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Marcinelle

anonyme
Langue: italien


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Sul ponte di Perati bandiera nera
(anonyme)
Lu trenu di lu suli
(Otello Profazio)
Noël
(Gaston Couté)


[1956]
Testo di anonimo
Musica: sull'aria di "Sul ponte di Perati"



Canzoni correlate:
8 Agosto '56 - Marcinelle dei Kalàscima
Marcinelle
Marcinelle dei Terra e anima
Marcinelle dei Servi disobbedienti
La ragazza e la miniera di Francesco De Gregori
Mangia el carbon e tira l'ultim fiaa di Ivan Della Mea
Lu trenu di lu suli di Otello Profazio



L'opinione pubblica belga ignorava, o forse preferiva ignorare, la portata del fenomeno migratorio italiano, e lo sfruttamento a cui questi uomini venivano sottoposti, ma la morte di 262 persone a Marcinelle (sobborgo operaio di Charleroi, miniera di carbone Bois de Cazier, pozzo Saint Charles) non permise più di fingere ignorare il problema. La tragedia fu provocata nella corsa di risalita alla superficie da una gabbia, cui è stato malamente agganciato un carrello pieno di materiale di scavo. La gabbia, sbattendo contro le pareti del pozzo, sradica una putrella, trancia i fili della corrente elettrica e la condotta dell'olio. Le scintille innescano il fuoco che si propaga velocemente dal luogo dell'incidente alle impalcature di legno delle gallerie, involontariamente alimentato dai ventilatori che immettono aria nel pozzo e ne aspirano il gas. I minatori di turno quella mattina sono bloccati nelle gallerie senza possibilità di scampo. I soccorritori belgi, cui si sono aggiunti tedeschi e francesi, riescono a raggiungere il livello dove si è sviluppato l'incendio solo il 12 agosto, quattro giorni dopo l'incidente, e trovano una situazione peggiore di quanto potessero immaginare. Nelle gallerie non ci sono che cadaveri (quando è possibile riconoscerli come tali): corpi folgorati dal fuoco ancora nella posizione di lavoro, altri asfissiati dal grisou e dal fumo (1).
I minatori italiani che non sono tornati vivi da quel tragico pozzo sono 136, di cui ben 40 provenienti da Manopello, paese abruzzese in provincia di Chieti. Questa gigantesca catastrofe è l'emblema di centinaia di incidenti sul lavoro (2), rimasti tutti impuniti per la collusione fra le aziende estrattive e i periti tecnici che dovevano valutare le responsabilità del disastro: in definitiva, colpevoli della loro sorte erano solo gli operai, che avrebbero dovuto curarsi di più della loro incolumità.
Il 1956 è un anno tragico per gli italiani del Belgio, ma nello stesso tempo rappresenta una cesura periodizzante per la loro integrazione nella vita sociale del paese: "non sarà più possibile, dopo Marcinelle, disprezzare i macaroni come prima (A. Morelli, "Gli italiani del Belgio. Storia e storie di due secoli di migrazioni", Editoriale Umbra, Foligno, 2004). Questo evento sin da subito è percepito dalla coscienza collettiva come simbolico: dal canto "Marcinelle", composto dagli emigranti italiani sull'aria di "Sul ponte di Perati", emerge la volontà di non dimenticare i morti ("Sepolti ad uno ad uno/ complice oblio/ per lor vogliam riscossa e non addio"), che divengono l'emblema della voglia di riconoscimento sociale nel paese ospitante ("Morti di Marcinelle/ quella miniera/ non è più una tomba, ma una bandiera"). Questo evento ottiene grande risonanza nella stampa europea dell'epoca, che tenta di analizzare l'accaduto per individuare i responsabili e compie le prime inchieste sulle condizioni di vita e di lavoro degli immigrati in terra straniera. Sul Corriere della Sera, lo scrittore Dino Buzzati all'indomani dei fatti di Marcinelle pubblica un editoriale accorato e commosso, nel quale confronta la spensieratezza degli italiani in partenza per le ferie d'agosto
con l'angoscia delle famiglie dei loro connazionali rimasti intrappolati nella miniera di Bois du Cazier. (Questa sera, mentre tutta l'Italia dispone gli animi e le cose al Ferragosto, e le città già semideserte progressivamente si afflosciano in un'atmosfera spensierata, e anche i più gravi affari stranamente perdono la loro gravità -"D'accordo, allora, ne riparleremo al ritorno dalle ferie" – […] contemporaneamente a Bois du Cazier in Belgio, nell'inferno della miniera arroventata, si sta svolgendo la tremenda lotta per liberare i minatori rimasti chiusi dentro. E d'ora in ora le speranze cadono.) L'Italia degli anni Cinquanta, già proiettata verso la nuova stagione economica che troverà il suo compimento nel boom del decenniosuccessivo, sembra preoccuparsi poco del destino di chi, costretto da esigenze economiche e spinto dall'idea di trovare all'estero miglior fortuna, sceglie la via dell'emigrazione.
