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Le dormeur du val

Arthur Rimbaud
Langue: français


Arthur Rimbaud

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[1870]
Poesia di Arthur Rimbaud
Poème d'Arthur Rimbaud
Poem by Arthur Rimbaud

Le poème est chanté par Yves Montand (musique de Louis Bessières), Serge Reggiani et Jean-Louis Aubert, Jacques Douai, Gerard Delahaye, Sapho.


Una delle più famose poesie del "fanciullo di Charleville" musicata e interpretata da diversi cantanti tra cui Yves Montand e Leo Ferré. Una poesia, tra le altre cose, che ha sicuramente degli echi anche nella Guerra di Piero di Fabrizio de André. La poesia, composta nel 1870, non può essere separata dalla guerra franco-prussiana, che proprio nelle Ardenne ebbe tra i principali campi di battaglia (Sédan stessa è nelle Ardenne). Ricordiamo però che è stata musicata a più riprese da altri autori: tra questi, Hendrik Andriessen (1892-1981) , "Le dormeur du val" , da Trois Pastorales, no. 2.; Pierre de Bréville (1861-1949), "Le dormeur du val", c1943 [inedito]; Léon Orthel (1905-1985), "Le dormeur du val", op. 58 no. 1 (1972), da Trois chansonnettes, no. 1. Per questo motivo il brano viene accolto anche nel percorso Musica classica contro la guerra. [RV]

IL FANCIULLO DI CHARLEVILLE

Arthur Rimbaud è personaggio troppo noto ed amato perché non se ne debba almeno conoscere una biografia di fondo.

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Era nato a Charleville, una cittadina delle Ardenne adagiata sulle sponde della Mosa; a Charleville aveva anche trascorso senza troppi patemi la propria infanzia nonostante sin dal 1860 il padre si fosse allontanato da casa e avesse così lasciato l'intero destino della famiglia nelle ferme e energiche mani della moglie Vitalie; a scuola poi, da autentico « enfant prodige », aveva iniziato a dieci anni a comporre esametri latini per trovarsi a quindici coperto di riconoscimenti e di premi.

Che quella sua precoce e straordinaria intelligenza gli attirasse la diffidenza e l'antipatia di molti non lo preoccupava più di tanto: Arthur Rimbaud aveva infatti dalla sua parte anche persone, come il suo professore di retorica Izambard, disposte a capirlo e ad incoraggiarlo e sapeva soprattutto di poter contare sul proprio spirito di indipendenza per tagliare al momento debito i ponti con la sua cittadina natale. Del resto pur così giovane, in cuor suo aveva già emesso un'inappellabile sentenza nei confronti del piccolo mondo borghese dell'«atroce Charlestown, la ville superio-rement idiote entre les petites villes de province »; e di quella sentenza avrebbe dovuto fornire una prima formulazione fuggendo di casa, alla volta di Parigi, non ancora sedicenne nell'agosto 1870.

Scriveva intanto e inviando il 24 maggio di quello stesso anno tre sue poesie, tra cui la meravigliosa Ophélie, a Théodore de Banville direttore del Parnasse contemporain fremeva nell'attesa che qualche superiore evento piegasse finalmente il suo destino verso la grande capitale francese.

