C'è un signore in America che da anni denuncia la illusioni del sogno americano, le solitudini delle metropoli tentacolari, la fatica di vivere dell'uomo contemporaneo che, se troppo debole, rischia di cadere vittima dell'alcool, della droga e in genere di tutti i prodotti destinati a "distrarlo". Questo signore si chiama Thomas Alan Waits ed è uno dei più grandi esponenti di una musica lacerata ed indefinibile, forgiata attraverso la sua consumata gola, proprietaria di corde vocali capaci di raccontare con un solo vocalizzo un intero vissuto.
Genio anticonformista e ribelle ma, sorprendentemente, senza l'infanzia tormentata di rito (anzi, ha sempre avuto un buon rapporto col padre), Tom Waits, pur essendo nato in California (7 dicembre 1949), non ha mai assecondato la deriva di plastica a cui pareva destinato il suo paese. Fin da ragazzo la sua è stata una vita di continuo pellegrinaggio, un'esperienza che probabilmente ha poi segnato il suo percorso di cantore senza meta. San Diego, Laverne, Pomona, Silver Lake, North Hollywood, Whittier sono tutti luoghi che ha conosciuto e in cui ha vissuto.
Amante viscerale della musica (soprattutto dei grandi autori di inizio secolo, Porte e Gershwin compresi), ha cominciato a lavorare a soli quattordici anni in qualità di lavapiatti, per poi passare come cuoco direttamente alla gestione di pentole, intingoli e condimenti vari. Più tardi riesce a farsi assumere come portiere in un Folk Club di Los Angeles, l'"Eritage Club", in cui per la prima volta sale sul palcoscenico per cantare alcune delle sue canzoni.
Herb Cohen, produttore in erba, ne rimane impressionato e nel 1972 lo ingaggia per l'allora nascente etichetta Asylum. Tom Waits si applica e dà alle stampe "Closing time" un eccellente LP con alcune delle sue composizioni migliori, già contrassegnate da quel sound fumoso e jazzy che rappresenta una delle sue caratteristiche. I brani sono apprezzati anche da molti cantanti di giro, che contribuiscono a diffonderne il nome.
Con l'album successivo, "The heart of saturday night", Waits prosegue il suo viaggio fra l'umanità dei perdenti d'America, fatta di frequentatori (troppo) assidui di bar, prostitute e loro poco sensibili clienti. Il suo è un calarsi di matrice quasi biblica fra le sofferenze degli esseri umani dimenticati, spesso in dissidio fra di loro, incapaci di venirsi incontro pur nella reciproca sfortuna.
Il terzo disco invece è già un "live", il criticato "Nighthawks at the diner", seguito però dall'ottimo "Small change". E' un momento d'oro per il singer californiano, la creatività non manca. Mette a punto la sua voce sempre più grattata e sforna uno dietro l'altro capolavori come "Foreign affairs", "Blue Valentine" e "Heartattack and wine", realizzazioni che contengono "ballad" eseguite tutt'oggi con frequenza da vari cantanti di tutto il mondo.
La rotta di Tom Waits si modifica bruscamente con l'album "Swordfishtrombones", nel quale fanno la loro comparsa strumenti esotici, tessiture armoniche e melodiche inusuali per la scrittura fino a quel momento relativamente lineare dell'artista.
Talento eclettico, Waits è sempre stato affascinato anche dal cinema, un universo in cui il suo volto scavato ed espressivo emerge al meglio. Ha infatti partecipato a film come "Rumble fish", "Ironweed" e il celebre "Down by law" con il nostro Roberto Benigni.
Gli album successivi sono tutti di ottimo livello e confermano il talento inquieto di Waits. "Rain dogs" (che vede nel brano "Big Mariah" la partecipazione del chitarrista dei Rolling Stones Keith Richards), "Franks wild years", "Big time", la colonna sonora "Night on earth", "Bone machine" e "The black rider", sono le realizzazioni che, pur con una certa discontinuità dettata da momenti di crisi, hanno visto la luce fra gli anni '80 e gli anni '90.
Nel 1999, dopo quasi sette anni di silenzio, esce a sorpresa un nuovo album, intitolato "Mule variations", titolo che ha attirato l'attenzione della stampa come raramente è successo per un album di Waits.
Seguono nel 2002 ben due album: "Alice" e "Blood money", entrambi frutto della collaborazione con il drammaturgo Robert Wilson (che aveva già dato vita a "The black rider").
Le canzoni di "Alice" risalgono all'omonima messa in scena dei primi anni '90, mentre quelle di "Blood money" sono la colonna sonora del più recente "Woyzeck".