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Cara Laura

Fabio Ghelli
Lingua: Italiano


Fabio Ghelli

Lista delle versioni e commenti


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(Davide Giromini)
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(Davide Giromini)


(2005)
Da "Apuamater" di Davide Giromini

Testo e musica di Fabio Ghelli
Voce narrante: Laura Seghettini
Voce e chitarra: Fabio Ghelli
Voce: Davide Giromini
Chitarra solista: Antonio Pincione
Violino: Michele Menconi

Dante Castellucci, il comandante Facio.
Dante Castellucci, il comandante Facio.



La prima volta che ho sentito una canzone scritta e cantata da Davide Giromini ero ad uno spettacolo teatrale, in un parco a Scandicci. "Sottosopra". Uno spettacolo creato da Virginia Martini a partire da "il figlio di Bakunin" di Sergio Atzeni. E proprio "Sottosopra [Inno darmico del cavatore]" si chiamava la canzone che faceva da tema e filo conduttore per tutto lo spettacolo. L'avevo già visto all'opera, Davide, più volte, con la sua fisarmonica, e la sua grinta a fare da contrappunto alle sue sembianze; ma era la prima volta, dopo molto anni, che sentivo una canzone "nuova" vibrare di sapore antico e, allo stesso tempo, sentivo una canzone "antica" che sapevo essere nuova. La stessa canzone.

Ed è proprio "Sottosopra" che, dopo una sorta di introduzione prima recitata poi cantata, dà inizio ad "Apuamater", il primo disco di Davide. "In cava si sale e in miniera si scende", e viceversa, continua a ripetere, in una sospensione, ed inversione, continua fra inferno e paradiso. E' un peccato che sul libretto che accompagna il disco non ci siano i testi. Tocca leggerseli con le orecchie e con un filo di attenzione.
Ci sono i cavatori di marmo, c'è Carrara, e la sua polvere che tutta la circonda e la intride, in questa canzone. C'è la rabbia e l'amarezza. La rassegnazione e il coraggio. La storia e le storie.

E' la voce di Massimiliano Larocca, prima quella finta poi quella vera, a raccontarci dell' "Anima Mundi", di quell'armonia perduta che riesce e continua ad essere ricordo e promessa insieme. Da lì si parte. Da lì tutto parte. Da quello che si è perduto, che ci è stato strappato via. Quella semplicità che è difficile a farsi, e ancora di più a rifarsi, per dirla con Brecht.

Uomini ed Ombre, recitata, introduce Libertà cantata da Rovelli e Danelli de "Les Anarchistes".Incomincia la salita per cominciare a riprendersi quel che spetta. Poi, con un salto, sono i Cannoni del Sagro che cominciano a tuonare sull'aria di una liquida ballata che parla di rupi e di nuvole, di sangue e di libertà.

E poi, d'un tratto, mentre si immagina di stare salendo, ci si trova a scendere. Si scende nell'inferno personale di Dante Castellucci, il "comandante Facio".

Calabrese, un passato da attore, già compagno di prigionia dei fratelli Cervi, comanda la "brigata Picelli" (già proprio intitolata a quel Guido Picelli che nell'agosto del 1922 guida a Parma gli arditi del popolo che ricacceranno indietro i fascisti!). Il comandante Facio viene accusato di
aver sottratto materiale bellico alle altre brigate partigiane. Viene processato dai suoi compagni e, nonostante il passato fatto di battaglie come quella del Lago Santo, condannato e fucilato. E' il 22 luglio del 1944. Successivamente verrà riabilitato e insignito di medaglia d'argento alla memoria (se le cacciassero in culo le loro medaglie, tutte le medaglie e le medaglie di tutti!). E' la sua compagna, Laura Seghettini, a succedergli al comando della formazione partigiana. Ed è "Cara Laura" la canzone, in forma di lettera, scritta e cantata da Fabio Ghelli dei Bededeum (formazione folk rock in cui milita lo stesso Davide). Una canzone magica. Che, da sola, varrebbe perfino un disco di Piero Pelù (purchè non sia Pelù a cantarla!). La fisarmonica abdica, per la prima ed unica volta in tutto il disco, alle chitarre e ad al violino che meglio riescono a sottolineare le voci, da sole e in coro. La resistenza ha la voce della giovinezza e si mostra a viso scoperto. Non senza un tocco di spacconeria. Bella e vera, senza fronzoli e retoriche di merda. A ricordarci che "la rivoluzione non è un pranzo di gala".

A straziarci con la consapevolezza che la morte ingiusta arriva anche per mano dei compagni. Il blues swingato, giocato sulle corde della chitarra "finger-picking" e sul violino, è il tessuto musicale perfetto su cui stendere le parole che sanno restituire il tempo passato al tempo che non passa, che non sa passare. Un capolavoro.


