So 'ndà a dodes'ani so 'ndà
la prima volta a l'Astego so 'ndà
in un paradiso ciamà
"la casa brusà"
el xe diventà la me istà
se 'ndava da puareti in do par bicicleta
la xera na suada ma na volta rivà xerimo pascià
l'aqua a xera freda ma che aqua
le piane d'un verde ma che verde
me pareva de xugar
nea foresta de Tarsan
se podea sognarghe na vita
se podea noarghe se podea pescarghe se podea
quasi beverla che l'aqua là così giasà
me son portà anca la tosa me son portà
ghe xera mile angoli apartà
e na volta cava xo
el coraio vegnea da solo
e se se ritrovava indormensà
e po se se sveiava col canto dei usei
col sole ormai calà lasava l'acqua inargentà
a son tornà a l'Astego si tornà
e so restà de boto sofegà
quando ca go visto
vegner xo dala vale
un mostro tuto xalo a bole maron
e i sasi tacà a la riva tuti incatramà
ma xe vegnù el gropo me son sentio parfin invecià
e parfin le piante tute sfrondà
giuro le pare disperà
pare che le diga porteme via de qua
porteme int'un buso do' che le fabriche ne ase scampar.
la prima volta a l'Astego so 'ndà
in un paradiso ciamà
"la casa brusà"
el xe diventà la me istà
se 'ndava da puareti in do par bicicleta
la xera na suada ma na volta rivà xerimo pascià
l'aqua a xera freda ma che aqua
le piane d'un verde ma che verde
me pareva de xugar
nea foresta de Tarsan
se podea sognarghe na vita
se podea noarghe se podea pescarghe se podea
quasi beverla che l'aqua là così giasà
me son portà anca la tosa me son portà
ghe xera mile angoli apartà
e na volta cava xo
el coraio vegnea da solo
e se se ritrovava indormensà
e po se se sveiava col canto dei usei
col sole ormai calà lasava l'acqua inargentà
a son tornà a l'Astego si tornà
e so restà de boto sofegà
quando ca go visto
vegner xo dala vale
un mostro tuto xalo a bole maron
e i sasi tacà a la riva tuti incatramà
ma xe vegnù el gropo me son sentio parfin invecià
e parfin le piante tute sfrondà
giuro le pare disperà
pare che le diga porteme via de qua
porteme int'un buso do' che le fabriche ne ase scampar.
inviata da The Lone Ranger - 4/8/2010 - 11:34
Lingua: Italiano
Traduzione italiana da La Musica de L’Altra Italia
L’ASTICO
Sono andato a dodici anni sono andato la prima volta
la prima volta all'Astico sono andato
in un paradiso chiamato
"la casa bruciata"
è divenuto la mia estate
si andava da poveri in due per bicicletta
era una sudata ma una volta arrivati eravamo dei pascià
l'acqua era fredda ma che acqua
gli alberi di un verde ma che verde
mi pareva di giocare
nella foresta di Tarzan
si poteva sognare una vita
si poteva nuotare si poteva pescare si poteva
quasi berla quell'acqua là così ghiacciata
mi sono portato anche la ragazza mi sono portato
c'erano mille luoghi appartati
e una volta spogliati
il coraggio veniva da solo
e ci si ritrovava addormentati
e poi ci si svegliava con il canto degli uccelli
quando il sole ormai basso lasciava l'acqua inargentata
sono tornato all'Astico sono tornato
e sono rimasto quasi soffocato
quando ho visto
venir giù dalla valle
un mostro tutto giallo a bolle marrone
e i sassi vicino alla riva sporchi di catrame
mi è venuto il nodo alla gola e mi sono sentito invecchiato
e perfino gli alberi ridotti senza foglie
giuro sembrano disperati
sembra che dicano "portatemi via di qua
portatemi in un posto dove le fabbriche mi lascino vivere."
