Album: "Per ora noi la chiameremo felicità" (2010)
Forse il nostro viaggio porta un po’ più lontano
tu sorridevi agli autovelox
e mi spedivi contro, spedivi contro il pentagono
i tuoi aerei pieni di armi e di beni materiali
le parole d’amore delle centrali nucleari
e tutti gli altri Vietnam che per le trasfusioni
vuoi la vernice rossa, perchè è più coreografica
quando mi hai detto che sono come l’edera
quando ti ho detto che sei come l’edera
e hai deciso che sei lesbica
i tuoi pensieri sono spesso
dello stesso materiale del cielo di milano
sventolano dei fazzoletti bianchi dalle finestre
quando passiamo, per salutarci o perchè si arrendono
e tutti i nostri no dove vuoi che ci portino
e tutti i nostri no dove vuoi che ci portino
e neanche se ti pagano, ma tanto non ti pagano
e neanche se ti pagano, ma tanto non ti pagano
e neanche se ti pagano, ma tanto non ti pagano
e neanche se ti pagano, ma tanto non ti pagano
e il motore eterno del nostro furgone
le ombre rosse, il tono della tua voce
che era per rischiarare sulle puttane in viale Europa
ricominciava a nevicare su questo schifo di amore
era per respingerti in mare,
per farmi tempesta e lente rappresaglie
come tante utilitarie per conformarsi ad un certo modello di dolore
per un malinteso senso del progresso
per un difetto di fabbricazione
nei cieli di Regina Coeli e nei negozi chiusi
dove cazzo siete andati tutti?
i vostri sguardi che fondevano i metalli
e i camionisti addormentati su di noi ai 110
i nubifragi tra le tue ciglie e il guard-rail
come vorrei
i tuoi fuochi artificiali, le tue cazzo di canzoni commerciali
ci troveremo davanti ai nostri muri dei pianti
oppure uccisi da Putin
E quanto costano…
i tuoi amici che si contano sui petali di quei fiori che quando soffi si disfano, gli aerei per Palermo fermi a prendere freddo
dieci grammi nel tuo reggiseno, i pescherecci che non tornano, quei lunghi mesi immobili, santi, raccoglitori di pomodori, le bombe al fosforo
quei momenti che respiravamo forte come se stessimo correndo, come per commemorare i tuoi capelli lunghissimi
i lavori irregolari, i militiari iraniani, i tramonti che hanno dei colori chimici,
i detenuti morti, i venti forti dei deserti libici, i venti che incendiano i campi nomadi, le meteoriti, le navi ferme immobili tra l’Italia, Malta e la Libia
i primi fari antinebbia, le nostre ultime bufere violente, le guardie notturne che vanno a dormire
non c’è niente da capire, non c’è niente da capire
tu sorridevi agli autovelox
e mi spedivi contro, spedivi contro il pentagono
i tuoi aerei pieni di armi e di beni materiali
le parole d’amore delle centrali nucleari
e tutti gli altri Vietnam che per le trasfusioni
vuoi la vernice rossa, perchè è più coreografica
quando mi hai detto che sono come l’edera
quando ti ho detto che sei come l’edera
e hai deciso che sei lesbica
i tuoi pensieri sono spesso
dello stesso materiale del cielo di milano
sventolano dei fazzoletti bianchi dalle finestre
quando passiamo, per salutarci o perchè si arrendono
e tutti i nostri no dove vuoi che ci portino
e tutti i nostri no dove vuoi che ci portino
e neanche se ti pagano, ma tanto non ti pagano
e neanche se ti pagano, ma tanto non ti pagano
e neanche se ti pagano, ma tanto non ti pagano
e neanche se ti pagano, ma tanto non ti pagano
e il motore eterno del nostro furgone
le ombre rosse, il tono della tua voce
che era per rischiarare sulle puttane in viale Europa
ricominciava a nevicare su questo schifo di amore
era per respingerti in mare,
per farmi tempesta e lente rappresaglie
come tante utilitarie per conformarsi ad un certo modello di dolore
per un malinteso senso del progresso
per un difetto di fabbricazione
nei cieli di Regina Coeli e nei negozi chiusi
dove cazzo siete andati tutti?
i vostri sguardi che fondevano i metalli
e i camionisti addormentati su di noi ai 110
i nubifragi tra le tue ciglie e il guard-rail
come vorrei
i tuoi fuochi artificiali, le tue cazzo di canzoni commerciali
ci troveremo davanti ai nostri muri dei pianti
oppure uccisi da Putin
E quanto costano…
i tuoi amici che si contano sui petali di quei fiori che quando soffi si disfano, gli aerei per Palermo fermi a prendere freddo
dieci grammi nel tuo reggiseno, i pescherecci che non tornano, quei lunghi mesi immobili, santi, raccoglitori di pomodori, le bombe al fosforo
quei momenti che respiravamo forte come se stessimo correndo, come per commemorare i tuoi capelli lunghissimi
i lavori irregolari, i militiari iraniani, i tramonti che hanno dei colori chimici,
i detenuti morti, i venti forti dei deserti libici, i venti che incendiano i campi nomadi, le meteoriti, le navi ferme immobili tra l’Italia, Malta e la Libia
i primi fari antinebbia, le nostre ultime bufere violente, le guardie notturne che vanno a dormire
non c’è niente da capire, non c’è niente da capire
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