Si continua in discesa verso Inverno sulle Langhe, scritta e cantata da Luca Rapisarda. La resistenza è finita. Sulle Langhe c'è una baracca, e il cimitero dei partigiani. E' l'inverno del 1944.
E, d'un tratto, ecco che si risale. Verso Genova e il luglio 2001.La cronaca della "Diaz" introduce Mistica pietà. Salendo e scendendo, alla fine non siamo andati troppo lontani da dove siamo partiti. La fisarmonica di Davide continua a sottolinearlo. E ce lo ricorda Pardo Fornaciari con il suo Vi ricordate quel venti di luglio, cantato sull'aria di "Vi ricordate quel 18 di aprile". Si fa in tempo a sentire la voce di Heidi Giuliani, a chiudere, che ecco, subito riparte sottosopra, stavolta cantata con spiccato accento carrarino.

Solo una strofa, per far posto al Michelangelo recitato da Carlo Monni. E ancora sottosopra. E succede che, scendendo, si scenda fino al mare, a quel Tirreno che può diventare promessa e speranza di fuga. Verso un paradiso, o verso un altro inferno.
C'è un marinaio ad aspettarci in "una ballata del mare salato" di Luca Rapisarda. Un marinaio che si è disegnato sul palmo della mano, con la lama di un rasoio, una linea inedita della fortuna. E' Corto Maltese, naturalmente.

Ma Corto Maltese è solo un sogno, forse, come il suo mare e le sue isole. Non è un sogno invece l'isola del diavolo e l' Affare Dreyfus, duettato fra Davide e Andrea Parodi. Un altro inferno. Ci si stanca, ad un certo punto, di continuare a salire e a scendere, Ci si stanca ed è un "Gridodistasi" quello che fuoriesce dalla gola. Ma è solo un modo per riprendere fiato per l'ultima "Preghiera in Settembre", quella di Davide insieme ai Delsangre, Luca Mirti e Marco "Schuster" Lastrucci.
Una preghiera per poter saper continuare a salire e a scendere tutti insieme. Mai da soli.

A suggello del disco un "Dante Alighieri" a Carrara, scritto dal poeta Ceccardo Roccatagliata Ceccardi e recitato da Carlo Monni.
(ssssttttt.....ma c'è anche una traccia fantasma, dedicata ad Eleonora Pezzica).

Un disco difficile e coraggioso, voluto da Davide insieme a Luca Rapisarda e al violinista Michele Menconi, non poteva che essere presentato al Teatro degli Animosi, a Carrara. Non starò a dire che cos'è stato il Teatro degli Animosi a Carrara, Mi concedo solo un sorriso mentre ci penso e mentre ringrazio Davide per avere creato un qualcosa che non c'era e di cui io sentivo la mancanza.

(Francesco Senia, Dalla mailing list "Brigatalolli", 29 aprile 2005)
Sono morto altre volte, Laura,
e di sicuro non sarà questa la migliore
e non è per un'ansia o la paura
che, come sai, non manca nella valigia di un attore.

E nemmeno perché a ventiquattr'anni
pare che la musica non debba mai finire
che, del resto, lo si impara presto ai monti
che la vita non vale dieci lire.

E non è per chi mi ha voluto bene
ché, a dirlo quasi mi rincresce,
a immaginare le infinite pene
di mio padre e di mia madre proprio ora non mi riesce.

Ma sarà quest'immensa alba d'agosto
che sembra non volere mai finire
che Zeri, la Calabria o un altro posto
non c'è un cielo, una stagione che sian buoni a morire

Potrei dire dei compagni del partito
e della solitudine e dell'amarezza
e di tutti quelli che hanno detto che ho tradito,
cui non rifiutai mai fosse anche l'ultima sigaretta.

Ma, vedi, in momenti come questi
ci vuole metodo perfino per la rabbia
ché i ricordi, siano allegri o siano mesti,
più li stringi e più scivolano via come la sabbia.

Se c'è una cosa di cui davvero mi dispiace
è di quel vino versato lì sulla tovaglia
quando, nel portarmi il bicchiere alla bocca,
il braccio mi hanno afferrato, puntandomi addosso la mitraglia.

E se mentre dico Dante Castellucci sei accusato
la lingua mi si spezza - non lo nascondo -
era perché quel vino avevo solo assaggiato
senza poter vuotare il calice fino in fondo.

E piantonato da sti' due poveri cristi
che mi fanno cogli occhi - "vai, buttati fra i castagni"
perché lo sanno che so' scappato dai fascisti
ma che non scapperei mai davanti a dei compagni.

Provo soltanto un'infinita pena
vista la gelosia, un po' meschina,
per chi resta ancora sulla scena,
col mio cuore che rallenta e la testa che cammina.

E' venuto il tempo di andare
ma non temere non è l'ultimo atto
ché se anche adesso mi vedrai cadere
sarà un momento poi m'alzerò di scatto.

Mentre un applauso fra le cime dei castagni stormirà
io correrò a raccogliere il tuo bacio
e scenderemo insieme liberi dalle montagne
Per sempre tuo, Comandante Facio.

inviata da Riccardo Venturi - 29/4/2005 - 14:51



Lingua: Francese

Version française – CHÈRE LAURA – Marco Valdo M.I. – 2011
Chanson italienne – Cara Laura – Fabio Ghelli – (2005)

Texte et musique de Fabio Ghelli
Narratrice : Laura Seghettini
Voix et guitare: Fabio Ghelli
Voix: Davide Giromini
Guitare soliste: Antonio Pincione
Violon: Michele Mencon

… D'un coup, alors qu'on s'imagine monter, on se retrouve à descendre. On descend dans l'enfer personnel de Dante Castellucci , le "commandant Facio".