Di sicuro gli echi della Comune nella primavera successiva non potevano toccare solo di striscio il giovane ribelle di Charleville: s'è anzi parlato, o meglio ne ha parlato lui stesso in una lettera, d'un suo proposito e d'un suo desiderio d'arruolarsi tra gli insorti; nessuno tuttavia è in grado oggi d'affermare con certezza cosa abbia veramente fatto di quel suo desiderio e di quel suo proposito: si può solo contare su di un vuoto di notizie tra il 17 aprile e il 13 maggio, su testimonianze verbali che l'avrebbero voluto in quei giorni a Parigi e, soprattutto, su d'una poesia inviata a Izambard, poesia che sin dal titolo, (Le coeur supplicié o Le coeur volé) faceva esplicito, sconsolato riferimento a violenze subite forse proprio tra i battaglioni comunardi. S'era trattato insomma d'una adesione emotiva che per quanto appassionata, non risultava certo tale, comunque, da ricondurre la sete d'assoluto di Rimbaud dentro i limiti ideologici della Comune: anzi, quasi per disperdere ogni dubbio al proposito, il 15 di quel mese di maggio datava la sua lettera programmatica, la celebre lettera del veggente (« Il Poeta si fa veggente per mezzo d'un lungo, immenso ragionato sregolarsi di tutti i sensi. Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di follia; cerca lui stesso, esaurisce in se stesso tutti i veleni per conservarne soltanto le quintessenze », affermava tra l'altro su quei fogli, scardinando così per principio ogni ipotesi storica e politica). Nella successiva estate, l'ultima passata nella pace di Charleville, il cammino poetico di Rimbaud toccava intanto il vertice: a luglio stendeva Les Premières Communions, una lunga poesia dettata dal suo furore anticattolico, mentre a settembre risaliva il suo capolavoro, il celebre Bateau Ivre; quel mese di settembre doveva comunque risultar decisivo anche per un altro motivo: aveva infatti inviato per far conoscere i propri lavori, una lettera a Paul Verlaine, uno dei più famosi poeti francesi di quei giorni, e Verlaine, profeticamente colpito da quei versi, gli aveva subito risposto rivolgendogli questo felice invito: « Vieni cara e grande anima, vi chiamiamo, vi aspettiamo».

Il manoscritto de Le dormeur du val, 1870.
Il manoscritto de Le dormeur du val, 1870.
Rimbaud partì senza punto esitare alla volta di Parigi: qui per nulla intimorito dai grandi nomi presso i quali l'autorità di Verlaine l'aveva introdotto, riuscì col suo comportamento rissoso e insolente a inimicarseli tutti nel breve volgere d'un paio di mesi; i tempi della sua permanenza parigina bruciavano così con imprevista rapidità e la sua insofferenza e il suo disprezzo nei confronti di ogni ambiente culturale e letterario, compreso quello più libero e spregiudicato dei poeti parnassiani, toccava presto il limite di guardia: Verlaine, infatti, nel febbraio successivo già non era più in grado di trovar qualcuno disposto ad ospitarlo e Rimbaud stesso decise, tra la sorpresa generale, di levare il disturbo e di tornare a Charleville. Nulla meglio delle parole del più anziano poeta ci raccontano del Rimbaud di quei mesi parigini, del suo viso d'angelo in esilio, dei suoi capelli castani arruffati, del suo accento contadino troppo rapidamente perduto, delle sue mani che, invece, crescendo dovevano assomigliare più a quelle di un contadino che a quelle d'un poeta; e nessuno del resto più di Verlaine doveva restargli ostinatamente fedele, fedele al punto di incrinare i suoi rapporti con la famiglia e la moglie pur di seguire le folli intemperanze del suo giovane amico; fedele nonostante il suo carattere in genere lo mantenesse in un'eterna indecisione, in uno stato di estenuata incertezza. Così se toccava a Rimbaud di rifarsi vivo per un nuovo e del tutto appartato soggiorno a Parigi, nel luglio '72 era Verlaine a seguirlo a Bruxelles e poi a Londra.

