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Luoghi comuni (Una cantata irrisolta)

Riccardo Venturi
Langue: italien


Riccardo Venturi

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[1985]
Poemetto di Juan Rodolfo Wilcock (1961)
Musica di Stefano Gaffaelli Mannelli
Interpretazione di Riccardo Venturi, perduta e rifatta

Juan Rodolfo Wilcock.
Juan Rodolfo Wilcock.
Juan, Riccardo e un bluff d'amore
di Riccardo Venturi

Quella che segue è la storia di un bluff, e non possono esserci mezze parole per definirlo. Una storia particolare che vado, appunto, a raccontare (o a confessare). Bisogna tornare un po' indietro, ai tempi della mia adolescenza.

L'adolescenza è, per natura, l'età della poesia. Non soltanto dei goffi tentativi di scrittura che caratterizzano tutti gli adolescenti, ma della "scoperta dei poeti". In questo giocano un ruolo decisivo quelli poco noti, trascurati, sconosciuti, dimenticati; per il sottoscritto, l'argentino (poi naturalizzato italiano) Juan Rodolfo Wilcock fu a dir poco decisivo. Ancora adesso, quella bizzarra e geniale figura di sotterraneo giocoliere della parola e di fabbricatore di aforismi acuminati rappresenta un punto fermo. Cambiò pelle e lingua; dopo aver fatto parte della cerchia di Jorge Luis Borges, negli anni '50 si trasferì in Italia cominciando a scrivere racconti, romanzi e poesie in un italiano ad un tempo stesso perfetto e ricreato; e poiché continuava (nonostante la pubblicazione integrale effettuata dall'importante casa editrice Adelphi) a restare sconosciuto, divenne per me e per la mia adolescenza come una sorta di "bandiera". Ci ritrovavo tutto, in quel suo modo di scrivere fatto di assurdità elevate a compìta normalità, di pacata sovversione delle strutture del linguaggio, di affrontare l'ignoto di tutti i giorni come se fosse qualcosa a metà tra la meraviglia dell'infinito e una lettera commerciale, o tra un reportage di costume (Wilcock fu anche un giornalista di costume tra i migliori) e i recessi dell'animo. Ci fu, poi, "Luoghi Comuni".

"Luoghi Comuni" è un poemetto che Wilcock scrisse nel 1961. La sua personale storia dell'umanità, o, volendo, la sua "Odissea nello spazio"; non a caso pubblicò i suoi primi tentativi letterari in italiano proprio su "Futuro", una rivista di fantascienza. Quando, acquistato il volume delle sue poesie, la lessi per la prima volta, avvenne uno di quei rarissimi, e forse unici, episodi di identificazione totale; episodi che, come è piuttosto logico, presuppongono l'impossibilità (da parte di chi si identifica) di arrivare mai a scrivere una cosa del genere. È l'ammissione e la presa di coscienza che un'altra persona ha detto certe cose in un modo in cui tu vorresti, ma di cui non sei e non sarai mai capace. E allora, in questi casi unici (e lo è stato, fortunatamente, unico) scatta l'estrema appropriazione.

Per anni e anni ho fatto passare "Luoghi Comuni", in rete e altrove, come scritto da me. Approfittando ovviamente del fatto che Juan Rodolfo Wilcock persisteva nella sua generale sconosciutezza. Un bluff, appunto, ma un bluff d'amore spinto fino alle estreme conseguenze. Nel 1985, assieme ad un mio caro amico, Stefano "Gaffaelli" Mannelli (il "Gaffaelli" tra virgolette deriva dal fatto che l'ho conosciuto con questo cognome, che poi mutò legalmente in "Mannelli" per motivi che non sto a spiegarvi), durante una serata non poco alcolica in quello che era il mio primitivo bugigattolo ipogeo, "Luoghi Comuni" fu messa in musica, cantata dal sottoscritto (con totale improvvisazione) e registrata su una stereocassetta BASF che esiste ancora, ma che è oramai totalmente rovinata e inascoltabile. In un certo senso, quella messa in musica, quel trasformare i versi di Wilcock in canzone (o "cantata") fu l'atto ultimo dell'appropriazione, che giuridicamente può ben chiamarsi furto. Diventava "mia" perché attraverso la mia voce cominciava un viaggio parallelo, protrattosi fino ad oggi 7 marzo 2010.

