Für Erich Ludendorff
Die Frau singt:
Ich bin allein.
Es sollt nicht sein.
Mein Sohn stand bei den Russen.
Da fuhr man sie,
wies liebe Vieh,
zur Front – in Omnibussen.
Und da – da blieb die Feldpost weg –
Haho! Er lag im Dreck.
Die Jahre, die Jahre,
sie gingen träg und stumm.
Die Haare, die Haare
sind grau vom Baltikum . . .
General! General!
Wag es nur nicht noch einmal!
Es schrein die Toten!
Denk an die Roten!
Sieh dich vor! Sieh dich vor!
Hör den brausend dumpfen Chor!
Wir rücken näher ran – Kanonenmann!
Vom Grab – Schieb ab –!
Ich sah durchs Land
im Weltenbrand –
da weinten tausend Frauen.
Der Mäher schnitt.
Sie litten mit
mit hunderttausend Grauen.
Und wozu Todesangst und Schreck?
Haho! Für einen Dreck!
Die Leiber – die Leiber –
sie liegen in der Erd.
Wir Weiber – wir Weiber –
wir sind nun nichts mehr wert . . .
General! General.
Wag es nur nicht noch einmal!
Es schrein die Toten!
Denk an die Roten!
Sieh dich vor! Sieh dich vor!
Hör den brausend dumpfen Chor!
Wir rücken näher ran, Kanonenmann,
zum Grab! – Schieb ab –!
In dunkler Nacht,
wenn keiner wacht –:
dann steigen aus dem Graben
der Füselier,
der Musketier,
die keine Ruhe haben.
Das Totenbataillon entschwebt –
Haho! zu dem, der lebt.
Verschwommen, verschwommen
hörst dus im Windgebraus.
Sie kommen! Sie kommen!
und wehen um sein Haus . . .
General! General!
Wag es nur nicht noch einmal!
Es schrein die Toten!
Denk an die Roten!
Sieh dich vor! Sieh dich vor!
Hör den unterirdischen Chor!
Wir rücken näher ran – du Knochenmann! –
im Schritt!
Komm mit –!
Die Frau singt:
Ich bin allein.
Es sollt nicht sein.
Mein Sohn stand bei den Russen.
Da fuhr man sie,
wies liebe Vieh,
zur Front – in Omnibussen.
Und da – da blieb die Feldpost weg –
Haho! Er lag im Dreck.
Die Jahre, die Jahre,
sie gingen träg und stumm.
Die Haare, die Haare
sind grau vom Baltikum . . .
General! General!
Wag es nur nicht noch einmal!
Es schrein die Toten!
Denk an die Roten!
Sieh dich vor! Sieh dich vor!
Hör den brausend dumpfen Chor!
Wir rücken näher ran – Kanonenmann!
Vom Grab – Schieb ab –!
Ich sah durchs Land
im Weltenbrand –
da weinten tausend Frauen.
Der Mäher schnitt.
Sie litten mit
mit hunderttausend Grauen.
Und wozu Todesangst und Schreck?
Haho! Für einen Dreck!
Die Leiber – die Leiber –
sie liegen in der Erd.
Wir Weiber – wir Weiber –
wir sind nun nichts mehr wert . . .
General! General.
Wag es nur nicht noch einmal!
Es schrein die Toten!
Denk an die Roten!
Sieh dich vor! Sieh dich vor!
Hör den brausend dumpfen Chor!
Wir rücken näher ran, Kanonenmann,
zum Grab! – Schieb ab –!
In dunkler Nacht,
wenn keiner wacht –:
dann steigen aus dem Graben
der Füselier,
der Musketier,
die keine Ruhe haben.
Das Totenbataillon entschwebt –
Haho! zu dem, der lebt.
Verschwommen, verschwommen
hörst dus im Windgebraus.
Sie kommen! Sie kommen!
und wehen um sein Haus . . .
General! General!
Wag es nur nicht noch einmal!
Es schrein die Toten!
Denk an die Roten!
Sieh dich vor! Sieh dich vor!
Hör den unterirdischen Chor!
Wir rücken näher ran – du Knochenmann! –
im Schritt!
Komm mit –!
envoyé par Bartleby - 22/11/2010 - 13:44
Uno scritto assolutamente profetico di Kurt Tucholsky, firmato sotto uno dei suoi tanti pseudonimi, quello di Ignaz Wrobel, e pubblicato nel 1925 su “Die Weltbühne”, il settimanale di politica, arte ed economia che Tucholsky diresse fino al 1930, prima di abbandonare la Germania ormai quasi nazista alla volta della Svezia, lasciando il giornale alle cure dell’amico fraterno Carl von Ossietzky…
Nel 1935 Tucholsky morì suicida; nello stesso anno von Ossietzky ricevette il premio Nobel per la pace mentre si trovava prigioniero dei nazisti che non per questo lo liberarono, anzi: morì nel 1938 in seguito alle terribili condizioni di prigionia…
Note:
(1) Georg Herwegh (1817 –1875) è stato un poeta e rivoluzionario tedesco.
La Sprea (Spree, in tedesco) è il grande fiume che attraversa Berlino, passando proprio accanto al Reichstag.