Qui Rimbaud, messa in second'ordine la poesia, s'era buttato in un'opera in prosa, la « relation d'un combat spiritual » da cui, come lui stesso s'era trovato a confessare, sarebbe dipeso il suo destino: si trattava della celebre Une saison en enfer (Una stagione in inferno), la quale però, per giungere a totale compimento, doveva attendere che anche l'amicizia con Verlaine si consumasse definitivamente; doveva cioè attendere che nell'estate del '73, il poeta parigino, scosso dalle continue assillanti minacce della moglie e della famiglia ed esasperato dall'atteggiamento via via più provocatorio e insolente del suo giovane amico, decidesse improvvisamente di lasciare Londra. Solo allora Rimbaud tentava di salvare la situazione prima rincorrendo Verlaine sin sul molo, poi scrivendogli una straordinaria e appassionatissima lettera (Ritorna, ritorna, amico mio, caro, unico amico, ritorna... Ricominceremo a vivere qui, coraggiosamente, pazientemente... »); in verità, lui stesso sentiva d'aver fatto terreno bruciato anche di quell'esperienza e di dover quindi lasciar che la vicenda rotolasse verso il suo drammatico, infuocato epilogo di Bruxelles (Verlaine sparava al suo giovane amico e veniva condannato a due anni di carcere). La Saison poteva così giungere a conclusione nell'agosto del '73: in quella data Rimbaud consegnava infatti il manoscritto ad un editore di Bruxelles; mai era prima accaduto che il giovane di Charleville si fosse preso premura di mandare alle stampe un proprio testo e il fatto che se ne incaricasse ora si spiega con l'importanza da lui assegnata a quell'opera che già sentiva come testamento poetico e spirituale.

Infatti nel frattempo un'altra stagione, la sua stagione creativa, stava arrivando a conclusione: non ancora ventenne, Rimbaud s'apprestava ad abbandonare carta e matita per intraprendere lui, il grande cantore del « Battello ebbro », un faticoso quanto vano e interminabile peregrinaggio.

Aveva cominciato nel 1875 col toccare Stoccarda e scendendo quindi nell'aprile a Milano dove, malato e indebolito, veniva raccolto e ospitato per qualche giorno da una vedova; dei viaggi dei due anni successivi non s'hanno sufficienti notizie: solo si sa che di tanto in tanto faceva comparsa a Charleville per aiutare i suoi nella mietitura, che nel '78 s'era recato a Cipro per dirigere i lavori di una cava di pietra, che nel '79 aveva invece raggiunto l'Oriente. Viaggiava per lo più a piedi (memorabile ad esempio risulta il racconto lasciatoci in una lettera, della sua traversata invernale del San Gottardo tra la bufera e montagne di neve); viaggiava, altrimenti, con mezzi di fortuna e, quasi che quell'inestinguibile « soif », quella « soif » di mistico senza pace che l'aveva trascinato nella sua breve stagione poetica, anziché estinguersi, avesse solo mutato di modalità e forme, non si concedeva mai tregua, mai il tempo di un respiro. Sembrava quasi dovesse espiare una colpa nei confronti dell'esistenza e della vita o che, addirittura, una volontà superiore avesse fatto del suo destino la strada per consegnare al mondo un fondamentale messaggio; sulla sua stagione letteraria comunque aveva fatto scendere la cortina del più rigoroso silenzio, tanto che Paul Verlaine, domandando nel '75 ad un amico comune notizie riguardo alle ultime fatiche di Rimbaud, così s'era sentito rispondere: « I suoi versi? E' molto tempo che la sua vena tace; suppongo persino che non si ricordi assolutamente più d'averne scritti! ».

Nel frattempo, tra tanto non più ricostruibile peregrinare, Rimbaud intraprendeva, nel marzo 1880, il viaggio decisivo; decisivo non perché contasse, al contrario dei precedenti, su d'una più precisa meta, su d'una più assennata motivazione, ma solo perché destinandolo in continente africano, l'avrebbe tenuto lontano dalla casa, dalla Francia e dall'Europa sin sulla soglia della morte.

La tomba di Rimbaud. Foto di Riccardo Venturi, agosto 2002.
La tomba di Rimbaud. Foto di Riccardo Venturi, agosto 2002.
Comunque neppure l'essere approdato sulle sponde d'un altro continente serviva ad allentare la sua inquietudine; anzi, la sua vita africana si costellava di imprese incredibili, di viaggi assurdi e massacranti, tra deserti, altopiani e catene selvagge di monti; intratteneva corrispondenza coi suoi familiari ai quali confidava le sue segrete speranze e soprattutto le sue amarezze per una vita che non riusciva ad avere un capo e una coda. (« A che servono tutte queste peregrinazioni, e questi strapazzi, e queste avventure presso popoli strani, e queste lingue di cui ci si riempie la memoria, e questi affanni senza nome se non mi è concesso riposarmi un giorno? » s'era domandato sconsolato in una lettera del maggio 1883).