Nell'editoriale del 10 agosto apparso su Il Tirreno, Omar Pedrazzi si scaglia contro le facili recriminazioni di coloro che piangono una tragedia annunciata: le condizioni di lavoro dei minatori italiani in Belgio sono note già da molto tempo sia all'opinione pubblica che alla classe politica (Il perché è noto ai belgi come agli italiani. Le miniere non sono sicure, esse rappresentano un rischio tremendo per tutti coloro che vi lavorano e che soltanto il bisogno spinge a lasciarsi calare nelle tenebre dell'inferno). Eppure, non è strato fatto nulla per risolvere la situazione, né da parte del governo belga, pronto a tutelare solo gli interessi dei propri lavoratori e delle imprese estrattive nazionali, né da parte di quello italiano, desideroso di conservare le prerogative commerciali che l'accordo con Bruxelles prevedeva. L'unico modo per costringere le compagnie minerarie a dotare di sistemi di sicurezza adeguati i luoghi di lavoro, sarebbe stato quello di interrompere il flusso continuo di nuovi immigrati, sempre pronti a prendere il posto dei loro compagni ("Abbiamo perfino letto che la emigrazione dei minatori nel Belgio era stata proibita per mancanza di garanzie del paese di immigrazione. Invece il flusso è continuato […]. Se si vogliono davvero impedire tante morti di poveri nostri connazionali bisogna impedire che altri vadano a riempire i vuoti lasciati dagli ultimi morti).
Sotto processo, prima ancora degli imprenditori belgi, sembra essere il governo italiano, colpevole di sacrificare i propri cittadini "per un sacco di carbone". L'Italia, fino a Marcinelle, si è mostrata debole e impotente di fronte agli incidenti in miniera: non è riuscita a conseguire migliori condizioni di vita per gli operai, non ha impedito nuove partenze alla volta del Belgio e non ha neppure ottenuto che venisse fatta giustizia (Quante miniere sono state chiuse, quante compagnie sono state sciolte, quanti responsabili sono stati colpiti? Nessuno). La sua mancanza più grave, però, secondo Luigi Somma (ne Il Tirreno di martedì 21 agosto 1956), è quella di non spendere risorse sufficienti per risolvere il problema della disoccupazione (Dovremmo cercare di affrettare i tempi per quel tal piano di piena occupazione che sembra un poco l'Araba Fenice in quanto in che cosa consista tutti sanno e come si possa attuare nessuno dice).
Il fenomeno migratorio è, si potrebbe dire, considerato endemico: quella che per tante famiglie è stato un capitolo doloroso della propria storia personale, si trasforma per lo stato italiano in una risorsa vitale. In un colpo solo il governo risolve il problema di creare nuova occupazione, di dare una valvola di sfogo alle marginalità e di migliorare la situazione finanziaria del paese grazie alle rimesse dall'estero. Nonostante gli accordi bilaterali con il Belgio, la condizione dei lavoratori non è affatto tutelata; soprattutto, al di là delle promesse – poi disattese – di una sistemazione dignitosa, questi trattati non favoriscono una reale integrazione nel paese d'accoglienza (… L'emigrazione irreggimentata e sia pur selezionata "garantisce" il minimo, ma non "viola" l'ambiente che si crea, per forza di natura e di logica, intorno all'emigrato).
Questa opinione è aspramente contrastata dal giornale Le peuple, secondo cui la condizione discriminante in cui vivono gli immigrati italiani è dovuta a loro precise scelte:
non tutti sarebbero costretti a vivere ammassati negli alloggi messi loro a disposizione, alcuni potrebbero affittare case periferiche. Se non lo fanno, è perché essi considerano la loro permanenza in Belgio temporanea e dunque, per il tempo che rimarranno, preferiscono risparmiare il più possibile (L'italiano […] se avesse voluto, forse avrebbe trovato, ai margini delle tetre periferie industriali, una casetta e un giardino. Ma lo spostamento gli sarebbe costato e vuole risparmiare molto per restare il minor tempo possibile in Belgio). Inoltre, vivere in gruppo, per quanto possa creare disagio, allevia anche la solitudine e la nostalgia della propria terra (E poi si sarebbe trovato da solo, in mezzo a stranieri, mentre a lui piace sentire cantare nella sua lingua, mangiare le specialità della sua cucina e sfogarsi tra i suoi).