(2) Il “Reichsbanner – Schwarz-Rot-Gold”, forza paramilitare anti-nazista, venne fondata nel 1924 dai socialdemocratici Hörsing e Höltermann quale organizzazione militante di tutti i partiti e i gruppi che avevano a cuore la difesa della Repubblica e contò nel 1932, dopo l’adesione dei sindacati liberi, 3,5 milioni di aderenti. E tuttavia nel 1933, all’avvento di Hitler, i suoi dirigenti furono quasi tutti catturati ed il Reichsbanner si squagliò come neve al sole.
Nel 1935 Tucholsky morì suicida; nello stesso anno von Ossietzky ricevette il premio Nobel per la pace mentre si trovava prigioniero dei nazisti che non per questo lo liberarono, anzi: morì nel 1938 in seguito alle terribili condizioni di prigionia…
PER CHE COSA?
Di Ignaz Wrobel
Titolo originale:“Das Andere Deutschland”
Pubblicato su Die Weltbühne del 24 dicembre 1925.
Traduzione di Alessandra Luise e Susanna Böhme-Kuby, da L’Ospite Ingrato
“Come bambini vi lasciate ingannare,
finché lo capite – troppo tardi, ahimè!
Far da guardia sul Reno non basterà,
il peggior nemico sta sulla Sprea.”
Georg Herwegh (1)
[…] Le ragioni della guerra moderna sono di natura economica. Si può preparare una guerra e, al primo segnale, riempire le trincee di vittime sacrificali solo se, mediante una tenace opera di persuasione delle masse, questa attività assassina viene fatta passare per qualcosa di morale.
La guerra però è, in ogni caso, profondamente immorale.
Non è vero che, nella nostra era e in particolare nella vergogna del 1914, un popolo abbia dovuto difendersi da invasori stranieri. Un’aggressione presuppone un aggressore, ma questa immagine presa in prestito dalla vita individuale è assolutamente inappropriata per uno scontro tra Stati.
Chi ha voglia e tempo, può sfogliare tutti i numeri di un quotidiano usciti nel corso dell’anno 1914. Ad aprile, a maggio, ancora all’inizio di giugno, nessun redattore o lettore aveva idea di quel che sarebbe accaduto due mesi dopo; solo la disposizione delle masse a schierarsi subito, al primo allarme, quella sì era stata preparata. E queste masse si sono schierate pur non sapendo nulla di più di quello che le agenzie telegrafiche governative avevano voluto far loro intendere riguardo alle ragioni dell’allarme. Oggi è risaputo che allora tutte le parti avevano mentito in modo vergognoso.
Per evitare che questa situazione si ripeta è dunque necessario distruggere la base morale su cui si fonda un’idea immorale. Questa base sta nel principio: è dolce e onorevole morire per la patria. Per quel che concerne la “dolcezza”, neppure il più bugiardo dei guerrafondai oserà più parlare (a meno che non si tratti di un parroco militare) di questa “caramella” del patriottismo. Chi l’ha gustata una volta, chi, in una brumosa mattina d’inverno, ha visto arrancare dalla boscaglia i feriti con le bende imbevute di sangue, chi ha sentito un soldato crivellato di colpi con le budella penzolanti gridare: “Fatemi fuori!” – chi ha visto e sentito tutto questo, sa quanto può essere “dolce”!
È davvero onorevole morire per la patria? No.
L’onore non è intrinseco nella natura di una cosa, esso le viene solo attribuito. Quando la grande maggioranza della popolazione di uno Stato sarà istruita ed educata in modo tale da non essere più in grado di scindere l’assassinio di massa da quello individuale, allora la glorificazione del soldato cesserà. Rimarrà solo il profondo dolore per i caduti, la compassione per i superstiti, il dovere di prendersi cura di loro (a questo dovere non ottempera il moderno Stato bellico). E infine rimarrà il più profondo disprezzo per un processo economico che si camuffa con i requisiti di un film per rendersi popolare, ma che tira il suo bilancio in silenzio. Un bilancio non scritto in rosso.
Chi ha visto un moderno campo di battaglia e ne ha vissuto nell’intimo le atrocità, chi conosce anche soltanto le fotografie di queste efferatezze internazionali, fotografie che nascondono accuratamente all’opinione pubblica la cattiva coscienza degli ufficiali e di coloro che vogliono diventarlo, chi conosce i cumuli di carne nelle fosse comuni e i ributtanti moncherini degli arti mozzati dei sopravvissuti – e per quale vita! –: chi, di fronte a queste mostruosità, non prova orrore, chi non vuole impedirle ricorrendo a tutti gli strumenti possibili, chi, in questo contesto, non dà un chiaro segnale di rottura alle nuove generazioni, costui non è un uomo ma un patriota. […]
Nell’immediato dopoguerra c’erano il nazionalismo, i corpi di volontari, le organizzazioni giovanili nazionaliste, i gruppi di giovani aizzati e depistati. Oggi il Reichsbanner (2) sta ancora sulla difensiva come, d’altronde, tutto quello che in Germania si appella alla Repubblica. La negazione di una determinata idea basta per poter costituire un gruppo, ma non basta per svolgere nel tempo un lavoro di gruppo efficace. Affermare: “Io non sono un nazionalista che agisce da teppista” – è lodevole. Ma che cosa sei allora?