Arrivata Internet, anche "Luoghi Comuni" vi fu catapultata. Nel periodo, irripetibile e mal terminato, delle "Piole" (le riunioni tra i partecipanti ad alcuni newsgroup e mailing list dedicate a Fabrizio de André ed altri cantautori), me fu organizzata una a Livorno, dove allora abitavo, dedicata a Piero Ciampi. Fu proprio allora che "Luoghi Comuni", a mio nome, fu "catturata" dalla Brigata Lolli ed inserita nei "Deliri"; cosa quantomai appropriata, visto che di un vero e proprio delirio si sta parlando. La stereocassetta con la registrazione originale, allora ancora ascoltabile, fu in parte riversata su quella pagina; ma il link è andato perduto definitivamente. Ho in mente che, forse, tutta questa storia non sarebbe poi poi dispiaciuta a Wilcock, uno che si permise di partire da questo mondo nella sua casa di Lubriano, in provincia di Viterbo, esattamente nello stesso giorno del rapimento di Aldo Moro (il 16 marzo 1978) venendo confinato in trafiletti di poche righe, su qualche giornale, in mezzo alle paginate dedicate allo statista democristiano e all'uccisione della sua scorta. Cominciai a conoscere Wilcock nemmeno due mesi dopo la sua morte, quando ancora le notizie biografiche sui libri non ne davano conto. In seguito sono arrivato persino a immaginare che, in qualche modo, mi avesse come voluto passare il testimone. Un testimone di non si sa cosa, certamente.

Oggi è arrivato il momento di risolvere questa "cantata irrisolta". In primo luogo ristabilendone il vero autore, ché in rete si trovano sì notizie al riguardo ma l'unico testo completo è quello della "Brigata Lolli" a mio nome. In secondo luogo perché questa "cantata" non cessa e non cesserà mai di essere quel che è: una discesa lievemente vertiginosa in tutto ciò che siamo stati, siamo e saremo. In ogni sua parola si trova una visione apparentemente distaccata, ma straordinariamente fendente, della nostra essenza come esseri umani, della nostra Storia, della nostra Vita; e proprio per questo chiede di non essere messa in nessun "Extra". Un giorno o l'altro, visto che della musica mi ricordo benissimo, chissà che non mi capiti di registrarla ancora (specie se Stefano Mannelli leggesse queste righe). E me ne vado ancora una volta a braccetto con Juan Rodolfo, accettando i suoi eventuali nocchini e le sue eventuali rampogne per il tiro d'amore che gli ho giocato per un bel po' di anni, trasferendo sì "i luoghi in altre località". [RV]
1. Il Poeta Solitario


Ogni mattina all'alba questa luce di viole
Suscitando profumi nei giardinetti immobili
Si riversa dai tetti sulle prime automobili
E accende i vetri rotti sparsi fra le aiole;
Sugli alberi gli uccelli che dormivano tranquilli
Si svegliano e si salutano con delicati strilli...
È il momento migliore del mondo materiale
Che rinasce lavato dalla notte spirituale
Dai rami polverosi scende qualche soffio di vento
E il poeta solitario, fisicamente contento
Passeggia per le strade, come Adamo il primo giorno
Guardando attorno al suo nuovo soggiorno
E inserendolo nel suo ragionamento,
Mentre ascolta le voci più o meno profonde
Con cui il mondo a se stesso risponde.

2. Ali Turchine


A chi giova il piacere dei sensi? All'intelletto,
Che d'altronde sopporta dolori e infermità
Indipendentemente dalla sua capacità
Di godimento proprio; perché non è perfetto
E sfoggia carne e peli come gli altri animali,
Senza mai liberarsi dagli ingombri carnali,
Senza essere del tutto lieto e neppure del tutto abbietto;
Lui che sognò di volare sul mare senza confine
Con dietro le spalle un paio d'ali turchine...

3. Anima e Corpo


Forse l'anima è divina, ma non è indispensabile
Quanto il corpo in cui dimora e che è la sua cagione;
Dalla prima infanzia in poi questo corpo è la prigione
Dell'anima che fermenta come una massa malleabile
Per finalmente impietrirsi nelle forme più strane,
Dall'uccello melodico fino alle peggiori iguane;
Ma sempre scomodissima perché non riesce a uscire
Da un corpo inadeguato e sempre meno forte,
Il che provoca disordini difficili da guarire,
Le complicate nevrosi che accelerano la morte.

