with an open cadence on the dominant, leading to the next stanza.
The second stanza is a continuation of the first, and remains in D minor. The D minor harmony is modal, sustaining several plagal cadences one after the other. It ends on the fourth degree and rests there, before entering the next stanza with new harmonic material.
The third stanza introduces a sudden change of harmony: a modulation of the tonic chord from minor to major. The scale used in this stanza is the Hassidic mode (Shteiger) "Ahava Raba." The use of the Hassidic mode offers a chilling reference to the old Jewish communities of Eastern Europe that vanished in the Holocaust. It can also be regarded as a reference to Brounoff's second melody of Unter di Grininke Beymelekh, which he wrote and published prior to the famous one.
The fourth stanza describes the eyes of the children, the eyes that were wide and curious in Bialik's song, but now are black and full of fear. This startling allusion to Bialik's song is set to the most intense segment of the music. The melody rises as high as E flat, and the harmony is extended in consecutive secondary dominants until landing on a G minor chord. From the G minor chord, the harmony returns to the Hassidic mode on D, preparing for the concluding stanza.
The last stanza is a textual repetition of the first. It continues with the Hassidic mode, and returns to D minor, the original tonality, in the middle. There is a sustaining second degree on the down-beat of the final D minor chord, thus maintaining the tension gathered throughout the entire song until the final release.
As we have seen, Unter di Poylishe grininke beymelekh mirrors Unter di Grininke Beymelekh on many levels. It portrays the horrors of the Holocaust with a seemingly simple image of Jewish children that used to play beneath the trees, but now are afraid to do so. Both the words and the music create many layers of this image.
(*Eleanor Gordon Mlotek, Pearls of Yiddish Song, (New York: Education Department of the Workmen’s Circle, 1988))
Written by Ofer Ronen. - Jewish Music Research Center
UNDER THE LITTLE GREEN POLISH TREES
Under the little green Polish trees growing,
No more at play little Moyshelekh, Shloymelekh.
No more at play little Sorelekh, Leyelekh,
Not on the gentle grass, nor when it's snowing.
No more are young Jewish voices heard shouting,
Motelekh, Shimelekh, rascals carousing:
Battered and bruised with their woes so beguiling,
Strutting courageously, daring, delighting.
The little green trees in Poland are mourning,
Gone Jewish homes and their houses,
Gone are old alleys, in shambles residing,
Children are like little mice, scurrying, hiding.
Dear little children with eyes large and staring.
Black with a dark devastation enfolding.
Eyes full of fear, full of terror conveying
Despair, disaster beyond all comparing.
Under the little green Polish trees growing,
No more at play little Moyshelekh, Shloymelekh.
No more at play little Sorelekh, Leyelekh,
Not on the gentle grass, nor when it's snowing.
Under the little green Polish trees growing,
No more at play little Moyshelekh, Shloymelekh.
No more at play little Sorelekh, Leyelekh,
Not on the gentle grass, nor when it's snowing.
No more are young Jewish voices heard shouting,
Motelekh, Shimelekh, rascals carousing:
Battered and bruised with their woes so beguiling,
Strutting courageously, daring, delighting.
The little green trees in Poland are mourning,
Gone Jewish homes and their houses,
Gone are old alleys, in shambles residing,
Children are like little mice, scurrying, hiding.
Dear little children with eyes large and staring.
Black with a dark devastation enfolding.
Eyes full of fear, full of terror conveying
Despair, disaster beyond all comparing.
Under the little green Polish trees growing,
No more at play little Moyshelekh, Shloymelekh.
No more at play little Sorelekh, Leyelekh,
Not on the gentle grass, nor when it's snowing.
envoyé par Bartleby - 7/3/2011 - 15:40
Come sapete, mi piacciono le storie minime, quelle poco note, di gente poco nota, perchè è spesso in quelle piccole storie che stanno le radici del Bene e del Male seminati nella Storia con la S maiuscola...
Questa foto simbolo della distruzione del ghetto di Varsavia nella primavera del 1943 fu scattata da uno dei reporter del comandante tedesco Jürgen Stroop – poi impiccato dai polacchi nel 1952 – che doveva riferire, e con dovizia di particolari, direttamente ad Himmler dei "progressi" nell'annientamento del ghetto. La didascalia originale recitava: "Tirati fuori a forza dalle loro tane", come se quelle donne e quei bambini non fossero altro che topi da snidare e sterminare...