Calabrais, un passé d'acteur, camarade de prison des frères Cervi, il commande la « brigade Picelli » (ainsi nommée car Guido Picelli fut en août 1922 celui qui mena à Parme les arditi del popolo qui firent battre retraite aux fascistes !).
Le commandant Facio fut accusé d'avoir retenu du matériel de guerre d’autres brigades partisanes. Il fut accusé par certains camarades, nonobstant son passé, condamné et fusillé. Le 22 juillet 1944.Il sera réhabilité par la suite et décoré de la médaille d'argent posthume (qu'ils se les foutent au cul leurs médailles, toutes les médailles et les médailles de tous).

Sa compagne, Laura Seghettini, lui succéda au commandement de la formation partisane. C'est elle la « Chère Laura » de la chanson, en forme de lettre, écrite et chantée par Fabio Ghelli... Une chanson magique... La résistance a la voix de la jeunesse et se montre à visage découvert. .. Belle et vraie, sans frous-frous et sans rhétorique de merde. Elle nous rappelle que « la révolution n'est pas un repas de gala ».
CHÈRE LAURA

Je suis mort d'autres fois, Laura
Et pour sûr celle-ci ne sera pas la meilleure
Et pour une anxiété ou la peur
Qui, comme tu sais, ne manque pas dans la valise d'un acteur.

Et pas moins car à vingt-quatre ans
Il semble que la musique ne devra jamais finir
Que, du reste, on apprend vite dans les monts
Que la vie ne vaut pas dix lires.

Et ce n'est pas parce que tu m'as bien aimé
Que pour dire, je regrette presque
Qu'à présent, je n'arrive pas à imaginer les peines infinies
De mon père et de ma mère

Mais il y aura cette immense aube d'août
Qui semble ne vouloir jamais finir
Qu'à Zeri, la Calabre ou un autre lieu
Il n'y a pas de ciel, une saison où il soit bon de mourir.

Je pourrais en dire des camarades du parti
Et de ma solitude et de mon amertume
Et de tous ceux qui ont dit que j'ai trahi
Que je ne rejetai jamais, fusse l'ultime cigarette.

Mais, vois-tu, dans des moments comme ceux-ci
Il faut de la méthode, même pour la rage
Car les souvenirs, qu'ils soient joyeux qu'ils soient tristes
Plus tu les serres, plus ils glissent comme le sable.

S'il y a une chose qui vraiment me désole
C'est ce vin versé là sur la nappe
Quand, portant le verre à ma bouche,
Ils m'ont pris le bras, en pointant la mitraillette sur moi

Et si tandis que je disai Dante Castellucci tu es accusé
La langue me fourcha – je ne le cache pas
C'était parce que j'avais seulement pu goûter ce vin
Sans pouvoir boire le calice jusqu'au fond.

Et encadré par ces deux pauvres gars
Qui me font des yeux : « Fous le camp, pars dans les châtaigners »
Car ils savent que j'ai échappé aux fascistes
Mais que je ne m'enfuirai jamais de chez les camarades.

J'éprouve seulement une peine infinie
Vu la jalousie, un peu mesquine
Pour celui qui reste sur la scène
Avec mon cœur qui ralentit et ma tête qui chemine

Le temps de partir est arrivé
Mais ne crains rien, ce n’est pas le dernier acte
Car si tu me vois tomber à présent
Ce sera un moment et puis, je me relèverai d'un coup.

Tandis qu'un applaudissement bruissera entre les cimes des châtaigneraies
Je courrai prendre ton baiser
Et nous descendrons des montagnes, libres tous les deux, ensemble
À toi pour toujours, Commandant Facio.

inviata da Marco Valdo M.I. - 13/1/2011 - 21:04


IL CASO FACIO, IL FINTO PROCESSO E LE VERITA' NASCOSTE
di Maurizio Bardi
da Cronaca di un secolo in Lunigiana


Questo articolo è stato pubblicato nel mese di ottobre 1990 sul mensile Lunigiana la Sera. Lo riproponiamo come itinerario per «I luoghi della resistenza in Lunigiana»


Dante Castellucci, detto Facio, uno dei capi più coraggiosi della guerra partigiana, fu fucilato nel 1944 col pretesto del furto di un lancio. Dietro quel finto processo ombre e verità sulle quali ormai si deve far luce.
Come ha scritto Mauro Calamandrei: «Non è Facio che dobbiamo compiangere; compiangiamo invece i suoi fucilatori e soprattutto i loro mandanti, capaci di tanta scelleratezza»