Quasi braccato da un atroce destino (« Ma adesso io sono condannato ad errare, legato ad un'impresa lontana... », inseguito da un'ansia perenne non riusciva mai a concedersi ad attività meno rischiose e più redditizie; camminava, camminava sempre compiendo tragitti inimmaginabili, imbastendo trame commerciali che ogni volta gli si disfavano tra le mani; progettava di mettere da parte il denaro che gli sarebbe bastato per vivere di rendita qualora fosse rientrato in Europa ed invece si ritrovava sempre creditori ed avvoltoi alle calcagna. Nel 1891 lo colse un cancro al ginocchio che lo costringeva, con un drammatico avventuroso viaggio, al rientro in patria. Sbarcato a Marsiglia il 20 maggio, i medici dell'ospedale del « Conception » decidevano d'amputargli immediatamente la gamba; l'intervento non servirà però a bloccare il male e a Rimbaud non restava che consumare gli ultimi mesi di vita tra atroci sofferenze in un letto di quell'ospedale marsigliese, assistito con amorevole e infinita pazienza dalla sorella Isabelle; la quale restava così l'unica e quindi, secondo alcuni, improbabile testimone della conversione del fratello, il 25 ottobre, quindici giorni prima della morte.

E' sepolto, accanto alla madre, nel cimitero comunale di Charleville-Mézières.

Il sito ufficiale della città di Charleville-Mézières.

Riccardo Venturi, 29 marzo 2005.
C'est un trou de verdure où chante une rivière,
Accrochant follement aux herbes des haillons
D'argent ; où le soleil, de la montagne fière,
Luit : c'est un petit val qui mousse de rayons.

Un soldat jeune, bouche ouverte, tête nue,
Et la nuque baignant dans le frais cresson bleu,
Dort ; il est étendu dans l'herbe, sous la nue,
Pâle dans son lit vert où la lumière pleut.

Les pieds dans les glaïeuls, il dort. Souriant comme
Sourirait un enfant malade, il fait un somme :
Nature, berce-le chaudement : il a froid.

Les parfums ne font pas frissonner sa narine ;
Il dort dans le soleil, la main sur sa poitrine,
Tranquille. Il a deux trous rouges au côté droit.

envoyé par Riccardo Venturi - 29/3/2005 - 19:29




Langue: italien

Versione italiana:

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L'ADDORMENTATO NELLA VALLE

È una gola di verzura dove il fiume canta
impigliando follemente alle erbe stracci
d'argento: dove il sole, dalla fiera montagna
risplende: è una piccola valle che spumeggia di raggi.

Un giovane soldato, bocca aperta, testa nuda,
e la nuca bagnata nel fresco crescione azzurro,
dorme; è disteso nell'erba, sotto la nuvola,
pallido nel suo verde letto dove piove la luce.

I piedi tra i gladioli, dorme. Sorridente come
sorriderebbe un bimbo malato, fa un sonno.
O natura, cullato tiepidamente: ha freddo.