4. Quel che Non Sarà


Nella sua culla maleodorante il bambino allunga la mano
Per prendere qualche oggetto di solito troppo lontano
Che la sua mente nebbiosa considera interessante;
Ed è tutte le persone possibili in quell'istante.
Poi, col tempo, andrà escludendo molte personalità,
Rifiutando o trascurando migliaia di possibilità:
Non sarà prete né artista, né meccanico d'officina,
Non sarà un esploratore né emigrerà in Palestina,
Nemmeno sarà la copia di una persona esistita,
Come ogni essere del mondo dovrà vivere la sua vita.

5. Darwinismi e Sofismi


L'uomo che ha trasformato il lupo in cagnolino,
Che fabbrica lune false e aerei a reazione,
Sarà davvero risultato di una lenta evoluzione?
La distanza che c'è fra lui e il penultimo gradino
È assai più grande di quella fra quest'ultimo e i precedenti,
Oltre al fatto che la sua scala svolta in altra direzione.
Ad ogni modo, all'origine di questi ragionamenti
Sussistono due sofismi che ne invalidano la conclusione:
L'uno, l'errore scientifico d'ordinare gli oggetti
Per poi tirare le somme dall'ordine a cui son soggetti,
E l'altro, l'errore storico d'introdurre immutato
Il punto di vista contemporaneo nel più remoto passato
Trascurando l'influenza di qualche circostanza
Che forse in altre epoche ebbe speciale importanza.

6. Sensi


Nonostante i trionfi della scienza applicata
Gli strumenti migliori per osservare l'universo
Sono ancora la penetrante lampada del verso,
La musica, la voce di una gola privilegiata,
Oppure nella penombra delle candele sparse
Il pulpito cosmatesco di diorite incrostata;
Qualsiasi luce indicante dove un pensiero arse,
Semplici torce o splendidi lampadari,
Monasteri carpatici tra i boschi secolari,
Rune d'Islanda con princìpi bruschi,
Falli d'ambra nella foresta, sarcofaghi etruschi.
Alla luce di questi lumi l'uomo si muove più sicuro,
Vede i tramonti, vede le rive del mare,
E pronuncia parole il cui senso oscuro
Gli si comincia alfine a rivelare.

7. Lumi


Per l'uomo arrivato a una certa età
L'uso di questi lumi diventa necessità.
Da giovani non ci avevano detto di prepararci a questo,
Che d'altronde non era previsto da nessuna teoria:
Non una sfilata trionfale, nemmeno un convito modesto,
Bensì un funerale di quarta categoria
Davanti a qualche fondale dipinto da dilettanti
Fra i praticabili tremolanti.
Dobbiamo pertanto cercare una scenografia migliore
E nel buio del caos lasciarci illuminare
Dall'anello di bronzo col suo profilo di signore,
Dalla tomba con scene di picnic o di amore,
O l'auriga che fustiga i cavalli del mare
Fra vegliardi che suonano il flauto nostalgicamente;
Qualunque cosa sottratta dal lume della mente
Al tempo rotatorio, allo spazio fluente.

8. Determinazione


L'idea che ci facciamo dello spazio non differisce
Dall'idea che se ne fa la maggioranza della gente,
Ma è puramente mentale e con la mente sparisce
Per esempio sotto l'azione delle eccitazioni violente.
L'uomo sa muoversi da solo, orientarsi topograficamente
E trovarsi coi suoi simili in luoghi determinati,
Adoperando la ragione e i sensi combinati;
Così traccia labirinti sulla faccia della terra
E sovrappone i suoi passi a quelli dei suoi antenati
Che come lui cercavano femmine, cibo, e talvolta guerra.

9. Il Tempo


La nostra idea del tempo è ineffabile
E quella che ci vien proposta è quasi sempre puerile,
Sia il tempo statico che quello misurabile,
Quello che scorre all'inverso o il semplice tempo civile;
Nessuna di queste ipotesi riesce abbastanza universale,
Se si pensa, per esempio, ad un morto o a un animale;
Poiché la soluzione del problema la si trova in fondo a noi stessi,
Non è facile scendere a questi recessi
In cui il tempo della materia e il tempo della coscienza
Non conservano la stessa corrispondenza;
Infatti non conservano alcuna relazione
Accessibile alla comprensione.

