Ερωτικό τραγούδι (Παλικαρού - Παλικαρού)
Yannis Markopoulos / Γιάννης ΜαρκόπουλοςLingua: Greco moderno
Το κορμί πλαγιάζει στο χώμα και τα βουνά χαράζονται
σηκώνεις τον δεξί αγκώνα και τα νερά ταράζονται.
Παλικαρού-Παλικαρού-Παλικαρού ε! Παλικαρού,
Παλικαρού-Παλικαρού-Παλικαρού στην απαλάμη του Θεού.
Η κεφαλή στον Άθω γέρνει σαν το κρυφό μυστήριο ,
η μια σου χέρα βράχια σπέρνει στης Μάνης το μαρτύριο.
Παλικαρού-Παλικαρού στην απαλάμη του Θεού.
Αχόρταγο βαθύ πηγάδι ανοίγεται στα Κύθηρα
και στέλνει μήνυμα το βράδυ της ξάγρυπνης στη Μήθυμνα.
Τα γυμνά σου πόδια στην Κρήτη ακούμπησαν τον φοίνικα
κατέβηκα απ' τον Ψηλορείτη, σε φίλησα και γίνηκα.
Παλικαρού-Παλικαρού-Παλικαρού ε! Παλικαρού,
Παλικαρού-Παλικαρού-Παλικαρού στην απαλάμη του Θεού.
σηκώνεις τον δεξί αγκώνα και τα νερά ταράζονται.
Παλικαρού-Παλικαρού-Παλικαρού ε! Παλικαρού,
Παλικαρού-Παλικαρού-Παλικαρού στην απαλάμη του Θεού.
Η κεφαλή στον Άθω γέρνει σαν το κρυφό μυστήριο ,
η μια σου χέρα βράχια σπέρνει στης Μάνης το μαρτύριο.
Παλικαρού-Παλικαρού στην απαλάμη του Θεού.
Αχόρταγο βαθύ πηγάδι ανοίγεται στα Κύθηρα
και στέλνει μήνυμα το βράδυ της ξάγρυπνης στη Μήθυμνα.
Τα γυμνά σου πόδια στην Κρήτη ακούμπησαν τον φοίνικα
κατέβηκα απ' τον Ψηλορείτη, σε φίλησα και γίνηκα.
Παλικαρού-Παλικαρού-Παλικαρού ε! Παλικαρού,
Παλικαρού-Παλικαρού-Παλικαρού στην απαλάμη του Θεού.
inviata da Gian Piero Testa - 24/4/2010 - 15:03
Lingua: Italiano
Versione italiana di Gian Piero Testa
CANZONE D' AMORE (Palikaroù)
Il tuo corpo dorme disteso sulla terra e si delineano i monti all'alba
sollevi il gomito destro e si agitano le acque
Palikaroù - Palikaroù - Palikaroù eh ! Palikaroù,
Palikaroù - Palikaroù - Palikaroù in sua palma ti tiene Dio.
Il tuo capo è reclinato sull' Athos come insondabile mistero,
la tua mano semina rupi e scogli sul reliquiario di Mani.
Palikaroù - Palikaroù - Palikaroù in sua palma ti tiene Dio.
Un pozzo inesauribile e profondo si apre a Kithira
e manda un messaggio a Metimna la sera della veglia.
A Creta i tuoi piedi nudi si poggiarono alle fronde di palma
e io discesi dallo Psiloriti, ti baciai e venni al mondo.
Palikaroù - Palikaroù - Palikaroù eh ! Palikaroù,
Palikaroù - Palikaroù - Palikaroù in sua palma ti tiene Dio.
Il tuo corpo dorme disteso sulla terra e si delineano i monti all'alba
sollevi il gomito destro e si agitano le acque
Palikaroù - Palikaroù - Palikaroù eh ! Palikaroù,
Palikaroù - Palikaroù - Palikaroù in sua palma ti tiene Dio.
Il tuo capo è reclinato sull' Athos come insondabile mistero,
la tua mano semina rupi e scogli sul reliquiario di Mani.
Palikaroù - Palikaroù - Palikaroù in sua palma ti tiene Dio.
Un pozzo inesauribile e profondo si apre a Kithira
e manda un messaggio a Metimna la sera della veglia.
A Creta i tuoi piedi nudi si poggiarono alle fronde di palma
e io discesi dallo Psiloriti, ti baciai e venni al mondo.