In quella foto mi hanno sempre colpito lo sgomento ed il terrore sui visi dei perseguitati, ma soprattutto l'espressione impassibile, dura, le labbra serrate e taglienti del soldato tedesco sulla destra, quello che tiene i poveretti sotto il suo fucile mitragliatore.
Ho scoperto oggi che quel soldato si chiamava Josef Blösche.
Josef Blösche era nato nel 1912 a Frýdlant in Cecoslovacchia, in uno di quei territori, la Boemia, con popolazione di lingua tedesca – i famosi "tedeschi dei Sudeti" – che nel 1938 Bran Gretagna e Francia, "mediatore" Mussolini, decisero di regalare ad Hitler nella vana speranza di appagare la sua ingordigia e fermare la sua follia. E' allora che Josef Blösche – prima di allora contadino e cameriere nell'albergo di proprietà di famiglia - da buon tedesco, corse ad arruolarsi nello Schutzstaffel. Nel 1939 fu inviato a Pretzsch per l’addestramento e qui selezionato dalla Gestapo per i Servizi di Sicurezza (SD). Nel marzo del 1940 venne assegnato a Varsavia, ma in un primo momento fu impiegato solo in compiti amministrativi. Quindi di pattuglia a Platerów, sul nuovo confine delineato dal patto di non aggressione siglato nel 1939 tra Germania e Unione Sovietica.
Ma nel 1941, con l’avvio dell’attacco a quest’ultima, anche la carriera del “buon soldato” Blösche ebbe finalmente una svolta positiva: fu inviato infatti in una delle famigerate Einsatzgruppen, le unità speciali della SD il cui compito, nei territori man mano sottratti ai sovietici, era l'annientamento di ebrei, zingari e commissari politici comunisti mediante fucilazioni di massa e l’utilizzo di camere a gas mobili montate su camion.
Sì che ci si faceva le ossa nell’Einsatzgruppen, sì che si diventava dei veri soldati!
Passato qualche mese, dopo aver ben imparato a macellare gente inerme, il nostro Josef Blösche fu rispedito a Varsavia con il grado di "rottenführer”, capo squadra della polizia. Ufficialmente il suo compito era quello di andare ad arrestare i sospetti che gli venivano indicati dal suo superiore Ludwig Hahn e di consegnarli alla Gestapo per l’interrogatorio ma, in realtà, lo zelante Blösche si prendeva sovente qualche piccola libertà tenendo in esercizio quel sano principio di “giustizia sommaria” che aveva così bene imparato sul fronte orientale. Gli furono quindi assegnati dei compiti più specifici, in concomitanza con l’avvio della liquidazione del ghetto nell’estate del 1942. Blösche infatti era davvero bravo nel “search & destroy”, nello stanare ebrei da deportare e nel seminare tra loro il terrore, quando per esempio la sua squadra, per gioco, scatenava infernali sparatorie senza pretesto alcuno… E poi la sua specialità era individuare rifugi segreti e cunicoli cosicchè la squadra di Blösche veniva spesso inviata in edifici già liquidati per ripulirli ulteriormente da eventuali “ratti giudei” ancora nascosti. Fu grazie all’instancabile opera di Josef Blösche e di impavidi soldati come lui che in soli due mesi, tra luglio e settembre, circa 250.000 ebrei del ghetto furono avviati ai campi di sterminio, soprattutto a Treblinka, dove furono tutti uccisi. E Blösche non si risparmiò – e non risparmiò nessun ebreo – nemmeno durante la seconda ondata della liquidazione, nel gennaio del 1943, e firmò personalmente decine di esecuzioni arbitrarie: tutto tempo guadagnato, il tempo è denaro, presto fatto è ben fatto!
Ma evidentemente qualche “ratto giudeo”, e pure armato, doveva essere sfuggito al buon soldato Blösche, se è vero che proprio all’inizio del 1943 lui e i suoi camerati cominciarono ad essere bersagliati dai tiri di cecchini partigiani – ebrei ingrati! - appostati in edifici che avrebbero dovuto essere stati già “puliti”… Ma Blösche non si perse d’animo ed è proprio durante l’annientamento definitivo del ghetto che diede il suo meglio, sempre al fianco del suo condottiero, il comandante Jürgen Stroop. In particolare, durante la battaglia finale del 19 aprile – un giorno significativo, quello di Pesach, la Pasqua ebraica – Blösche catturò decine, centinaia di resistenti e, con la sua abituale solerzia, provvide a trucidarne molti sul posto con le sue stesse mani, a colpi di fucile alla nuca. Fu così efficiente, il buon soldato Blösche, da essere insignito della Croce di guerra al merito proprio per il “coraggio” mostrato nella battaglia di Varsavia.