Quella del 21 luglio è una giornata di mezza estate particolarmente afosa. Un vento caldo sfiora le piante che sbucano come lance sui monti intorno a Zeri.
Mi sono alzato presto per arrivare nella prima mattinata ad Adelano.
Quella del 21 luglio è una giornata strana: è la prima volta che salgo da queste parti ed appena dopo qualche ora mi pare di conoscere tutto il paesaggio intorno.
Ho dormito poco ed ho pensato tutta la notte inseguendo con la mente dei colpevoli o forse dei mandanti.
Intorno sui prati ci sono ormai troppi villeggianti, troppi bambini che gridano, che giocano a palla.
All'alba di 46 anni fa Dante Castellucci, detto Facio, è stato ammazzato a fucilate proprio sul dosso di questa montagna. Sì, lo confesso: questa storia, la storia di questa morte assurda, o forse anche troppo chiara, mi ha appassionato ed emozianato come se fosse successa ieri.
La sentenza di morte era stata firmata durante la notte dall'ex commissario politico dello stesso battaglione di Facio, Antonio Cabrelli, o meglio Salvatore.
Ma perchè fu firmato quell'ordine? Chi aveva ispirato il Tribunale speciale ad emettere la condanna col banale pretesto del furto di un lancio?
Le rivalità tra piccoli capi partigianii o qualcuno molto più in alto? Nemmeno Facio riusciva a capirlo e stava andando a morire per mano dei suoi compagni senza sapere perchè.
Verso le cinque il fatto è avvenuto. Sono partiti dieci, forse venti colpi da fucili che non volevano sparare. Poi il silenzio. Poi le grida. Poi nuovo silenzio. Per Laura Seghettini, la sua compagna, per Libero Spuri, per Antonio Pocaterra, rinchiusi in una cantina dopo avere accompagnato la sera prima il capo e l'amico ad Adelano, sono stati il segnale che il fatto era avvenuto.
Rimango qui a scaldarmi al sole guardando intorno le montagne.
So esattamente come il fatto è avvenuto. So esattamente quello che è avvenuto nelle ore immediatamente precedenti.

Il finto processo
Verso la metà del finto processo è arrivata Laura. Lui stava zitto e non si difendeva. Lei lo ha pregato, lo ha scongiurato di dire tutto quello che sapeva su Salvatore, sul personaggio che lo stava accusando. Ma lui non si difendeva, perlomeno davanti ad un tribunale dei partigiani. Dopo la sentenza lo hanno rinchiuso in una cantina insieme a Laura ed a un gruppo di uomini che dovevano sorvegliarlo a vista. Tutti lo conoscevano di fama. Questi uomini non volevano la sua morte, volevano che scappasse. Laura lo ha pregato, lo ha scongiurato di scappare. Ma lui non voleva, perlomeno non dai partigiani..
Alla mattina alle cinque lo hanno portato fuori nel prato. Facio era l'unico che non tremava. Il plotone non voleva sparare, finchè lui ha gridato di farsi coraggio, di puntare e premere il grilletto.
E cosi hanno fatto. Così ha avuto fine la vita di Dante Castellucci, detto Facìo, intellettuale calabrese emigrato in Francia, uno dei comandanti più coraggiosi della guerra partigiana.
Hanno gridato forte i suoi amici, imprigionati nella cantina e svegliati bruscamente dal rumore ritmico delle pallottole da esecuzione. Poi per tanti anni il silenzio.
Durante la notte Facio ripensava al perchè lo volevano morto. E al suo passato.
Emigrato in Francia, a Parigi aveva studiato filosofia alla Sorbona ed aveva imparato a suonare il violino.
Ah, fosse rimasto là, non avrebbe mai conosciuto Salvatore, il suo assassino! Ma non avrebbe nemmeno conosciuto i fratelli Cervi, le loro idee libertarie, il loro coraggio. E allora meglio così!