10. Envoi


Trenta secoli dopo il viaggio di Odisseo
I turisti percorrono le grotte del Circeo
Senza trovarvi traccia della fattucchiera isterica
Né un relitto assegnabile all'età preomerica.
E non serve spiegare che l'isola non è tale
Bensì un monte isolato sulla costa laziale,
E che, tutto sommato, cercare l'orma della fata
È un modo come un altro di passare la giornata,
Perché il tempo, come un ghiacciaio, trascina senza pietà
I luoghi, e li trasferisce in altre località.

7/3/2010 - 13:24




Langue: français

Version française – LIEUX COMMUNS – Marco Valdo M.I. – 2010
Chanson italienne – Luoghi Communi – Riccardo Venturi
empruntée à Juan Rodolfo Wilcock

Juan Rodolfo Wilcock.
Juan Rodolfo Wilcock.

Ah, dit Lucien l'âne tout joyeux, une chanson de Riccardo Venturi...

Si tu veux, dit Marco Valdo M.I., si tu veux Lucien mon ami. On peut dire les choses comme çà. Mais Riccardo Venturi lui-même dit qu'il l'a tirée de Juan Rodolfo Wilcock – au moins pour le texte. Wilcock est un poète argentin, qui dut fuir la dictature péroniste et se réfugia en Italie où il devint un écrivain italien. R.V. A été – au temps de sa jeunesse folle - tellement impressionné ou ensorcelé par cet écrivain, qu'il lui prit ce texte et en fit une chanson qu'il s'attribua entièrement. Erreur de jeunesse, hallucination, identification majeure, allez savoir. Elle fut donc enregistrée comme telle – il y a bien des années et attribuée de fait à R.V., qui dans son introduction , nous dévoile le pot aux roses...

Il s'en passe des choses dans ces lieux étranges de la poésie et de la chanson..., dit Lucien l'âne quand même un peu réjoui de l'aventure...

Ainsi Parlaient Marco Valdo et Lucien Lane
LIEUX COMMUNS

1. Le Poète solitaire


Chaque matin à l'aube cette lumière de violettes
Réveillant les parfums des jardinets immobiles
Se renverse des toits sur les premières automobiles
Et allume les vitres brisées répandues sur les parterres;
C'est le meilleur moment du monde matériel
Qui renaît lavé de la nuit spirituelle
Des branches poudreuses descend un souffle de vent
Et le poète solitaire, physiquement content
Se promène par les rues, comme Adam le premier jour,
Faisant le tour de son nouveau séjour
L'insère dans son nouveau jugement
Tout en écoutant les voix plus ou moins profondes
Avec lesquelles le monde se répond à soi-même.

2. Ailes marines


À qui sourit le plaisir des sens ? À l'intellect,
Qui par ailleurs supporte douceurs et infirmités
Indépendamment de sa capacité
de jouissance propre; car il n'est pas parfait
Et fait de chair et de poils comme les autres animaux,
Sans jamais se libérer des contingences charnelles,
Sans être vraiment agréable ni vraiment abject;
Lui qui rêve de voler sur la mer sans frontières
Avec au dos deux ailes marines...

3. Âme et corps


L'âme est peut-être divine, mais elle n'est pas indispensable
Autant que le corps qui est sa demeure et sa prison ;
Depuis la prime enfance, ce corps est la prison
De l'âme qui fermente comme une masse malléable
Pour finalement se pétrifier dans les formes les plus étranges.
De l'oiseau mélodieux aux pires iguanes ;
Mais toujours mal à l'aise car elle n'arrive pas à sortir
D'une corps inadéquat et toujours moins fort,
Ce qui provoque des désordres difficiles à guérir,
Les névroses complexes qui accélèrent la mort.

4. Ce qu'il ne sera pas


Dans on berceau malodorant, le bébé allonge la main
Pour prendre un objet comme d'habitude trop éloigné
Que son cerveau embrouillé considère intéressant;
Et à cet instant, il est toutes les personnes possibles.
Puis, avec le temps, s'excluront de nombreuses personnalités :
Refusant ou ignorant des milliers de possibilités :
Il ne sera pas prêtre ni artiste, ni mécanicien
Il ne sera pas explorateur et il n'émigrera pas en Palestine,
Il ne sera même pas la copie d'une personne existante,
Comme tout être au monde, il devra vivre sa propre vie.