Palikaroù - Palikaroù - Palikaroù eh ! Palikaroù,
Palikaroù - Palikaroù - Palikaroù in sua palma ti tiene Dio.
inviata da Gian Piero Testa - 27/4/2010 - 22:39
Sul giornale greco "To Vima" (La Tribuna) del 1° Maggio, si legge che, in Germania, una simpatica scrittrice, storica e matematica di nome Leonora Zeelingk (o Zeelig ?), stancatasi delle ingiurie che i suoi connazionali mandano alla Grecia a causa della Geld (cioè i ghelli, i schei, le palanche, le svanziche) che bisogna prestarle per tirarla fuori dal buco, ha lanciato la proposta che ogni europeo versi alla Grecia 5 centesimi ogni volta che abbia bisogno di usare una parola greca o venuta dalla Grecia. Vorrebbe fare capire che il debito della Grecia verso l'Europa è sì madornale, ma anche quello dell'Europa verso la Grecia è piuttosto consistente... Solamente per queste righe dovrei già versare 25 centesimi, se ho contato bene.
Gian Piero Testa - 3/5/2010 - 17:42
Nella mia specie di “furore” di oggi verso l'Ελληνικό Τμήμα, mi accorgo solo oggi di questo commento di (gpt) di quasi tre anni fa; ma poiché questo è, in gran parte, un sito che si fa beffe del tempo che passa, non posso fare a meno di una piccola risposta.
Mi ricordo peraltro anch'io della proposta della professoressa tedesca; certo che sarebbe stata interessante. Però risente, come forse è ovvio, di una “certa idea” della Grecia che è tipica proprio...dei tedeschi. I quali, senz'altro, sono stati storicamente gran classicisti e massime gran grecisti, però fermandosi generalmente (a parte qualche eccezione, come quella di Albert Thumb) alla lingua classica o, al massimo, neotestamentaria e/o bizantina. Della lingua moderna, i tedeschi ignorano pressoché tutto (come, del resto, e ahimé, un po' tutti quanti; persino i greci stessi, direi).
Seguendo il principio della professoressa Zeelingk, prima o poi ai poveri greci toccherebbe restituire gran parte degli introiti. E' pur vero che tutte le lingue europee devono una buona parte del lessico culturale e scientifico al greco, ma è una cosa che non è nata affatto in Grecia. Anzi, la maggior parte delle “parole greche” che utilizziamo sono nate negli ambienti culturali europei (e, spessissimo, proprio in Germania...) e sono state poi riprese in un secondo tempo in Grecia. Si tratta, naturalmente, di un argomento assai complesso e che non può essere esaurito in poche righe; ma soltanto con l'avvento della καθαρεύουσα e con la formazione di un lessico scientifico, in Grecia sono state riprese centinaia di parole già nate altrove, certamente formate con elementi di origine greca ma soltanto in minima parte già utilizzate nell'antichità classica.
A questo si deve aggiungere che, nella Grecia che rinasceva dopo l'Indipendenza, l'influenza tedesca fu enorme. Non tanto per i prestiti diretti dal tedesco (che sono pochissimi, anche perché non si adattano certo alla fonologia e alla morfologia greca; e sono tutti, comunque, più moderni come κραχ “crac finanziario”, λάιτ-μοτίβ “Leitmotiv”, προτσές “processo, iter”), quanto per le centinaia di calchi, vale a dire traduzioni dirette dal tedesco. Quando in greco si dice κοσμοθεωρία, è la traduzione esatta di “Weltanschauung”; κοσμοïστορικός viene da “welthistorisch”; σιδηρόδρομος, come l'italiano “ferrovia”, è la traduzione di “Eisenbahn”; e così via. In questo modo, i tedeschi avrebbero il diritto perlomeno di una trattenuta alla fonte, per così dire.
Ad ogni modo, sempre secondo il principio della professoressa Zeelingk, i greci dovrebbero pagar dazio a parecchi altri paesi, per le parole della loro lingua. Alla Turchia dovrebbero cifre enormi, e va anche detto che le parole di origine turca hanno dato al greco moderno una buona parte del suo carattere particolare: γλέντι, κέφι, αφέντης, μπόι, τζάκι... Un altro po' di centesimi dovrebbero essere pagati all'Italia, e in particolare al Comune di Venezia: πόρτα, βάρκα, μπράβο, πετσέτα, κομπάρσος, μπαλέτο... e lo stesso vale per l'inglese, per il francese; insomma, il greco moderno è una lingua lessicalmente composita come lo sono tutte le altre. Sicuramente è la “culla” di molto del lessico “elevato” delle lingue europee, dove spesso è stato preferito ricorrere alle basi greche invece che servirsi di quelle autoctone; ma sono basi “greche” soltanto in apparenza, almeno in gran parte.