L'amicizia con i Cervi
Nel 1942 Facio aveva disertato e si era rifugiato a Reggio Emilia. Papà Cervi ha di lui un ricordo preciso: «Era un intellettuale malinonico e riflessivo». Facio condivide in quei giorni la vita dei suoi figli. Con loro organizza la guerriglia cittadina contro i tedeschi. Con loro sale sulle montagne. Quando poi i Cervi vengono catturati, sarà proprio lui a studiare il piano per la loro liberazione. Ma i Cervi vengono fucilati innaspettatamente senza processo. Qualcuno, forse tra gli stessi partigiani, aveva avvisato i fascisti di un imminente colpo di mano.
Facio è frastornato. Si aggrega al distaccamento Picelli nell'alta Val di Taro e diventa un eroe. Quando nella battaglia di Borgotaro muore il comandante Fermo Ognibene, Facio, per volontà di tutti, lo sostituisce. Le sue doti non sono solo militari. E' colto, è pieno di ascendente verso i partigiani e verso la popolazione. Il suo nome circola tra la gente quasi come una leggenda. In quei mesi un ispettore centrale del CNL visita il distaccamento di Facio. Il suo rapporto, contrariamente alla norma, non è per niente burocratico, anzi pieno di entusiamo: Facio viene definito «pieno di passione umana, acuto di ingegno, intelligente, coraggioso, ottimo comandante rnilitare.»
Nell'estate del 44 la sua formazione, forte di una cinquantina di uomini, è già un mito. Parla di socialismo libertario, di democrazia. Tutti vogliono andare con lui, e lui può scegliere i suoi uomini fra i migliori.
Ma spuntano i nemici. Tra questi Tullio, un capo partigiano che dopo la guerra finirà male, tra rapine e atti di delinquenza comune, e sopratutto Antonio Cabrelli, detto Salvatore, con il quale il destino gli sta preparando un fosco appuntamento. Antonio Cabrelli, militante comunista, durante il fascismo si era rifugiato a Mosca e lì aveva frequentato la scuola di partito. Aveva poi militato in Spagna nelle Brigate Internazionali, rigidamente inquadrate dai burocrati sovietici. Lì aveva partecipato alla eliminazione degli anarchici spagnoli durante la breve esperienza della Repubblica di Catalogna.
Scrive Amendola: «Il partito comunista francese aveva scelto Salvatore come suo rappresentante per controllare l'attività dei comunisti italiani operanti in Tunisia. Ma Salvatore in Tunisia fu fermato ed espulso dalle autorità francesi, che mostrarono prove fotografiche di una sua attività di spionaggio per conto dei servizi segreti fascisti.»
Dopo essere rientrato in Italia Salvatore aderisce alla resistenza, si presenta a Facio e gli chiede di essere accettato nella sua formazione. Buon oratore, aspira a diventare commissario politico, vantando lunghi anni di esperienza. Ma il comando di Parma blocca la nomina e in un'assemblea tra i partigiani Facio informa i compagni dei dubbi che circolano su Salvatore, che comunque è nominato egualmente commissario di un distaccamento.
Nel 1944 i partigiani di Facio sono impegnati in grandi battaglie, come quella del Lago Santo, nella quale dodici uomini tengogono testa a 180 repubblichini, suscitando persino in questi ultimi ammirazione e rispetto. Verso i primi di luglio del 1944 Facio si lamenta della scarsa attività di guerra del distaccamento in cui milita Salvatore, il quale per di più
non partecipava mai ad azioni di guerra. Da quel momento tra Facio e Salvatore è scontro aperto. Il comissario politico rifiuta l'ordine di rientare nel territorio di competenza, rifiuta di obbedire agli ordini del CNL di Parma, e si mette a disposizione della resistenza ligure con cui aveva allacciato da tempo relazioni e rapporti preferenziali.

Il PC spezzino nomina Salvatore commissario politico
Nei primi giorni di luglio tutti i capi partigiani che operano tra La Spezia e la Cisa si riuniscono a Zeri per fondare la prima divisione ligure. Ci sono testimonianze (riportate anche da Giacomo Vietti in un volume edito dall'associazione Nazionale Partigiani di Parma) che Salvatore in quei tempi si agita molto, compie frequenti viaggi ed intrattiene stretti rapporti con dirigenti comunisti liguri di stretta osservanza moscovita. Ed è proprio il partito comunista spezzino che lo nomina in quell'occasione comissario politico.
La tragedia di Facio sta per compiersi. Il comando della sua divisione è a Parma. I suoi uomini soffrono gravi stenti per i rifornimenti di viveri e di armi. Con le formazioni liguri, grazie a Salvatore i rapporti sono pessimi. Tutti i lanci appartengono agli spezzini. Ormai questo è il loro territorio. Il 18 luglio un uomo di Facio trova una piastra di mortaio paracadutata dal cielo. Il Comandante ordina di trattenerla. Il 19 un'altro lancio non raggiunge la formazione di Beretta a cui era destinata, in quanto la formazione è sbandata per un rastrellamento. Nessuno si presenta a raccogliere il materiale e allora Facio ordina di nuovo di trattenere il materiale.
Per accusare Facio esiste ormai un pretesto. Il 20 luglio ad Adelano si riuniscono i capi della divisione ligure, appena costituita. Salvatore riesce a convincerli a nominare un tribunale per processare Facio.

Un delitto politico
Sono in diversi a capire che Salvatore è poco più di un esecutore, anche se molto interessato, di decisioni prese atrove.
Ma dove e da chi?
Alcuni si scandalizzano e lasciano la riunione, ma il tribunale viene nominato egualmente: è composto da Tullio, da Renato Arduini, da Salvatore e da Nello e Luciano Scotti. Sono loro che attirano con una scusa Facio all'accampamento di Adelano, sono loro che lo invitano a bere appena arrivato, sono loro che lo disarmano e lo percuotono. Poi lo condannano a morte.
La sentenza ha la firma di Salvatore, anche a nome del partito comunista. A tanti anni di distanza i giudici di Facio sono morti, tutti tranne Scotti.
Scotti vive a La Spezia dove è stato a lungo comandante dei vigili urbani della città.
Lui sa. Sa esattamente chi ha voluto quella morte e quando e dove è stata decisa. Certamente non da Salvatore, ma da qualcuno dal quale Salvatore andava a prendere ordini nei suoi frequenti viaggi. Scotti non ha mai voluto parlare. Assolutamente.
Sono molti i dirigenti comunisti che in quarantanni hanno fatto la spola tra Roma e la casa pontremolese di Laura Seghettini, la sua compagna. Perchè? Cosa cercavano? Chi proteggevano?
Dante Castellucci, detto Facio, calabrese di passione, parigino di cultura, aveva condiviso il comunismo libertario dei fratelli Cervi, che non andava a genio ai dirigenti di partito formatisi alla scuola di Mosca. D'altronde, ormai è certo, la cattura dei fratelli Cervi è stata possibile grazie ad un tradimento di un loro compagno.