I profumi non fanno più fremere la sua narice;
Dorme nel sole, la mano sul suo petto
tranquillo. Ha due rosse ferite sul fianco destro.

envoyé par Riccardo Venturi - 29/3/2005 - 19:34




Langue: italien

Versione italiana dall'album (introvabile) di Beppe Chierici e Daisy Lumini
La cattiva erba (1970)
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Autori: Daisy Lumini, Palatroni, J. A. Rimbaud



La Cattiva Erba (Contro la guerra e le armi) è un album del 1970 di Beppe Chierici e Daisy Lumini che raccoglie 15 canzoni in italiano frutto di traduzioni e reinterpretazioni di poesie e canzoni che vanno da Archiloco e Lao Tsu ad Antoine attraverso più di 2500 anni di storia. Credo che il titolo piacesse particolarmente a Beppe Chierici, visto che lo ha riutilizzato recentemente per un album su Brassens.
Il tema della guerra, della sua inutilità, del dolore delle madri o delle mogli che attendono il ritorno è ricorrente, essendo alcuni brani molto antichi, non possiamo però attenderci invettive contro la guerra.

Il disco è purtroppo introvabile, se non fosse stato per Flavio Poltronieri che ce ne ha fornito una copia, con tanto di fruscii del vinile inclusi nei brani, perchè in vinile uscì l'LP nel 1970, non saremmo mai riusciti a trovarlo. L'edizione era assai scarna, quindi priva dei testi che abbiamo dovuto pertanto sbobinare all'ascolto. Per quanto riguarda invece i testi originali, alcuni erano già presenti, altri li abbiamo trovati e inseriti.
Adesso l'album è interamente ascoltabile

la cattiva erba tracklist chierici lumini 001


Perchè quei cannoni? (Antoine) - Nenia (dalla guerra dei trent'anni) - Eravamo tre compagni - Compianto popolare - Il soldato morto in terra straniera - Alla guerra chi ci va - Il soldato dormiente (Rimbaud) - La guerra è truccata (Boris Vian) - Contro la guerra e le armi (Lao Tsu) - Lo scudo perduto (Archiloco) - Non avremo mai la pace, fratello? (Oliver De Magny) - Il condannato a morte - Testamento (Lermontov) - Il malcontento del soldato - Torna da in guerra un soldato



IL SOLDATO DORMIENTE

Un brodolo rivo cantando si dispera
E spruzza legni argentei all'erba folle adduce
Luccica il sole a piombo dalla montagna nera
Tutta la valle schiuma d'un brulichio di luce.

Un giovane soldato, a bocca aperta giace,
Supino e con il capo sfiora un cespuglio azzurro,
Lo sovrasta la nube, nel letto verde in pace
dorme su lui la luce piove senza sussurro.

I piedi tra i giaggioli, nè triste nè felice
sorride come un bimbo malato e si riposa.
Tu cullalo natura, ha freddo e è tanto stanco.

Non più ai caldi effluvi freme la sua narice
Dorme nel sole, una mano bianca sul petto posa, tranquillo.
Ed ha due squarci sanguinosi nel fianco.

envoyé par dq82 - 26/3/2017 - 00:42




Langue: italien

La bellissima versione italiana di Fausto Amodei, da lui cantata:

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DORME NELLA VALLE

È un botro di verzura, c'è un rivo che lo bagna
s'impiglia folle all'erba coi brandelli suoi
d'argento; e fiero splende il sole di montagna
la valle è tutta un raggio che pare la ingoi.

A testa nuda, a bocca aperta c'è un soldato,
la nuca immersa in mezzo a petali blu.
Lui dorme, sotto il cielo nell'erba è coricato
e sopra il suo pallore la luce vien giù.

Coi piedi fra i gladioli lui dorme col sorriso
di un bimbo ch'è malato, che dorme all'improvviso.
Riscaldalo, natura e cullalo tu.
Riscaldalo, natura e cullalo tu.

Ma quel profumo su di lui no, non ha effetto
lui dorme sotto il sole, le mani sul petto.
Due fori scarlatti sul fianco lui ha.
Due fori scarlatti sul fianco lui ha.

envoyé par Riccardo Venturi - 11/6/2005 - 17:49




Langue: anglais

Versione inglese di Oliver Bernard (1962)
Translated by Oliver Bernard (1962)
THE SLEEPER IN THE VALLEY

It is a green hollow where a stream gurgles,
Crazily catching silver rags of itself on the grasses ;
Where the sun shines from the proud mountain :
It is a little valley bubbling over with light.

