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Chi ha ucciso Ilaria Alpi?

Gang
Lingua: Italiano


Gang

Lista delle versioni e commenti


Ti può interessare anche...

Reporter
(Pooh)
Pablo amigo
(Julio César Ferreira)
Passione Reporter
(Daniele Biacchessi)


[1997]
Testo e musica di Sandro e Marino Severini
Dall'album "Fuori dal controllo"
fdc

Lyrics and Music by Sandro and Marino Severini ("The Gang")
Album: Fuori dal controllo

Per la vicenda dell'uccisione (o esecuzione?) della giornalista del TG3 Ilaria Alpi e dell'operatore Miran Hrovatin, si rimanda al sito di Carlo Lucarelli "Misteri d'Italia". Qui una Cronologia dettagliata del caso fino al 2010.

La giornalista vittima di un “esecuzione premeditata” insieme all’operatore Miran Hrovatin avvenuta a Mogadiscio nel marzo del ’94. Come nel caso di 200 giorni a Palermo (canzone per la quale ancora c’è un processo che ci vede imputati..) tiene conto di un inchiesta giornalistica di Avvenimenti.

the-gang.it



Ilaria Alpi e Miran Hrovatin
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin


"Ilaria e Miran uccisi per un traffico rifiuti-armi. Ma è una verità troppo scomoda per l'Italia"

"In 20 anni di indagini", spiega la madre della giornalista del Tg3 uccisa a Mogadiscio con il suo operatore, "mi sono scontrata con un muro di silenzi, depistaggi, documenti spariti e strani decessi di persone legate al duplice omicidio". Il governo potrebbe desecretare gli 8 mila documenti raccolti dai nostri Servizi. "Credo servirà a poco", sostiene la signora Alpi, "a me basta trovare i mandanti e guardarli in faccia"

Alpi-HrovatinIo so perché Ilaria e Miran sono stati uccisi. Dopo 20 anni di indagini inutili e faticose, di menzogne, depistaggi, sparizioni, altre morti sospette, ho bisogno solo di conoscere i nomi dei mandanti di quel duplice omicidio. Non li voglio vedere dietro le sbarre. Mi basta guardarli in faccia". Armi per rifiuti. Tossici, chimici, nucleari. Ogni schifezza che si produceva nel mondo - e si ricicla in Italia - da sotterrare in zone desertiche della Somalia. In cambio, carichi di armamenti moderni e sofisticati provenienti dai paesi dell'ex blocco sovietico che il nostro paese forniva ai signori della guerra. Non solo nella nostra ex colonia ma in tutti i paesi del Corno d'Africa. "Ilaria", ci dice la signora Luciana Alpi, la madre della giornalista del Tg3 della Rai uccisa a Mogadiscio il 20 marzo del 1994 assieme all'operatore Miran Hrovatin, "stava indagando su questo enorme scandalo. Lo aveva detto ad alcune persone di cui si fidava. Con la dovuta cautela imposta dall'argomento". Giovedì prossimo saranno passati 20 anni. La vergogna criminale della Terra dei fuochi era ancora lontana dall'essere scoperta. Ma dopo tutto quello che si è visto e saputo, con i guasti economici e ambientali inflitti a una regione come la Campania, il movente di un omicidio ancora oscuro non è poi così assurdo. Anzi.

Repubblica.it


Su Ilaria Alpi si veda anche:
Chi ha ucciso Ilaria Alpi? (Gang),
Ilaria (ResistenzaLibera)
Reporter (Pooh)
Ilaria (Milo Brugnara)
Mal d'Africa (Ilaria, Miran e i sentieri delle banane) (Scraps Orchestra)
La Rosso (Alessio Blve)
Inverno a Mogadiscio (Alberto Amboni)
Dialogo di guerra (Alessandro Ducoli)


Dove la terra non è di nessuno
là dove il cielo è sepolto dal fumo
in mezzo alle fiamme cercò il mistero
Ilaria divise il falso dal vero
Là sulla strada lontana da casa
Ilaria fu colta dal suo destino
in mezzo alle fiamme l’hanno lasciata
le presero il cuore e il suo taccuino

Chi ha ucciso Ilaria Alpi?
Chi ha ucciso Ilaria?
Chi ha ucciso Ilaria Alpi?
Chi ha ucciso Ilaria?

Dieci di aprile notte dei fuochi
traffico d’armi in mezzo alla baia
le armi le porta la nave fantasma
dal porto a Livorno diretta in Somalia.
Su quella rotta Ilaria si mise
la notte che il mare rubò i quattro venti
sul Moby Prince in mezzo alle fiamme
un’altra strage degli innocenti

Chi ha ucciso Ilaria Alpi?
Chi ha ucciso Ilaria?
Chi ha ucciso Ilaria Alpi?
Chi ha ucciso Ilaria?

La verità è partigiana
la verità si nutre di pianto
tempo verrà per dividere il grano
dai topi dividerlo tenerlo lontano
tempo sarà di svelare il mistero
dividere il falso, il falso dal vero

Chi ha ucciso Ilaria Alpi?
Chi ha ucciso Ilaria?
Chi ha ucciso Ilaria Alpi?
Chi ha ucciso Ilaria?
Chi ha ucciso Ilaria?...

inviata da Riccardo Venturi - 8/4/2005 - 19:14



Lingua: Inglese

English Translation by Riccardo Venturi
March 16, 2016
WHO KILLED ILARIA ALPI?

There, where land is no man's land,
Where the sky is buried in smoke,
She looked into the mystery amid the fire,
Ilaria told falsehood from truth.
There on a road far away from home
Ilaria met her destiny
They left her amid the fire
They took her heart and her notebook

Who killed Ilaria Alpi?
Who killed Ilaria?
Who killed Ilaria Alpi?
Who killed Ilaria?

April 10, the night of fires,
There's traffic in arms in the bay,
Arms being carried in a ghost ship
From Livorno harbour bound for Somalia.
Ilaria was following that course
The night when the sea stole the four winds,
On the Moby Prince, amid the fire,
Another slaughter of the innocents.

Who killed Ilaria Alpi?
Who killed Ilaria?
Who killed Ilaria Alpi?
Who killed Ilaria?

The truth is like a partisan,
The truth feeds on tears,
A time will come when the wheat
Is separated and held away from rats,
When the mystery is finally solved,
A time to tell falsehood from truth.

Who killed Ilaria Alpi?
Who killed Ilaria?
Who killed Ilaria Alpi?
Who killed Ilaria?
Who killed Ilaria?...

16/3/2016 - 16:42


Nel pomeriggio di oggi, domenica 11 luglio, dopo una lunga malattia, si è spento Giorgio Alpi, medico urologo molto conosciuto e padre di Ilaria Alpi.

L'associazione Ilaria Alpi, di cui insieme alla moglie era tra i soci fondatori, e il Premio Ilaria Alpi nel dare la notizia in una nota si uniscono al dolore della moglie Luciana Riccardi. «Persona dolcissima, medico molto apprezzato e conosciuto - spiegano - Giorgio ha in questi ultimi sedici anni combattuto sempre a fianco di Luciana per arrivare alla verità e alla giustizia sulla morte della loro unica figlia Ilaria. Verità e giustizia che purtroppo ancora non c'è. Giorgio lascia un grande vuoto sia in famiglia, ma anche per l'associazione e il Premio che lo ricordano con profondo affetto».


«In un paese che spesso preferisce dimenticare, Giorgio ha incarnato la determinazione a voler ricordare». Con queste parole ha voluto esprimere il proprio cordoglio la giuria del Premio Ilaria Alpi.

«Con pacata fermezza era, accanto a Luciana - ha scritto la giuria - il simbolo della battaglia civile e durissima perchè si arrivasse alla verità sull'uccisione di Ilaria e Miran. A tutti noi che lo abbiamo conosciuto e che con lui abbiamo condiviso l'impegno affinchè lo Stato, la magistratura, l'opinione pubblica non tralasciassero il loro dovere di individuare i colpevoli, la sua perdita rappresenta un grandissimo dolore ma anche l'impegno a continuare sulla strada intrapresa».