Come in Spagna?
Qualcosa di simile è forse avvenuto per Facio. Qualcuno in alto temeva lo spirito del comunismo libertario, temeva quello che Facio aveva imparato dai fratelli Cervi e quello che sapeva sulla loro morte.
In Spagna le brigate intemazionali, fedelissime di Stalin (nelle quali aveva militato Salvatore), non avevano forse sterminato gli anarchici, loro compagni di lotta contro Franco, pur di non mettere in discussione il modello stalinista?
Così è morto Facio, ad Adelano in Lunigiana in un'alba di luglio di mezzo secolo fa. Poi quarantacinque anni di silenzio.
Ora è arrivato il momento di capire, non di compiangere. Perchè la verità è l'unica ad essere rinnovatrice. Perchè, come ha scritto Mauro Calamandrei: «Non è Facio che dobbiamo compiangere; compiangiamo invece i suoi fucilatori e soprattutto i loro mandanti, capaci di tanta scelleratezza»

*

Si vedano anche le pagine dedicate a Facio nel sito dedicato Sant'Agata di Esaro, il suo paese natale.

23/5/2006 - 14:05


Le cas Facio, le faux procès et les vérités cachées
de Maurizio Bardi
de Cronaca di un secolo in Lunigiana
traduction de Marco Valdo M.I.

Dante Castellucci, dit Facio, un des chefs les plus courageux de la guerre partisane, fut fusillé en 1944 sous le prétexte de vol d'un parachutage. Derrière ce faux procès, il y a des ombres et des vérités sur lesquelles on doit désormais faire la lumière.
Comme l'a écrit Mauro Calamandrei : « Ce n'est pas Facio que nous devons plaindre ; nous plaignons au contraire ses fusilleurs et surtout, leurs mandants, capables de tant de scélératesse ».
Ce 21 juillet est une journée du milieu de l'été particulièrement étouffante. Un vent chaud effleure les plantes qui pointent comme des lances sur les monts autour de Zeri.
Je me suis levé tôt pour arriver au petit matin à Adelano.
Cette journée du 21 juillet est une journée étrange ; c'est la première fois que je monte de ce côté et après quelques heures à peine, il me semble tout connaître du paysage.
J'ai peu dormi et j'ai pensé toute la nuit en poursuivant en pensée les coupables ou peut-être les responsables.
Aux alentours, sur les prés, il y a à présent tant de vacanciers, tant d'enfants qui crient, qui jouent
à la balle. À l'aube , il y a quarante-six ans, Dante Castellucci, dit Facio, a été assassiné sur le flanc de cette montagne. Oui, je le confesse : l'histoire de cette mort absurde, ou peut-être aussi trop claire, m'a passionné et ému comme si elle s'était déroulée hier.
La sentence de mort a été signée durant la nuit par l'ex-commissaire politique du bataillon de Facio, Antonio Cabrelli, ou mieux Salvatore. (et comme on le verra ci-après, fit Lucien l'âne en raclant méchamment le sol de son sabot avant droit, une belle ordure, ce mec ! J'aimerais pas être un de ses descendants ou le descendant d'un de ses descendants, je mourrais de honte chaque fois que je me verrais dans une glace ou dans l'eau d'une rivière ou d'une flaque, chaque fois que je sortirais, chaque fois que je rencontrerais quelqu'un... Bref, c'était une merde... et ceux qui l'avaient mandaté également... et vous les humains, vous vous étonnez que la « gauche » foire à tous les coups... avec des crétins pareils ?)

Mais pourquoi cet ordre fut-il signé ? Qui avait poussé le Tribunal spécial à émettre une condamnation pour un si banal prétexte de vol de parachutage ?
La rivalité entre de petits chefs partisans ou quelqu'un de plus haut ? Même Facio ne parvenait pas à le comprendre et s'en alla mourir des mains de camarades sans savoir pourquoi.
Vers cinq heures, c'était consommé. Dix ou vingt coups de fusil peut-être sont partis, qu'on ne voulait pas tirer. Puis le silence. Puis les cris. Puis de nouveau le silence? Pour Laura Seghettini, sa compagne, pour Libero Spuri, pour Antonio Pocaterra, enfermés dans une cave après avoir accompagné le soir précédent le chef et l'ami à Adelano, ce furent des signaux que le méfait avait été commis. Je sais exactement comment cela eut lieu. Je sais ce qu'il est advenu dans les heures qui ont précédé.

Le simulacre de procès

Vers la moitié du simulacre de procès, Laura est arrivée . Lui était muet et ne se défendait pas. Elle l'a prié, l'a conjuré de dire tout ce qu'il savait de Salvatore, sur le personnage qui l'accusait. Mais lui ne se défendait pas, au moins devant ce tribunal de partisans. Après la sentence, ils l'ont enfermé dans une cave avec Laura et un groupe d'hommes qui devait le surveiller. Tous le connaissaient de réputation. Ces hommes ne voulaient pas sa mort, ils voulaient qu'il s'enfuie. Laura l'en a prié, l'a conjuré de s'échapper. Mais lui ne voulait pas, pour le moins de chez les partisans.