5. Darwinismes et sophismes


L'homme qui a transformé le loup en petit chien
Qui fabrique de fausses lunes et des avions à réaction,
Serait-il vraiment le résultat d'une lente évolution ?
La distance qui le sépare de l'avant dernier degré
Est tellement plus grande que celle qui sépare ce dernier des précédents.
Outre le fait que sa marche part dans une autre direction,
De toute manière, à l'origine de ces raisonnements
Subsistent deux sophismes qui en invalident la conclusion :
L'une, l'erreur de ranger les objets
Et de tirer ensuite la somme de l'ordre auxquels ils sont soumis;
et l'autre, l'erreur historique d'introduire inchangé
Le point de vue contemporain dans le plus lointain passé
Ignorant l'influence de circonstances
Qui peut-être à une autre époque eurent une importance.

6. Les Sens


Nonobstant les triomphes de la science appliquée
Les instruments les meilleurs pour observer l'univers
Sont encore la lampe pénétrante du vers,
La musique, la voix d'une gorge privilégiée,
Ou bien dans la pénombre des chandelles éparpillées
La chaire cosmatesque de diorite encroûtée;
N'importe quelle lumière indiquant où une pensée brûle,
Simples torches ou splendides lampadaires,
Runes d'Islande à la naissance rugueuse,
Phallus d'ambre dans la forêt, sarcophages étrusques,
À la lumière de ces lueurs, l'homme se meut plus sûr,
Il voit les crépuscules, il voit les rives de la mer,
Et il prononce des mot dont le sens obscur
Commence enfin à se révéler.

7. Lumières


Pour l'homme arrivé à un certain âge
L'usage de ces lumières devient nécessité
Jeune, on ne lui avait pas dit de se préparer à cela,
Qui d'autre part n'était prévu par aucune théorie :
Ce n'est pas un défilé triomphale, ni même un modeste banquet,
Mais bien des funérailles de quatrième catégorie
Devant un décor peint par des dilettantes
Entre des praticables tremblants.
IL faut dès lors chercher une meilleure scénographie
Et dans l'ombre du chaos nous illuminer
De l'anneau de bronze avec son profil de seigneur,
De la tombe avec des scènes de picnic ou d'amour,
Ou l'aurige qui fouette les chevaux de la mer,
Au milieu des vieillards qui jouent nostalgiques de la flûte;
Toute chose tirée de la lumière de l'esprit
Au temps giratoire, à l'espace coulant.

8. Detérmination


L'idée que nous nous faisons de l'espace ne diffère pas
De l'idée que s'en font la majorité des gens,
Elle est purement mentale , et elle disparaît avec l'esprit
Par exemple sous l'action d'excitations violentes
L'homme sait se déplacer, s'orienter topographiquement
Et se retrouver avec ses semblables en des lieux déterminés,
En combinant sa raison et ses sens ;
Il trace ainsi des labyrinthes sur la face de la terre
Et superpose ses pas à ceux de ses ancêtres
Qui comme lui cherchaient des femmes, à manger et parfois la guerre.

9. Le Temps


Notre idée du temps est ineffable
Et celle qui nous est proposée est quasi tout le temps puérile,
Aussi bien le temps statique que le mesurable,
Celui qui court à l'envers ou le simple temps civil;
Aucune de ces hypothèses n'est suffisamment universelle,
Si on pense, par exemple, à un mort oui à un animal;
Car la solution du problème, on la trouve au fond de nous-mêmes,
Il n'est pas facile de descendre dans ces recoins
Où le temps de la matière et le temps de la conscience
Ne gardent pas la même consistance;
En fait, ils ne conservent aucune relation
Accessible à la compréhension.

10. Envoi


Trente siècles après le voyage d'Ulysse
Les touristes parcourent les grottes de Circé
Sans trouver trace de l'enchanteresse hystérique
Ni une épave attribuable à l'âge préhomérique
Et il ne sert à rien d'expliquer que l'île n'est plus la même
Mais bien une montagne sur la côte du Latium,
Et que, tout compte fait, chercher la marque de la fée
Est une manière comme une autre de passer le temps,
Car le temps, comme un glacier, entraîne sans pitié
Les lieux et les transfère dans une autre localité.