L'Unità

12/7/2010 - 10:13


Jacquier, primo reporter occidentale morto in Siria

Gilles Jacquier era stato premiato con il premio Ilaria Alpi nel 2011: Miglior reportage internazionale

Gilles Jacquier,Tunisie, la révolution en marche, France 2, (30’)

Cosa è accaduto realmente nella rivolta dei giovani tunisini? Com’è avvenuta la fine della dittatura? Un reportage sulla forza dei ragazzi nel segno della riaffermazione della democrazia

DonQuijote82 - 12/1/2012 - 12:49


Il caso Ilaria Alpi

20 MARZO 1994 – A Mogadiscio, un commando somalo uccide Ilaria Alpi, inviata del Tg3 Rai, e l’operatore Miran Hrovatin, in Somalia per seguire la guerra tra fazioni che stava insanguinando il Paese africano e le operazioni militari lanciate dagli Usa con il nome
di “Restor Hope”, con l’appoggio di numerose nazioni alleate, compresa l’Italia, per porre fine alla guerra interna e ristabilire un minimo di legalità nel disastroso scenario somalo.

22 MARZO 1994 – La Procura di Roma apre un’inchiesta. .

4 LUGLIO 1994 – Il padre della giornalista, Giorgio Alpi, parla di esecuzione, ricordando che la figlia, poco prima di morire, aveva intervistato il sultano di Bosaso e aveva annotato tutto su un taccuino poi scomparso. .

9 APRILE 1995 – Il sultano di Bosaso, Abdullahi Mussa Bogar, risulta tra gli indagati quale mandante del delitto. La sua posizione sarà però archiviata. .

20 MARZO 1996 – Il Procuratore capo di Roma, Michele Coiro, affianca, nell’inchiesta, al dottor De Gasperis il dottor Giuseppe Pititto. .

4 MAGGIO 1996 – Giuseppe Pititto dispone la riesumazione della salma di Ilaria, l’autopsia e nomina consulenti medici e balistici. .

25 GIUGNO 1996 – Per la seconda perizia balistica il colpo contro Ilaria Alpi fu sparato a bruciapelo da una certa distanza. Alla stessa conclusione arriva la terza perizia il 18 novembre 1997. Per i periti si trattò di un’esecuzione.

DAL NOVEMBRE 1996 la Procura della Repubblica di Asti, specializzata in reati come il traffico internazionale di rifiuti tossici e radioattivi in partenza ed in transito dall’Italia, ha a disposizione una copiosa documentazione che contiene nomi e fatti, ed evidenzia numerose circostanze legate a questi traffici, comprese le generalità dei faccendieri che li dirigono nell’ombra, gli intrecci con i mercanti d’armi e perfino la mappatura completa che dimostra come ai tempi dell’omicidio tutto convergesse sulla Somalia, oltre che sui territori di altri Paesi dell’Africa costiera.
Questa documentazione sembra scomparsa nel nulla, forse dimenticata anche dalla stessa Commissione Parlamentare sul traffico dei rifiuti. Ilaria Alpi era già stata in Somalia prima del 1994, e conosceva bene la situazione.

15 LUGLIO 1997 – Il Procuratore capo dottor Salvatore Vecchione avoca a sé l’inchiesta, affiancato dal dottor Franco Jonta. Questa decisione avviene due giorni prima dell’arrivo a Roma di due testimoni oculari: l’autista e la guardia del corpo di Ilaria. L’arrivo dei due testimoni era stato organizzato dal dottor Pititto con la collaborazione della Digos di Udine.

12 GENNAIO 1998 – Viene arrestato per concorso nel duplice omicidio il somalo Hashi Omar Hassan, a Roma da due giorni per testimoniare alla commissione sulle presunte violenze dei soldati italiani in Somalia. Hassan è identificato dall’autista di Alpi.

18 GENNAIO 1999 – Comincia il processo ad Hassan.

9 LUGLIO 1999 – Hassan è assolto. Il pm aveva chiesto la condanna all’ergastolo.

24 NOVEMBRE 2000 – La corte d’Assise d’Appello di Roma condanna all’ergastolo Hashi Omar Hassan. Il somalo viene riconosciuto come uno dei sette componenti del commando che ha ucciso Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

10 OTTOBRE 2001 – La prima sezione penale della Cassazione annulla la sentenza impugnata ”limitatamente all’aggravante della premeditazione e al diniego delle circostanze attenuanti generiche”.

10 MAGGIO 2002 – Si apre il processo d’appello bis davanti alla corte d’Assise d’Appello di Roma presieduta da Enzo Rivellese.

24 GIUGNO 2002 – Il sostituto procuratore generale Salvatore Cantaro chiede la conferma dell’ergastolo per Hassan. ”È provato – afferma – che Hassan era uno dei sette componenti del commando che attese Ilaria e Miran per due ore”.

28 MARZO 2003 – Esce il film di Ferdinando Vicentini Orgnani “Il più crudele dei giorni”, con Giovanna Mezzogiorno nella parte di Ilaria. Merito del film è quello di riportare l’attenzione sul caso Alpi.

6 GIUGNO 2003 – Alla nona edizione del Premio Ilaria Alpi, a Riccione, il deputato dei Ds, Valerio Calzolaio, annuncia di aver depositato a nome di esponenti di tutti i gruppi parlamentari, da An a Rifondazione Comunista, la proposta di istituire una Commissione d’Inchiesta sull’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin .

31 LUGLIO 2003 – Viene istituita con deliberazione della Camera dei deputati la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

21 GENNAIO 2004 – Si insedia la Commissione parlamentare d’inchiesta. L’istituzione della Commissione parlamentare d’inchiesta è giunta dopo dieci anni di verità sospese sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Fino ad ora, infatti, sul caso è emerso solo qualche brandello di verità ufficiale.

28 FEBBRAIO 2006 - La Commissione Parlamentare d’inchiesta ha chiuso i lavori. All’interno della Commissione i deputati di maggioranza hanno approvato le conclusioni proposte dal Presidente Carlo Taormina, mentre l’opposizione non ha approvato il documento. I componenti di centrosinistra hanno prodotto un Rapporto di Minoranza; mentre il deputato dei Verdi Mauro Bulgarelli ha presentato una terza relazione sulle conclusioni a cui la Commissione è giunta in due anni di lavoro.

AGOSTO-SETTEMBRE 2005- Per tenere viva l’attenzione sul caso, nell’agosto e nel settembre 2005, l’Associazione Ilaria Alpi/Comunità Aperta è andata in Somalia, realizzando un viaggio sulle tracce di Ilaria e Miran. Dal viaggio sono nati un reportage giornalistico e una mostra fotografica.