L’ideale un po’ vago di “repubblicano” non significa ancora niente. Nella storia sono esistite delle monarchie molto più liberali, più pacifiste e più improntate al sociale del governo dell’attuale Repubblica tedesca; l’adesione unanime a una repubblica, di per sé, non solo non significa nulla ma non impone alcun obbligo. […]
Finiamola anche con la sciocchezza di paragonare ai lanzichenecchi gli operai e i commercianti reclutati a forza. Coloro che nel 1914 sono partiti volontari, non sapevano dove stavano andando, non sapevano nulla della guerra moderna. E per quanto sia umanamente comprensibile che chi ha dovuto patire le terribili pene di questo inferno cerchi una compensazione alle proprie sofferenze nell’ammirazione da parte dei suoi concittadini, altrettanto comprensibile è che nessuno voglia avere sofferto inutilmente il tormento di esser stato derubato dei propri diritti umani per quattro anni – per quanto sia stata profonda per lui l’esperienza della guerra: un concetto umano di Frontsoldaten, soldati al fronte, non esiste.
Oggi non abbiamo tempo per discutere sulla natura della guerra con degli avvocati democratici per poi, magari, far pagare al movimento il fatto che essi hanno trascorso la loro giovinezza in un contesto di certo non propizio.
E non possiamo neppure attendere che maturi la prossima generazione di socialdemocratici o di democratici che, forse, avrà imparato qualcosa da questa guerra. Non c’è molto da aspettarsi in merito.
Rivolgiamoci allora direttamente alla generazione dei giovani di oggi e diciamo loro:
gli ideali che vi hanno insegnato sono sbagliati!
Non esiste interesse statale o economico o di un popolo che possa giustificare tali bestiali mostruosità come quelle perpetrate in guerra da tutte le parti. Nessun singolo è un tale mostro da poter commettere da solo ciò che ogni reparto gerarchico ha commesso. Nessun uomo è mai stato un criminale così diabolico da aver elaborato da solo un piano omicida per poi eseguirlo da solo nei minimi dettagli e beneficiare da solo dei frutti della vittoria. Poiché ognuno ha sempre solo eseguito una piccola parte, non si è reso conto dell’azione complessiva.
Ci rivolgiamo a voi, perché voi sarete la Germania del 1940. E non come portavoce dei milioni di caduti, tra cui c’erano pacifisti, indifferenti ed entusiasti della guerra, ma come portavoce delle donne in lutto e dei bambini, di quella forza popolare ferita nel più profondo dal gas tossico delle granate e dalla sifilide contratta sul campo, scongiurandovi di condurre con noi – contro la pusillanimità piccolo borghese e noncuranti di tutti i concistori dalle idee oscurantiste – la battaglia più morale che mai sia stata combattuta: quella contro la guerra.
Di Ignaz Wrobel
Titolo originale:“Das Andere Deutschland”
Pubblicato su Die Weltbühne del 24 dicembre 1925.
Traduzione di Alessandra Luise e Susanna Böhme-Kuby, da L’Ospite Ingrato
“Come bambini vi lasciate ingannare,
finché lo capite – troppo tardi, ahimè!
Far da guardia sul Reno non basterà,
il peggior nemico sta sulla Sprea.”
Georg Herwegh (1)
[…] Le ragioni della guerra moderna sono di natura economica. Si può preparare una guerra e, al primo segnale, riempire le trincee di vittime sacrificali solo se, mediante una tenace opera di persuasione delle masse, questa attività assassina viene fatta passare per qualcosa di morale.
La guerra però è, in ogni caso, profondamente immorale.
Non è vero che, nella nostra era e in particolare nella vergogna del 1914, un popolo abbia dovuto difendersi da invasori stranieri. Un’aggressione presuppone un aggressore, ma questa immagine presa in prestito dalla vita individuale è assolutamente inappropriata per uno scontro tra Stati.
Chi ha voglia e tempo, può sfogliare tutti i numeri di un quotidiano usciti nel corso dell’anno 1914. Ad aprile, a maggio, ancora all’inizio di giugno, nessun redattore o lettore aveva idea di quel che sarebbe accaduto due mesi dopo; solo la disposizione delle masse a schierarsi subito, al primo allarme, quella sì era stata preparata. E queste masse si sono schierate pur non sapendo nulla di più di quello che le agenzie telegrafiche governative avevano voluto far loro intendere riguardo alle ragioni dell’allarme. Oggi è risaputo che allora tutte le parti avevano mentito in modo vergognoso.
Per evitare che questa situazione si ripeta è dunque necessario distruggere la base morale su cui si fonda un’idea immorale. Questa base sta nel principio: è dolce e onorevole morire per la patria. Per quel che concerne la “dolcezza”, neppure il più bugiardo dei guerrafondai oserà più parlare (a meno che non si tratti di un parroco militare) di questa “caramella” del patriottismo. Chi l’ha gustata una volta, chi, in una brumosa mattina d’inverno, ha visto arrancare dalla boscaglia i feriti con le bende imbevute di sangue, chi ha sentito un soldato crivellato di colpi con le budella penzolanti gridare: “Fatemi fuori!” – chi ha visto e sentito tutto questo, sa quanto può essere “dolce”!
È davvero onorevole morire per la patria? No.
L’onore non è intrinseco nella natura di una cosa, esso le viene solo attribuito. Quando la grande maggioranza della popolazione di uno Stato sarà istruita ed educata in modo tale da non essere più in grado di scindere l’assassinio di massa da quello individuale, allora la glorificazione del soldato cesserà. Rimarrà solo il profondo dolore per i caduti, la compassione per i superstiti, il dovere di prendersi cura di loro (a questo dovere non ottempera il moderno Stato bellico). E infine rimarrà il più profondo disprezzo per un processo economico che si camuffa con i requisiti di un film per rendersi popolare, ma che tira il suo bilancio in silenzio. Un bilancio non scritto in rosso.