envoyé par Marco Valdo M.I. - 8/3/2010 - 19:26




Langue: espagnol

La versione castigliana di tre strofe di Luoghi Comuni, di Jorge Aulicino

juangato


Dal blog Otra iglesia es imposible - Museo de poesía antigua y contemporánea, Buenos Aires, Primavera 2013. A dire il vero, la mia "famosa" identificazione coi Luoghi Comuni di Wilcock ha rischiato di avere, a suo tempo, anche una versione castigliana; ma, naturalmente, mi sono arenato per le evidenti difficoltà dell'impresa, del tutto al di là delle mie possibilità. Particolarmente contento sono, quindi, di aver trovato almeno tre strofe del poemetto tradotte da un argentino. Ai tempi in cui, ragazzo, iniziava la mia avventura in compagnia di Juan Rodolfo Wilcock, avrei pagato oro per trovare quel che oggi si trova in rete con un semplice "clic"; ma non c'era praticamente nulla. Nel bisunto volumetto Adelphi delle "Poesie" (che si apre proprio con "Luoghi Comuni") conservo gelosamente, ancora, il ritaglio di un vecchio articolo di "Repubblica" dedicato a Wilcock. Oggi, assieme alla traduzione castigliana, trovo una sua foto con un gattone meraviglioso e persino l'immagine del suo biglietto da visita, in cui si qualifica di "inventore di autori su richiesta". Avesse saputo che per anni e anni mi sono inventato autore di una sua poesia; ma ho come l'impressione che un paio di caffè me li avrebbe preparati. Senza chiedere nulla di più. [RV]

juantarjeta
3. [Alma y cuerpo]


Tal vez el alma es divina, pero no es indispensable,
como el cuerpo, en el que mora y que es su ocasión.
Desde la primera infancia ese cuerpo es la prisión
del alma que fermenta como una masa maleable,
para finalmente endurecerse en las formas más raras,
desde pájaro melodioso hasta las peores iguanas;
pero siempre incomodísima pues no logra escapar
de un cuerpo inadecuado y siempre menos fuerte,
que provoca desordenes difíciles de curar,
las complicadas neurosis que aceleran la muerte.


8. [Determinación]


La idea que nos hacemos del espacio no es distinta
de la idea que se hace la mayor parte de la gente,
pero es mental puramente y se extingue con la mente,
por ejemplo bajo la acción de excitaciones violentas.
El hombre sabe moverse solo, orientarse topográficamente,
y encontrarse con sus semejantes en lugares determinados,
usando la razón y los sentidos combinados;
así traza laberintos sobre la faz de la tierra
y superpone sus pasos a los de sus antepasados
que como él buscaban hembras, alimento y a veces guerra.


10. [Envoi]


Treinta siglos después del viaje de Odiseo,
los turistas recorren las grutas del Circeo,
sin encontrar trazas de la hechicera histérica
ni un resto asignable a la era prehomérica.
Y no sirve explicar que la isla no es tal,
sino un monte del Lacio en la costa occidental,
y que en suma buscar la huella del hada
es un modo como otro de pasar la jornada,
porque el tiempo como un glaciar arrastra sin piedad
los lugares y los transfiere a otra localidad.

envoyé par Riccardo Venturi - 8/12/2013 - 19:38


Piccola Postfazione


Juan Rodolfo Wilcock a 22 anni, la stessa età che avevo io ai tempi di certe cantate irrisolte.
Juan Rodolfo Wilcock a 22 anni, la stessa età che avevo io ai tempi di certe cantate irrisolte.


Nella sua consuetamente bellissima traduzione di un testo così apparentemente semplice, ma in realtà impervio, Marco Valdo M.I. ha ben parlato di “jeunesse folle”. Ha citato Villon, di cui a quattordici anni, impossibilitato a procurarmi una copia del “Grand Testament”, ricopiai a mano su un quaderno a righe l'intero testo da un vecchio esemplare trovato nella biblioteca del mio liceo. E se avessi perseguito, in quella mia “jeunesse folle”, coi miei poeti e con la mia strada, invece di cercarne altre in altre persone che alla fine me l'hanno deviata, avrei fatto senz'altro meglio. En resumidas cuentas, poiché niente accade a caso e sempre al giusto momento, l'inserimento di “Luoghi Comuni” con la sua esatta attribuzione vuole essere una specie di riallacciamento, e così dev'essere inteso. Questa piccola postfazione servirà anche per qualche altra precisazione: nella registrazione originale della “cantata”, alcuni versi finali delle varie parti sono ripetuti due volte (ad esempio: “Le complicate nevrosi che accelerano la morte” di “Anima e Corpo”), mentre il verso finale, “I luoghi e li trasferisce in altre località” è ripetuto ben quattro volte. Al termine di ogni parte è inserita una “frase musicale” cantata e seguita dalla chitarra. La 7a parte, “Lumi”, nella registrazione originale è cantata interamente da Stefano Mannelli dato che non ce la facevo più e dovevo riprendere fiato: l'intera cantata dura quasi venti minuti. La parte finale, l' “Envoi”, è cantata in duetto; termina con la frase musicale che svanisce lentamente, e con tre “tac” che furono ottenuti battendo una riga da disegno sul tavolo.