03 GIUGNO 2006 – L’Associzione Ilaria Alpi scrive al Presidente del Consiglio Romano Prodi,affinchè il Governo si attivi per fare piena luce sulla morte dei due giornalisti Ilaria Alpi e MIran Hrovatin.Segnalando che nel corso della serata di apertura della XII edizione del Premio Ilaria Alpi, il Presidente dela SOmalia Abdulhai Yusuf Ahmed ha riconfermato la volontà del suo governo di collaborare con quello italiano

20 GIUGNO 2006 – Il Presidente del consiglio Romano Prodi riceve Giorgio e Luciana Alpi. Romano Prodi si è assunto un “serio impegno” con i genitori della giornalista Ilaria Alpi, per valutare le modalità e la base per riavviare un ragionamento sulle circostanze della morte di Ilaria e di Miran

18 LUGLIO 2006 – Dopo Romano Prodi,a nche il presidente della Camera dei Deputati Fausto Bertinotti, ha ricevuto Giorgio e Luciana Alpi. Il neo presidente della Camera ha confermato l’interesse da parte del Governo per il caso Alpi-Hrovatin

25 GIUGNO 2007 – La Commissione Esteri del Senato della Repubblica sta valutando e mettendo in evidenza gli elementi che motivano la costituzione di una nuova commissione d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ha udito Luciana Alpi e Mariangela Gritta Grainer in rappresentanza dell’Associazione Ilaria Alpi

10 LUGLIO 2007 – Il Pm Franco Ionta, titolare del procedimento sul caso Alpi/Hrovatin presso la Procura di Roma, ha chiesto in data 12 giugno scorso l’archiviazione del caso. L’impossibilità di identificare i responsabili degli omicidi di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin al di fuori di Hashi Omar Hassan, il miliziano somalo condannato a 26 anni di reclusione per il duplice omicidio avvenuto a Mogadiscio il 20 marzo 1994, sono le motivazioni sostenute dal Pm

09 GENNAIO 2008 – Una nuova commissione per il Caso Alpi-Hrovatin?La proposta di istituire una Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (doc. XXII, n. 14) è tornata all’esame della Commissione Esteri del Senato nella seduta di oggi, ma la decisione è stata posticipata. (non verrà mai istituita)

14 FEBBRAIO 2010 – Bocciata la richiesta di archiviazione per il caso Alpi-Hrovatin: uccisi per bloccare le notizie sui traffici tra Italia e Somalia. Cade così il teorema Taormina.
Omicidio su commissione. Il movente? Far tacere i due reporter sulle loro scoperte sui traffici di armi e rifiuti. Per la prima volta un giudice italiano, il 3 dicembre, ha tratto queste conclusioni dopo aver letto le migliaia di pagine relative al caso Alpi-Hrovatin. Si tratta del gip Emanuele Cersosimo, chiamato a decidere sulla richiesta di archiviazione avanzata dal pm di Roma Franco Ionta, alla quale aveva presentato istanza di opposizione il legale della famiglia Alpi.

18 MARZO 2010 – Si riapre il caso Alpi/Hrovatin? Il principale accusatore di Hashi Omar Hassan, l’unico condannato per l’uccisione della giornalista Ilaria Alpi e dell’operatore tv Miran Hrovatin (avvenuta a Mogadiscio il 20 marzo del ’94), rischia di finire sotto processo a Roma per il reato di calunnia. Il gip Maurizio Silvestri, respingendo una richiesta di archiviazione sollecitata dal pm Giancarlo Amato, ha disposto per Ali Rage Ahmed, 45 anni, detto ‘Gelle’, l’imputazione coatta. E’ stata archiviata, invece, la posizione di Ali Mohamed Abdi Said, autista dei due italiani nonche’ altro teste d’accusa contro Hassan, perche’ deceduto.

APRILE 2010 – L’Associazione Ilaria Alpi lancia un appello e una raccolta firme atta alla riapertura del caso dell’assassinio dei due giornalsiti. Si legge nell’appello:“Si può riaprire il processo per la morte di Ilaria e Miran: Ali Rage Hamed detto Jelle, testimone d’accusa chiave nei confronti di Hashi Omar Hassan (in carcere da dieci anni dopo la condanna definitiva a 26 anni) sarà processato per calunnia.Perché alla verità giudiziaria non si è ancora arrivati? Chi non vuole questa verità e quindi giustizia e perché? Noi chiediamo alla magistratura di procedere nell’accertamento delle responsabilità, di individuare esecutori e mandanti”.

06 MAGGIO 2010 – Alla notizia della possibile riapertura del caso dell’assassinio di Ilaria Alpi, i genitori della giornalista uccisa a Mogadiscio nel 1994 dichiarano: “Se si riapre il processo, con molta probabilità ci costituiamo parte civile”. A parlare è Luciana Alpi, mamma di Ilaria, che appresa la notizia del rinvio a giudizio e di una probabile apertura del processo nei confronti di Hashi Omar Hassan, il ragazzo somalo accusato dell’omicidio della figlia, aggiunge come siano 16 anni che aspettano la verità sull’omicidio di Ilaria.

Di seguito potete trovare documenti e notizie relative al caso Ilaria Alpi, proposte in ordine cronologico di inserimento nel sito.

- Il link alla Commissione Parlamentare Bicamerale d’Inchiesta sulla morte di Ilaria e Miran

- Da http://www.ilariaalpi.it

DQ82 - 12/1/2012 - 18:14


Che ne dite di un percosro giornalisti contro la guerra (al momento mi vengono in mente Enzo Baldoni e Ilaria Alpi)
(DQ82)

Penso proprio che si possa fare. C'è qualche canzone su Anna Politkovskaja?

12/1/2012 - 18:19


Team 6, killer di Stato: chi e perché ha ucciso Ilaria Alpi

Libre - La docufiction “Ilaria Alpi – L’ultimo viaggio” (visibile sul sito di Rai Tre) getta luce, soprattutto grazie a prove scoperte dal giornalista Luigi Grimaldi, sull’omicidio della giornalista e del suo operatore Miran Hrovatin il 20 marzo 1994 a Mogadiscio. Furono assassinati, in un agguato organizzato dalla Cia con l’aiuto di Gladio e servizi segreti italiani, perché avevano scoperto un traffico di armi gestito dalla Cia attraverso la flotta della società Schifco, donata dalla Cooperazione italiana alla Somalia ufficialmente per la pesca. In realtà, agli inizi degli anni Novanta, le navi della Shifco erano usate, insieme a navi della Lettonia, per trasportare armi Usa e rifiuti tossici anche radioattivi in Somalia e per rifornire di armi la Croazia in guerra contro la Jugoslavia. Anche se nella docufiction non se ne parla, risulta che una nave della Shifco, la 21 Oktoobar II (poi sotto bandiera panamense col nome di Urgull), si trovava il 10 aprile 1991 nel porto di Livorno dove era in corso una operazione segreta di trasbordo di armi statunitensi rientrate a Camp Darby dopo la guerra all’Iraq, e dove si consumò la tragedia della Moby Prince in cui morirono 140 persone.

Sul caso Alpi, dopo otto processi (con la condanna di un somalo ritenuto innocente dagli stessi genitori di Ilaria) e quattro commissioni parlamentari, sta venendo alla luce la verità, ossia ciò che Ilaria aveva scoperto e appuntato sui taccuini, fatti Ilaria Alpisparire dai servizi segreti. Una verità di scottante, drammatica attualità. L’operazione “Restore Hope”, lanciata nel dicembre 1992 in Somalia (paese di grande importanza geostrategica) dal presidente Bush, con l’assenso del neo-presidente Clinton, è stata la prima missione di “ingerenza umanitaria”. Con la stessa motivazione, ossia che occorre intervenire militarmente quando è in pericolo la sopravvivenza di un popolo, sono state lanciate le successive guerre Usa/Nato contro la Jugoslavia, l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, la Siria e altre operazioni come quelle in corso nello Yemen e in Ucraina. Preparate e accompagnate, sotto la veste “umanitaria”, da attività segrete. Una inchiesta del “New York Times” (24 marzo 2013) ha confermato l’esistenza di una rete internazionale della Cia, che con aerei qatariani, giordani e sauditi fornisce ai “ribelli” in Siria, attraverso la Turchia, armi provenienti anche dalla Croazia, che restituisce così alla Cia il “favore” ricevuto negli anni Novanta.

Quando il 29 maggio scorso il quotidiano turco “Cumhuriyet” ha pubblicato un video che mostra il transito di tali armi attraverso la Turchia, il presidente Erdoğan ha dichiarato che il direttore del giornale pagherà «un prezzo pesante». Ventun anni fa Ilaria Alpi pagò con la vita il tentativo di dimostrare che la realtà della guerra non è solo quella che viene fatta apparire ai nostri occhi. Da allora la guerra è divenuta sempre più “coperta”. Lo conferma un servizio del “New York Times” (7 giugno) sulla “Team 6”, unità supersegreta del comando Usa per le operazioni speciali, incaricata delle “uccisioni silenziose”. I suoi specialisti «hanno tramato azioni mortali da basi segrete sui calanchi della Somalia, in Afghanistan si sono impegnati in combattimenti così ravvicinati da ritornare imbevuti di sangue non loro», uccidendo anche con «primitivi tomahawk». Usando «stazioni di spionaggio in tutto il mondo», camuffandosi da «impiegati civili di compagnie o funzionari di ambasciate», seguono coloro che «gli Stati Uniti vogliono uccidere o catturare». Il “Team 6” è divenuta «una macchina globale di caccia all’uomo». I killer di Ilaria Alpi sono oggi ancora più potenti. Ma la verità è dura da uccidere.