Mi ricordo peraltro anch'io della proposta della professoressa tedesca; certo che sarebbe stata interessante. Però risente, come forse è ovvio, di una “certa idea” della Grecia che è tipica proprio...dei tedeschi. I quali, senz'altro, sono stati storicamente gran classicisti e massime gran grecisti, però fermandosi generalmente (a parte qualche eccezione, come quella di Albert Thumb) alla lingua classica o, al massimo, neotestamentaria e/o bizantina. Della lingua moderna, i tedeschi ignorano pressoché tutto (come, del resto, e ahimé, un po' tutti quanti; persino i greci stessi, direi).
Seguendo il principio della professoressa Zeelingk, prima o poi ai poveri greci toccherebbe restituire gran parte degli introiti. E' pur vero che tutte le lingue europee devono una buona parte del lessico culturale e scientifico al greco, ma è una cosa che non è nata affatto in Grecia. Anzi, la maggior parte delle “parole greche” che utilizziamo sono nate negli ambienti culturali europei (e, spessissimo, proprio in Germania...) e sono state poi riprese in un secondo tempo in Grecia. Si tratta, naturalmente, di un argomento assai complesso e che non può essere esaurito in poche righe; ma soltanto con l'avvento della καθαρεύουσα e con la formazione di un lessico scientifico, in Grecia sono state riprese centinaia di parole già nate altrove, certamente formate con elementi di origine greca ma soltanto in minima parte già utilizzate nell'antichità classica.
A questo si deve aggiungere che, nella Grecia che rinasceva dopo l'Indipendenza, l'influenza tedesca fu enorme. Non tanto per i prestiti diretti dal tedesco (che sono pochissimi, anche perché non si adattano certo alla fonologia e alla morfologia greca; e sono tutti, comunque, più moderni come κραχ “crac finanziario”, λάιτ-μοτίβ “Leitmotiv”, προτσές “processo, iter”), quanto per le centinaia di calchi, vale a dire traduzioni dirette dal tedesco. Quando in greco si dice κοσμοθεωρία, è la traduzione esatta di “Weltanschauung”; κοσμοïστορικός viene da “welthistorisch”; σιδηρόδρομος, come l'italiano “ferrovia”, è la traduzione di “Eisenbahn”; e così via. In questo modo, i tedeschi avrebbero il diritto perlomeno di una trattenuta alla fonte, per così dire.
Ad ogni modo, sempre secondo il principio della professoressa Zeelingk, i greci dovrebbero pagar dazio a parecchi altri paesi, per le parole della loro lingua. Alla Turchia dovrebbero cifre enormi, e va anche detto che le parole di origine turca hanno dato al greco moderno una buona parte del suo carattere particolare: γλέντι, κέφι, αφέντης, μπόι, τζάκι... Un altro po' di centesimi dovrebbero essere pagati all'Italia, e in particolare al Comune di Venezia: πόρτα, βάρκα, μπράβο, πετσέτα, κομπάρσος, μπαλέτο... e lo stesso vale per l'inglese, per il francese; insomma, il greco moderno è una lingua lessicalmente composita come lo sono tutte le altre. Sicuramente è la “culla” di molto del lessico “elevato” delle lingue europee, dove spesso è stato preferito ricorrere alle basi greche invece che servirsi di quelle autoctone; ma sono basi “greche” soltanto in apparenza, almeno in gran parte.
Riccardo Venturi - 2/4/2013 - 00:35
Nulla da eccepire alle precisazioni filologiche di Riccardo. Il greco che si parla e si scrive è una lingua bastarda, come giustamente sono tutte quante le lingue; e il gioco dei risarcimenti scommetto anch'io che comporterebbe il pareggio finale dei bilanci. Ci si potrebbe divertire a comporre testi neogreci solo con parole italiane, o solo turche, o solo francesi.
Se, dal canto nostro, noi non potremmo stampare attendibili pagelle scolastiche, ove prescindessimo dalle materie di studio denominate in greco, i greci non potrebbero navigare, abbigliarsi, cucinare, fare la guerra, cantare e ballare se li costringessimo (come per molto tempo le loro classi dirigenti pretesero imponendo la καθαρεύουσα) a usare solo parole riconducibili a loro, che peraltro possiedono, ma del tutto mummificate.