Chi ha visto un moderno campo di battaglia e ne ha vissuto nell’intimo le atrocità, chi conosce anche soltanto le fotografie di queste efferatezze internazionali, fotografie che nascondono accuratamente all’opinione pubblica la cattiva coscienza degli ufficiali e di coloro che vogliono diventarlo, chi conosce i cumuli di carne nelle fosse comuni e i ributtanti moncherini degli arti mozzati dei sopravvissuti – e per quale vita! –: chi, di fronte a queste mostruosità, non prova orrore, chi non vuole impedirle ricorrendo a tutti gli strumenti possibili, chi, in questo contesto, non dà un chiaro segnale di rottura alle nuove generazioni, costui non è un uomo ma un patriota. […]
Nell’immediato dopoguerra c’erano il nazionalismo, i corpi di volontari, le organizzazioni giovanili nazionaliste, i gruppi di giovani aizzati e depistati. Oggi il Reichsbanner (2) sta ancora sulla difensiva come, d’altronde, tutto quello che in Germania si appella alla Repubblica. La negazione di una determinata idea basta per poter costituire un gruppo, ma non basta per svolgere nel tempo un lavoro di gruppo efficace. Affermare: “Io non sono un nazionalista che agisce da teppista” – è lodevole. Ma che cosa sei allora?
L’ideale un po’ vago di “repubblicano” non significa ancora niente. Nella storia sono esistite delle monarchie molto più liberali, più pacifiste e più improntate al sociale del governo dell’attuale Repubblica tedesca; l’adesione unanime a una repubblica, di per sé, non solo non significa nulla ma non impone alcun obbligo. […]
Finiamola anche con la sciocchezza di paragonare ai lanzichenecchi gli operai e i commercianti reclutati a forza. Coloro che nel 1914 sono partiti volontari, non sapevano dove stavano andando, non sapevano nulla della guerra moderna. E per quanto sia umanamente comprensibile che chi ha dovuto patire le terribili pene di questo inferno cerchi una compensazione alle proprie sofferenze nell’ammirazione da parte dei suoi concittadini, altrettanto comprensibile è che nessuno voglia avere sofferto inutilmente il tormento di esser stato derubato dei propri diritti umani per quattro anni – per quanto sia stata profonda per lui l’esperienza della guerra: un concetto umano di Frontsoldaten, soldati al fronte, non esiste.
Oggi non abbiamo tempo per discutere sulla natura della guerra con degli avvocati democratici per poi, magari, far pagare al movimento il fatto che essi hanno trascorso la loro giovinezza in un contesto di certo non propizio.
E non possiamo neppure attendere che maturi la prossima generazione di socialdemocratici o di democratici che, forse, avrà imparato qualcosa da questa guerra. Non c’è molto da aspettarsi in merito.
Rivolgiamoci allora direttamente alla generazione dei giovani di oggi e diciamo loro:
gli ideali che vi hanno insegnato sono sbagliati!
Non esiste interesse statale o economico o di un popolo che possa giustificare tali bestiali mostruosità come quelle perpetrate in guerra da tutte le parti. Nessun singolo è un tale mostro da poter commettere da solo ciò che ogni reparto gerarchico ha commesso. Nessun uomo è mai stato un criminale così diabolico da aver elaborato da solo un piano omicida per poi eseguirlo da solo nei minimi dettagli e beneficiare da solo dei frutti della vittoria. Poiché ognuno ha sempre solo eseguito una piccola parte, non si è reso conto dell’azione complessiva.
Ci rivolgiamo a voi, perché voi sarete la Germania del 1940. E non come portavoce dei milioni di caduti, tra cui c’erano pacifisti, indifferenti ed entusiasti della guerra, ma come portavoce delle donne in lutto e dei bambini, di quella forza popolare ferita nel più profondo dal gas tossico delle granate e dalla sifilide contratta sul campo, scongiurandovi di condurre con noi – contro la pusillanimità piccolo borghese e noncuranti di tutti i concistori dalle idee oscurantiste – la battaglia più morale che mai sia stata combattuta: quella contro la guerra.
Note:
(1) Georg Herwegh (1817 –1875) è stato un poeta e rivoluzionario tedesco.
La Sprea (Spree, in tedesco) è il grande fiume che attraversa Berlino, passando proprio accanto al Reichstag.
(2) Il “Reichsbanner – Schwarz-Rot-Gold”, forza paramilitare anti-nazista, venne fondata nel 1924 dai socialdemocratici Hörsing e Höltermann quale organizzazione militante di tutti i partiti e i gruppi che avevano a cuore la difesa della Repubblica e contò nel 1932, dopo l’adesione dei sindacati liberi, 3,5 milioni di aderenti. E tuttavia nel 1933, all’avvento di Hitler, i suoi dirigenti furono quasi tutti catturati ed il Reichsbanner si squagliò come neve al sole.