(Manlio Dinucci, “La scottante verità di Ilaria Alpi”, dal “Manifesto” del 9 giugno 2015).

dq82 - 19/6/2015 - 18:37


Firenze: Inaugurazione di “Piazza Ilaria Alpi e Miran Hrovatin”. Il 20 marzo alle Piagge alla ricerca di verità e giustizia

Alle 16 di domenica 20 marzo 2016 al Centro Sociale Il Pozzo. Un incontro organizzato dalla Comunità delle Piagge con Daniela Luchetta, Mariangela Gritta Greiner, Sandra Bonsanti, Alessandro Santoro, Ornella De Zordo e Cristiano Lucchi. Seguirà la rappresentazione di alcuni brani de “Lo Schifo” di Stefano Massini a cura della scuola Calenzano Teatro Formazione.

... continua su L'Altracittà

16/3/2016 - 15:08


SEI GIORNALISTA E ANCHE CURDO? ALLORA PEGGIO PER TE

Gianni Sartori

Vita dura per giornalisti e fotografi - soprattutto se indipendenti - in certe aree del globo.

Quelli curdi poi sembrano essere particolarmente sotto tiro.

Il 18 novembre era giunta la notizia che il fotografo e giornalista curdo Ebrahim Alipoor era stato rapito a Kabul da uomini armati presumibilmente legati ai talebani (doveroso chiedersi: per conto di chi?).

Il giorno dopo, venerdì 19 novembre, un altro giornalista curdo, Emrullah Acar, la cui abitazione era stata perquisita, veniva arrestato dalla polizia turca.

Andiamo con ordine.

Stando a quanto dichiarato da Henhaw, organizzazione per la difesa dei diritti umani, il fotogiornalista Ebrahim Alipoor sarebbe stato sequestrato il giorno 16 novembre nella capitale afgana e portato in un luogo sconosciuto.

Membro della Federazione Internazionale della Stampa Fotografica (FIAP) e di Immagine del Medio Oriente (MEI), il trentaduenne curdo, originario di Bane (nell’Iran) si era recato in Afganistan per documentare la situazione dopo il ritorno al potere dei talebani.

Non si sa per quale motivo sia stato sequestrato e di che cosa, eventualmente, venga accusato.

Inevitabile sospettare, intravedere la longa manus di un “mandante” straniero. Magari di qualche capitale non particolarmente affezionata ai “suoi” curdi, come per esempio Teheran o Ankara. Conosciuto a livello internazionale (le sue foto sono state esposte in Gran Bretagna, Slovenia, Paesi Bassi…) in Iran Ebrahim era già stato arrestato varie volte dal regime a causa dei suoi lavori di documentazione riguardanti l’oppressione delle donne e la repressione subita dai kolbar (gli spalloni curdi che attraversano illegalmente la artificiose frontiere statali tra Rojhilat, Bashur e Bakur).

Nessun dubbio invece su chi abbia voluto mettere a tacere Emrullah Acar.
Il corrispondente dell’agenzia curda Mezopotamya è stato arrestato all’alba del 19 novembre in casa sua nella città di Urfa (nel Bakur, il Kurdidstan del Nord sottoposto all’amministrazione turca).

Nel corso della stessa operazione (nata da un’inchiesta avviata dal tribunale di Malatya) è stato arrestato, a Bingol, anche Hivda Sarilmaz.

Entrambi sarebbero accusati di “appartenenza a un’organizzazione terrorista”.

Perquisita nella stessa mattinata di venerdì 19 l’abitazione di un’altra giornalista, Hikmet Tunc, corrispondente dell’agenzia di stampa femminile Jin News.

In questo caso la richiesta era partita dal procuratore generale di Van in quanto, secondo gli informatori, nella casa sarebbero state nascoste delle armi. Dopo una ricerca infruttuosa gli agenti hanno lasciato l’abitazione della giornalista.

Niente di nuovo naturalmente. La Turchia, classificata al 153° posto in materia di libertà di stampa, viene regolarmente citata come esempio (negativo beninteso) di repressione, oltre che del dissenso, anche dell’informazione. E non certo da oggi. Inoltre il regime di Erdogan sembra essersi specializzato nell’acquisire il controllo dei media.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 20/11/2021 - 00:16


UN DELITTO DI STATO?

Riprendo qui un mio articolo del settembre 2017, forse ancora degno di interesse.

UN DELITTO DI STATO? LA MORTE SCOMODA DI ILARIA  ALPI E DI MIRAN HROVATIN

"Ogni generazione crede di essere la prima a ribellarsi a una realtà ingiusta, ma il potere ricorda chi si ribellò in passato e sa quindi prevedere chi lo farà in futuro; per questo colpisce con precisione”

(G. Laurenti – “La madre dell’Uovo”)


Un groviglio, un ginepraio… o forse un verminaio. Così mi era apparsa la vicenda della morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (*) mentre tentavo di assemblare gli innumerevoli frammenti – intrecciati, confusi, contaminati – da cui emanava l’eco, talvolta il tanfo, di fatti e nomi spesso già noti. Per lo meno a chi, in questo Paese di assopiti, ha saputo conservare qualche brandello di memoria.

Una storia irrisolta. Una scia di sangue con tanti morti ammazzati o deceduti in maniera sospetta. Qualcuno prima di Ilaria e Miran, qualcuno dopo. Non tutti e non necessariamente coinvolti nell’evento di cui qui si parla (il duplice omicidio del 20 marzo 1994) ma piuttosto vittime delle stesse trame su cui Ilaria stava indagando.

Un passo indietro. Quando mi venne proposto di scrivere l’articolo sulla morte di Ilaria Alpi, la mia prima perplessità fu di “non poter scrivere nulla che non fosse già stato detto”.

Poi, mentre appuravo che alcuni eventi li avevo già dimenticati o rimossi (mentre altri mi erano semplicemente sfuggiti) cominciò a delinearsi uno scenario più inquietante del previsto. Tanto da aver anche pensato: non è che stiamo andando in cerca di rogne?

Alla fine, vuoi per senso del dovere, vuoi per “fame e sete di giustizia”, ho cominciato a mettere in ordine i dati (e le date) in cerca di quelle coincidenze che, come ho imparato, raramente sono solamente coincidenze. Questo è il risultato.

Partiamo dall’ultima novità. Quest’anno (2017 nda), in luglio, la Procura di Roma ha presentato una richiesta di archiviazione, firmata dal pm Elisabetta Ceniccola, per l’indagine su quel tragico 20 marzo 1994. Quando a Mogadiscio, a pochi metri dall’ambasciata italiana, un commando di sette uomini uccise i due inviati del TG3.

Nelle conclusioni delle 80 cartelle di archiviazione si afferma: “La Procura di Roma è assolutamente consapevole di quanto sia deludente il fatto che oltre 20 anni di indagini, processi e accertamenti della Commissione parlamentare di inchiesta non abbiano consentito di fare in alcun modo luce sui responsabili della morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. E tuttavia ritiene che debba essere richiesta l’archiviazione del procedimento sia perché da un punto di vista formale, sono già scaduti i termini delle indagini per il reato di omicidio sia – e soprattutto – perché non vi è stato alcuna nuova ed ulteriore indagine che appaia idonea a conseguire risultati positivi né in relazione al delitto più grave né in ordine agli altri ipotizzati”.

