Lavi lente note
Fuochi macerano malattie di un luogo strano
Son candele sulla strada
Tra Macerata Feltria e Lunano
E grandine incombe sui pensieri
Nostre gambe legno vivo
Il paese che nuota nell'endogamia
Lascerà le ali al nostro arrivo
Seduti in fila ad aspettare
Di girare un vecchio film
Di girare un vecchio film
Che mai nessuno guarda
Che mai nessuno guarda
Canta amore finché puoi
Tanto ci ascoltiamo solo tra di noi
Il tempo libera dal giogo dei ricordi
Nostalgie da comunardi
Nubi non consuete bianche rose
Paion liete avvolte a vecchie case
e Sklero ulula: "Dove andiamo Arianna?"
Lui lo sa che noi siamo qui
Seduti in fila ad aspettare
Di girare un vecchio film
Di girare un vecchio film
Che mai nessuno guarda
Che mai nessuno guarda.
Fuochi macerano malattie di un luogo strano
Son candele sulla strada
Tra Macerata Feltria e Lunano
E grandine incombe sui pensieri
Nostre gambe legno vivo
Il paese che nuota nell'endogamia
Lascerà le ali al nostro arrivo
Seduti in fila ad aspettare
Di girare un vecchio film
Di girare un vecchio film
Che mai nessuno guarda
Che mai nessuno guarda
Canta amore finché puoi
Tanto ci ascoltiamo solo tra di noi
Il tempo libera dal giogo dei ricordi
Nostalgie da comunardi
Nubi non consuete bianche rose
Paion liete avvolte a vecchie case
e Sklero ulula: "Dove andiamo Arianna?"
Lui lo sa che noi siamo qui
Seduti in fila ad aspettare
Di girare un vecchio film
Di girare un vecchio film
Che mai nessuno guarda
Che mai nessuno guarda.
inviata da CCG/AWS Staff - 11/5/2010 - 20:23
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[2009]
Featuring Gianny Symbolo, ovvero Fabio Ghelli
Testo e musica di Davide Giromini
Album: Giromini Redelnoir, Ballate di fine comunismo
Recensione di Giorgio Maimone dalla "Brigata Lolli"
Giromini Redelnoir MySpace
"Questo lavoro nasce dalla mia vita notturna e dal bisogno di trovare un canale comunicativo per alcuni sfoghi personali. Nei miei lavori precedenti non ho mai messo in campo il mio 'io narrante', ma sempre mediata la mia visione del mondo attraverso altri personaggi usati allo scopo.
Riguardo alla fine del comunismo, che dire? Come mi fa notare la mia compagna, molto più giovane e rivoluzionaria di me, il nome 'fine' associato al comunismo può essere anche inteso come l'aggettivo di 'finezza'... E allora... un po' di finezza non guasta.
Finezza morale che ci dovrebbe distinguere dal tanto vituperato comunismo sovietico. Finezza intellettuale che ci permetta di pensare ad un mondo dove il denaro sia soltanto un 'mezzo' dato ad ognuno in egual modo per avere niente di più che una casa, una macchina e del cibo. Finezza di gusto estetico, che ci faccia escludere dai nostri bisogni primari i vizi del capitalismo che per troppo tempo hanno rincoglionito gli italiani di questa fine '900.
Fondamentale per questo lavoro è stato l'apporto del mio cantautore preferito, ovverio Fabio Ghelli, che si rifugia ad Osaka, in Giappone, e si nasconde dietro a vari pseudonimi. C'è un po' di lui in tutte le canzoni, sia nella composizione letteraria che nell'arrangiamento grazie ad un continuo scambio di file e opinioni via Internet.
È inoltre sua l'idea di tradurre Peremen dei Kino (gruppo new wave russo anni '80) per la quale ci hanno aiutato Ekaterina Ovchinnikova ed Edoardo Cavirani.
Un ultimo ringraziamento al compagno Ferri, forse la persona più vicina a me da un punto di vista ideologico-morale." - Davide "Darmo" Giromini, Re del Noir.
Lavinia Mancini: voce in "Peremen" , "L'odio", "Nouvelle Lunae tra Macerata Feltrie e Lunano","Poveri noi", "Re del Noir"
Fabio Ghelli: Voce e chitarra in "È crollato il comunismo anche in Italia" e "La marcia dei suicidi".
E inoltre
Mattia Ringozzi: voce e "do di petto" in "Ballata di comunismo fine"
Federico Bogazzi:voce narrante in "Poveri noi" da un film di Dino Risi
Alessandro Cucurnia degli Antica Lunae: Esraj ne "L'odio"
"Peremen" è la (parziale) resa italiana di Перемен dei Kino
di Riccardo Venturi.
Da qualche parte ci sarà pure qualche molecola rimasta di Guy Debord che, in certi momenti, si diletta di rifarsi viva in modi che si potrebbero definire pittoreschi. Però, stavolta, quella molecola è andata a sbattere forte sulle Alpi Apuane, rimbalzando sul Giromini. Me lo ricordo di persona, il Giromini Davide da Carrara, quando su un improbabile palco di un posto il cui nome ricorda la Vergate sul Membro di Stefano Benni, presentò timidamente la prima canzone che aveva interamente scritto e interpretato, Sottosopra [Inno darmico del cavatore]. In cava si sale, in miniera si scende. Quant’anni ormai, cazzo della madonna; viene spontaneo dirlo. E, appunto, dopo questi quant’anni, ad un dischetto stampato in pochi esemplari l’animaccia di Debord affida il compito di chiudere la partita, e di riaprirne un’altra. Non è possibile pensare altrimenti, anche se quel che passa per le Ballate di fine comunismo è puro Giromini.