Il minatore italiano, secondo una parte della stampa belga, possiede la psicologia dell'uomo che passa, che non resterà: se non si è integrato nella società di accoglienza, quindi, la responsabilità è soprattutto sua.
Nel 1956 gli accordi del protocollo di Roma sono ufficialmente sospesi, ma nonostante questo sono ancora molti i giovani italiani che chiedono di emigrare in Belgio. Ciò che muta è l'area geografica di provenienza: se nell'immediato dopoguerra ad arrivare erano soprattutto veneti, negli anni Sessanta comincia l'afflusso massiccio dal Meridione e dalle isole. Rispetto al passato, anche i lavori offerti sono più diversificati: dopo cinque anni in miniera, gli italiani cominciano ad essere assunti come operai anche nella siderurgia e nelle costruzioni metalliche. Da questo momento comincia un lento processo di ascesa sociale, di cui hanno beneficiato i figli e i nipoti degli immigrati di prima generazione, ma ciò non toglie che ancora oggi gli italiani rimangano più numerosi, rispetto ai belgi, tra gli operai e nelle scuole professionali. Secondo Martiniello, questo accade non soltanto per una distanza sociale
ancora incolmata, ma anche per motivi logistici: infatti, la comunità italiana si è insediata soprattutto nei pressi dei bacini industriali e minerari, dove erano presenti unicamente scuole tecnico-professionali. Questo sembra confermato dal fatto che gli italiani di seconda generazione residenti a Bruxelles hanno un grado di istruzione maggiore rispetto ai loro coetanei che vivono in piccoli centri periferici.
Attualmente, nel sentire comune belga il gruppo etnico italiano è percepito come integrato nella società ospitante. Questo processo, iniziato con la tragedia di Marcinelle, ferita ancora aperta nella coscienza collettiva belga, è stato coadiuvato da due fattori: dalla presenza di una nuova sottoclasse etnica turco-marocchina e dalla formazione della Comunità Europea.
Man mano che i nostri connazionali riescono ad ottenere lavori più qualificati e meglio retribuiti, il loro posto nel sistema produttivo belga viene occupato da nuovi migranti provenienti in special modo da Turchia e Marocco. I belgi, avvertendo nei loro confronti una forte distanza culturale e religiosa, iniziano a rivalutare le radici cattoliche e latine che li accomunano agli italiani.
Inoltre il Belgio e l'Italia sono entrambi tra i paesi fondatori della CEE, cosa che consente alla comunità italiana di avere maggiori vantaggi sociali e politici e riconoscimenti giuridici rispetto agli altri immigrati "extra-comunitari".. Gli italiani, se da un lato hanno accettato lo stile di vita belga, dall'altro hanno modificato a loro volta le abitudini e la cultura materiale del paese di accoglienza: addirittura nel Limburgo, zona in cui si parla il fiammingo, ha avuto luogo un caso di assimilazione linguistica sui generis. Di fronte alla totale – o quasi – incomprensione della lingua autoctona, la popolazione locale venne in aiuto ai migranti imparando l'italiano. Citiamo, a questo proposito, una testimonianza raccolta nel 1996 durante un programma televisivo dedicato al cinquantenario degli accordi fra l'Italia e il Belgio e trasmesso dalla VRT, l'emittente della Comunità fiamminga: "Noi italiani qui non abbiamo mai potuto imparare perché alla mina i sorveglianti si sono fatti più forti di noi a parlare loro l'italiano, non noi il flamingo. I negozi, tutti commercianti hanno imparato subito la lingua italiana per poterci servire meglio, la farmacia lo stesso, il dottore uguale….e dove andavamo a imparare la lingua? Anche in chiesa andavi e c'era un missionario italiano che parlava l'italiano. Voglio dire, non era tanto facile per poter imparare …… e così è andato avanti fino a mo' ".
Come nota Anne Morelli, nelle zone minerarie della Vallonia sono cambiate in modo significativo le abitudini culinarie. Gli italiani hanno introdotto nuove piante negli orti (zucchine, peperoni, basilico, melanzane…) e hanno dato un nuovo impulso alla produzione vitivinicola.