In attesa che in merito si pronunci anche il giudice per le indagini preliminari, ricordiamo che nel 2007 il gip Emanuele Cersosimo aveva già respinto una richiesta analoga.

Infatti non mancano gli elementi per una lettura diversa della vicenda.

UNA FLOTTA FANTASMA

Già qualche anno fa, con la trasmissione su Rai Tre di “ILARIA ALPI – L’ULTIMO VIAGGIO”, erano emerse conferme ulteriori su quanto si sospettava da tempo: l’assassinio della giornalista e del collega Miran Hrovatin non era dovuto a un improvvisato tentativo di rapina o di rapimento ma sarebbe stato deciso e pianificato da giorni. Presumibilmente da personaggi legati alla Cia e alla rete Gladio, in combutta con i servizi segreti italiani.

I medesimi soggetti avrebbero provveduto a far sparire la documentazione e gli appunti di Ilaria che stava indagando su un caso scottante: un traffico di armi e di rifiuti tossici gestito appunto, oltre che da qualche faccendiere, anche da elementi dei Servizi. Come aveva denunciato in tempi non sospetti Manlio Dinucci. Per trasportare rifiuti e armi veniva utilizzata la flotta della società Schifco. Sei battelli (in qualche documento si parlava di sette) donati alla Somalia dalla Cooperazione internazionale. Ufficialmente per la pesca; in realtà pare che il pesce venisse trasportato solo all’andata. Al ritorno in Africa, sulle navi venivano caricate armi, in parte di produzione statunitense e rifiuti tossici, anche radioattivi, da scaricare sia lungo le coste che nell’interno della Somalia.(NOTA 1) All’operazione avrebbero partecipato anche alcune navi della Lettonia.

Da tempo si parlava di una nave della Schifco denominata 21 Oktoobar II (poi Urgull sotto bandiera panamense) che il 21 aprile 1991 avrebbe partecipato a una operazione segreta per trasportare armi statunitensi provenienti dall’Iraq e temporaneamente depositate a Camp Derby. E’ accertato che qualche giorno prima, in particolare la sera del tragico 10 aprile 1991, nella rada di Livorno stazionavano varie navi militari USA. Godendo dello status di segretezza militare non erano tenute a rispettare divieti e regole del porto, tanto meno rivelare la loro identità e posizione (quindi sotto falso nome o con nomi di copertura). Non si esclude che alcune viaggiassero a luci spente. Forse a seguito di una manovra avventata una di queste navi avrebbe tagliato la strada al traghetto Moby Prince che si vide costretto a virare bruscamente entrando in collisione con la petroliera Agip Abruzzo. Manlio Dinucci segnalava una ulteriore incongruenza. Ufficialmente la petroliera era appena arrivata dall’Egitto, ma con tempi record: 4/5 giorni invece dei 14 canonici.

Quella sera anche la 21 Oktoobar II si trovava nel porto e non si può escludere che l’intervento estremamente tardivo dei soccorsi fosse dovuto all’interdizione di varcare le aree militari. Una “tragedia annunciata” in cui persero la vita equipaggio e passeggeri:140 persone. Bruciate vive o soffocate dalle esalazioni.

Torniamo al 1994. A pochi giorni dal duplice omicidio su commissione in un’informativa riservata del Servizio segreto militare venivano segnalati quattro nomi: il colonnello Mohamed Sheikh Osman (trafficante d’armi del clan Murasade), Said Omar Mugne (amministratore della Somalfish), Mohamed Ali Abukar e Mohmaed Samatar. Sempre nel 1994 un’altra nota del Sismi indicava come possibili “mandanti o mediatori” Ennio Sommavilla e Giancarlo Marocchino. I due imprenditori, tra l’altro, furono fra i primi ad accorrere sul luogo del delitto. In seguito, nel 1996, si sarebbe puntato il dito contro il generale Aidid, signore della guerra somalo definito “l’utilizzatore finale del traffico d’armi”. Ma questa, a mio avviso, aveva tutta l’aria di una falsa pista.

Anche dopo quasi una decina di processi, la condanna di un capro espiatorio somalo – poi risultato completamente innocente, come sostenevano da sempre gli stessi familiari di Ilaria (NOTA 2) – e almeno quattro commissioni parlamentari, la verità stenta ancora nel venire a galla.

Quella dei rifiuti tossici (da quelli elettronici a quelli radioattivi) dispersi in Somalia è già, con buone probabilità, una delle maggiori emergenze sanitarie e ambientali del pianeta.

Non dimentichiamo che almeno l’80% dei rifiuti non è di origine urbana, ma industriale. Paradossalmente, l’inasprimento della legislazione ambientale nell’Unione europea aveva causato l’effetto perverso di incrementare lo smaltimento tramite esportazione, sovente in maniera illegale, nei Paesi eufemisticamente definiti “in via di sviluppo”. Al punto che già dalla fine degli anni ottanta si parlava apertamente di “neo-colonialismo tossico”.

In cima alla lista (almeno fra i casi conosciuti) appunto la Somalia. Approfittando della situazione di ingovernabilità in cui versava il Paese dopo la caduta di Siad Barre (e in barba alla legislazione stabilita ancora dalla Convenzione di Bale del 1989) migliaia di tonnellate di rifiuti tossici sono stati spudoratamente versati al largo delle coste somale, direttamente dalle navi o dagli aerei. Avvelenando le acque in precedenza pescose (si sono registrate periodiche, massicce morie di pesci e cetacei) e alimentando la cosiddetta pirateria , in realtà una forma di autodifesa popolare (almeno inizialmente i “pirati” si definivano National Volunteer Coast Guard) e unica risorsa per le popolazioni costiere ormai nella impossibilità di procurarsi da vivere. Molti abitanti delle zone interessate, pescatori in maggioranza, erano deceduti o si erano ammalati gravemente, con vistose eruzioni cutanee apparse dopo che erano entrati in contatto con le acque contaminate.

Le reali dimensioni della criminale operazione di smaltimento emersero (è il caso di dirlo) brutalmente nel 2004, grazie a un “provvidenziale” tsunami che riportò sulle spiagge somale centinaia di contenitori, sia di rifiuti genericamente tossici che di scorie nucleari.

Inoltre, stando ai dati forniti nel 2006 da Common Community Care, notevoli quantitativi di materiale radioattivo e di residui di perossido d’idrogeno erano stati interrati nelle aree interne della Somalia. Per esempio lungo la strada Garoe-Bosaso su cui indagava Ilaria Alpi.

Ancora negli anni novanta era stato accertata la responsabilità di aziende europee in rapporti con le alcune organizzazioni criminali (le solite eco-mafie) già operanti sul territorio italiano.

In questo contesto andrebbe collocata l’uccisione di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin che avevano appunto individuato la relazione tra il traffico illegale di armi e lo smaltimento, altrettanto illegale e criminale, dei rifiuti tossici in Somalia.

Poco tempo prima, anche la probabile “fonte” delle informazioni raccolte da Ilaria (Vincenzo Li Causi, agente del Sismi a capo della Gladio di Trapani) era stato assassinato a Mogadiscio in circostanze non chiare (si parlò di “fuoco amico”).

VI RICORDATE DI MAURO ROSTAGNO?

Fra coloro che avevano incrociato Ilaria nei suoi ultimi giorni in Somalia, c’ è stato il relativamente famoso Jupiter (al secolo Giuseppe Cammisa). Qualcuno forse lo ricorda come uomo di fiducia di Francesco Cardella (referente di Bettino Craxi e del PSI a Trapani): un carismatico leader della comunità Saman e responsabile dell’emarginazione subita da Mauro Rostagno all’interno della stessa comunità.

Rostagno venne assassinato il 26 settembre 1988 mentre indagava sulle connessioni tra mafia trapanese, massoneria e servizi segreti. Aveva probabilmente scoperto un traffico di armi con la Somalia che si serviva della base militare in disuso di Kinisia sulla cui pista di atterraggio si era svolta l’operazione Firex88 (una simulazione? O altro?). Operazione da lui documentata con una videocamera. O almeno questo è quanto aveva confidato poco prima di venir ammazzato a un amico giornalista, Sergio di Cori. Quanto alla videocassetta, ovviamente, era scomparsa.