Sono andato a dodici anni sono andato la prima volta
la prima volta all'Astico sono andato
in un paradiso chiamato
"la casa bruciata"
è divenuto la mia estate
si andava da poveri in due per bicicletta
era una sudata ma una volta arrivati eravamo dei pascià
l'acqua era fredda ma che acqua
gli alberi di un verde ma che verde
mi pareva di giocare
nella foresta di Tarzan
si poteva sognare una vita
si poteva nuotare si poteva pescare si poteva
quasi berla quell'acqua là così ghiacciata
mi sono portato anche la ragazza mi sono portato
c'erano mille luoghi appartati
e una volta spogliati
il coraggio veniva da solo
e ci si ritrovava addormentati
e poi ci si svegliava con il canto degli uccelli
quando il sole ormai basso lasciava l'acqua inargentata
sono tornato all'Astico sono tornato
e sono rimasto quasi soffocato
quando ho visto
venir giù dalla valle
un mostro tutto giallo a bolle marrone
e i sassi vicino alla riva sporchi di catrame
mi è venuto il nodo alla gola e mi sono sentito invecchiato
e perfino gli alberi ridotti senza foglie
giuro sembrano disperati
sembra che dicano "portatemi via di qua
portatemi in un posto dove le fabbriche mi lascino vivere."
inviata da The Lone Ranger - 4/8/2010 - 11:35
NON SOLO MATUSALEMME…
ANCHE HUNZA E CURDI (E PERFINO QUALCHE VENETO) NON SCHERZANO CON L’ETA’
Gianni Sartori
In genere quando si parla di popolazioni particolarmente longeve si citano i leggendari Hunza del nord del Pakistan che - stando almeno a quanto si diceva e scriveva fino a qualche decennio fa - raggiungerebbero mediamente i 130-140 anni.* Oltretutto attivi e in buona salute, grazie al lungo digiuno (secondo alcuni geografi-etnologi si dovrebbe parlare di carestie invernali) a cui erano sottoposti annualmente, all’alimentazione in gran parte vegetariana e all’acqua alcalina caratteristica di quei territori.
O almeno, va precisato, li avrebbero raggiunti fino a qualche decennio fa. Visto che poi le modernità (al plurale) - dal servizio militare nell’esercito pakistano all’inquinamento, dai cambiamenti climatici e alimentari all’invasione di turisti-alpinisti - avrebbero fatalmente invertito la tendenza.
Tornando fra noi (nel “Veneto profondo”), qualche mese fa avevo, in maniera informale, contattato l’anziano del paesello vicentino dove spesso, incautamente, soggiorno. Superati da poco i 101 anni, ma ancora - compatibilmente con l’età - vispo, autonomo e soprattutto lucido. Con tante cose da raccontare, una autentica “memoria storica” per questa porzione di pianura veneta costellata di rilievi collinari di origine sia vulcanica (gli Euganei) che calcarea-sedimentaria (i Berici). Un tempo rurale (e classificata “depressa”, forse a torto) e ora ricoperta (massacrata, violata…) da capannoni, basi militari, autostrade, pedemontane etc
Una serie di impegni non procrastinabili e di contrattempi avevano allontanato la scadenza e solo il 28 gennaio tornavo a percorrere la stradina (una “caresà”) della sua fattoria. Incontrando la figlia intenta a tagliar legna e intuendo dallo sguardo che qualcosa non andava. L’anziano genitore - che non aveva mai voluto andare all’ospedale, giustamente - si era spento solo qualche giorno prima. Rimasto interdetto, oltre che dispiaciuto, pensavo poi che in fondo andava bene anche così. Avevo comunque avuto l’onore di conoscerlo se pur brevemente, alcune cose le aveva raccontate anche a me. E soprattutto molte altre ai figli, ai nipoti, ai vicini…
Proprio come per secoli e secoli la memoria e la storia locale erano state tramandate a voce. Narrando, passando un testimone di ricordi e testimonianze che poi magari venivano elaborati, integrati, ampliati e arricchiti di significato…
Coincidenza, proprio mentre ripensavo a cosa poteva aver rappresentato una vita lunga oltre un secolo, ho inciampato in una notizia che ha dell’incredibile, ma che riporto ugualmente per dovere di cronaca. Anche perché le fonti (vari giornali e Centri studi curdi di livello internazionale) sono serie e attendibili.
Notizia che tra l’altro sconfessava quanto venne scritto e ribadito al momento della scomparsa - il 13 gennaio scorso - della Decana d’Europa Sœur André (Lucile Randon) a 118 anni. Ossia che era morta la persona più anziana del pianeta.