A young soldier, open-mouthed, bare-headed,
With the nape of his neck bathed in cool blue cresses,
Sleeps ; he is stretched out on the grass, under the sky,
Pale on his green bed where the light falls like rain.

His feet in the yellow flags, he lies sleeping. Smiling as
A sick child might smile, he is having a nap :
Cradle him warmly, Nature : he is cold.

No odour makes his nostrils quiver ;
He sleeps in the sun, his hand on his breast
At peace. There are two red holes in his right side.

envoyé par Riccardo Venturi - 29/3/2005 - 19:47




Langue: allemand

Versione tedesca (1966) eseguita e cantata da Wolf Biermann.
E' stata interpretata anche dall'attore ed artista austriaco Klaus Kinski in un suo disco di poesie musicate.
DER SCHLÄFER IM TAL

Das ist die grüne Mulde, da murmelt der Bach und schmückt
Das Ufergezweig mit silberflirrendem Fetzengewirre.
Dort, wo vom kahlen Gebirge die Sonne und wie verrückt
Ins kleine Tal reingleißt, schäumt auf das Strahlengeflirre.

Ein junger Soldat, Mund offen, die Stirn bloß und bleich,
Läßt seinen Nacken im saftigen blauen Kressekraut baden,
Er schläft, hingestreckt. Und eine Wolke schwimmt leicht
Dahin. Er schläft im Bett aus Grün, wo Lichtschauer sich entladen.

In Schwertlilien stecken die Füße, er lächelt so brav
Wie'n krankes Kind wohl lächelt, er nimmt `ne Mütze voll Schlaf
- ihn friert. So wärme ihn doch, Natur, in seiner Not!

Und seine Nüstern, sie beben in all dieser Nasenlust nicht.
Die Hand ruht auf der Brust. Er schläft im Licht.
Zwei Löcher hat er an der Seite rechts. Und die sind rot.

envoyé par Riccardo Venturi - 29/3/2005 - 19:57




Langue: allemand

La versione tedesca di Stefan George (1868-1933), grande poeta e traduttore scomparso l’anno stesso dell’avvento di Hitler.
In “Zeitgenössische Dichter. Übertragungen, Zweiter Teil, Gesamt-Ausgabe der Werke, Bände 16”, Berlino, 1929.



Fu Hans Krása - compositore ebreo ceco, collaboratore di Viktor Ullmann, con lui rinchiuso a Theresienstadt dove insieme scrissero tante opere, compresa la famosa anti-nazista “Brundibár”, entrambi ‎eliminati ad Auschwitz nel 1944 - a dare una musica a questa versione
In “Tři písně pro baryton, klarinet, violu a violoncello na verše Arthura Rimbauda”, 1943.
Le tre canzoni (Čtyřverší, Vzrušení e Přátelé) sono state recentemente proposte da Christian Gerhaher e Anne Sofie von Otter nel CD “Terezín – Theresienstadt”, Deutsche Grammophon, 2007.



Terezín – Theresienstadt
DER SCHLÄFER IM TAL

Ein grüner Winkel den ein Bach befeuchtet
Der toll das Gras mit Silberflecken säumt,
Wohin vom stolzen Berg die Sonne leuchtet –
Ein kleiner Wasserfall von Strahlen schäumt.

Ein Kriegsmann jung barhaupt mit offnem Munde
Den nackten badend in dem blauen Kraut
Schläft unter freiem Himmel, bleich, am Grunde
Gestreckt, im grünen Bett vom Licht betaut.

Ein Strauch deckt seine Füße. Wie ein Kind
Lächelnd das krank ist hält er seinen Schlummer.
Natur umhüllt ihn warm! es friert ihn noch.

Ihm zuckt die Nase nicht vom duftigen Wind.
Er schläft im Sonnenschein, die Hand auf stummer
Brust – auf der rechten ist ein rotes Loch.

envoyé par Bernart Bartleby - 18/4/2014 - 11:22




Langue: espagnol

Versione spagnola

The translation is not mine, but it's correct and faithful.