À cinq heures du matin, on l'a conduit dans le pré. Facio était le seul qui ne tremblait pas. Le peloton ne voulait pas tirer, au point que ce fut lui qui a crié de s'armer de courage, de viser et de tirer. Et ils firent ainsi. Telle fut la mort de Dante Castellucci, dit Facio, intellectuel calabrais émigré en France, un des commandants les plus courageux de la guerre partisane. Ses amis ont crié fort, emprisonnés dans la cave et éveillés par le bruit rythmé des balles de l'exécution. Puis, pour tant d'années... le silence.
Durant la nuit, Facio repensait au pourquoi on le voulait mort. Et à son passé. Émigré en France, à Paris, il avait étudié la philosophie à la Sorbonne et il avait appris à jouer du violon.

Ah, s'il était resté là-bas, il n'aurait jamais connu Salvatore, son assassin ! Mais il n'aurait pas connu non plus les frères Cervi, leurs idées libertaires, leur courage. Et alors, c'est mieux ainsi !.

L'amitié avec les Cervi


En 1942, Facio avait déserté et s'était réfugié à Reggio Emilia. Papa Cervi conserve de lui un souvenir précis : « C'était un intellectuel mélancolique et pensif ». Facio partagea en ces jours la vie de ses fils. Avec eux, il organisa la guérilla citadine contre les Allemands. Il partit dans la montagne avec eux

Quand par la suite, les Cervi furent capturés, c'est justement lui qui étudia un plan pour leur libération. Mais les Cervi furent fusillés immédiatement et sans procès. Quelqu'un, peut-être parmi les partisans eux-mêmes, avait avisé les fascistes d'un imminent coup de main.

Facio est abasourdi. Il se joint au détachement Picelli dans la haute vallée du Val di Taro et devient un héros. Quand dans la bataille de Borgotaro meurt le commandant Fermo Ognibene, Facio, par volonté de tous, le remplace. Ses dons ne sont pas seulement militaires. Il est cultivé, il est plein d'ascendant sur les partisans et la population. Son nom circule parmi les gens presque comme une légende. Durant ces mois, un inspecteur central du Comité National de Libération (CNL) visita le détachement de Facio. Son rapport, contrairement aux habitudes, n'est en rien bureaucratique, il est au contraire plein d'enthousiasme. Facio est défini « plein de passion humaine, esprit subtil, intelligent, courageux, excellent commandant militaire. » À l'été 1944, sa formation, forte d'une cinquantaine d'hommes, est déjà un mythe. Il parle de socialisme libertaire, de démocratie. Tous veulent aller avec lui, et lui peu choisir ses hommes parmi les meilleurs.

Mais alors, surgissent les ennemis. Parmi ceux-ci, Tullio, un chef partisan qui après la guerre tournera mal : entre des vols et des actes de délinquance commune, et surtout, Antonio Cabrelli, dit Salvatore, par lequel le destin lui prépare un sombre rendez-vous. Antonio Cabrelli, militant communiste, durant le fascisme s'était réfugié à Moscou et là, il avait fréquenté l'école du parti. Il avait ensuite milité en Espagne dans les Brigades Internationales, encadrées rigidement par des bureaucrates soviétiques. Là, il avait participé à l'élimination des anarchistes espagnols durant la brève expérience de la République de Catalogne.
Amendola écrit : « Le parti communiste français avait choisi Salvatore comme son représentant pour contrôler l'activité des communistes italiens opérant en Tunisie. Mais Salvatore en Tunisie fut arrêté et expulsé par les autorités françaises, qui montrèrent des preuves photographiques de ses activités d'espionnage pour compte des services fascistes ».
Après être rentré en Italie, Salvatore rejoignit la résistance, se présenta à Facio et lui demanda d'être
accepté dans sa formation. Bon orateur, il aspire à devenir commissaire politique, en se targuant de longues années d'expérience. Mais le commandement de Parme bloqua sa nomination et dans une assemblée de partisans, Facio informe ses camarades des doutes qui circulent sur Salvatore, qui malgré tout est nommé commissaire d'un détachement.

En 1944, les partisans de Facio sont engagés dans de grandes batailles, comme celle du Lago Santo, dans laquelle douze hommes tinrent tête à 180 militaires fascistes, suscitant chez ces derniers de l'admiration et du respect. Vers le début de juillet 1944, Facio se lamenta de la faible activité de guerre du détachement où militait Salvatore, lequel de plus, ne participait jamais aux actions de guerre. À partir de ce moment, entre Facio et Salvatore , ce fut l’affrontement ouvert. Le commissaire politique refusa l'ordre de rentrer dans son territoire de compétence, refusa d'obéir aux ordres du CNL de Parme, et se mit à la disposition de la résistance ligure avec laquelle il avait établi des relations et des rapports préférentiels depuis longtemps.