Sospetti erano emersi anche nei confronti di Cardella che potrebbe aver utilizzato i locali della comunità come deposito transitorio per le armi. Fra l’altro era stato Cardella a inviare Jupiter in Somalia, ufficialmente per realizzare un fantomatico ospedale mai costruito.

Dal 1993 Ilaria Alpi stava indagando anche sui successivi sviluppi di questo malaffare basato fondamentalmente sul traffico di armi. Armi pagate dai Signori della Guerra somali con il permesso di gettare in mare o seppellire (magari sotto un’inutile autostrada) rifiuti pericolosi e scorie radioattive.

I cospicui proventi sarebbero finiti in fondi neri o utilizzati come tangenti da vari faccendieri, sia italiani che stranieri, con complicità politiche negli ambienti del partito socialista.

Vari testimoni hanno fatto il nome di Paolo Pillitteri e quello di Pietro Bearzi, rispettivamente presidente e segretario della Camera di commercio italo-somala (all’epoca, beninteso). Per alcuni investigatori era anche possibile che Ilaria Alpi non fosse stata eliminata per aver indagato sul traffico di armi che utilizzava i pescherecci della società italo-somala Shifco ma piuttosto per aver scoperto a Bosaso un deposito di armi provenienti dall’Europa orientale e qui trasportate da Hercules C-130 italiani. Questa l’ipotesi formulata ancora nel 1997 da Francesco Corneli, un imprenditore che era stato collaboratore esterno del Sisde e considerato in buoni rapporti con i servizi segreti siriani. Stando a quanto sosteneva Corneli, fra il 1990 e il 1991 Siad Barre, temendo di uscire sconfitto dalla guerra civile che imperversava in Somalia, avrebbe chiesto ai suoi referenti in Italia (socialisti) armamenti ad alta tecnologia. La sua richiesta venne sostanzialmente accolta e il PSI (secondo Corneli in accordo con il PCI) avrebbe favorito l’apertura di una linea di rifornimento con i Paesi dell’allora Patto di Varsavia. Le armi, una volta giunte in Italia, venivano trasferite in Somalia via mare o con voli militari. Un’ipotesi plausibile, in grado di spiegare sia l’uccisione di Mauro Rostagno nel 1988 che il duplice assassinio di Ilaria e Miran nel 1994.

Senza escludere un’altra possibilità: forse anche Peppino Impastato stava indagando su tali traffici quando venne assassinato nel 1978.

Un altro testimone, Marco Zaganelli, nell’udienza del 7 agosto 1997 parlando di quanto aveva osservato a Bosaso (dove potevano atterrare anche aerei militari da trasporto) dichiarava: “Nel periodo in cui sono stato in Somalia, io e tanti altri abbiamo notato con cadenza settimanale la presenza di aerei militari non identificati del tipo Hercules che scaricavano armi”.

Ben documentato poi l’invio di carri armati Leopard, di fabbricazione tedesca, dal porto di Livorno a quello di Mogadiscio, anche se non si esclude che in questo frangente la destinazione ultima fosse l’Iraq (e/o l’Iran).

In un interrogatorio del 3 dicembre 1997, il generale Carmine Fiore, comandante del contingente italiano in Somalia fra il 1993 e il 1994, ammetteva che “in quel periodo entravano senz’altro armi, specie dalla strada costiera che dal porto di Obbia arriva a Mogadiscio. Il traffico avveniva con mezzi navali e con piccoli aerei che atterravano su una striscia di terra battuta ubicata a circa 40 chilometri a Nord-Est di Mogadiscio”.

E’ evidente che i “piccoli aerei” servivano per il trasporto interno, mentre per il viaggio dall’Europa si utilizzavano sia gli Hercules che la flotta di Schifco.

Per il collaboratore di giustizia Francesco Elmo “nel 1994 un gruppo di personaggi di area socialista erano posti alla regia di una vendita di armamenti «libici» alla Somalia”. Nel suo memoriale Elmo indicava con precisione anche la rotta seguita per tale trasporto che comunque, sottolinea, non riguardava solo le armi.

Nei giorni immediatamente precedenti alla sua partenza per Bosaso, Ilaria Alpi incontrò la figlia dell’ex sindaco di Mogadiscio: Faduma Mohammed Mamud. Definita dai giudici della seconda Corte d’assise di Roma “attendibile e disinteressata” come teste, nell’aula-bunker di Rebibbia, il 16 giugno 1999, Faduma aveva spiegato che “Ilaria mi aveva detto che seguiva una certa pista, una pista abbastanza pericolosa… Era una questione delicata, di cui non dovevo parlare con nessuno, salvo con qualche persona che poteva aiutarci, di cui potevo fidarmi ciecamente… Lei si interessava a certe cose orrende che venivano fatte sulle coste somale. Aveva appreso che erano stati scaricati rifiuti tossici; cose che noi sapevamo già. Ma eravamo impotenti, non potevamo farci niente. Io le avevo detto che dal 1988 le cose avevano cominciato ad andare alla deriva; non avevamo guardiacoste, non avevamo niente. Avevo sentito che in quasi tutto il litorale somalo, a Merca, a Mogadiscio, a Obbia, nel Moduk, in Migiurtinia nella zona di Bosaso, erano sepolti dei fusti di cui non si conosceva il contenuto”. E proseguiva ricordando di aver fatto notare a Ilaria che in Somalia “erano comparse delle malattie nuove e che si erano registrate morie di pesci”.

Una deposizione che sostanzialmente confermava quanto aveva già dichiarato agli investigatori Marco Zaganelli il 7 agosto 1997: “Tra il 1987 e il 1989 mi chiamò una persona che conoscevo, prospettandomi un grosso affare, perché era stato contattato da alcuni italiani, i quali dovevano sbarazzarsi di un carico di container fermi al porto di Castellamare di Stabia o a quello di Gioia Tauro, contenenti rifiuti tossici o radioattivi, e volevano un referente capace di riceverli e sotterrarli in un’area desertica della Somalia. Successivamente seppi che un carico di materiale radioattivo era stato portato in Somalia e i contenitori sotterrati in un’area desertica nel Nord del Paese”.

Con testimonianze di questa portata rimane inspiegabile quanto ebbe a dichiarare il deputato di Forza Italia Carlo Taormina, presidente della Commissione di Inchiesta. Per Taormina i due giornalisti “erano in vacanza in Somalia, non stavano conducendo nessuna inchiesta: la Commissione lo ha accertato”.

TU CHIAMALE, SE VUOI, COINCIDENZE…

Evidentemente quella degli omicidi “su commissione” per coprire i loschi traffici non era solo una congettura. Formulata in maniera piuttosto chiara, una prima esplicita richiesta dei magistrati agli agenti dei servizi segreti risale ormai a 25 anni fa: “Si chiede di acquisire informazioni dagli atti d’archivio che possano confermare collegamenti tra la scomparsa di Rostagno e traffici internazionali di armi, con particolare riferimento ai traffici tra Italia e Somalia”. E proseguiva sollecitando chiarimenti su “eventuali collegamenti fra la scomparsa di Rostagno e l’omicidio in Somalia della giornalista Ilaria Alpi” oltre che sul centro “Scorpione” di Trapani, fra il 1987 e il 1990 articolazione di Gladio in Sicilia.

Significativo – e inquietante – il fatto che i consulenti della Procura di Palermo, nel 2002 indaganti sulla morte del sociologo piemontese, non fossero riusciti a entrare nella sede del Sisde di Roma.

Eppure qualcosa gli uomini dei Servizi sapevano, sicuramente. Nel maggio 1994, a soli due mesi dall’uccisione dei due giornalisti, il Sisde (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica, il servizio segreto “interno”) in una informativa riservata indicava quattro nomi, tutti somali, come probabili mandanti, E puntava il dito sulla cooperativa italo-somala SOMALFISH i cui pescherecci avrebbero trasportato le armi. Fra i quattro, oltre a un un colonnello, c’era l’amministratore della SOMALFISH.