Carico di gloria, il nostro Blösche si potè finalmente godere un po’di sano e meritato riposo, tra un servizio di scorta a qualche grande papavero del Reich, gli uffici di registro della Gestapo e qualche arresto ed esecuzione sommaria, ma solo nei fine settimana, giusto per tenersi un po’ in forma.
Ma le sorti della guerra volgevano a sfavore della Germania, così Blösche fu costretto a peregrinare tra Polonia e Slovacchia a fare quei “lavori sporchi” in cui era specialista, tipo la controguerriglia anti-partigiana. Ma anche l’ottimo Blösche, all’avvicinarsi dei nerboruti comunisti, disse fra sè e sè: “Ecchecazzo! Mica c’ho scritto Joe Condor!”, gettò la divisa e provò a darsi alla fuga in abiti civili (chissà se quel civile cui li fregò fu anche la sua ultima vittima…), ma fu ugualmente catturato e fino al 1946 transitò in diversi campi di lavoro per prigionieri di guerra, a Vienna, a Mosca, in Azerbaigian, poi a Plzeň, nella sua terra natale, e quindi a Vítkovice, sempre in Cecoslovacchia.
Lì, nell’agosto del 1946, mentre lavorava come trasportatore in una miniera, Blösche subì un grave incidente, rimanendo pure con il viso in gran parte deformato… Fu un dramma da cui si riprese solo un anno più tardi, ma fu anche una fortuna perchè nulla restava più del volto di qualche anno prima e assai difficile sarebbe risultata una sua successiva identificazione da parte della giustizia o dei cacciatori di criminali nazisti…
Così Josef Blösche potè rifarsi una vita, a differenza delle sue vittime…
Si trasferì in Turingia, riprese a lavorare, intraprese pure studi di ingegneria meccanica, conobbe Hannah, si sposò e fece due figli, poi mise su un rinomato ristorantino nel centro di Urbach… Un pacifico, serafico, normale piccolo borghese pienamente integrato nella società.
Ma all’inizio degli anni 60 il vecchio Josef Blösche, quello che lui stesso credeva ormai morto e sepolto, rispuntò fuori nel corso di alcuni processi, quelli al suo comandante Ludwig Hahn e ad altri ex camerati. Nel 1965 il tribunale distrettuale di Amburgo spiccò un mandato di cattura per il criminale di guerra Josef Blösche, che fu arrestato due anni dopo e detenuto a Lipsia, nell’allora Germania Democratica. Durante il processo si mostrò assai collaborativo e ammise gran parte delle proprie responsabilità. Fu condannato per la corresponsabilità nella deportazione e morte di 300.000 ebrei di Varsavia e per circa 2.000 esecuzioni sommarie, da lui direttamente compiute, comprese equelle di bambini, donne gravide, disabili e vecchi.
La pena per Josef Blösche, il buon soldato Josef Blösche, fu di morte e fu eseguita nel carcere di Lipsia il 29 luglio del 1969 mediante un colpo di pistola alla nuca.
Così come lui aveva fatto con molte delle sue vittime.
(Fonti: de.wikipedia
en.wikipedia
The Stroop Report: “The Warsaw Ghetto Is No More”)
Questa foto simbolo della distruzione del ghetto di Varsavia nella primavera del 1943 fu scattata da uno dei reporter del comandante tedesco Jürgen Stroop – poi impiccato dai polacchi nel 1952 – che doveva riferire, e con dovizia di particolari, direttamente ad Himmler dei "progressi" nell'annientamento del ghetto. La didascalia originale recitava: "Tirati fuori a forza dalle loro tane", come se quelle donne e quei bambini non fossero altro che topi da snidare e sterminare...
In quella foto mi hanno sempre colpito lo sgomento ed il terrore sui visi dei perseguitati, ma soprattutto l'espressione impassibile, dura, le labbra serrate e taglienti del soldato tedesco sulla destra, quello che tiene i poveretti sotto il suo fucile mitragliatore.
Ho scoperto oggi che quel soldato si chiamava Josef Blösche.