Le PC de La Spezia nomme Salvatore commissaire politique

Dans les premiers jours de juillet, tous les chefs qui opèrent entre La Spezia et Cisa se réunissent à Zeri pour fonder la première division ligure. Il y a des témoignages que Salvatore en ces jours-là s'agita beaucoup, effectue de fréquents voyages et entretient des rapports étroits avec les dirigeants communistes ligures de stricte observance.
La tragédie de Facio peut s'accomplir. Le commandement de sa division est à Parme. Ses hommes souffrent de graves privations dans les fournitures de vivres et d'armes. Avec les formations ligures, à cause de Salvatore, les rapports sont mauvais. Tous les lancers appartiennent aux gens de La Spezia. Désormais, c'est leur territoire. Le 18 juillet, un homme de Facio trouve une pièce de mortier parachutée du ciel. Le Commandant ordonne de la tenir. Le 19, un autre lancer n'arrive pas à la formation Beretta à laquelle il est destiné, du fait que la formation est à la débandade suite à une rafle. Personne ne se présente pour recueillir le matériel et alors, Facio donne l'ordre de nouveau de récupérer le matériel.
Il existe désormais un prétexte pour accuser Facio. Le 20 juillet à Adelano, se réunissent les chefs de la division ligure à peine constituée. Salvatore réussit à les convaincre de nommer un tribunal pour faire le procès de Facio.

Un délit politique

On est nombreux à comprendre que Salvatore est à peine plus qu'un exécuteur, même s'il est fortement intéressé, de décisions prises ailleurs.
Mais où et par qui ?
Certains sont scandalisés et abandonnent la réunion, mais le tribunal est quand même désigné : il est composé de Tullio, de Renato Arduini, de Salvatore et de Nello et Luciano Scotti. Ce sont eux qui attirent par une excuse Facio au campement d'Adelano, ce sont eux qui l'invitent à boire à peine arrivé, ce sont eux qui le désarment et le frappent. Puis, ils le condamnent à mort. La sentence est signée par Salvatore, au nom du Parti Communiste. À tant d'années de distance, les juges de Facio sont morts, tous sauf Scotti.
Scotti vit à La Spezia où il a longtemps été chef de la police locale. Lui sait. Il sait exactement qui a voulu cette mort et quand et comment elle a été décidée. Certainement pas par Salvatore, mais par quelqu'un chez qui Salvatore allait prendre ses ordres, lors de ses fréquents voyages.
Scotti n'a jamais voulu parler. Absolument.

Ils sont nombreux les dirigeants communistes qui en quarante ans ont fait le pendule entre Rome et la maison pontremolaise de Laura Seghettini, sa compagne. Pourquoi ? Que cherchaient-ils ? Qui protégeaient-ils ? Dante Castellucci, dit Facio, Calabrais de passion, Parisien de culture, avait partagé le communisme libertaire des frères Cervi, qui ne plaisait pas aux dirigeants du parti formatés à l'école de Moscou. D'autre part, il est désormais certain que la capture des frères Cervi a été possible grâce à une trahison d'un de leur camarade.

Comme en Espagne ?

Quelque chose de semblable est sans doute advenu pour Facio. Quelqu'un craignait l'esprit du communisme libertaire, avait peur de ce que Facio avait appris des frères Cervi et de ce qu'il savait sur leur mort.

En Espagne, les brigades internationales, celles fidèles à Staline (dans lesquelles avait milité Salvatore), n'avaient-elles pas exterminé leurs compagnons de lutte contre Franco : les anarchistes, plutôt que mettre en discussion le modèle stalinien ?

Ainsi est mort Facio, à Adelano en Lunigiana une aube de juillet il y a (un peu plus d') un demi-siècle. Puis, il y eut quarante-cinq ans de silence.
Maintenant est arrivé le moment de comprendre, pas de pleurer. Car la vérité est l'unique à être rénovatrice. Car, comme l'a écrit Mauro Calamandrei : « Ce n'est pas Facio que nous devons plaindre, nous plaignons au contraire ses fusilleurs et surtout, leurs mandants, capables de tant de scélératesse »

14/1/2011 - 18:07


Quando Fabio ce la fece ascoltare la prima volta, rimasi silenzioso pensando a quanta... passione.. si potesse esprimere giocando con le parole e con le note... con le atmosfere evocate.. per armonia e dissonanza.. un gioco apparentemente di pura ragione che rivela invece tutta l'umidità dell'anima.

Davide Lazzaroni (Bededeum) - 6/5/2005 - 16:09


Sig. Ghelli, ho letto con commozione la canzone che ha scritto per mia zia Laura....è stato come tornare indietro ad un passato che non ho vissuto direttamente ma solo per sentito dire dalla mia nonna Arcuri Maria Concetta, madre di Facio, (mio zio Dante). La ringrazio dal profondo del cuore. Carla Servidio

carla servidio - 15/2/2008 - 21:02


Fabio Ghelli e gli Apuamater interpretano "Cara Laura" a Fosdinovo il 25 aprile 2010

Riccardo Venturi - 9/8/2010 - 21:04




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