Invece una donna curda yezida, Rawché Qassim, attualmente sfollata nel campo di Kebertol (distretto di Sêmele, provincia di Duhok) quel record l’avrebbe già superato da tempo. Stando ai documenti in suo possesso sarebbe nata il 1 luglio del 1887 in un villaggio del cantone di Shengal (in Bashur, Kurdistan iracheno). Qui era vissuta fino al 2014 quando fu costretta fuggire con i suoi familiari a causa dell’attacco delle milizie jihadiste di Daesh. Nonostante l’età e le ultime traversie, il suo stato di salute si mantiene discreto, soddisfacente. Dalla stampa locale e da alcune associazioni curde è stato lanciato un appello agli specialisti (medici, antropologi…) affinché si rechino a Kebertol, innanzitutto per garantirle cure e assistenza adeguate, ma anche per eventualmente contribuire (nell'assoluto rispetto della sua persona naturalmente) alla conoscenza dei misteriosi meccanismi (sia biologici che culturali, identitari) che le hanno consentito di vivere così a lungo. Fermo restando che, per quanto questo sia eccezionale, non sarebbe il primo caso di veneranda età raggiunta da persone di etnia curda. Si parla da tempo di decine di casi documentati di centenari curdi e di alcuni in particolare. Circa un secolo fa raggiunse una certa notorietà Zaro Agha, un curdo di Bidlis (nel Kurdistan sottoposto alla Turchia, il Bakur) che avrebbe vissuto fino a 157 anni. Negli anni trenta venne invitato in Europa e negli Stati Uniti incontrando sia molte autorità che specialisti, scienziati incuriositi e desiderosi di indagarne il segreto di lunga vita in buona salute.
Gianni Sartori
* nota 1: Me ne aveva parlato negli anni novanta il compianto Gianfranco Sperotto, militante storico della sinistra non dogmatica vicentina (all’epoca del PSIUP), poi ambientalista e pacifista impegnato (Legambiente, Mountain Wilderness, presidio No Dal Molin...), alpinista libertario, distributore di libri di storia e natura alpine fin nelle più sperdute osterie della Val d’Astico e di Posina. Dove giungeva rigorosamente in corriera, in bicicletta o a piedi). Morto ammazzato mentre con l’immancabile bici condotta a mio attraversava sulle strisce pedonali. Organizzatore, tra l'altro della ripulitura dei seracchi in Marmolada (quelli riempiti col polistirolo per consentire lo sci estivo) e di analoghe operazioni in Himalaya. Un grande.
ANCHE HUNZA E CURDI (E PERFINO QUALCHE VENETO) NON SCHERZANO CON L’ETA’
Gianni Sartori
In genere quando si parla di popolazioni particolarmente longeve si citano i leggendari Hunza del nord del Pakistan che - stando almeno a quanto si diceva e scriveva fino a qualche decennio fa - raggiungerebbero mediamente i 130-140 anni.* Oltretutto attivi e in buona salute, grazie al lungo digiuno (secondo alcuni geografi-etnologi si dovrebbe parlare di carestie invernali) a cui erano sottoposti annualmente, all’alimentazione in gran parte vegetariana e all’acqua alcalina caratteristica di quei territori.
O almeno, va precisato, li avrebbero raggiunti fino a qualche decennio fa. Visto che poi le modernità (al plurale) - dal servizio militare nell’esercito pakistano all’inquinamento, dai cambiamenti climatici e alimentari all’invasione di turisti-alpinisti - avrebbero fatalmente invertito la tendenza.