Josef Blösche era nato nel 1912 a Frýdlant in Cecoslovacchia, in uno di quei territori, la Boemia, con popolazione di lingua tedesca – i famosi "tedeschi dei Sudeti" – che nel 1938 Bran Gretagna e Francia, "mediatore" Mussolini, decisero di regalare ad Hitler nella vana speranza di appagare la sua ingordigia e fermare la sua follia. E' allora che Josef Blösche – prima di allora contadino e cameriere nell'albergo di proprietà di famiglia - da buon tedesco, corse ad arruolarsi nello Schutzstaffel. Nel 1939 fu inviato a Pretzsch per l’addestramento e qui selezionato dalla Gestapo per i Servizi di Sicurezza (SD). Nel marzo del 1940 venne assegnato a Varsavia, ma in un primo momento fu impiegato solo in compiti amministrativi. Quindi di pattuglia a Platerów, sul nuovo confine delineato dal patto di non aggressione siglato nel 1939 tra Germania e Unione Sovietica.
Ma nel 1941, con l’avvio dell’attacco a quest’ultima, anche la carriera del “buon soldato” Blösche ebbe finalmente una svolta positiva: fu inviato infatti in una delle famigerate Einsatzgruppen, le unità speciali della SD il cui compito, nei territori man mano sottratti ai sovietici, era l'annientamento di ebrei, zingari e commissari politici comunisti mediante fucilazioni di massa e l’utilizzo di camere a gas mobili montate su camion.
Sì che ci si faceva le ossa nell’Einsatzgruppen, sì che si diventava dei veri soldati!
Passato qualche mese, dopo aver ben imparato a macellare gente inerme, il nostro Josef Blösche fu rispedito a Varsavia con il grado di "rottenführer”, capo squadra della polizia. Ufficialmente il suo compito era quello di andare ad arrestare i sospetti che gli venivano indicati dal suo superiore Ludwig Hahn e di consegnarli alla Gestapo per l’interrogatorio ma, in realtà, lo zelante Blösche si prendeva sovente qualche piccola libertà tenendo in esercizio quel sano principio di “giustizia sommaria” che aveva così bene imparato sul fronte orientale. Gli furono quindi assegnati dei compiti più specifici, in concomitanza con l’avvio della liquidazione del ghetto nell’estate del 1942. Blösche infatti era davvero bravo nel “search & destroy”, nello stanare ebrei da deportare e nel seminare tra loro il terrore, quando per esempio la sua squadra, per gioco, scatenava infernali sparatorie senza pretesto alcuno… E poi la sua specialità era individuare rifugi segreti e cunicoli cosicchè la squadra di Blösche veniva spesso inviata in edifici già liquidati per ripulirli ulteriormente da eventuali “ratti giudei” ancora nascosti. Fu grazie all’instancabile opera di Josef Blösche e di impavidi soldati come lui che in soli due mesi, tra luglio e settembre, circa 250.000 ebrei del ghetto furono avviati ai campi di sterminio, soprattutto a Treblinka, dove furono tutti uccisi. E Blösche non si risparmiò – e non risparmiò nessun ebreo – nemmeno durante la seconda ondata della liquidazione, nel gennaio del 1943, e firmò personalmente decine di esecuzioni arbitrarie: tutto tempo guadagnato, il tempo è denaro, presto fatto è ben fatto!
Ma evidentemente qualche “ratto giudeo”, e pure armato, doveva essere sfuggito al buon soldato Blösche, se è vero che proprio all’inizio del 1943 lui e i suoi camerati cominciarono ad essere bersagliati dai tiri di cecchini partigiani – ebrei ingrati! - appostati in edifici che avrebbero dovuto essere stati già “puliti”… Ma Blösche non si perse d’animo ed è proprio durante l’annientamento definitivo del ghetto che diede il suo meglio, sempre al fianco del suo condottiero, il comandante Jürgen Stroop. In particolare, durante la battaglia finale del 19 aprile – un giorno significativo, quello di Pesach, la Pasqua ebraica – Blösche catturò decine, centinaia di resistenti e, con la sua abituale solerzia, provvide a trucidarne molti sul posto con le sue stesse mani, a colpi di fucile alla nuca. Fu così efficiente, il buon soldato Blösche, da essere insignito della Croce di guerra al merito proprio per il “coraggio” mostrato nella battaglia di Varsavia.
Carico di gloria, il nostro Blösche si potè finalmente godere un po’di sano e meritato riposo, tra un servizio di scorta a qualche grande papavero del Reich, gli uffici di registro della Gestapo e qualche arresto ed esecuzione sommaria, ma solo nei fine settimana, giusto per tenersi un po’ in forma.