Per quanto riguarda la traduzione francese di Marco Valdo M.I. (e Lucien Lane) mi sono permesso di apportare due piccole correzioni dovute a una errata interpretazione. “Cosmatesco” non è “comateuse”: si riferisce allo stile Cosmatesco (o dei Cosmati), uno stile di pavimentazione e ornamento diffuso in Italia nel medioevo: se ne hanno mirabili esempi a Roma. Quanto alle rune d'Islanda dai “princìpi bruschi”, la cosa si riferisce al modo di tracciare le rune spigolosamente a partire da un dato punto che ho corretto in “naissance” (come l'accenno del seno femminile che si vede da un décolleté è detto “naissance du sein”). Fortunatamente, però, Marco Valdo sa che cosa sono i “praticabili” (vale a dire i meccanismi che, a teatro, servono per il cambio delle scene tra i vari atti). Mi piace pensare che “Luoghi Comuni” sia l'unica poesia al mondo dove trovino posto i praticabili, sinceramente.

Vorrei terminare con un'altra poesia. Sempre di Juan Rodolfo Wilcock. Di essa non mi sono mai sognato di effettuare alcuna “appropriazione indebita”, però. Una poesia che, un giorno spero ragionevolmente lontano, vorrei rappresentasse il mio “Envoi” da questo mondo.

Nella mia stanza non c'è nulla
tranne il fonografo e un letto
e anche nel cuore non c'è nulla
tranne un figlio da me diverso.

Così c'è spazio per muoversi
sia nel cuore che nella stanza;
ho buttato gli stracci al fuoco,
i sentimenti li ho buttati in mare.

Non tutti hanno vuota la stanza,
non tutti hanno il cuore vuoto:
ci si può lasciare entrare
ogni mattina un mondo nuovo.

Riccardo Venturi - 9/3/2010 - 03:11


Commentaire à la postface de Riccardo Venturi :

Dans l'ordre :

Il est important et indispensable en ces temps de déculturation accélérée, organisée par les riches imbéciles (certaine conjuration est toujours en cours) et télévisés, d'affirmer – nous les somari dell'assoluto, nous les paysans sans autre terre que nous-mêmes, qui nous cultivons pour ne pas sombrer dans on ne sait plus quel marécage, quelle friche, quel désert mental et moral – la haute importance de se cultiver, ce qui en somme peut se traduite par se soigner, se nourrir, s'embellir....
Ceci dit pour parler de Juan Rodolfo Wilcock et de la traduction de Luoghi Comuni.
Juan Rodolfo Wilcock , poète italien d'origine argentine ou poète argentin de langue italienne... Peu importe, il aurait pu se révéler en anglais, en allemand, en espagnol, tout aussi bien. Juan Rodolfo Wilcock est un poète – tout court – et il se réfère à une culture poétique – vale a dire, à une intense pratique et connaissance des poètes de la terre.
Pour ce qui est de la traduction elle-même, ce fut un réel plaisir de la faire... J'y ajouterai donc celle du morceau ajouté de la postface, que de fait, j'aime beaucoup aussi :

Dans ma chambre il n'y a rien
Excepté le phonographe et un lit
Et même dans mon cœur, il n'y a rien
À part un fils différent de moi.

Ainsi, il y a de l'espace pour se mouvoir
Tant dans mon cœur que dans ma chambre;
J'ai jeté mes loques au feu,
Mes sentiments je les ai jetés à la mer.

Tout le monde n'a pas sa chambre vide,
Tout le monde n'a pas le cœur vide :
On peut y laisser entrer
Chaque matin un monde nouveau.


[On ne peut y laisser entrer
Chaque matin un monde nouveau]


J'ai cependant des doutes sur la logique des deux derniers vers que j'aurais tendance à croire incomplets. J'aurais préféré en bonne logique :

« Non ci si può lasciare ... On ne peut y laisser entrer... » puisqu'il n'est pas vide... De la nécessité de les libérer de bien des « impedimenta », de bien des choses qui encombrent le cœur, la vie.