Fatale per Ilaria e Miran sarebbe stata la visita a bordo della “21 ottobre” dove avrebbero documentato casse di armi targate, forse, CCCP.

L’informativa venne girata al Sismi (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare, il servizio segreto “esterno”) che avrebbe smentito la versione dei colleghi del Sisde.

In una successiva nota del Sismi (ufficialmente in base a informazioni fornite dall’OLP: un depistaggio?) si ipotizzava che il mandante fosse un “signore della guerra” somalo, il solito, cattivissimo, generale Aidid. Le armi in questione avrebbero poi preso la strada dello Yemen.

Va segnalato a questo punto quanto si può leggere da pagina 222 a pag. 225 di “Esecuzione con depistaggi di Stato”, il libro scritto dalla mamma di Ilaria Alpi.

Dalle telefonate intercettate dalla Procura della Repubblica di Asti di Faduma Farah Aidid (inviato speciale della Repubblica di Somalia in Italia e figlia del generale Aidid), sia con familiari che con esponenti del Sismi (vedi l’agente Fortunato Massitti) emergono i contorni del ruolo assunto dai Servizi segreti in tutta la faccenda. Non solo nella morte di Ilaria e Miran. Anche in quella successiva di Aidid, ugualmente avvenuta in circostanze mai chiarite.

Faduma, stando alle telefonate, sarebbe in possesso di informazioni tali da consentirle di esercitare ricatto nei confronti di esponenti del Sismi come il generale Luca Rajola Pescarini (oltre che dell’ingegnere Omar Mugne). Fra l’altro in queste conversazioni ammette la sostanziale veridicità delle dichiarazioni di Omar Hashi Dirà, un medico somalo che aveva fornito indicazioni sulla matrice, sui mandanti (tra cui citava appunto Omar Mugne) e sulla manovalanza del duplice assassinio del 20 marzo 1994. Dichiarazioni che in precedenza Faduma aveva violentemente smentito. Dalle sue telefonate si può comprendere quale fosse la consistenza del comitato di affari italo-somalo e dell’impunità di cui godeva grazie alle coperture fornite dal Servizio segreto militare italiano.

Del resto l’ombra scura dei Servizi aleggiava anche sulla Cooperazione con i Paesi in via di sviluppo. E anche su questa spinosa questione Luciana Alpi fornisce un’ampia documentazione nel suo libro (vedi pag. 101e successive) dopo aver denunciato i vari “progetti tanto costosi quanto inutili, stanziamenti multimiliardari, ruberie e tangenti, con il contesto di traffici di ogni genere, primo fra tutti il traffico di armi…”.

IL PARERE DI LUIGI GRIMALDI

Se la morte dei due giornalisti non è stata ancora definitivamente derubricata come “rapina finita male” (o in alternativa: “vendetta somala per le brutalità commesse dai soldati italiani”) lo dobbiamo anche al lavoro di inchiesta svolto da giornalisti come Luigi Grimaldi.

Dalle testimonianze rese dall’autista Sid Ali Abdi e dalla guardia del corpo Mahmud Nur Abdi, si comprenderebbe – secondo Grimaldi – che per avere informazioni precise sugli spostamenti di Ilaria per il suo rientro da Bosaso, bisognava chiedere al CISP, una ong operativa all’epoca in Somalia.

La sede del CISP si trovava a Mogadiscio Nord, in una zona controllata da Alì Mahadi. Avuta l’informazione (o si trattava di un depistaggio?) i due andarono ad aspettarla presso l’ambasciata statunitense, come al solito.

Invece Ilaria e Miran arriveranno con quattro giorni di ritardo sulla data prevista. “Qualcuno” mai identificato fece in modo che perdessero l’aereo a Bosaso (dove avevano intervistato il “sultano” Abdullahi Moussa Bogor) e presumibilmente trovarono un’altra scorta (anche questa mai identificata) ad attenderli all’aeroporto per portarli all’hotel Shafi. Quasi nello stesso momento del loro arrivo, il commando che li ucciderà prendeva posizione davanti a un altro hotel (Hamana) dove Ilaria si fermerà per pochi minuti in cerca di un collega.

Le domande che Grimaldi si pone sono:

“Per quale motivo la sede CISP di Mogadiscio è a conoscenza degli spostamenti dei due giornalisti Rai? E perché la scorta di Ilaria sa di doversi informare al CISP?”

A questo punto si “scopre” che la responsabile del CISP in Somalia dal 1988 al 1998, la dottoressa Stefania Pace, era la compagna del “top Asset somalo della Cia a Mogadiscio”, ossia del coordinatore della rete di informatori dell’agenzia spionistica USA. L’uomo si chiamava Ibrahim Hussein, detto Malil ed era morto in maniera non chiara, presumibilmente assassinato, nell’agosto del 1993. Malil si era occupato anche di logistica e assisteva sia il CISP che la Cooperazione allo sviluppo italiana del ministero degli Esteri. Alla sua morte questo ruolo verrà ricoperto da Giancarlo Marocchino.

Malil proveniva da una ricca e potente famiglia, aveva studiato in una università statunitense ed era stato arruolato dalla Cia per collaborare con Mike Shanklin (direttore delle operazioni Cia a Mogadiscio), John Garret (capostazione Cia) e il suo vice John Spinelli (agente di collegamento con il Sismi). Tutti impegnati nella caccia al generale Aidid.

Grimaldi segnala che dopo la morte di Malil, Mike Shanklin lo sostituì non solo come coordinatore della rete di informatori, ma anche in quanto compagno, poi marito, di Stefania Pace. Dopo i dieci anni con il CISP, la donna si dedicherà per almeno tre anni (dal 1998 al 2001) all’azienda di consulenza spionistica del marito Mike Shanklin che nel frattempo era stato licenziato dalla Cia. In seguito, forte di tale esperienza sul campo, Stefania Pace proseguirà la sua meritata carriera presso il ministero degli esteri e in varie agenzie onusiane.

Grimaldi segnala anche che i nomi dei coniugi Shanklin e di John Spinelli compaiono sia nelle inchieste sul rapimento di Abu Omar che in quella sullo scandalo spionistico Telecom.

Nonostante Stefania Pace, Mike Shanklin e John Spinelli risiedano in Italia, non sono mai stati sentiti da nessuno in relazione al caso Alpi: almeno per curiosità, tanto per sentire il loro parere di “gente informata” se non proprio dei fatti, almeno del contesto. Si chiede troppo?

RESTORE HOPE? SPERANZA PER CHI?

Qualche breve considerazione su “Restore Hope”, l’operazione militare in Somalia voluta nel 1992 dalla Casa Bianca (in perfetto accordo tra Bush padre e Clinton) e sostanzialmente fallita.

Un esempio da manuale della soidisant “ingerenza umanitaria”, propedeutico ad altri analoghi interventi Usa-Nato di maggior portata (Yugoslavia, Afghanistan, Irak, Libia, Siria, Ucraina, Yemen… in attesa del Venezuela e forse dell’Iran) all’applicazione sistematica di quello che Costanzo Preve definì efficacemente “bombardamento etico”.

Sbandierata come azione necessaria per garantire la sopravvivenza del popolo somalo in un Paese lacerato dalla guerra civile, Restore Hope si tradusse immediatamente in un atto di puro e semplice imperialismo.