Bartleby - 24/1/2011 - 12:46
Langue: français
Version française – MÉLODIE ROUGE – Marco Valdo M.I. – 2011
Chanson allemande – Rote Melodie – Kurt Tucholsky – 1922
Première interprète : Rosa Valetti
Musique de Friedrich Hollander
Chanson allemande – Rote Melodie – Kurt Tucholsky – 1922
Première interprète : Rosa Valetti
Musique de Friedrich Hollander
Rosa Valetti était une actrice de cinéma et de cabaret et une chanteuse. Fondatrice du célèbre « Cabaret Grössenwahn » (Grands délires ?) au café de l'Ouest à Berlin ; elle fut l'interprète de la première mise en scène de L'Opéra de Quatre Sous de Bertolt Brecht et elle tînt un rôle important dans plusieurs films fameux de cette époque, de « L'ANGE BLEU » à « M, LE MAUDIT ». Kurt Tucholsky écrivit spécialement pour elle cette « MÉLODIE ROUGE » que Valetti présentait souvent dans ses performances théâtrales.
Kurt Tucholsky, l'auteur du texte de cette chanson, était un écrivain, poète, journaliste et un des plus importants auteurs satiriques allemands. Né en 1890 dans une famille juive d'origine polonaise, Tucholsky dès sa jeunesse composa des textes satiriques régulièrement publiés sur d'importants hebdomadaires, quotidiens et dans les revues d'art. En 1915, il fut appelé sous les armes et survécut à trois années de guerre, qui le marquèrent profondément. Rentré à Berlin, il devînt le directeur de « Ulk », le supplément hebdomadaire du Berliner Tageblatt, et il se lança dans une série de féroces pamphlets contre la guerre et contre les militaristes. Au début des années 20, il se transféra à Paris, où il s'enticha du cabaret et où il put finalement respirer un air de liberté qui lui manquait sur sa sinistre terre. La fin de l'expérience démocratique de la République de Weimar et la montée des droites poussèrent Tucholsky à des positions toujours plus radicales, pacifistes et de totale aversion envers l'autoritarisme et le militarisme. En 1924, dans les colonnes de la revue que par la suite, il dirigea "Die Weltbühne" ("Le Théâtre du Monde"), il fit connaître son personnage littéraire le plus fameux, le bourgeois juif hypocrite et arrogant « Monsieur Wendriner », protagoniste de nombre de ses récits.
En 1929, Tucholsky publia son œuvre al plus importante : « Deutschland, Deutschland über alles », accompagnée de terribles montages photographiques satiriques de l'artiste dadaïste, Helmut Herzfeld, qui avait anglicisé son nom en John Heartfield en signe de protestation conter la campagne patriotique anti-britannique de la droite. « Deutschland, Deutschland über alles » est une impitoyable critique de l'Allemagne, de sa société, du rôle de l'armée, de la corruption de la justice, qui vaudra à Tucholsky une condamnation à mort virtuelle : un groupe de chemises brunes appartenant aux SA (Sturmabteilungen), dirigées par Ernst Röhm, leader national-socialiste, chercheront à le tuer tandis qu'il se trouvait à Wiesbaden pour un cycle de conférences.
Tucholsky décida à ce moment de s'exiler en Suède où, en 1933, il fut rejoint par le retrait de sa nationalité allemande, juste au moment où les nazis sur la place de l'Opéra à Berlin brûlaient les livres interdits, y compris les siens. De la Suède, il fut contraint d'assister impuissant à la victoire du nazisme et à la persécution de la Weltbühne et de son nouveau directeur, son ami Carl von Ossietzky.
Le soir du 21 décembre 1935, Kurt Tucholsky mourut à l'hôpital de Göteborg d'une overdose de somnifères, selon toute probabilité un suicide ou une tentative de trouver d'endormir pour quelque heures son désespoir.
(Juste un mot à propos de Kurt Tucholsky... Pour dire qu'il connut des moments de sa vie, tout en menant ce combat, il pouvait trouver des moments de paix et pourquoi pas, de réel plaisir...Voir à ce sujet la chanson Mademoiselle Ilse... On y découvre un autre Tucholsky...)[Lucien Lane]
« Mélodie Rouge » est une chanson dédicacée spécialement par Tucholsky au général Erich Ludendorff, un des plus grands bouchers de la première guerre mondiale et par la suite, un grand ennemi de la démocratie parlementaire et de la République. Durant les années de Weimar, Ludendorff devînt le point de référence de tous les nationalistes, militaristes et revanchards allemands et peut être considéré à bon droit comme un des instigateurs du nazisme.
Dans cette chanson – dont ne connaissant pas bien l'allemand (« excusez-moi, pardon, comme chantait Paolo Conte), j'ai réussi à comprendre seulement le sens, en m'aidant d'une horrible traduction automatique et de recherches sur des sites en langue anglaise – Tucholsky reprend un des thèmes des anciennes ballades magico-naturelles, celui du retour des morts en une cavalcade vengeresse, pour raconter une mère qui, ayant perdu à la guerre son unique fils, s'adresse au général Ludendorff et, en le maudissant, lui lance une sorte d'enchantement : tous les soldats morts à la guerre et les militants démocratiques assassinés sortent de leurs tombes et marchent compacts, comme un seul bataillon, contre le responsable de leur mort, le perfide général pré-nazi.