Jaime Gómez Obregón
EL DURMIENTE EN EL VALLE

Un hoyo verde en el que canta un río
fijando alocadamente en las yerbas jirones
de plata; en el que el sol, desde la altiva montaña,
brilla: un pequeño valle que crea espuma de rayos.

Un joven soldado, la boca abierta, la cabeza desnuda,
bañada la nuca en el fresco berro azul,
duerme; está tendido en la yerba, bajo una nube,
pálido en su verde lecho donde llueve luz.

Con los pies en los gladiolos, duerme. Sonriendo como
sonreiría un niño enfermo, está echando un sueño:
Naturaleza, mécelo cálidamente: tiene frío.

Los aromas ya no estremecen su nariz;
duerme bajo el sol, con la mano en el pecho
tranquilo. En el costado derecho tiene dos orificios rojos.

envoyé par Jaime Gómez Obregón - 4/6/2007 - 16:49




Langue: espagnol

Versione spagnola cantata da Pedro Guerra
Adaptación: Luis García Montero
dal disco Arde Estocolmo (2016)
El durmiente del valle

Mediodía. Silencio. Tranquilo el horizonte.
Por los claros del bosque sigue despacio el río
y la plata del agua se desnuda sin frío
bajo un sol orgulloso que ha bajado del monte.

Mirad ese soldado y el sueño que lo ampara,
tiene la boca abierta, la cabellera al viento.
Sobre la hierba verde descansa un sentimiento
de luz, como una lágrima que rueda por su cara.

Los pies en los gladiolos, parece sonreír,
parece un niño enfermo que teme el porvenir
y pide que la noche le ofrezca su cuidado.

El perfume que siente es de flores inciertas.
Mirad su mundo inmóvil, sus dos manos abiertas
y dos heridas rojas de bala en el costado.

5/1/2017 - 23:01




Langue: japonais

Traduzione giapponese trovata qui
谷間に眠る人

それは緑の窪みで、そこでは川が歌っている、
狂ったように銀色のぼろ着を草に掛けながら
そこでは、堂々と聳える山から太陽が輝く、
それは光が泡立つ小さな谷間だ。

うら若い兵士ひとり、口を開き、頭には何もかぶらず、
青くみずみずしいクレソンの中に首すじを浸して、
眠る。彼は草の中に横たわる、雲の下で、
青ざめて、光降りそそぐ緑のベッドのなかに。

両足をグラジオラスの叢に入れて、彼は眠る。
病気の子供が微笑むように微笑みながら、ひと眠りしている。
自然よ、暖かく揺すってやれ、彼は寒いのだ。

花の香りも彼の鼻を震わせることはない。
陽の光の中で彼は眠る、片手を胸に乗せて、
静かに。右のわき腹にはふたつの赤い穴。

envoyé par Bernart Bartleby - 19/11/2014 - 13:45




Langue: espéranto

Tradukis en Esperanton Kálmán Kalocsay el tiu ĉi retejo.
Arthur Rimbaud
LA DORMANTO DE LA VALO

Jen tra' en verdo, kie kantadas flu' rivera,
Kaj al herbar' freneze ĉifonojn kroĉas ĝi
Arĝentajn, kaj la suno, de la montar' fiera,
Brilegas: eta valo, ŝaŭmanta de radi'.

Soldato, buŝmalferma, nudkapa juna bubo,
Banante sian nukon en freŝa, blua kres',
Jen dormas, sterniĝinte sur herboj, sub la nubo,
En verda lito, pale, dum pluvas lum' sen ĉes'.