Pur apprezzando la recensione “biellistica” di Giorgio Maimone, qui si vorrebbe fare un discorso molto, molto diverso. Lontano persino dal concetto di “canzone” e di “musica”; perché queste Ballate, un giorno, potrebbero essere intese come il punto del periodo iniziato da Debord con il suo libriccino. Denso, impervio e chiarissimo al tempo stesso, sconosciuto ai più pur essendo probabilmente l’opera scritta più importante della nostra epoca. Esattamente come questo piccolo album del Giromini, per l’occasione in veste di Re del Noir, resterà sconosciutissimo ai più pur essendo l’album più importante del neo-incetto ventunesimo secolo. Destino di ciò che è fondamentale. Ciò che è fondamentale è restio a farsi conoscere. Si fa conoscere, di solito, la merda più improponibile; solo che la merda puzza e basta, mentre ciò che davvero è importante scava. Le Ballate di fine comunismo scavano.
Non è a questo punto un caso che la prima canzone dell’album si chiami proprio Società dello spettacolo. Un riallaccio preciso, e un’introduzione a tutto il denso campionario di dimostrazioni, esemplificazioni e parallelismi che è quest’album. Ogni sua “canzone”, ogni sua ballata, se qualcuno se ne prenderà la pena, ha il suo esatto corrispondente nelle proposizioni debordiane. Debord aveva immaginato e Davide Giromini ha puntualizzato, e nella maniera più squisitamente semplice: descrivendo questo tempo. Il lasso di tempo prefigurato da Debord (e da Vaneigem, e dai Situazionisti interi) è passato, e tutto si è svolto con una regolarità da orologio svizzero. Giunti quindi alla fine del comunismo, instaurata la nuova dittatura, è tempo di fare –amaramente- il punto. Senza farlo, non si ricomincia.
Si sente dire in giro, e molto spesso nonostante il comunismo sia finito, che i tempi sarebbero maturi per una rivoluzione. La società dello spettacolo, naturalmente, ha volto tutto quanto in spettacolo: e la rivoluzione, o cosiddetta tale, ne è parte. Mi sembra, questa, la “piazza” dalla quale si diramano tutte le vie percorse dal Giromini in questo suo album. C'è via della Televisione e via della Musica; c'è via della Celebrità (che riecheggia, buffa e tragica al tempo stesso, una certa via della Povertà, anche col suo fare nomi e cognomi -compresa la Desolation) e via del Soprannaturale; tutte quante le vie che, come fossero una specie di tela di ragno, terminano in un'altra piazza, al di là. Oltre la stessa società dello spettacolo, verrebbe da dire. Lo spettacolo continuo, 24 ore su 24, di questa società “globalizzata” è oramai talmente connaturato con essa da aver assunto pienamente le funzioni di realtà; e, ai tempi in Debord scriveva, ancora non c'era la Rete. La Rete ha completato l'opera. Si potrebbe a questo punto ipotizzare che tutto sia terminato, e non solo il “comunismo”; restano soltanto le illusioni. Come comunarde, come dinamitarde attraversano la ragnatela delle vie da una piazza all'altra, consegnando un'ultima speranza da cogliere e da coltivare.
È il “fuoco rivoluzionario”, che chiude questo album-campionario (un album che vorrei tranquillamente definire matematico, o comunque scientifico per la sua capacità di analisi) che si rifiuta di spegnersi, che lavora per cancellare un secolo di prese per il culo. E si capisce bene, a questo punto, come mai Davide Giromini, da solo, sia approdato a nominarsi re del Noir. “Noir” come oscurità, come buio, come elemento necessario per far procedere la cospirazione delle coscienze, la ribellione, la rivolta. Potrebbe volerci dire, Davide, che la strada vera da percorrere per tutti noi, quella che taglia la ragnatela di pastoie in cui il potere ci ha sapientemente intrappolati spersonalizzandoci e facendoci assumere la sola funzione di comparse non pagate nello spettacolo (e comparse massacrate, sfruttate, controllate, disperate e al tempo stesso beatamente incoscienti della disperazione che ci attanaglia), è divenire -in quanto individui pensanti- re del Noir. Reimpadronirci del buio, ed in esso agire. Cosa che, ad una lettura attenta, peraltro già promana dal testo di Debord. Il quale scriveva alla vigilia di una rivolta, dando ad essa un contributo tanto decisivo quanto sottostimato. Ma non andremo verso “un nuovo '68” o cose del genere; andremo verso qualcosa che si sta plasmando, nel buio, e che promette di essere ben più terribile. Poi qualcuno, magari, un giorno di accorgerà di questo minuscolo album di canzoncine stampato in pochi esemplari da un giovane musicista d'una città che seppe, e magari ancora sa, essere solforosa. E s'interrogherà in mezzo al fuoco che divampa. [RV]