Kurt Tucholsky, l'auteur du texte de cette chanson, était un écrivain, poète, journaliste et un des plus importants auteurs satiriques allemands. Né en 1890 dans une famille juive d'origine polonaise, Tucholsky dès sa jeunesse composa des textes satiriques régulièrement publiés sur d'importants hebdomadaires, quotidiens et dans les revues d'art. En 1915, il fut appelé sous les armes et survécut à trois années de guerre, qui le marquèrent profondément. Rentré à Berlin, il devînt le directeur de « Ulk », le supplément hebdomadaire du Berliner Tageblatt, et il se lança dans une série de féroces pamphlets contre la guerre et contre les militaristes. Au début des années 20, il se transféra à Paris, où il s'enticha du cabaret et où il put finalement respirer un air de liberté qui lui manquait sur sa sinistre terre. La fin de l'expérience démocratique de la République de Weimar et la montée des droites poussèrent Tucholsky à des positions toujours plus radicales, pacifistes et de totale aversion envers l'autoritarisme et le militarisme. En 1924, dans les colonnes de la revue que par la suite, il dirigea "Die Weltbühne" ("Le Théâtre du Monde"), il fit connaître son personnage littéraire le plus fameux, le bourgeois juif hypocrite et arrogant « Monsieur Wendriner », protagoniste de nombre de ses récits.
En 1929, Tucholsky publia son œuvre al plus importante : « Deutschland, Deutschland über alles », accompagnée de terribles montages photographiques satiriques de l'artiste dadaïste, Helmut Herzfeld, qui avait anglicisé son nom en John Heartfield en signe de protestation conter la campagne patriotique anti-britannique de la droite. « Deutschland, Deutschland über alles » est une impitoyable critique de l'Allemagne, de sa société, du rôle de l'armée, de la corruption de la justice, qui vaudra à Tucholsky une condamnation à mort virtuelle : un groupe de chemises brunes appartenant aux SA (Sturmabteilungen), dirigées par Ernst Röhm, leader national-socialiste, chercheront à le tuer tandis qu'il se trouvait à Wiesbaden pour un cycle de conférences.
Tucholsky décida à ce moment de s'exiler en Suède où, en 1933, il fut rejoint par le retrait de sa nationalité allemande, juste au moment où les nazis sur la place de l'Opéra à Berlin brûlaient les livres interdits, y compris les siens. De la Suède, il fut contraint d'assister impuissant à la victoire du nazisme et à la persécution de la Weltbühne et de son nouveau directeur, son ami Carl von Ossietzky.
Le soir du 21 décembre 1935, Kurt Tucholsky mourut à l'hôpital de Göteborg d'une overdose de somnifères, selon toute probabilité un suicide ou une tentative de trouver d'endormir pour quelque heures son désespoir.
(Juste un mot à propos de Kurt Tucholsky... Pour dire qu'il connut des moments de sa vie, tout en menant ce combat, il pouvait trouver des moments de paix et pourquoi pas, de réel plaisir...Voir à ce sujet la chanson Mademoiselle Ilse... On y découvre un autre Tucholsky...)[Lucien Lane]
« Mélodie Rouge » est une chanson dédicacée spécialement par Tucholsky au général Erich Ludendorff, un des plus grands bouchers de la première guerre mondiale et par la suite, un grand ennemi de la démocratie parlementaire et de la République. Durant les années de Weimar, Ludendorff devînt le point de référence de tous les nationalistes, militaristes et revanchards allemands et peut être considéré à bon droit comme un des instigateurs du nazisme.
Dans cette chanson – dont ne connaissant pas bien l'allemand (« excusez-moi, pardon, comme chantait Paolo Conte), j'ai réussi à comprendre seulement le sens, en m'aidant d'une horrible traduction automatique et de recherches sur des sites en langue anglaise – Tucholsky reprend un des thèmes des anciennes ballades magico-naturelles, celui du retour des morts en une cavalcade vengeresse, pour raconter une mère qui, ayant perdu à la guerre son unique fils, s'adresse au général Ludendorff et, en le maudissant, lui lance une sorte d'enchantement : tous les soldats morts à la guerre et les militants démocratiques assassinés sortent de leurs tombes et marchent compacts, comme un seul bataillon, contre le responsable de leur mort, le perfide général pré-nazi.
MÉLODIE ROUGHE
Pour Erich Ludendorff
La femme chante:
Je suis seule
Ça ne peut être
Mon fils se trouve chez les Russes.
Là-bas, on les a envoyés
Comme du brave bétail,
Au front – en omnibus.
Et là – là s'arrêta le voyage.
Hého ! Il git dans la crasse.
Les ans, les ans
Passent lents et mutiques.
Les cheveux, les cheveux
Ont le gris de la Baltique.
Général ! Général !
Ne tente pas cela encore une fois !
Les morts crient !
Pense aux rouges !
Garde-toi ! Garde-toi !
Écoute la rumeur diffuse du chœur !
Nous approchons tout près – Homme des canons !
De la tombe ! Fous le camp !
Je vis au travers du pays
Dans le monde en feu
Des milliers de femmes pleurer.
La Camarde fauchait.
Elles souffraient au milieu
Au milieu de cent mille horreurs.
Et pourquoi, cette angoisse de la mort et cette frayeur?
Hého ! Pour une saleté !
Les corps ! Les corps !
Gisent dans la terre.
Nous les femmes ! Nous les femmes !
Nous ne valons maintenant plus rien !
Général ! Général !
Ne tente pas cela encore une fois !
Les morts crient !
Pense aux rouges !
Garde-toi ! Garde-toi !
Écoute la rumeur diffuse du chœur !
Nous approchons tout près – Homme des canons !
À la tombe ! Fous le camp !
Dans la nuit obscure,
Quand personne ne veille
Alors sortent des tranchées
Le fusilier
Le mousquetaire,
Qui ne connaissent pas la paix.
Le bataillon des morts s'élève
Hého ! Vers celui qui vit.