Tornando fra noi (nel “Veneto profondo”), qualche mese fa avevo, in maniera informale, contattato l’anziano del paesello vicentino dove spesso, incautamente, soggiorno. Superati da poco i 101 anni, ma ancora - compatibilmente con l’età - vispo, autonomo e soprattutto lucido. Con tante cose da raccontare, una autentica “memoria storica” per questa porzione di pianura veneta costellata di rilievi collinari di origine sia vulcanica (gli Euganei) che calcarea-sedimentaria (i Berici). Un tempo rurale (e classificata “depressa”, forse a torto) e ora ricoperta (massacrata, violata…) da capannoni, basi militari, autostrade, pedemontane etc
Una serie di impegni non procrastinabili e di contrattempi avevano allontanato la scadenza e solo il 28 gennaio tornavo a percorrere la stradina (una “caresà”) della sua fattoria. Incontrando la figlia intenta a tagliar legna e intuendo dallo sguardo che qualcosa non andava. L’anziano genitore - che non aveva mai voluto andare all’ospedale, giustamente - si era spento solo qualche giorno prima. Rimasto interdetto, oltre che dispiaciuto, pensavo poi che in fondo andava bene anche così. Avevo comunque avuto l’onore di conoscerlo se pur brevemente, alcune cose le aveva raccontate anche a me. E soprattutto molte altre ai figli, ai nipoti, ai vicini…
Proprio come per secoli e secoli la memoria e la storia locale erano state tramandate a voce. Narrando, passando un testimone di ricordi e testimonianze che poi magari venivano elaborati, integrati, ampliati e arricchiti di significato…
Coincidenza, proprio mentre ripensavo a cosa poteva aver rappresentato una vita lunga oltre un secolo, ho inciampato in una notizia che ha dell’incredibile, ma che riporto ugualmente per dovere di cronaca. Anche perché le fonti (vari giornali e Centri studi curdi di livello internazionale) sono serie e attendibili.
Notizia che tra l’altro sconfessava quanto venne scritto e ribadito al momento della scomparsa - il 13 gennaio scorso - della Decana d’Europa Sœur André (Lucile Randon) a 118 anni. Ossia che era morta la persona più anziana del pianeta.
Invece una donna curda yezida, Rawché Qassim, attualmente sfollata nel campo di Kebertol (distretto di Sêmele, provincia di Duhok) quel record l’avrebbe già superato da tempo. Stando ai documenti in suo possesso sarebbe nata il 1 luglio del 1887 in un villaggio del cantone di Shengal (in Bashur, Kurdistan iracheno). Qui era vissuta fino al 2014 quando fu costretta fuggire con i suoi familiari a causa dell’attacco delle milizie jihadiste di Daesh. Nonostante l’età e le ultime traversie, il suo stato di salute si mantiene discreto, soddisfacente. Dalla stampa locale e da alcune associazioni curde è stato lanciato un appello agli specialisti (medici, antropologi…) affinché si rechino a Kebertol, innanzitutto per garantirle cure e assistenza adeguate, ma anche per eventualmente contribuire (nell'assoluto rispetto della sua persona naturalmente) alla conoscenza dei misteriosi meccanismi (sia biologici che culturali, identitari) che le hanno consentito di vivere così a lungo. Fermo restando che, per quanto questo sia eccezionale, non sarebbe il primo caso di veneranda età raggiunta da persone di etnia curda. Si parla da tempo di decine di casi documentati di centenari curdi e di alcuni in particolare. Circa un secolo fa raggiunse una certa notorietà Zaro Agha, un curdo di Bidlis (nel Kurdistan sottoposto alla Turchia, il Bakur) che avrebbe vissuto fino a 157 anni. Negli anni trenta venne invitato in Europa e negli Stati Uniti incontrando sia molte autorità che specialisti, scienziati incuriositi e desiderosi di indagarne il segreto di lunga vita in buona salute.
Gianni Sartori
* nota 1: Me ne aveva parlato negli anni novanta il compianto Gianfranco Sperotto, militante storico della sinistra non dogmatica vicentina (all’epoca del PSIUP), poi ambientalista e pacifista impegnato (Legambiente, Mountain Wilderness, presidio No Dal Molin...), alpinista libertario, distributore di libri di storia e natura alpine fin nelle più sperdute osterie della Val d’Astico e di Posina. Dove giungeva rigorosamente in corriera, in bicicletta o a piedi). Morto ammazzato mentre con l’immancabile bici condotta a mio attraversava sulle strisce pedonali. Organizzatore, tra l'altro della ripulitura dei seracchi in Marmolada (quelli riempiti col polistirolo per consentire lo sci estivo) e di analoghe operazioni in Himalaya. Un grande.
Gianni Sartori - 28/1/2023 - 22:02
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Album “La Corriera”
Testo trovato su La Musica de L’Altra Italia
L’Astico è un torrente che scorre in provincia di Vicenza…