Ainsi Parlait Marco Valdo M.I.

Marco Valdo M.I. - 11/3/2010 - 14:55


"Luoghi Comuni - Cantata irrisolta" risolta da Riccardo Venturi con quasi 20 minuti di canto a cappella

6/12/2013 - 00:29


Troppo incredibile...un grazie è troppo poco...comunque ...grazie.
Un abbraccio nel vento del Nord.

Krzysztof Wrona - 6/12/2013 - 01:19


Grazie a te Krzysiek, e di cuore. Faccio presente che questa "cosa" ha trent'anni suonati, e che in questi trent'anni sarà soltanto la quarta o quinta volta che la canto integralmente. Forse, nelle feste natalizie mi toccherà rifarlo, e addirittura in pubblico; ma se ne riparlerà. Tutto questo, va da sé, mi fa un gran piacere per Juan Rodolfo Wilcock.

Riccardo Venturi - 6/12/2013 - 11:02


Scopro solo oggi, con sorpresa e piacere, nel completare le ricerche che servono ad arricchire "RACCONTO WILCOCK", la biografia che ho scritto su di lui e riguardante soprattutto i 10 anni in cui è vissuto a Velletri, questa pagina, Lo conoscevo e lavoravo per lui, ma ogni elemento nuovo della sua vita è per me prezioso. Grazie.

marisa.monteferri@tiscali.it - 24/8/2015 - 11:01


Ed io scopro con altrettanto piacere che qualcuno, Marisa, si sta occupando di Juan Rodolfo Wilcock e ci sta scrivendo sopra un racconto (mi piace molto il titolo che hai dato alla biografia che stai scrivendo). Non ho mai conosciuto JRW anche perché, quando è morto, avevo sedici anni e già viaggiavo con i suoi volumetti dell'Adelphi in tasca; mi ricordo che quando "Repubblica" pubblicò, chissà come, un paginone intero su di lui e sulla sua opera (parecchi anni dopo che era morto, of course...) la staccai proditoriamente dalla copia del giornale che stava in un bar e me la tenni. Si trova ancora, ripiegata, all'interno del suo volume di poesie (lo stesso da cui è tratta "Luoghi comuni"). Un abbraccio e quando la biografia sarà pubblicata, informami; te ne sarei grato.

Riccardo Venturi - 24/8/2015 - 14:36


grazie. La biografia è pronta e sono in trattative editoriali. Ci sono 2 gruppi in facebook. Il mio, che è Gruppo Wilcock Veliterno (ossia di Velletri) e il Juan Rodolfo Wilcock Club e interagiamo fra di noi. Puoi seguirci, se vuoi. E' appena uscita una ristampa della sua traduzione di Finnegans Wake, con testo di Joyce in inglese e l'Osservatore Romano ha pubblicato una recensione.A presto, ciao

marisa - 4/3/2016 - 09:07


Ho questa cassetta in cui c'è l'intervista fatta da Rai 3 ed ero presente quando venne effettuata. Ho ultimato il mio lavoro su Wilcock ed ora mi resta di pubblicarlo; valuto idee e proposte, spero arrivi quella giusta. Un saluto, Venturi, e, spero, a presto.

marisa.monteferri@tiscali.it - 9/11/2016 - 23:46


J'ai refait la première partie : Le poète solitaire. Il manquait à la version française 2 vers, que j'ai ajoutés et j'ai remanié les deux derniers vers.

1. Le poète solitaire

Chaque matin à l'aube cette lumière de violettes
Réveillant les parfums des jardinets immobiles
Se renverse des toits sur les premières automobiles
Et allume les vitres brisées répandues sur les parterres;
Sur les arbres, les oiseaux qui étaient endormis,
S’éveillent et se saluent de délicats gazouillis.
C'est le meilleur moment du monde matériel
Qui renaît lavé de la nuit spirituelle
Des branches poudreuses descend un souffle de vent
Et le poète solitaire, physiquement content
Se promène par les rues, comme Adam le premier jour,
Faisant le tour de son nouveau séjour
L'insère dans son nouveau jugement
Tout en écoutant les cris plus ou moins profonds
Avec lesquels le monde à lui-même se répond.

Le mieux serait de l'incorporer.

Cordial

Marco Valdo M.I.

Marco Valdo M.I. - 20/4/2018 - 21:54




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