Vaguement, vaguement
Tu entends dans le bruit du vent
Ils arrivent ! Ils arrivent !
Et ils envahissent ta maison...
Général ! Général !
Ne tente pas cela encore une fois !
Les morts crient !
Pense aux rouges !
Garde-toi ! Garde-toi !
Écoute le chœur souterrain !
Nous approchons tout près – toi, Homme d'os !
Au pas !
Suis nous !
Pour Erich Ludendorff
La femme chante:
Je suis seule
Ça ne peut être
Mon fils se trouve chez les Russes.
Là-bas, on les a envoyés
Comme du brave bétail,
Au front – en omnibus.
Et là – là s'arrêta le voyage.
Hého ! Il git dans la crasse.
Les ans, les ans
Passent lents et mutiques.
Les cheveux, les cheveux
Ont le gris de la Baltique.
Général ! Général !
Ne tente pas cela encore une fois !
Les morts crient !
Pense aux rouges !
Garde-toi ! Garde-toi !
Écoute la rumeur diffuse du chœur !
Nous approchons tout près – Homme des canons !
De la tombe ! Fous le camp !
Je vis au travers du pays
Dans le monde en feu
Des milliers de femmes pleurer.
La Camarde fauchait.
Elles souffraient au milieu
Au milieu de cent mille horreurs.
Et pourquoi, cette angoisse de la mort et cette frayeur?
Hého ! Pour une saleté !
Les corps ! Les corps !
Gisent dans la terre.
Nous les femmes ! Nous les femmes !
Nous ne valons maintenant plus rien !
Général ! Général !
Ne tente pas cela encore une fois !
Les morts crient !
Pense aux rouges !
Garde-toi ! Garde-toi !
Écoute la rumeur diffuse du chœur !
Nous approchons tout près – Homme des canons !
À la tombe ! Fous le camp !
Dans la nuit obscure,
Quand personne ne veille
Alors sortent des tranchées
Le fusilier
Le mousquetaire,
Qui ne connaissent pas la paix.
Le bataillon des morts s'élève
Hého ! Vers celui qui vit.
Vaguement, vaguement
Tu entends dans le bruit du vent
Ils arrivent ! Ils arrivent !
Et ils envahissent ta maison...
Général ! Général !
Ne tente pas cela encore une fois !
Les morts crient !
Pense aux rouges !
Garde-toi ! Garde-toi !
Écoute le chœur souterrain !
Nous approchons tout près – toi, Homme d'os !
Au pas !
Suis nous !
envoyé par Marco Valdo M.I. - 23/12/2011 - 22:22
Langue: italien
Versione italiana di Francesco Mazzocchi
MELODIA ROSSA
Per Erich Ludendorff
La donna canta:
Io sono sola.
Non può essere.
Mio figlio stava dai Russi.
Li hanno portati là,
come brave bestie,
al fronte – in omnibus.
E là – là s’è fermata la posta militare –
Ahi! Giaceva nel pantano.
Gli anni, gli anni,
passavano lenti e silenziosi.
I capelli, i capelli
sono grigi del Baltico...
Generale! Generale!
Non provarci ancora una volta!
Lo gridano i morti!
Pensa ai Rossi!
Guardati! Guardati!
Ascolta il coro che rumoreggia cupo!
Noi avanziamo – uomo dei cannoni!
Dalla fossa – Vattene –!
Io ho visto per tutto il paese
nell’incendio del mondo –
piangevano mille donne.
Il mietitore falciava.
Esse soffrivano
di centomila dolori.
E per che cosa paura mortale e terrore?
Ahi! Per un pantano!
I corpi – i corpi –
giacevano nella terra.
Noi donne – noi donne –
noi ora non valiamo più niente...
Generale! Generale.
Non provarci ancora una volta!
Lo gridano i morti!
Pensa ai Rossi!
Guardati! Guardati!
Ascolta il coro che rumoreggia cupo!
Noi avanziamo – uomo dei cannoni!
Dalla fossa – Vattene –!
Nella notte scura,
quando nessuno veglia –:
allora salgono dalla fossa
il fuciliere,
il moschettiere,
che non hanno pace.
Il battaglione dei morti sorge –
Ahi! verso quello che vive.
Indistinto, indistinto
senti nel brusio del vento.
Arrivano! Arrivano!
e soffiano sulla sua casa...
Generale! Generale!
Non provarci ancora una volta!
Lo gridano i morti!
Pensa ai Rossi!
Guardati! Guardati!
Ascolta il coro sotterraneo!
noi avanziamo – tu morte! –
al passo!
Vieni con noi –!
Per Erich Ludendorff
La donna canta:
Io sono sola.
Non può essere.
Mio figlio stava dai Russi.
Li hanno portati là,
come brave bestie,
al fronte – in omnibus.
E là – là s’è fermata la posta militare –
Ahi! Giaceva nel pantano.
Gli anni, gli anni,
passavano lenti e silenziosi.
I capelli, i capelli
sono grigi del Baltico...
Generale! Generale!
Non provarci ancora una volta!
Lo gridano i morti!
Pensa ai Rossi!
Guardati! Guardati!
Ascolta il coro che rumoreggia cupo!
Noi avanziamo – uomo dei cannoni!
Dalla fossa – Vattene –!
Io ho visto per tutto il paese
nell’incendio del mondo –
piangevano mille donne.
Il mietitore falciava.
Esse soffrivano
di centomila dolori.