En junko la piedoj, li dormas. Kaj kiele
Infan' malsana, ride, jen sonĝas li miele,
Natur', lin lulu varme: li frostas sub la Blu',

Nazlobojn liajn ne plu vibrigas florodoro,
Li dormas, sub la suno, la mano sur la koro,
Trankvile. Dekstraflanke jen ruĝaj truoj du.

envoyé par Nicola Ruggiero - 7/2/2009 - 22:35


è stupenda

ciuccio - 3/6/2005 - 11:35


la poesia le dormeur du val...è molto bella!

anonimo - 16/4/2007 - 22:29


t est bon en poesie

bachir - 6/2/2008 - 11:35


POURQUOI "Léo Ferré"?
C'est un poème de RIMBAUD,
Malgré que beaucoup de poèmes de Rimbaud sont "musiqués" par Léo. Mais là, la musique n'est pas de léo Ferré .

Expliquez moi alors la référence à Ferré.
Merci.
Gérard Varin

Gérard Varin - 7/2/2008 - 05:31


superba la traduzione dal francese all'italiano.Spesso leggendo Rimbaud si nota la poca perizia dei traduttori che,non dimentichiamo,si trovano di fronte ad un componimento spesso intraducibile. Sono dell'opinione,forse sbaglia ta,che rimbaud sia uno di quegli autori intraducibili,o difficilmente traducibili. Ho avuto modo di leggere le bateau ivre,in italiano, comprando un libricino di poche pagine notato tra gli scaffali impolverati di chi sa quale libreria... risultato?rimbaud viene considerato da molti 1 autore inconcludente,che mira a stupirci con un'incredibile retorica,paroloni difficili etc...sonoi davvero commosso da 1 traduzione così esemplare,grazie davvero.

salghy - 25/4/2008 - 12:17


je l'aime....oh arthur!
il est ma vie et ma meurte!
(gloria)

Bellissimo quel che hai detto, gloria, ma permettimi una piccola correzione: ma mort, non *ma meurte. Un francese capirebbe qualcosa come: "è il mio omicidio". Saluti cari! [RV]

19/5/2008 - 19:23


poesia al limite del romanticismo con un filo di dramma trattato con sensibilità estrema portata alla cruda realtà soltanto negli ultimi versi.

chiara - 22/8/2008 - 18:38


Serge Reggiani ne ha inciso una versione recitata con accompagnamento musicale (musica di Jean-Jacques Robert) come introduzione alla sua versione de Le Déserteur.

CCG Staff - 22/9/2017 - 21:45


Credo che in un sito come questo non si possa non ricordare che, purtroppo, tra le varie attività di Rimbaud in Africa, vi fossero anche quelle di commerciante di schiavi e contrabbandiere d'armi

29/6/2019 - 17:53


In Bretagna, la poesia è stata musicata anche dall'amico Gerard Delahaye nel 2001, precisamente nel disco "Guillou pour les intimes". Nell'occasione mi permetto di chiedere: ma perché attribuirla a Léo Ferré quando Rimbaud ha una sua sezione come autore? Oltretutto Ferré in Francia non è stato nemmeno il primo ad interpretarla (credo fosse Yves Montand nel '51 o '52) e probabilmente non è neanche autore della musica...

Flavio Poltronieri - 22/5/2020 - 16:13


Flavio ha ragione (d'altra parte ce lo facevano notare gia 12 anni fa ma abbiamo notoriamente i nostri tempi di reazione biblici) e ho quindi riattribuito la poesia al poeta. Ho trovato il video dell'interpretazione di Yves Montand e l'ho inserito. Dell'interpretazione di Ferré ho trovato traccia solo in questa compilation. Sul sito ufficiale si può ascoltare registrandosi: Maudits soient-ils !. Più che di una versione definitiva mi sembra di capire che si tratti di un provino quindi a maggior ragione l'attribuzione a Ferré era sbagliata.

Lorenzo - 22/5/2020 - 17:15


Ben fatto, Lorenzo! Forse non interessa nessuno comunque tra Montand e Reggiani ne incise un'ottima versione anche il meno famoso Jacques Douai nel 1955

Flavio Poltronieri - 22/5/2020 - 18:42




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