Da allora la guerra sporca” della Cia si è andata ulteriormente perfezionando. Due anni fa il New York Times propose un interessante servizio su “Team 6, una macchina globale di caccia all’uomo”. L’unità segreta sarebbe specializzata nelle cosiddette “operazioni speciali” (ossia per omicidi mirati e “silenziosi”) dalla Somalia all’Afghanistan. Talvolta camuffandosi da “impiegati civili o funzionari di ambasciate” i suoi membri seguono implacabilmente la pista di coloro che gli Stati Uniti giudicano meritevoli di rapimento o, più spesso, di morte. (NOTA 3)

Per concludere, una considerazione di Hashi Omar Hassan. Con tutta la saggezza che proveniva dai suoi quasi 20 anni di galera da innocente, appena uscito dal carcere aveva detto: “ Dunque, italiani, se davvero volete scoprire gli assassini di Ilaria Alpi, ora ci sono le condizioni. Dubito che succederà. Perché sarebbe una verità scomoda che coinvolge molti di voi. Già una volta avete provato a nasconderla. E avete perso”.

NOTA 1: Per Manlio Dinucci su tale flotta vennero imbarcate anche armi destinate alla Croazia, (all’epoca, primi anni novanta, in guerra con la Jugoslavia con la benedizione papale). Se così fosse, il favore potrebbe essere stato restituito. Nel marzo 2013 il New York Times aveva fornito le prove dell’invio, organizzato dalla Cia attraverso la Turchia con aerei forniti dal Qatar, dalla Giordania e dall’Arabia Saudita, di armi provenienti dalla Croazia ai “ribelli” in Siria. Sempre Dinucci ha ricostruito nei dettagli quanto avvenne nel porto di Livorno il 10 aprile 1991 denunciando che la richiesta di aiuto (“Mayday Mayday”) trasmessa alle ore 22 e 25 rimase sostanzialmente inascoltata. Forse – ipotizza – a causa del traffico di navi statunitensi (“militari e militarizzate”) presenti nella rada e intente a riportare nella base di Camp Derby parte delle armi usate nella prima guerra del Golfo. Al momento della collisione il comando Usa di Camp Derby avrebbe cercato di cancellare ogni prova. Su quanto è avvenuto rimangono molti punti oscuri: il segnale della Moby fortemente disturbato, il silenzio di Livorno radio; il comandante del porto, Sergio Albanese “impegnato in altre comunicazioni” che non guidò i soccorsi, ma verrà comunque promosso ammiraglio; la sparizione di tracciati radar e immagini satellitari; inspiegabili manomissioni sul traghetto sotto sequestro con la sparizione di strumenti e prove utili per le indagini. Insomma: si fece di tutto per farlo passare per un “tragico, ma banale incidente”. Misteriosamente poi una nave, la Gallant II (nome in codice Theresa) abbandonò precipitosamente il luogo della tragedia dove, ricordo ancora, sarebbe stata ormeggiata anche la onnipresente 21 Oktoobar II della società Shifco. La nave era utilizzata (e non solamente per Manlio Dinucci) sia per il trasporto di rifiuti tossici e armi in Somalia che per rifornire la Croazia in guerra con la Yugoslavia. Rifornire di armi, beninteso, non di cioccolatini. Il trasbordo di quella sera avrebbe riguardato quindi carichi di armamenti destinati al Corno d’Africa, alla Croazia e secondo Luigi Grimaldi anche ai depositi segreti di Gladio. E con questo il cerchio si chiude, impietosamente. In qualche modo la sorte di Ilaria e Miran era già segnata.

NOTA 2: Il 19 ottobre 2016 la Corte di Appello di Perugia aveva assolto Hashi Omar Hassan dopo che la testimonianza di un altro somalo, Ahmed Ali Rage (detto Gelle) si era rivelata completamente falsa. Veniva poi accertato che la ricostruzione degli avvenimenti fornita da Gelle davanti alla Corte di Roma gli era stata suggerita da italiani. Messi in evidenza anche i rapporti di Gelle con l’ambasciatore italiano Cassini il cui ruolo “ambiguo era stato quantomeno strumentalizzato da cittadini somali”. La Corte definiva “ondivaghe” le dichiarazioni di un altro testimone, l’autista Sid Abdi che in seguito sarebbe deceduto. Molto opportunamente, verrebbe da dire, se anche questa morte venisse confermata (meglio mantenere sempre aperta la porta per eventuali sorprese). Va anche detto che il ruolo di “capro espiatorio” Hashi Omar Hassan un po’ se l’era venuto a cercare. Venne infatti arrestato mentre era in Italia per testimoniare al processo sulle violenze (torture, stupri…) di cui era accusato il contingente italiano, in particolare la brigata paracadutisti “Folgore”. Questa precisazione ne rende doverosa un’altra. Sempre in materia di torture inflitte ai somali e soprattutto alle somale dal contingente tricolore. Ma è una precisazione che ci porta lontano, nel tempo e nello spazio. Il maresciallo Francesco Aloi, agente in Somalia del Sismi, aveva scritto un diario in cui denunciava alcuni colleghi come corresponsabile della morte dei due inviati. Strana coincidenza. Ritroveremo i loro nomi a Genova per il G8 del luglio 2001. Aloi si era rivolto al tribunale militare di Roma denunciando il comportamento dell’esercito italiano in Somalia. Senza eufemismi, aveva parlato degli stupri e delle torture a cui venivano sottoposti le prigioniere e i prigionieri somali. In particolare, si era scagliato contro Giovanni Truglio e Claudio Cappello, due carabinieri che sette anni si trovavano in Piazza Alimonda quando venne ucciso Carlo Giuliani. Per saperne di più suggerisco la lettura del libro di Giulio Laurenti “La madre dell’Uovo”.

NOTA 3: Altre “coincidenze”. Nel 1997 l’operatore della tv americana Abc che aveva girato le immagini della morte di Ilaria e Miran, Carlo Mavroleon, è stato assassinato in una stanza d’albergo, mentre si trovava in Afghanistan. Invece un altro operatore presente sul luogo del delitto, Vittorio Lenzi della televisione svizzera, ha perso la vita in un incidente stradale poco chiaro. Morto prematuramente, ma senza che si abbiano notizie precise sul come e sul dove, anche il colonello Ali Jirow Shermarke, capo della Divisione investigativa criminale di Mogadiscio che indagò in loco sul duplice omicidio. Il rapporto investigativo per le Nazioni Unite in cui si accusava Giancarlo Marocchino, portava la sua firma. Stando a quanto scriveva, ancora nel 2010, Luigi Grimaldi: “il suo rapporto (di Shermarke nda)pervenuto nel dicembre 1994 al dottor De Gasperis della procura di Roma ipotizzava un coinvolgimento di Giancarlo Marocchino (definito da Carlo Taormina ai tempi della Commissione parlamentare di inchiesta come «il principale collaboratore per la ricerca della verità») e sosteneva che Ilaria e Miran sarebbero stati visti uscire, prima dell’agguato, da un garage dello stesso faccendiere italiano”. Shermarke, continuava Grimaldi “era stato sentito a verbale dal giudice Pititto il 26 luglio 1996: in quell’occasione ha confermato il rapporto e aggiunto che: «Appena Ilaria arrivò in albergo, ancora prima che potesse lavarsi, ricevette una telefonata… una chiamata del Marocchino, al che lei uscì fuori dall’albergo chiedendo chi ci fosse dei guardiani perché doveva andare subito a casa del Marocchino… io credo che a uccidere i due giornalisti sia stato il Marocchino». Marocchino non era uno sconosciuto per la Giustizia italiana. Era collegato sia con vari personaggi oggetto dell’inchiesta Sistemi Criminali di Palermo (fra gli indagati: la cupola dei mafiosi stragisti, Licio Gelli, Stefano Delle Chiaie…) sia con i responsabili del cosiddetto progetto Urano (traffico e smaltimento di scorie tossiche e radioattive in Somalia in cambio di armi).

Anche se non è mai stato iscritto nel registro degli indagati della procura di Roma per il duplice delitto di Mogadiscio, è lecito pensare che ne sapesse qualcosa di più di quanto raccontato agli inquirenti?

LETTURA CONSIGLIATA:

“Esecuzione con depistaggi di Stato” di Luciana Alpi – KAOS edizioni. 2017

Gianni Sartori - 20/3/2024 - 07:27




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