Alcuni italiani hanno conquistato posti di rilievo nella canzone (Salvatore Adamo) o nello spettacolo (Pietro Pizzuti, Franco Dragone) ma è soprattutto nel mondo della letteratura che troviamo una forte presenza: vi sono oltre duecento libri pubblicati da autori italiani residenti in Belgio, fra cui ricordiamo Girolamo Santocono, Tilde Barboni, Nicole Malinconi e Francis Tessa.
L'integrazione degli italiani nella società belga, malgrado abbia presentato notevoli difficoltà, è sostanzialmente avvenuta, come dimostra il fatto che Maria Arena e Elio Di Rupo, figli di operai italiani, siano stati ministri socialisti del governo belga. Oggi sono altre le nazionalità che devono soffrire atteggiamenti xenofobi: turchi e marocchini vengono accusati, proprio come gli italiani di mezzo secolo fa, di essere sporchi, pigri, sfruttatori, umilianti con le donne, troppo religiosi… Purtroppo non è raro che anche i belgi di origine italiana – dimentichi del loro recente passato di immigrati indesiderati – si scaglino contro i nuovi arrivati, costringendoli a rivivere quelle esperienze umilianti che hanno dovuto subire non molto tempo fa i loro padri e nonni…
Laggiù nel borinage la terra è nera
per tutti gli emigranti morti in miniera
Sepolti ad uno ad uno
complice oblio
per lor vogliam riscossa e non addio

Venuti dalla morte
le braccia strette
Turiddu e Rodriguez gridan presente

Morti di Marcinelle
quella miniera
non è più una tomba, ma una bandiera

Compagno minatore
la tua memoria
riempie di coscienza la nostra storia.
Note

(1) Il grisou è una miscela di gas costituito da metano o altri idrocarburi omologhi (azoto, anidride carbonica e
ossigeno), che si forma spontaneamente nelle miniere di carbone; mescolandosi con l’aria diventa infiammabile
ed esplosiva. Solo dopo questo tragico incidente i minatori vennero dotati di maschere antigas.

(2) Nel decennio 1946 - 1956 sono morti circa un migliaio di lavoratori nelle miniere belghe, di cui 374 nel solo 1956.

envoyé par giorgio - 2/7/2010 - 08:12


Sono arrivato in Belgio ai primi di novembre del 1956 !!! cioe 57 anni fa avevo apena compiui 18 anni, vuol dire una vita certo come tanti nostri connazionali, il primo lavoro estato uno dei piu umili per l'essere umano in fondo nelle miniere di carbone fino a 1200 metri sotto terra , si sapeva che si scendeva , ma non si era mai sicuro di rivedere la luce del giorno ,compreso che avevo ottenuto la qualifica di capo reparto , contavo i gioni come i militari perche i nostri dirigenti Italiani insieme ai ministri Belgi anno preso un accordo per farci firmare dei contratti per lavorare in fondo delle miniere per 5 anni obligatorio , per poi potere ottenere un documento per la libera scelta di unaltro lavoro , questo documento si chiamava il permesso A :avendolo otenuto dopo questi lunghi anni ho potuto scegliere delle professione adequate alle mie capacita fino ad esebirmi per 35 anni la professione di Orefice-Orologiaio ecco una piccola parte della mia storia di ex minatore terminado la mia splendida carriera . Angelo Licata

angelocato@outlook.com - 28/10/2013 - 22:38




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