Ma le sorti della guerra volgevano a sfavore della Germania, così Blösche fu costretto a peregrinare tra Polonia e Slovacchia a fare quei “lavori sporchi” in cui era specialista, tipo la controguerriglia anti-partigiana. Ma anche l’ottimo Blösche, all’avvicinarsi dei nerboruti comunisti, disse fra sè e sè: “Ecchecazzo! Mica c’ho scritto Joe Condor!”, gettò la divisa e provò a darsi alla fuga in abiti civili (chissà se quel civile cui li fregò fu anche la sua ultima vittima…), ma fu ugualmente catturato e fino al 1946 transitò in diversi campi di lavoro per prigionieri di guerra, a Vienna, a Mosca, in Azerbaigian, poi a Plzeň, nella sua terra natale, e quindi a Vítkovice, sempre in Cecoslovacchia.
Lì, nell’agosto del 1946, mentre lavorava come trasportatore in una miniera, Blösche subì un grave incidente, rimanendo pure con il viso in gran parte deformato… Fu un dramma da cui si riprese solo un anno più tardi, ma fu anche una fortuna perchè nulla restava più del volto di qualche anno prima e assai difficile sarebbe risultata una sua successiva identificazione da parte della giustizia o dei cacciatori di criminali nazisti…
Così Josef Blösche potè rifarsi una vita, a differenza delle sue vittime…
Si trasferì in Turingia, riprese a lavorare, intraprese pure studi di ingegneria meccanica, conobbe Hannah, si sposò e fece due figli, poi mise su un rinomato ristorantino nel centro di Urbach… Un pacifico, serafico, normale piccolo borghese pienamente integrato nella società.
Ma all’inizio degli anni 60 il vecchio Josef Blösche, quello che lui stesso credeva ormai morto e sepolto, rispuntò fuori nel corso di alcuni processi, quelli al suo comandante Ludwig Hahn e ad altri ex camerati. Nel 1965 il tribunale distrettuale di Amburgo spiccò un mandato di cattura per il criminale di guerra Josef Blösche, che fu arrestato due anni dopo e detenuto a Lipsia, nell’allora Germania Democratica. Durante il processo si mostrò assai collaborativo e ammise gran parte delle proprie responsabilità. Fu condannato per la corresponsabilità nella deportazione e morte di 300.000 ebrei di Varsavia e per circa 2.000 esecuzioni sommarie, da lui direttamente compiute, comprese equelle di bambini, donne gravide, disabili e vecchi.
La pena per Josef Blösche, il buon soldato Josef Blösche, fu di morte e fu eseguita nel carcere di Lipsia il 29 luglio del 1969 mediante un colpo di pistola alla nuca.
Così come lui aveva fatto con molte delle sue vittime.
(Fonti: de.wikipedia
en.wikipedia
The Stroop Report: “The Warsaw Ghetto Is No More”)
Bartleby - 8/3/2011 - 14:57
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[1945]
Testo di Joseph Papiernikov (1899-1993), poeta nato a Varsavia ma trasferitosi in Palestina già nel 1924.
Musica di Alter Israel (1901-1979), cantore e compositore anche lui di origine polacca trasferitosi poi negli States.
Testo trovato sul programma 2008 delle celebrazioni del Yom Hashoah presso la Duke University di Durham, North Carolina.
Nota. Il testo originale in alfabeto ebraico, particolarmente complesso per la presenza di numerosissimi nomi propri e termini di origine ebraica, è stato ricontrollato su questo documento .pdf. Lo stesso vale per la trascrizione in caratteri latini. (rv)
Little Moshes and Shlomos play,
Gabardines, fringes, earlocks, new-
Hatched from the egg, each baby Jew.
Light as down their bodies - puff,
The gentlest breeze will carry them off,
And the little birds flying by,
Snatch them up and lift them high.
But one thing they have - eyes that are bright
Flashing, flaming points of light,
That glow and sparkle and burn and gleam,
And wonderful and prophetic seem.
They stand looking upward, open-eyed,
Rapt, ecstatic, beatified.
Ah, I would give my Paradise
For such clear and holy eyes.
Una tenerissima canzone, quindi, che racconta della scoperta del mondo e della vita da parte di due bambini, Moshe e Shlomo, ma che nella riscrittura di Papernikoff diventa la tragica descrizione di quattro bambini ebrei polacchi (agli originali maschietti si aggiungono Sarah e Leah) piombati nell’inferno dell’Olocausto: non giocano più intorno ai verdi alberi, ma si nascondono nelle loro case e al posto della loro naturale curiosità, della meraviglia, della scoperta, al posto di quegli occhi rapiti ed estatici, pieni di gioia, ecco ora invece sguardi sbarrati e pieni di paura…