E per che cosa paura mortale e terrore?
Ahi! Per un pantano!
I corpi – i corpi –
giacevano nella terra.
Noi donne – noi donne –
noi ora non valiamo più niente...
Generale! Generale.
Non provarci ancora una volta!
Lo gridano i morti!
Pensa ai Rossi!
Guardati! Guardati!
Ascolta il coro che rumoreggia cupo!
Noi avanziamo – uomo dei cannoni!
Dalla fossa – Vattene –!
Nella notte scura,
quando nessuno veglia –:
allora salgono dalla fossa
il fuciliere,
il moschettiere,
che non hanno pace.
Il battaglione dei morti sorge –
Ahi! verso quello che vive.
Indistinto, indistinto
senti nel brusio del vento.
Arrivano! Arrivano!
e soffiano sulla sua casa...
Generale! Generale!
Non provarci ancora una volta!
Lo gridano i morti!
Pensa ai Rossi!
Guardati! Guardati!
Ascolta il coro sotterraneo!
noi avanziamo – tu morte! –
al passo!
Vieni con noi –!
envoyé par Francesco Mazzocchi - 8/12/2021 - 15:11
×
Parole di Kurt Tucholsky
Musica di Friedrich Hollaender
Testo trovato su Zeno.org
Rosa Valetti è stata attrice di cinema e di cabaret e cantante. Fondatrice del celebre “Cabaret Grössenwahn” al Café des Westens di Berlino, fu interprete nella prima messa in scena dell’Opera da Tre Soldi di Brecht ed ebbe ruoli importanti in parecchie famose pellicole dell’epoca, da “L’angelo Azzurro” a “M - Il mostro di Düsseldorf”. Kurt Tucholsky scrisse appositamente per lei questa “Rote Melodie” che la Valetti eseguiva molto spesso nel corso delle sue performance teatrali.
Kurt Tucholsky, autore del testo di questa canzone, è stato scrittore, poeta, giornalista e uno dei più importanti autori satirici tedeschi. Nato nel 1890 in una famiglia ebrea di origini polacche, Tucholsky fin da giovanissimo compose testi satirici regolarmente pubblicati su importanti settimanali, quotidiani e riviste d’arte. Nel 1915 venne richiamato alle armi e sopravvisse a tre anni di guerra, che lo segnarono profondamente. Rientrato a Berlino divenne direttore di “Ulk”, l'inserto settimanale del Berliner Tageblatt, e si lanciò in una serie di feroci pamphlets contro la guerra e contro i militaristi. Nei primi anni 20 si trasferì a Parigi dove s’innamorò del cabaret e dove finalmente potè respirare quell’aria di libertà che tanto gli mancava nella sua livida terra. La fine dell’eperienza democratica della Repubblica di Weimar e l’avanzare delle destre spinsero Tucholsky su posizioni sempre più radicali, pacifiste e di totale avversione verso l'autoritarismo ed il militarismo. Nel 1924, dalle colonne della rivista che poi dirigerà, "Die Weltbühne" ("Il teatro del mondo"), fece conoscere il suo personaggio letterario più famoso, il borghese ebreo ipocrita ed arrogante “signor Wendriner”, protagonista di molti suoi racconti.
Nel 1929 Tucholsky pubblicò la sua opera più importante, “Deutschland, Deutschland über alles”, accompagnata dai terribili fotomontaggi satirici dell’artista dadaista Helmut Herzfeld, che si era anglicizzato il nome in John Heartfield in segno di protesta contro la campagna patriottica anti-britannica delle destre. “Deutschland, Deutschland über alles”, impietosa critica della Germania, della sua società, del ruolo dell'esercito, della corruzione della giustizia, varrà a Tucholsky una virtuale condanna a morte: un gruppo di “camicie brune” appartenenti alle Sturmabteilungen (SA)
di Ernst Röhm, leader nazionalsocialista, cercheranno di ucciderlo mentre si trova a Wiesbaden impegnato in un ciclo di conferenze.
Tucholsky decise, a questo punto, di auto-esiliarsi in Svezia dove, nel 1933, fu raggiunto dalla revoca della cittadinanza tedesca, proprio mentre i nazisti sulla Opernplatz a Berlino bruciavano i libri banditi, compresi i suoi. Dalla Svezia fu costretto ad assistere impotente alla vittoria del nazismo e alla persecuzione della Weltbühne e del suo nuovo direttore, l’amico fraterno Carl von Ossietzky.
La sera del 21 dicembre 1935 Kurt Tucholsky morì nell'ospedale di Göteborg per overdose di sonniferi, con ogni probabilità un suicidio o il tentativo andato oltre di addormentare per qualche ora la disperazione.
In questa canzone – che, non conoscendo affatto il tedesco (“scusami, pardon”, come cantava Paolo Conte), sono riuscito ad intendere solo a senso, aiutandomi con un’orrida traduzione automatica e ricerche su siti in lingua inglese – Tucholsky riprende uno dei motivi delle antiche ballate magico-naturali, quello del ritorno dei morti in cavalcata vendicatrice, per raccontare di una madre che, avendo perso in guerra il suo unico figlio, si rivolge al generale Ludendorff e, maledicendolo, lo colpisce con una sorta di incantensimo: tutti i soldati morti in guerra e i militanti democratici massacrati risorgono dalle loro fosse e marciano compatti, come un solo battaglione, contro il responsabile della loro morte, il perfido generale proto-nazista.