La più bella parola non greca costruita con ingredienti greci, io credo che sia "nostalgia": la sofferenza (àlgos) indotta dal desiderio del ritorno (nòstos). La coniò mi pare nel XVIII secolo un medico della marina da guerra francese, che studiava lo stato psicologico dei marinai quando venivano sopraffatti dalle interminabili assenze da casa.
Ma come l'avrebbe scritta, Vassilis Tsitsanis, una canzone come Χατζή - Μπαξές ( Μπαξέ-Tσιφλίκι ), senza tutto il turco ancora impigliato, nel 1948, nei toponimi e tra le labbra dei Greci di Salonicco?
Certo, non era ispirata alla filologia la provocazione della professoressa tedesca: voleva ricordarci che le nostre reciproche dipendenze culturali dovrebbero renderci meno sbrigativi e pregiudiziali, quando ci affrontiamo con le facili armi dei luoghi comuni.
Se, dal canto nostro, noi non potremmo stampare attendibili pagelle scolastiche, ove prescindessimo dalle materie di studio denominate in greco, i greci non potrebbero navigare, abbigliarsi, cucinare, fare la guerra, cantare e ballare se li costringessimo (come per molto tempo le loro classi dirigenti pretesero imponendo la καθαρεύουσα) a usare solo parole riconducibili a loro, che peraltro possiedono, ma del tutto mummificate.
La più bella parola non greca costruita con ingredienti greci, io credo che sia "nostalgia": la sofferenza (àlgos) indotta dal desiderio del ritorno (nòstos). La coniò mi pare nel XVIII secolo un medico della marina da guerra francese, che studiava lo stato psicologico dei marinai quando venivano sopraffatti dalle interminabili assenze da casa.
Ma come l'avrebbe scritta, Vassilis Tsitsanis, una canzone come Χατζή - Μπαξές ( Μπαξέ-Tσιφλίκι ), senza tutto il turco ancora impigliato, nel 1948, nei toponimi e tra le labbra dei Greci di Salonicco?
Certo, non era ispirata alla filologia la provocazione della professoressa tedesca: voleva ricordarci che le nostre reciproche dipendenze culturali dovrebbero renderci meno sbrigativi e pregiudiziali, quando ci affrontiamo con le facili armi dei luoghi comuni.
Gian Piero Testa - 2/4/2013 - 18:16
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Στίχοι: Κ.Χ Μύρης
Μουσική: Γιάννης Μαρκόπουλος
Πρώτη εκτέλεση: Νίκος Ξυλούρης
Ιθαγένεια - 1972
Testo di K.H. Miris
Musica di Yannis Markopoulos
Prima esecuzione di Nikos Xylouris
"Ιθαγένεια" (Indigenato) - 1972
Me lo fate passare questo canto d'amore di tre Greci e mezzo (il mezzo sono io; ma se ci sta anche Riccardo, saranno quattro) per la Grecia ? Io penso di sì. Il testo è di K.H. Miris (che non è cretese, ma di Lamia, Ftiotide, e che, nella veste di profondo studioso del teatro antico e contemporaneo, si firma con il suo vero nome di Κώστας Γεωργουσόπουλος, Kostas Gheorgousopoulos), la musica è di Yannis Markopoulos e la voce è del compiantissimo Nikos Xylouris (e i due ultimi sono cretesi autentici). Si tratta di tre artisti che AWS ospita volentieri; e Riccardo ha curato con particolare passione le pagine dedicate al loro Χρονικό (vedi la prima di esse).
In questi giorni grami, in cui vengono dipinti quasi come mendicanti che girano per il mondo a mano tesa, come augurava loro Andreas Kalvos se non avessero fatto il loro dovere per liberarsi dai Turchi, mi sembra giusto che anche da parte nostra si ricordino i Greci per quello che hanno saputo essere, anche se negli ultimi decenni si sono permessi, come tutti, qualche sbornia di benessere consumistico. La canzone è un concentrato di orgoglio "indigeno", ma soprattutto è bella e interpretata splendidamente, con le sue sonorità e fraseggi cretesi, dal grandissimo Xylouris. Io non so se da noi si riuscirebbe a farne una simile, in equilibrio perfetto tra sobrietà e retorica. Forse noi, la nostra "indigenità" non l'abbiamo mai sentita, e se ci provassimo, ne verrebbe la solita fanfaronata. Non ho cercato di tradurre "palikaroù", che è il palikari-donna: significa coraggiosa, valorosa, indomabile, orgogliosa, ecc. ; ma ognuno dei significati non vale, se non ingloba anche gli altri. Per questo l'ho lasciata com'è.(gpt)