Noi non sapremo mai
quale sia stata la sua orazione
mentre a un passo dal cielo
gli hanno sparato come a un piccione
forse non ha potuto
gridare boia a chi l'ammazzava
mentre la vita rossa colava
giù per le tegole nella grondaia
mentre stridon le rondini
sopra Firenze la sua agonia
un prete falso dentro una chiesa
affida i morti a un'ave maria
dietro le mura spesse
delle Murate si piange ancora
per quei vent'anni di vita spenti
da un tiro a segno durato un'ora
Un uomo è sempre un uomo
non lo giustifica una divisa
se ha una coscienza in corpo
sa quel che deve e non deve fare
e non venirci a dire
che tu obbedivi che è colpa d'altri
sapevi bene a cosa miravi
mentre puntavi il mitra e sparavi
attento poliziotto
tu che hai sparato e sparerai ancora
il pianto a lungo andare
diventa piombo ed è la tua ora
e non sarai il solo
a pagare il conto nel gran finale
sarà al tuo fianco chi ti comanda
sia un presidente o un generale.
quale sia stata la sua orazione
mentre a un passo dal cielo
gli hanno sparato come a un piccione
forse non ha potuto
gridare boia a chi l'ammazzava
mentre la vita rossa colava
giù per le tegole nella grondaia
mentre stridon le rondini
sopra Firenze la sua agonia
un prete falso dentro una chiesa
affida i morti a un'ave maria
dietro le mura spesse
delle Murate si piange ancora
per quei vent'anni di vita spenti
da un tiro a segno durato un'ora
Un uomo è sempre un uomo
non lo giustifica una divisa
se ha una coscienza in corpo
sa quel che deve e non deve fare
e non venirci a dire
che tu obbedivi che è colpa d'altri
sapevi bene a cosa miravi
mentre puntavi il mitra e sparavi
attento poliziotto
tu che hai sparato e sparerai ancora
il pianto a lungo andare
diventa piombo ed è la tua ora
e non sarai il solo
a pagare il conto nel gran finale
sarà al tuo fianco chi ti comanda
sia un presidente o un generale.
inviata da Riccardo Venturi
Splendida canzone di un grandissimo artista purtroppo sottovalutato e sconosciuto al grande pubblico.
Enrico - 5/2/2013 - 15:50
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Dall'album "Del carcere".
Si veda anche Forse da qualche parte... del compianto Horst Fantazzini.
(The Lone Ranger)
Nella prima sezione eravamo circa 130. Ognuno doveva sapere, nessuno doveva farlo capire.
Era tutto un ammiccare, un gesticolare, un confabulare veloce di gruppetti. Direi che le guardie erano in possesso di forti indizi, ma nessuna prova certa. Io dovevo rimanere all’interno della sezione, con altri, pronti ad asserragliarci e a fermare le guardie, ostruendo il cancello che collegava la nostra sezione con il resto del carcere con brande, materassi, stupetti e quant’altro avremmo trovato.
Un altro gurppo, di 50 detenuti circa, sarebbe salito sul tetto.
La manifestazione iniziò la sera del 24 febbraio 1974, al termine della serata televisiva. Le cose, nemmeno a dirlo, andarono diversamente dal previsto. In un primo momento le guardie riuscirono a sfondare le barricate. Le respingemmo e loro, per reazione, iniziarono a sparare all’interno proiettili e lacrimogeni.
Avevamo preparato limoni e acqua per proteggerci gli occhi, ma l’aria diventò irrespirabile e salimmo anche noi sul tetto.
Da lì vedemmo le guardie, sempre più numerose, scherarsi sui muri di cinta, tutto intorno a noi, a circa 50 metri di distanza.
Il direttore, megafono alla mano, ci intimò di rientrare nelle celle e ci dette un ultimatum di cinque minuti, dopo di che ci avvertì che avrebbero iniziato a spararci.
Qualcuno fu intimorito da questa minaccia, ma la possibilità che venisse dato il via ad un tiro all’uomo non venne alla fine considerata possibile.
Eravamo pronti alla contrattazione; in definitiva miravamo ad ottenere qualche miglioria all’interno del carcere, dove la situazione era di assoluta invivibilità, e a coinvolgere l’opinione pubblica sull’urgenza di una riforma giudiziaria e penitenziaria.
Vivevamo lontano da ogni decenza e gridavamo la nostra disperazione.
Avevano puntato le luci di due riflettori su di noi. Accanto a me c’era Giancarlo, detenuto da pochi giorni. Ricordo che si mosse per andare a prendere un giornale che un altro detenuto aveva con sé.
Assieme a lui si mosse Sandro. Li vidi alzarsi, fare qualche passo. E cominciò il tiro al bersaglio. Centinaia di colpi.
Mi stesi a terra. “Mi hanno preso”. Era la voce di Sandro, strisciai verso di lui.
E vidi Giancarlo a terra. Con gli occhi aperti. Qualcuno passò un accendino davanti ai suoi occhi. Le pupille erano fisse. Sul petto quattro, cinque colpi. Una sventagliata di mitra.
Così morì Giancarlo Del Padrone, 20 anni, toscano di Carrara, arrestato 15 giorni prima, in attesa di processo per furto d’auto.
Il suo primo reato. Restarono feriti in otto.
Sandro alla spalla. Gaetano al fegato, gli altri alle gambe.
Ci alzammo tutti in piedi.
“ASSASSINI” “Ammazzateci tutti, coraggio” “La pagherete”
Slogan di sfogo, di rabbia. Urla senza speranza, senza pace.
Smisero di sparare.”
M.D.S. Testimonianza successiva su una rivolta e l’uccisione nel Carcere delle Murate, a Firenze, il 24 febbraio 1974
Tratto da “Il carcere speciale” Progetto Memoria, Vol. 5, Edizioni Sensibili Alle Foglie